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Academic year: 2021

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(1)

LeLing7: Indipendenza lineare, basi e dimensione.

A ¯ rgomenti svolti:

• Indipendenza lineare e scrittura unica.

• Basi e dimensione.

• Coordinate.

E ¯ sercizi consigliati: Geoling 10 .

1 Indipendenza lineare e scrittura unica

Dato un vettore v ∈ L(w 1 , w 2 , · · · , w n ) sappiamo che (per definizione) v e’ una combi- nazione lineare di w 1 , w 2 , · · · , w n , cioe’

v = c 1 w 1 + c 2 w 2 + · · · + c n w n .

Quello che non possiamo dire e’ se la combinazione lineare e’ unica, cioe’ diversi co- efficienti c 1 , c 2 , · · · , c n possono eventualmente produrre lo stesso vettore v .

Esempio 1.1. La colonna C =

 1 1 1

 appartiene a L(A, B) dove A =

 3 3 3

 e

B =

 2 2 2

. Infatti C e’ una combinazione lineare di A e B e.g. C = 1.A + (−1).B . Ma la combinazione lineare C = 1.A + (−1).B non e’ l’unico modo di esprimere C come combinazione lineare di A e B . Ecco un altro modo

C = (−1)A + 2B .

Definizione 1.2. I vettori w 1 , w 2 , · · · , w n si dicono linearmente indipendenti (in

breve: L.I.) se i vettori di L(w 1 , w 2 , · · · , w n ) si scrivono in modo unico come combi-

nazione lineare di w 1 , w 2 , · · · , w n . Altrimenti, i vettori w 1 , w 2 , · · · , w n si dicono linear-

mente dipendenti (in breve: L.D.): cioe’, se esiste un vettore che si scrive come due

combinazioni lineari dei w 1 , w 2 , · · · , w n con coefficienti diversi.

(2)

Per quanto appena definito, le colonne A, B dell’ esempio precedente sono linear- mente dipendenti.

E’ interessante guardare la definizione precedente dal punto di vista di un sistema lineare non-omogeneo. Ricordiamo che un sistema lineare non omogeneo si puo’ scrivere come:

x 1 w 1 + x 2 w 2 + · · · + x n w n = v , (1) dove v e’ il termine noto, x 1 , x 2 , · · · , x n sono le incognite, etc.

Cioe’ un sistema non-omogeneo pone il problema di determinare

se un vettore v (il termine noto) appartiene al sottospazio L(w 1 , · · · , w n ).

Ora, se prendiamo da un v ∈ L(w 1 , · · · , w n ) siamo sicuri che il sistema non omogeneo (1) e’ compatible. Cio’ di cui non siamo sicuri e’ se la soluzione e’ unica. La definizione (1.2) ci “aiuta” a rispondere a tale problema: la soluzione del sistema non-omogeneo (1) e’ unica se e solo se i vettori w 1 , w 2 , · · · , w n sono linearmente indipendenti.

Teorema 1.3. I vettori w 1 , w 2 , · · · , w n sono linearmente indipendenti se e solo se il sistema omogeneo associato

x 1 w 1 + x 2 w 2 + · · · + x n w n = 0

ha soltanto la soluzione banale x 1 = 0, x 2 = 0, x 3 = 0, · · · , x n = 0. In altre parole, i vettori w 1 , w 2 , · · · , w n sono linearmente indipendenti se e solo se l’unica combinazione lineare di w 1 , w 2 , · · · , w n che produce lo zero 0 e’ quella banale, cioe’ quella in cui tutti i coefficienti sono zero.

Il teorema e’ molto interessante perche’ ci dice che basta verificare che lo zero si scrive in modo unico come combinazione lineare di w 1 , w 2 , · · · , w n per essere sicuri che qualsi- asi vettore v ∈ L(w 1 , w 2 , · · · , w n ) si scrive in modo unico come combinazione lineare di w 1 , w 2 , · · · , w n .

Dimostrazione del Teorema 1.3. Se i vettori sono L.I. allora lo zero si scrive in modo

unico come combinazione lineare di w 1 , w 2 , · · · , w n per definizione, cioe’ soltanto con

tutti i coefficienti uguali a zero. Dunque assumiamo che lo zero 0 si scriva in modo

unico, mentre un vettore v si scriva eventualmente in due modi diversi:

(3)

 v = c 1 w 1 + c 2 w 2 + c 3 w 3 + · · · + c n w n , v = d 1 w 1 + d 2 w 2 + d 3 w 3 + · · · + d n w n Facendo la differenza otteniamo

v − v = 0 = (c 1 − d 1 )w 1 + (c 2 − d 2 )w 2 + (c 3 − d 3 )w 3 + · · · + (c n − d n )w n .

Dunque la differenza v−v esprime lo zero 0 come combinazione lineare di w 1 , w 2 , · · · , w n . Poiche’ per ipotesi lo zero si scrive in modo unico, risulta c 1 − d 1 = 0, c 2 − d 2 = 0, c 3 − d 3 = 0, etc. Cioe’, anche v si scrive in modo unico come combinazione lineare di w 1 , w 2 , · · · , w n e questo termina la dimostrazione. 2

Osservazione Importante: Se i vettori w 1 , w 2 , · · · , w n sono vettori colonna, allora essi sono L.I. se e soltanto se l’unica soluzione del sistema omogeneo x 1 w 1 + x 2 w 2 + · · · + x n w n = 0 e’ quella banale, cioe’ x 1 = 0, x 2 = 0, x 3 = 0, etc.

Esempio 1.4. Le colonne A =

 3 3 3

 e B =

 2 2 2

 sono L.D. Infatti il sistema omogeneo:

x 1

 3 3 3

 + x 2

 2 2 2

 =

 0 0 0

 , cioe’

x 1 3 + x 2 2 = 0 x 1 3 + x 2 2 = 0 x 1 3 + x 2 2 = 0

ha soluzioni non banali:

x 1 = −2, x 2 = 3

Esempio 1.5. Le colonne A =

 3 0 3

 e B =

 2 2 2

 sono L.I. Infatti il sistema omogeneo:

x 1

 3 0 3

 + x 2

 2 2 2

 =

 0 0 0

 , cioe’

x 1 3 + x 2 2 = 0 x 2 2 = 0 x 1 3 + x 2 2 = 0

ha soltanto la soluzione banale x 1 = x 2 = 0

Osserviamo che se i vettori w 1 , w 2 , · · · , w n sono L.I. allora, in particolare, w 1 6= 0,

w 2 6= 0, w 3 6= 0, etc. Infatti se, diciamo, w i

0

= 0 allora si potrebbe scrivere 0 =

0w 1 + 0w 2 + · · · + 1.w i

0

+ · · · + 0.w v , cioe’ lo zero come combinazione lineare non banale

di w 1 , w 2 , · · · , w n ; e questo contraddice l’ipotesi di L.I.

(4)

Esempio 1.6. Le colonne quattro colonne

 3 0 0 0

 ,

 0 2 0 1

 ,

 0 0 0 0

 e

 0 0 1 1

sono L.D.

Infatti la terza colonna e’ quella banale.

Due vettori v 1 e v 2 sono L.I. se uno non e’ un multiplo dell’altro. Tre vettori v 1 , v 2 e v 3 sono linearmente independenti se nessuno di essi si puo’ scrivere come una combinazione lineare degli altri due. Piu’ in generale:

Proposizione 1.7. I vettori v 1 , v 2 , · · · , v n sono L.I. se e solo se L(v 1 , v 2 , · · · , v i , · · · , v n ) 6= L(v 1 , v 2 , · · · , v b i , · · · , v n ) , dove v b i significa togliere dalla lista il vettore v i .

1.1 Dimensione

Sia W = L(w 1 , w 2 , · · · , w n ) un sottospazio generato da n vettori.

Dal Teorema di Steinitz segue che se m > n e v 1 , v 2 , · · · , v n , v n+1 , · · · , v m ∈ W allora v 1 , v 2 , · · · , v n , v n+1 , · · · , v m sono linearmente dipendenti. In parole povere, in L(w 1 , w 2 , · · · , w n ) piu’ di n vettori sono sempre L.D.

Infatti, se cerchiamo un’eventuale combinazione lineare nulla x 1 v 1 + x 2 v 2 + · · · + x m v m = 0 risulta (usando il fatto che v i = P n

j=1 a ij w j ):

x 1 (

n

X

j=1

a 1j w j ) + x 2 (

n

X

j=1

a 2j w j ) + · · · + x m (

n

X

j=1

a mj w j ) = 0 e mettendo in evidenza il sottoindice j risulta:

(

m

X

i=1

x i a i1 )w 1 + (

m

X

i=1

x i a i2 )w 2 + · · · + (

m

X

i=1

x i a in )w n = 0 .

Cerchiamo allora una soluzione non banale x 1 , x 2 , · · · , x m del sistema omogeneo:

(5)

 

 

 

  P m

i=1 x i a i1 = 0 P m

i=1 x i a i2 = 0 .. . P m

i=1 x i a in = 0

e siccome m > n questo sistema ha una soluzione non banale per il Teorema di Steinitz.

Questo dimostra la seguente proposizione.

Proposizione 1.8. Se m > n e se v 1 , v 2 , · · · , v m ∈ L(w 1 , w 2 , · · · , w n ) allora i vettori v 1 , v 2 , · · · , v m sono L.D.

Puo’ capitare che un sottospazio W sia generato in due modi diversi, cioe’ W = L(w 1 , w 2 , · · · , w n ) e W = L(v 1 , v 2 , · · · , v m ). Ma se i vettori w 1 , w 2 , · · · , w n sono L.I. e anche i vettori v 1 , v 2 , · · · , v m lo sono, allora m = n necessariamente, cioe’ il numero di generatori L.I. di W non cambia, come risulta applicando la proposizione precedente.

Questo giustifica la definizione di dimensione.

Definizione 1.9. Il sottospazio W = L(w 1 , w 2 , · · · , w n ) ha dimensione n se i vettori w 1 , w 2 , · · · , w n sono L.I. In simboli, si scrive dim(W) = n. Il sottospazio banale W = {0} ha dimensione 0.

Ha anche senso parlare della dimensione dim(V) di uno spazio vettoriale (essendo V un particolare sottospazio di se stesso): cioe’, dim(V) = n se e solo se esistono n vettori L.I. w 1 , w 2 , · · · , w n tali che V = L(w 1 , w 2 , · · · , w n ).

1.2 Basi e coordinate

Se lo spazio vettoriale V ha dimensione n allora esistono n vettori w 1 , w 2 , · · · , w n L.I.

che generano V. Detto in parole piu’ semplici: tutti i vettori v ∈ V si scrivono di modo unico come combinazioni lineari di w 1 , w 2 , · · · , w n , cioe’

v = c 1 w 1 + c 2 w 2 + · · · + c n w n .

Questo si puo’ interpretare come un corrispondenza 1 − 1 tra i vettori v ∈ V e le colonne C n :

v ⇐⇒

 c 1 c 2 .. . c n

(6)

Cioe’, data una colonna

 c 1 c 2 .. . c n

si ricava un vettore v tramite i vettori w 1 , w 2 , · · · , w n

come la combinazione lineare v = c 1 w 1 + c 2 w 2 + · · · + c n w n .

Notare l’importanza che gioca l’ordine dei vettori w 1 , w 2 , · · · , w n in questo ultimo passaggio. Poniamo n = 3 per esempio, e prendiamo la colonna

 1 2 3

 che rappre- senta il vettore v = 1.w 1 + 2w 2 + 3w 3 . Questo vettore e’ ovviamente diverso dal vettore 1.w 2 + 2w 1 + 3w 3 ; dunque e’ importantissimo usare la componente i-esima della colonna come coefficiente del vettore i-esimo w i .

Da questa spiegazione discende la prossima definizione.

Definizione 1.10. Sia V uno spazio vettoriale. Una base B di V e’ una n-upla, (in cui cioe’ conta l’ordine) (w 1 , w 2 , · · · , w n ) di n vettori tale che:

(i) i vettori w 1 , w 2 , · · · , w n sono L.I., (ii) V = L(w 1 , w 2 , · · · , w n ).

In simboli, si scrive B = (w 1 , w 2 , · · · , w n ).

Osserviamo che il numero di vettori di una base e’ la dimensione dello spazio vetto- riale.

Esempio 1.11. Ecco una base dello spazio C 3 :

B = (

 1 0 0

 ,

 0 1 0

 ,

 0 0 1

 )

Scambiando l’ordine dei vettori della base precedente si ottiene una base diversa:

D = (

 0 1 0

 ,

 1 0 0

 ,

 0 0 1

 )

Data una base B = (w 1 , w 2 , · · · , w n ) di uno spazio vettoriale la corrispondenza

(7)

v ⇐⇒

 c 1 c 2

.. . c n

si chiama sistema di coordinate; equivalentemente, i coefficienti c 1 , c 2 , · · · , c n si dicono le coordinate del vettore v rispetto alla base B = (w 1 , w 2 , · · · , w n ).

Esempio 1.12. Le coordinate della colonna

 0 1 0

 rispetto alla base D sono 1, 0, 0.

Le coordinate di un vettore cambiano a seconda della base. Ma c’e’ un vettore le cui coordinate sono sempre le stesse, in qualsiasi base: lo 0. Infatti, al vettore nullo corrispondono sempre le coordinate 0, 0, 0, · · · , 0.

Osservare che se un vettore v e’ il primo vettore di una base B , allora le sue coordinate respetto a B sono 1, 0, 0, 0, . . . , 0. Se v e’ il secondo vettore allora le sue coordinate sono 0, 1, 0, 0, · · · , 0, e cos`ı via.

Gli spazi vettoriali delle colonne C n hanno una base (resp. righe R n ) chiamata base canonica che e’ quella fatta con le colonne (resp. righe) aventi un coefficiente uguale a 1 e tutti gli altri uguali a zero, prese nel’ordine naturale.

1.3 Esistenza delle basi

Dalla definizione di dimensione e di base segue che ogni spazio di dimensione finita ha una base.

Il problema dell’esistenza di una base e’ il seguente: siano v 1 , v 2 , · · · , v n ∈ V vet- tori di uno spazio vettoriale e sia W = L(v 1 , · · · , v n ) il sottospazio da essi generato;

se i vettori v 1 , v 2 , · · · , v n sono L.I. sappiamo per definizione che dim(W) = n e’ che B = (v 1 , v 2 , · · · , v n ) e’ una base di W; ma cosa succede se i vettori v 1 , v 2 , · · · , v n sono L.D.? W ha comunque dimensione finita? Ed esiste una base di W?

Una cosa che dobbiamo capire e’ che le risposte a queste due domande non sono

banali, cioe’ rispondere ad esse comporta una certa fatica.

(8)

Ecco un metodo che risponde a tale problema, noto come il metodo degli scarti suc- cessivi.

Se i vettori v 1 , v 2 , · · · , v n sono L.D. allora uno di loro si esprime come combinazione lineare degli altri. Possiamo assumere per semplicita’ che questo vettore sia v n . Dunque possiamo generare W con n − 1 vettori scartando v n , dunque W = L(v 1 , · · · , v n−1 ).

Adesso ripetiamoci la domanda, chiediamoci cioe’ se i vettori v 1 , · · · , v n−1 sono L.I.

oppure no. Se la risposta e’ si’, allora dim(W) = n − 1 e abbiamo finito. Se la risposta e’

no, possiamo continuare scartando ulteriori vettori. Chiaramente dopo un numero finito di scarti o li avremo scartati tutti, oppure arriveremo ad una risposta positiva, cioe’

dim(W) ≤ n ed esiste una base. Osserviamo che l’unico caso in cui si scartano tutti e’

quando v 1 = v 2 = · · · = v n = 0, cioe’ W e’ il sottospazio banale W = {0} che contiene solo il vettore nullo; e, in questo caso, dim(W) = 0.

Riassumiamo quanto spiegato nel seguente teorema.

Teorema 1.13. Se lo spazio vettoriale V e’ finitamente generato e non banale ( cioe’

V = L(v 1 , v 2 , · · · , v n ) e almeno un vettore v i non e’ nullo) allora V ha una base e dim(V) ≤ n.

1.4 Sottospazi: una desiguaglianza importante

Intuitivamente e’ chiaro che la dimensione di un sottospazio W ⊂ V deve essere minore o uguale alla dimensione dello spazio vettoriale V; per esserne sicuri dobbiamo pero’

dimostrarlo.

Teorema 1.14. Sia W ⊂ V un sottospazio dello spazio vettoriale V. Allora dim(W) ≤ dim(V) .

Inoltre, la ugualianza e’ vera se e solo se W = V.

Dimostrazione. Sia n = dim(W), cioe’ W = L(v 1 , · · · , v n ) dove i v 1 , · · · , v n sono L.I. Allora se W 6= V risulta dalla discusione iniziale che dim(V) > n; cioe’, se esiste v / ∈ L(v 1 , · · · , v n ) allora i vettori v 1 , · · · , v n , v sono L.I. e dunque dim(V) > n. 2 Corollario 1.15. Sia V uno spazio vettoriale. Se per ogni n ∈ N esiste un sottospazio W di dimensione dim(W) ≥ n allora V non ha dimensione finita.

E’ facile vedere che molti spazi hanno dimensione infinita (cioe’, non finita); ad

esempio, lo spazio vettoriale di tutti i polinomi, quello di tutte le funzioni continue, etc,

etc.

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