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Origine del campo magnetico terrestre

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Origine del campo magnetico terrestre

Cap. IX. - Origine del campo nucleare

IX.1. Premessa e teorie cosiddette globali

Come s’è già detto in varie occasioni, la parte fondamentale del CMT è costituita dal campo nucleare, cioè dal campo magnetico generato da sistemi di correnti elettriche che scorrono nel nucleo esterno terrestre, allo stato fluido circa tra 3.000 e 5.000 km di profondità; i restanti componenti del CMT derivano per qualche percento da rocce della crosta terrestre magnetizzate dal campo nucleare (campo crostale) e per un’entità variabile tra qualche permille e qualche percento in maniera irregolare nel tempo da correnti elettriche variabili prodotte nell’atmosfera terrestre (campo esterno) (e, in misura ancora minore, indotte nella crosta terrestre) per interazione del CMT con cor- renti di particelle elettricamente cariche di origine solare, il cosiddetto vento solare; ci si riporta dunque sempre, in maniera più o meno diretta, al campo nucleare e parlare di origine del CMT significa quindi parlare essenzialmente di origine del campo nu- cleare. Del resto, di come il campo nucleare crea il campo crostale si parlerà quando, nel successivo cap. X, si esamineranno i processi fisici mediante i quali il campo nucleare magnetizza le rocce della crosta terrestre, creando il ‘campo crostale’; per quanto riguarda il campo esterno variabile nel tempo, se ne parlerà nel successivo cap. XI.

Ricordando brevemente ciò che è stato detto nel cap. I a proposito delle idee via via sviluppate dagli scienziati delle varie epoche sulla natura del CMT (parr. I.4 a I.8), a parte le prime ipotesi “naturalistiche” sul fatto che il funzionamento delle bussole mag- netiche fosse determinato dall’attrazione dell’ago magnetico verso grandi montagne di ferro situate nelle regioni dell’estremo nord, le prime teorie fisicamente accettabili sul CMT facevano forza sul fatto che le caratteristiche osservabili del campo lo presen- tavano come generato da una magnetizzazione uniforme della Terra all’incirca secondo l’asse della rotazione diurna, modellizzabile, all’esterno della Terra, ipotiz- zando un dipolo magnetico posto al centro della Terra con l’asse quasi parallelo all’asse della rotazione terrestre; il momento magnetico di questo dipolo era sti- mato dell’ordine di 8 1022 A m2, e questo valore, come anche la direzione del dipolo, era soggetto a piccole variazioni spaziotemporali, sia quasi regolari sia del tutto irrego- lari. Si parla di teorie globali del CMT in quanto, per un verso o per l’altro, la Terra poteva essere vista come un enorme magnete naturale, le teorie medesime differ- enziandosi poi in “magnetiche” ed “elettriche” a seconda del meccanismo fisico che era ipotizzato per spiegare la magnetizzazione della Terra (osserviamo che il termine “glob- ale” è qui il calco dell’ingl. global [“mondiale”] che si riferisce al globo terrestre nel suo insieme).

a) Teorie globali “magnetiche”. In un primo momento – durato in effetti quasi sei secoli, all’incirca dal XIII al XIX sec. – l’ipotesi che la Terra fosse uniformemente mag- netizzata all’incirca secondo il suo asse era assunta come un “fatto di Natura”, implici- tamente quindi da riportare alla genesi stessa del pianeta; l’interesse era portato intera- mente sulla morfologia del CMT desumibile da questa ipotesi ed è importante ricordare che le osservazioni dirette erano confrontate con quello che si ricavava da modelli reali della Terra magnetizzata, costituiti da un magnete di forma sferica uniformemente mag-

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netizzato secondo un suo diametro (la famosa “Terrella” forse introdotta da Pierre de Maricourt intorno al 1265 e ampiamente utilizzata da William Gilbert nel suo trattato sul CMT del 1600: v. par. I.7); i risultati estremamente positivi di questo confronto gi- ustificano il grande favore che questa teoria del “magnete Terra” ebbe nel lungo periodo storico citato all’inizio.

Questo favore non venne meno neppure all’inizio del processo con il quale la fisica del magnetismo passò dalla sua prima impostazione essenzialmente naturalistica e osserva- tiva a quella essenzialmente razionale e speculativa che le è propria, il che avvenne con l’avvento del XIX secolo. Infatti, se si consideravano da una parte il detto valore (8 1022 A m2) del momento del dipolo magnetico centrale terrestre ricavato dalle osservazioni e, dall’altra parte, il volume della Terra si ricavava per la magnetizzazione media della Terra un valore di circa 80 A/m, che, tutto sommato, appariva ben accettabile alla luce di quello che allora si sapeva sulla magnetizzazione della materia. Sul finire di quel secolo fu messo però in luce il fatto che la capacità di magnetizzarsi della materia dipendeva for- temente, a parità di intensità del campo magnetizzante, dalla temperatura e che qualun- que specie di materia non era più in grado di magnetizzarsi fortemente se si trovava al disopra di una certa sua temperatura critica di magnetizzazione, che, individuata da Pi- erre Curie <kiurì> (1859-1906), professore di fisica nell’Univ. di Parigi, oggi chiamiamo

“temperatura di Curie”; per le rocce terrestri capaci di magnetizzarsi fortemente – le cosiddette “rocce magnetiche”, che oggi sappiamo essere rocce ferromagnetiche e, so- prattutto, ferrimagnetiche – la temperatura di Curie varia all’incirca tra 400 e 1.200 °C.

Parallelamente, la geofisica acquisì – specialmente dalla sismologia – informazioni sullo stato fisico dell’interno della Terra, giungendo, già negli anni Trenta del XX sec., alla conclusione che a partire dalla profondità media di soli circa 100 km la temperatura della Terra è maggiore di quella di Curie delle rocce magnetiche, e va velocemente crescendo al crescere ulteriore della profondità (v. fig. II.3/2), per cui il CMT dovrebbe essere affidato alla magnetizzazione di un esiguo strato superficiale (spessore dell’ordine di 25 km) della crosta terrestre; anche immaginando che tale strato sia costituito interamente di rocce magnetiche, ne risulterebbe per esso una magnetizzazione media dell’ordine di 6.000 A/m, che è un valore assolutamente inaccordabile con i valori osservati della magnetiz- zazione nelle rocce crostali, che sono dell’ordine massimo delle decine di A/m.

A proposito poi della causa originaria della magnetizzazione in questione, una spie- gazione – che sembra sia l’unica di carattere strettamente fisico ad essere stata avanzata – fu proposta nel 1947 dal fisico inglese Patrick Maynard Stuart Blackett <blè’kit>

(1897-1974), prof. di fisica in varie università inglesi, premio Nobel per la fisica nel 1948: ogni corpo materiale in rotazione (com’è la Terra) genererebbe un campo mag- netico dipolare e con asse parallelo a quello della rotazione (caratteristiche principali del CMT) e intensità in relazione con la velocità di rotazione. Questo “effetto Blackett”, che avrebbe potuto dare conto anche del campo magnetico esibito dal Sole e dalle stelle in generale, si rivelò tuttavia inconsistente in seguito ad accurati esperimenti effettuati dallo stesso Blackett. Oltretutto, se questi esperimenti non fossero stati effettuati oppure avessero dato risultati non negativi, questa spiegazione sarebbe caduta per il CMT – come, e per la medesima ragione, sono cadute tutte le varianti della teoria della magnetiz- zazione globale terrestre – quando negli Anni Trenta del XX sec. furono scoperte le con- tinue inversioni subite dal CMT nel corso dei tempi geologici; nell’ambito di questa teo- ria, infatti, l’inversione del campo dovrebbe derivare da un’inversione della rotazione ter- restre, e ciò è unanimemente giudicato assurdo.

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b) Teorie globali “elettriche”. Queste teorie nacquero, negli anni intorno al 1820, in- sieme con l’elettromagnetismo ossia dopo la constatazione sperimentale che correnti elettriche generavano campi magnetici; l’ipotesi base di esse è che il CMT sia generato da correnti elettriche fluenti opportunamente nella Terra, e hanno avuto vari sviluppi.

Alcune teorie si basavano sulla rotazione terrestre e sull’accertata presenza di una carica elettrica negativa globale sulla superficie terrestre; s’immaginava che, in virtù di un qualche fenomeno – e perciò si contemplavano alcune varianti – questa carica elettrica si distribuisse non uniformemente sulla Terra e ciò desse luogo, in virtù della rotazione ter- restre, a correnti elettriche di convezione, generatrici del CMT; già allora apparve però chiaro che sarebbero occorsi accumuli di cariche elettriche quanto mai improbabili sia in valore sia in posizione.

Altre teorie erano invece basate su vere e proprie correnti elettriche di conduzione nella Terra. Diciamo subito che, come presto vedremo, in linea di principio l’attuale teoria magnetoplasmadinamica sull’origine del CMT può essere ricondotta tra queste ultime teorie – che però, ovviamente a parte quella magnetoplasmadinamica, si sono rivelate tutte inconsistenti con la realtà – differenziandosi tuttavia perché esse fanno forza sull’accertata conducibilità elettrica della Terra piuttosto che su meccanismi elettrodi- namici di formazione di correnti elettriche nella Terra. A proposito della struttura “elet- troconduttrice” di quest’ultima ricordiamo che al disotto della crosta e del mantello e al disopra del nucleo interno v’è il nucleo esterno, il quale è allo stato di plasma e quindi fluido e fortemente elettroconduttore: la sua conduttività elettrica è infatti dell’ordine di 105 S/m, circa mille volte maggiore di quella del resto del pianeta. Ci limiteremo a ri- cordare l’unica di queste teorie che, in un certo senso, s’avvicina di più a quella attuale;

secondo essa, il CMT sarebbe dovuto a un sistema di correnti elettriche innescato nel detto nucleo esterno terrestre in epoca assai remota per un imprecisabile fenomeno d’intensa induzione elettromagnetica e da allora diminuente lentamente nel tempo, con un naturale processo di decadimento; sembra quasi superfluo rilevare che questa teoria è manifestamente in disaccordo con rilevanti fatti paleomagnetici accertati finora: le fre- quenti inversioni, le variazioni peculiari osservate tra un’inversione e l’altra, la quasi co- stanza dal Paleozoico in poi, e altri.

Appartiene a questo gruppo di teorie anche la cosiddetta “teoria dinamo”, che peraltro, ancorché risultata anch’essa insoddisfacente, ha avuto uno sviluppo di buon livello con- cettuale, dominando la fisica del geomagnetismo per larga parte del XX sec. e ripropo- nendosi poi nei tempi attuali, con convenienti varianti, come accertata idea di base; per questo motivo essa è meritevole di un esame dettagliato.

IX.2. La “teoria dinamo” del CMT

IX.2.1. La “teoria dinamo” del CMT dipolare

Questa teoria, di natura elettromagnetica, fu originata da un’ipotesi emessa nel 1919 da Joseph Larmor <làamo> (1857-1942, prof. di matematica nell’univ. di Cambridge, Regno Unito) sul campo magnetico del Sole, secondo la quale tale campo sarebbe gen- erato mediante un meccanismo simile a quello in base al quale funziona una dinamo elet- trica ad autoeccitazione.

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Trenta anni dopo, nel 1949, Edward Crisp Bullard <bùlad> (1907-80, prof. di geofisica nell’univ. inglese di Cambridge) adattò l’ipotesi di Larmor alla parte del CMT riconducibile a un dipolo magnetico centrale, il cosiddetto campo dipolare del quale ab- biamo diffusamenmte parlato in precedenza (par. VI.10.1), collocando il meccanismo dell’autoeccitazione nel nucleo terrestre esterno.

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Tale meccanismo è schematizzato nel modello elettromeccanico (dinamo di Bullard) della fig. IX.2.1/1, costituito da un disco metallico rotante (che modellizza, al contempo,

la rotazione e la conducibilità elettrica della Terra), all’asse e alla periferia del quale fanno capo, per il tramite di con- tatti striscianti a, le estremità di una spira metallica fissa (che modellizza di nuovo la conducibilità elettrica ter- restre). Immaginiamo che sia presente un campo mag- netico, di induzione B, parallelo all’asse di rotazione del disco; la rotazione induce nel disco un campo elettromo- tore radiale E (si tratta di un noto esercizio sull’ induzione elettromagnetica “di movimento”) che fa scorre-

re una corrente elettrica nel circuito (tratteggiato nella fig.) costituito dalla spira e dal tratto del disco rotante compreso tra l’asse e il contatto strisciante periferico; il verso di tale corrente è tale da dare luogo a un campo d’induzione magnetica cospirante con B.

Come ben si comprende, un meccanismo di questo genere è automantenentesi; una volta che sia stato innescato da un campo iniziale, anche di modesta entità, avente una compo- nente non nulla secondo l’asse del disco, esso prosegue indefinitamente fino che dura la rotazione del disco, raggiungendosi prestissimo una situazione di equilibrio nella quale le perdite di energia per effetto Joule nelle parti conduttrici, per attriti meccanici e per altre cause pareggiano l’energia primaria messa in gioco nella rotazione. La “dinamo terrestre”

schematizzata nella fig. IX.2.1/1 va situata nel nucleo esterno terrestre, che è l’unica parte del pianeta a presentare una grande conducibilità elettrica, e per la parte meccanica accanto alla rotazione (che determina traiettorie della materia ortogonali all’asse terrestre) vanno considerati anche moti convettivi termici nel nucleo, che è fluido (determinandosi in esso correnti termoconvettive di materia in piani contenenti l’asse terrestre).

L’esistenza di un campo magnetico iniziale per l’innesco del processo non costituisce un problema; si possono infatti immaginare molte possibili cause, interne oppure esterne alla Terra, per l’insorgere di un siffatto campo transitorio.

Relativamente complicato è invece determinare le caratteristiche dei detti moti convet- tivi nel nucleo esterno terrestre; si tratta di un arduo problema di magnetofluidodinamica nel quale difficoltà di natura matematica s’accompagnano a gravi difficoltà di natura fisica (ambiente materiale la cui composizione è nota soltanto imperfettamente e che non è riproducibile in laboratorio a causa degli altissimi valori della pressione, della densità e della temperatura). Ci limiteremo pertanto a dare brevi cenni sulle linee comuni alle nu- merose teorie dettagliate che sono state via via proposte.

Un’accettabile teoria (sarebbe meglio parlare di “modello” o di “schema”) per il campo dipolare fu proposto nel 1954 dallo stesso Bullard e da H. Gellmann <ghèlman> ed è sintetizzata nella fig. IX.2.1/2. Secondo questo modello, la rappresentazione dei moti della materia nel nucleo terrestre fluido sarebbe affidata a due campi vettoriali di velocità, il primo dei quali, v1, per la rotazione, con linee circolari in piani paralleli all’equatore, e il secondo, v2, per i moti convettivi, con linee chiuse non circolari in piani contenenti l’asse di rotazione. I due suddetti autori hanno dimostrato che l’interazione del campo cinetico v1 con un campo magnetico accidentale di dipolo centrale quasi secondo l’asse terrestre, di induzione B1, fa nascere forze elettromotrici secondo lo schema della dinamo ad auto- eccitazione della fig. IX.2.1/1 e quindi correnti che generano un campo magnetico B2≈v1×B1, all’incirca ortogonale a B1 e confinato entro il nucleo esterno (all’esterno di

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questo, è v1≡0), cioè un campo toroidale (par. III.1.11), come tale non osservabile sulla superficie terrestre e nella sovrastante atmosfera; questo campo interagisce con le cor-

renti convettive del campo cinetico v2,

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dando luogo a un altro campo magnetico toroidale, B3≈v2×B2; questo interagisce con il campo di rotazione v1, dando luogo a un terzo campo magnetico toroidale, B4≈v1×B3 e questo, infine, interagendo col campo convettivo v2, dà luogo a un campo magnetico non toroidale, e cioè a un campo poloidale (par. III.1.11), B1≈v2×B4, che ha la struttura di quello iniziale e va a rinforzarlo, finendosi col raggiungere una situazione di equilibrio in cui l’energia primaria in gioco (quella delle forze che determinano la rotazione e delle sorgenti di calore che determinano i moti convettivi) eguaglia la somma dell’energia dissi- pata per varie cause (attriti meccanici, resistenze elettriche, ecc.) e di quella presente nel campo magnetico generato nella Terra e fuori di essa. Complessivamente, si ha una catena chiusa interattiva comprendente due campi di velocità di corrente fluida e quattro campi d’induzione magnetica, dei quali ultimi tre sono toroidali e uno è poloidale; natu- ralmente è quest’ultimo, B1, il campo magnetico dipolare osservabile sulla Terra e in- torno ad essa, rappresentato dai termini del primo ordine dell’analisi armonica del po- tenziale del CMT (par. VI.3 e segg.).

Successivi calcoli, eseguiti con calcolatori elettronici più potenti di quelli disponibili quando la teoria fu enunciata, hanno peraltro mostrato che, tenendo conto di termini inizialmente trascurati per rendere possibile i calcoli, l’illustrato meccanismo della

“dinamo a quattro generatori” (intendendo come “generatori” i quattro processi interat- tivi tra i due campi di velocità e i quattro campi magnetici che intervengono nella fig.

IX.2.1/2) è intrinsecamente instabile e, per di più, è inadatto a spiegare le inversioni del CMT, per le quali sarebbe necessaria, ogni volta, l’inversione della rotazione terrestre:

ipotesi, questa, da scartare, come s’è già detto.

Sfruttando appunto le migliori possibilità di calcolo elettronico presentatasi succes- sivamente, lo stesso Bullard e i suoi collaboratori hanno riformato la teoria, pervenendo a proporre un meccanismo stabile mediante l’aggiunta di un terzo tipo di corrente fluida, governato da un campo di velocità del tipo di quello precedentemente indicato con v2 e che, aggiunto a questo, dà luogo complessivamente a una sorta di moto convettivo elicoi- dale asimmetrico; la circostanza dell’asimmetria è importante in quanto è dimostrabile che sistemi “dinamo” simmetrici si compenserebbero a vicenda (si osservi che la dinamo

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elementare della fig. IX.2.1/1 – che a prima vista, e inversioni escluse, sembrava soddis- facente – è asimmetrica).

Questa teoria riformata, detta teoria di Bullard-Gellmann-Lilley (proposta nel 1970), prevede interazioni fra i tre detti campi di velocità e gli stessi campi magnetici della fig. IX.2.1/2che sono però alquanto differenti rispetto a quelle del modello origi- nario e che danno conto anche delle inversioni del CMT; precisamente, accadrebbe, spe- cialmente a causa delle varie cause dissipatrici di energia, l’instaurarsi di una sempre più marcata simmetria che in breve porterebbe alla diminuzione o all’annullamento dell’effetto netto di dinamo e quindi all’annullarsi del campo, che però si ripristinerebbe rapidamente al venir meno di questa accidentale e momentanea simmetria, potendo anche, e casualmente, risultare invertito rispetto a prima (a tale fine, basta che s’invertano insieme i quattro campi magnetici, cosa che è possibile anche se la rotazione terrestre non muta.

Un risultato simile è stato ottenuto pure con altri modelli. Per esempio, il geofisico giapponese T.

Rikitake ha proposto nel 1958 un modello costituito da due dinamo di Bullard identiche e identicamente rotanti, il disco rotante di ognuna delle quali alimenta la spira dell’altra; si tratta di un sistema instabile, nel senso che l’effetto netto di dinamo e quindi l’intensità nonché la polarità del campo magnetico poloi- dale risultante all’esterno dipendono dal bilancio tra forze attive e forze dissipative nelle due dinamo, che soltanto eccezionalmente è nullo (col campo risultante parimenti nullo), e tra l’una e l’altra delle situazi- oni transistorie di equilibrio il campo magnetico prodotto può risultare, con assoluta casualità, parallelo oppure antiparallelo rispetto alla comune direzione orientata della velocità angolare dei due dischi. Sono stati proposti altri modelli simili, per es. uno (modello di H. Herzenberg) nel quale le due “dinamo” di Rikitake si riducono semplicemente a due masse conduttrici corotanti accoppiate mediante un mezzo con- duttore; tali due masse e il mezzo del loro accoppiamento elettromagnetico modellizzerebbero parti differ- enti (per es., due bucce sferiche) del nucleo terrestre fluido.

Abbiamo ricordato brevemente sia la teoria elettromeccanicomagnetica di Bullard e collaboratori sia i derivati modelli vettoriali di Rikitake e seguenti a scopo strettamente esemplificativo, e precisamente per mostrare come con ingegnose combinazioni di moti e di correnti elettriche indotte si possa arrivare a dare conto abbastanza soddisfacente- mente delle caratteristiche fondamentali, sia attuali (morfologia generale) sia passate (in- versioni di polarità), della parte dipolare del CMT. Il fatto stesso che di spiegazioni ne esistano più d’una e tutte su un uguale piano di attendibilità, significa che nessuna di queste è “la” spiegazione e che per arrivare a questa conviene abbandonare la strada della modellistica fisica di tipo analogico; le teorie che sono dietro i detti modelli hanno comunque avuto il grande merito di dare chiare indicazioni sulla via da seguire per risolvere il problema dell’origine e delle vicende spaziotemporali del CMT.

Rimanendo ancora per un momento sulle dette teorie, è da ricordare un’interessante applicazione di esse alla risoluzione del problema per così dire inverso rispetto a quello finora accennato: ammessa l’esistenza di meccanismi “dinamo” nel nucleo fluido ter- restre, dalle caratteristiche del CMT rilevate sulla superficie terrestre cercare di dedurre i movimenti della materia nel nucleo medesimo. Questo problema è stato affrontato da due diversi punti di vista, rispettivamente da E. H. Vestine e da Rikitate, e loro collaboratori;

i risultati dei lavori di questi due gruppi sono all’incirca gli stessi, e precisamente l’attuale esistenza di due principali correnti convettive nel nucleo, una ascendente in cor- rispondenza dell’Africa e una discendente in corrispondenza del Pacifico centrale, che sembrano in accordo con ciò che mostrano le tavole di isoanomale degli elementi del CMT (per es., fig. VI.10.4/1).

IX.2.2. La “teoria dinamo” del CMT non dipolare

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Ciò che è stato detto nel paragrafo precedente riguarda la parte del CMT rappresentata dai termini del primo ordine dell’analisi armonica del potenziale scalare del campo (par.

VI.10.1); abbiamo anche visto (par. VI.10.5) che il complesso dei termini di ordine supe- riore al primo rappresenta il campo non dipolare , il quale può essere modellizzato me- diante un certo numero di dipoli di opportuno momento in opportuna posizione nella Terra, come porta a pensare la carta delle isoanomale della fig. VI.10.4/1. La deter- minazione della configurazione di questi dipoli “ausiliari” al supposto dipolo centrale generatore del campo dipolare potrebbe costituire il tema di eleganti esercizi di fisica matematica, e in effetti nel recente passato è stata proposta tutta una serie di con- figurazioni, dai 14 dipoli di McNish (1940) agli 8 dipoli di Lowes (1955) e di Aldredge e Hurwitz (1964), già ricordati in altra occasione (par. VI.10.5). Quello che è più interes- sante è di chiedersi quale possa essere il meccanismo che dà luogo a campi dipolari ec- centrici di questo genere.

Una prima risposta venne ancora una volta da Bullard, il quale nel 1948 suppose che questi campi potessero originarsi da vortici nel nucleo terrestre fluido, interagenti col campo magnetico ivi esistente secondo lo schema della “dinamo di Bullard”; nei succes- sivi anni Cinquanta e Sessanta sono state proposte teorie più complesse, carattere comune delle quali è la presupposizione dell’esistenza nel nucleo terrestre di un campo magnetico toroidale di grande intensità (migliaia di volte più intenso del CMT esterno), di non chiara origine, che interagirebbe coi moti convettivi della materia del nucleo dando luogo a un campo poloidale, cioè rilevabile all’esterno del nucleo, ma non dipolare.

Tutto ciò − intendiamo la modellistica analogica che sorregge le teorie appena accen- nate − è caduto con la nuova impostazione data alla genesi del CMT dalle attuali vedute magnetoplasmadinamiche.

IX.3. L’attuale impostazione magnetoplasmadinamica del geomagnetismo

IX.3.1. Fatti fisici da spiegare Sono sintetizzabili come segue.

a) Caratteri fondamentali del CMT medio. Dall’insieme dei dati dedotti in vario modo dalle osservazioni geofisiche e geologiche e particolarmente dall’analisi armonica del suo potenziale (cap. VI) il CMT medio nel tempo osservabile sulla superficie terrestre e nello spazio circumterrestre appare come un

campo magnetico coevo alla Terra (si ritiene che l’“età” di quest’ultima sia dell’ordine di 4 miliardi di anni),

relativamente poco intenso (ai poli terrestri la sua induzione è dell’ordine di 50.000 nT [5 10-5 T] e all’equatore è circa la metà) e

quasi dipolare

quale, in termini di modello fisico, sarebbe generato da un momento magnetico quasi dipolare nel centro della Terra e quasi parallelo all’asse della rotazione terrestre (cosiddetto campo dipolare centrale);

la qualifica di “quasi dipolare” usata per il CMT e per il momento magnetico cen- trale che potrebbe modellizzarne la sorgente si riferisce al fatto che per una piccola parte del CMT medio (dell’ordine del 4 %) occorre fare capo a una sorgente non di-

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polare, modellizzabile come un insieme di momenti magnetici centrali dall’ordine quad- ripolare in su, ognuna di intensità rapidamente decrescente al crescere dell’ordine.

b) Peculiarità spaziotemporali del CMT.

Relativamente al CMT misurato nel corso del tempo in un determinato sito si osservano:

continue variazioni temporali delle osservabili (valore, direzione e verso dell’induzione, deducibili dai valori dei tradizionali “elementi” intensità totale, inclinazi- one e declinazione oppure, meglio, dalle componenti cartesiane locali, che oggi sono di misurazione corrente); come è stato dettagliatamente esposto nel precedente cap. VII, riteniamo utile ripetere qui che sono distinguibili variazioni pseudoperiodiche (con pseudoperiodi che vanno dalle frazioni di secondo delle micropulsazioni magnetiche ai circa 11 anni della cosiddetta variazione solare e ampiezza che va da frazioni di nT a decine di nT) e variazioni aperiodiche, o irregolari (con ampiezza che arriva alle centinaia di nT delle cosiddette tempeste magnetiche); di queste variazioni hanno rile- vanza per le considerazioni sull’origine del CMT specialmente quelle aperiodiche consis- tenti in

frequenti, disordinate e rapide (alla scala dei tempi geologici) inversioni casuali del campo, delle quali si è parlato nel cap. VII,

attuale lento spostamento verso ovest (cosiddetta deriva occidentale) delle isolinee del campo, la cui entità è, nel dianzi ricordato schema del campo dipolare/non dipolare, dell’ordine di 2° a secolo per la preponderante parte dipolare e di circa dieci volte tanto per l’accessoria parte non dipolare, e

attuale lenta diminuzione dell’intensità del campo, che è dell’ordine di 1000 nT/secolo sia per la parte dipolare sia per quella non dipolare, spiegabile come segno di un’inversione in corso del campo.

Relativamente al CMT misurabile a un certo istante (o mediato in un definito non amplissimo intervallo di tempo) in un determinato ambito spaziale, che è tipicamente quello dell’intera superficie terrestre, si osservano ampie variazioni geografiche delle isolinee del campo, come, per es., mostra chiaramente la mappa planetaria di isoanomale della fig. VI.10.4/1.

IX.3.2. Le equazioni fisiche di base

a) Stato fisico del nucleo terrestre esterno

Come accennato in varie occasioni precedenti, questa parte della Terra, sede quasi esclusiva delle sorgenti del CMT, è costituita da un plasma (densità di carica elettrica

e=0; per l’esattezza, un magnetoplasma, visto che è immerso esso stesso nel CMT, di induzione B) ad alta temperatura (T K) e alta pressione (p Pa), come dire un mezzo materiale (massa volumica kg m-3) fluido (viscosità Pa s) e conduttore dell’elettricità (conduttività elettrica S m-1), partecipe del moto di rotazione ter- restre (velocità angolare rad s-1) e sede di moti convettivi termici, nonché di conse- guenti campi elettromagnetodinamici.

Nella fase di prima approssimazione in cui ancora ci si trova (i problemi di magneto- fluidodinamica terrestre sono veramente ardui!), si adottano le seguenti quattro appros- simazioni semplificatrici:

[IX.3.2*1] plasma incompressibile, fatta salva l’espansione termica ,

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[IX.3.2*2] si considerano soltanto correnti elettriche di conduzione ,

e quindi non anche correnti d’induzione (correntemente, anche se stranamente, dette

‘correnti di spostamento’); per il fatto poi di trovarsi a temperature assai maggiori delle temperature di Curie ferro- e ferrimagnetiche,

[IX.3.2*3] la permeabilità magnetica assoluta del magnetosplasma terrestre è assunta pari a quella del vuoto, 0 ;

[IX.3.2*4] tutte le grandezze di stato (T, p, , , e altre) sono costanti scalari.

b) Prima equazione della magnetofluidodinamica

Da quello che è stato ora ricordato seguono le seguenti forme per le equazioni fon- damentali dell’elettromagnetismo nel magnetoplasma terrestre, con E intensità del campo elettrico:

[IX.3.2*5] div E = div B =0 ,

l’annullarsi della divergenza di E derivando dalla nullità della densità di carica elettrica caratteristica dello stato di plasma (cosiddetta ‘prima equazione di Maxwell’) e la nullità della divergenza di B essendo proprietà intrinseca dell’induzione magnetica;

[IX.3.2*6] rot E = − ƒt

ƒ B+ rot (v×B) ,

che è la forma completa della legge dell’induzione elettromagnetica (cosiddetta

‘terza equazione di Maxwell’), cioè considerante sia l’induzione da variazione temporale (t è il tempo) sia l’induzione da variazione spaziale (da movimento, con v velocità rela- tiva delle sorgenti [non polari!] di induzione magnetica rispetto al punto considerato);

[IX.3.2*7] j = E ,

che è l’espressione nel nostro caso della legge di Ohm per la densità di corrente elet- trica j (in accordo con l’approssimazione 3.2*2; si assume che il mezzo sia un condut- tore lineare e manchi la corrente d’induzione).

Ricavando E dalla 3.2*7, facendone il rotore e ricordando che (IV.3.7.2*2) j=rotH=(rotB)/ 0, si ha E=B/ 0,= (rotj)/ = rot rotB/( 0 ) = −∇2B/( 0 ); facendo intervenire la 3.2*6 alla fine si ottiene la seguente prima equazione della magnetoplasmadinamica [IX.3.2*8]

ƒt

ƒ B = ∇2B + rot (v ×B) ,

avendo chiamato viscosità magnetica (sua unità di misura SI è il m2/(H S)) la grandezza [IX.3.2*9] =

0

1 .

c) Seconda equazione della magnetoplasmadinamica

Essa è semplicemente la forma che nel complesso caso qui considerato assume l’equazione fondamentale della dinamica del punto materiale (ossia: massa per accel- erazione uguale al risultante di tutte le forze agenti) e può essere anche considerata come l’estensione a un magnetoplasma dell’equazione di Navier-Stokes della fluidodinamica; la seconda equazione della magnetofluidodinamica ha la forma:

[IX.3.2*10]

ƒt

ƒ v = − grad p − 2 ( × v) + 3

1 2v + j ×B + F ,

dove i vari termini a secondo membro rappresentano forze agenti sull’unità di massa e precisamente, nell’ordine, la forza di pressione, centrifugo-composta (o di Coriolis), di

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viscosità, elettrodinamica (o di Lorentz) e, infine, di altra natura (resistenza e reazione del mezzo, ecc.).

d) Altre equazioni di stato

Accanto alle due equazioni fondamentali ora scritte altre equazioni vanno tenute presenti:

l’equazione di continuità materiale [IX.3.2*11] ∇( v) +

ƒt

ƒ = 0 ; l’equazione di Poisson

[IX.3.2*12] ∇2Vg = − 4 π G ,

con Vg potenziale gravitazionale e G costante della gravitazione (6,672 10-11 N m2 kg-2);

l’equazione generalizzata del calore [IX.3.2*13]

ƒt

ƒ T = kT2T + (∇kT ·∇T) − v·∇T + ,

con kT coefficiente di diffusione termica o diffusività termica (in K s-1, la quantità di calore che passa nell’unità di tempo attraverso una superficie di area unitaria ortogonale al flusso di calore, divisa per il prodotto del calore specifico volumico per il modulo del gradiente di temperatura) e grandezza che individua la sorgente di calore;

l’equazione di stato, che non si può dare qui altro che nei termini generici [IX.3.2*14] = funzione di p, T, v, B .

IX.3.3. Sintesi delle vedute attuali

La straordinaria complessità dei calcoli che sono necessari per la descrizione analitica dei meccanismi fisici mediante i quali si origina il campo nucleare sconsiglia in questa sede didattica un’esposizione puntuale di essi, che, tutto sommato, risulterebbe di inter- esse culturale modesto rispetto agli aspetti puramente formali; aggiungasi a ciò il fatto che, pur essendo vero che i meccanismi di base sono stati sufficientemente compresi, nelle giustificazioni dei particolari di essi sono presenti molte approssimazioni (del resto evidenziate anche nella precedente esposizione delle equazioni basilari) sulla validità delle quali possono essere giustificatamente avanzati dei dubbi. Per queste ragioni ci si limiterà qui a esporre discorsivamente, eventualmente anche in prospettiva di sviluppo storico, le idee acquisite su questa importante parte della fisica terrestre; converrà separare – more antiquo, ma stavolta per pura comodità di esposizione – la parte dipolare del campo (come sappiamo, circa il 94 % di esso) da quella non dipolare.

IX.3.3.1. La parte dipolare del campo

L’idea dominante è quella del meccanismo dinamo suggerito ai suoi tempi da E.C.

Bullard.

Passando dal linguaggio puramente modellistico usato nel par. 2.1 a un linguaggio fenomenologico, tale meccanismo può sintetizzarsi come segue: (a) la rotazione della Terra (ma attenzione: a causa della non rigidità della Terra, si ha una rotazione differ- enziale nucleo-mantello) nel CMT produce (b) per induzione elettromagnetica nella parte più conduttrice di essa (il nucleo esterno, che, essendo un plasma, è fluido)

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correnti elettriche che (c) riscaldano il mezzo, producendo in esso moti convettivi (con un campo di velocità grosso modo ortogonale e quello delle rotazione); (d) in questa complessa situazione magnetoplasmadinamica insorgono (e) campi magnetici tor- oidali, che restano confinati nel nucleo, e (f) un campo magnetico poloidale, che è il CMT osservato in superficie e nello spazio circumterrestre.

Tutto ciò corrisponde sostanzialmente al quadro d’interazione tra campi di velocità del materiale terrestre e campi magnetici (sia toroidali sia poloidale) della fig. IX.2.1/2 del modello di Bullard-Gellmann, alle vicende del quale però vanno applicate le equazioni enunciate nel paragrafo precedente, con leconseguenti grandi difficoltà di calcolo.

Per ridurre queste difficoltà si sono immaginate via via delle procedure per qualche verso semplificatrici, presentate come “modelli”; ricorderemo brevemente la prima (“dinamo cinematica”) e la più recente (“dinamo plasmadinamica”) di esse.

(1) Modello della dinamo cinematica. La procedura è la seguente: (a) si sceglie un campo di velocità di convezione (v2 nella fig.IX.2.1/2) capace di soddisfare la seconda equazione della magnetofluidodinamica 3.2*10; (b) s’invoca un campo magnetico iniz- iale, anche transitorio, che abbia componente non nulla secondo la direzione della ve- locità angolare della rotazione terrestre; (c) s’impone l’equilibrio tra le forze del moto (la forza di Lorentz conseguente al detto campo magnetico è antagonista del moto di con- vezione e lo frena); (d) a questo punto s’introduce un grado di libertà relativamente all’intensità dei campi: (d1) variante delcampo forte: campo toroidale nel nucleo (B4 nella fig.IX.2.1/2) ≈ 5-30 mT (1 mT = 106 nT !), campo poloidale nel nucleo ≈ 0,4 mT, campo polidale nel mantello ≈ 0,03 mT (30.000 nT, valore medio non troppo discosto da quello ipotizzabile a partire dai valori misurati sulla superficie terrestre) [questa vari- ante spiega le inversioni del CMT come transizioni di equilibrio tra la forza di Lorentz e le forze derivanti dalla rotazione, dalla convezione e dalla resistenza del mezzo, che sono tutte antagoniste ad essa]; (d2) variante del campo debole: campo toroidale ≈ campo poloidale ≈ 0,4 mT, che comporta una più debole forza di Lorentz, una minore richiesta di energia meccanica e una maggiore facilità del prodursi di inversioni.

Questo modello comporta una notevole semplificazione nei calcoli, in quanto per esso è sufficiente considerare soltanto la prima equazione fondamentale della magnetoplas- madinamica (3.2*8), poiché la necessità di mettere in campo anche la seconda euqazione fondamentale (3.2*10) è per così dire aggirata con l’assunzione (a) della procedura ricor- data. Peraltro, una grave obiezione ad accettare questo modello è costituita dal fatto che, a norma di un teorema di elettromagnetismo generale stabilito nel 1934 dal fisico statu- nitense Enoch Hale Cowling <kàulin> (n. 1906) e noto come teorema di Cowling, “un campo magnetico a simmetria assiale non può essere generato e mantenuto da moti aventi la stessa simmetria assiale”, come capita per la rotazione terrestre in rapporto alla prevalente parte dipolare del CMT. Negli anni Settanta del XX secolo il modello fu ab- bandonato e sostituito dal seguente.

(2) Modello della dinamo plasmadinamica (o, ma meno accuratamente, idrodinamica). La procedura è quella stessa del modello prece- dente, ma senza le varianti del campo forte e del campo debole e, soprattutto, senza l’assunzione iniziale sul campo di velocità:

quest’ultimo è incognito in partenza ed è quello determinato dalla risoluzione della sec-

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onda equazione fondamentale della magneto- plasmadinamica, e quindi privo di intrinseca simmetria. A conti fatti, ne risultano moti con- vettivi del plasma nucleare in forma di vortici colonnari disposti come mostra la fig.

IX.3.3.1/1; questi moti convettivi si combinano con la rotazione terrestre e ne risultano correnti elicoidali di plasma nucleare convergenti verso ovest nell’uno e nell’altro emisfero (esat- tamente come capita, per motivi identici, per la circolazione dei venti alisei nell’ atmosfe-

ra). L’interazione di questi moti d’insieme elicoidali con il campo magnetico iniziale sec- ondo l’asse terrestre dà infine luogo al campo poloidale con struttura dipolare centrale che osserviamo come CMT.

Questo modello appare soddisfacente in rapporto alle osservazioni. Una particolarità che appare, sperabilmente soltanto per il presente, imprecisabile per sua natura è la congettura sulla essenziale esistenza, nel meccanismo descritto, di un campo magnetico iniziale con struttura dipolare all’incirca coassialmente con la rotazione terrestre, ma non è difficile immaginare l’occorrenza nel lontanissimo passato geologico di adatti fenomeni transienti, quasi certamente di natura planetaria, cioè nell’ambito del Sistema Solare, op- pure cosmica.

IX.3.3.1. La parte non dipolare del campo

Le teorie via via proposte o variate per il campo dipolare sono state sottoposte a vari tentativi di adattarle anche alla parte non dipolare del CMT; alla fine si è però rinunciato a queati tentativi, adottando una teoria generale che fa forza sull’intrinseca instabilità del plasma nucleare nelle dette condizioni dinamiche; infatti, la dinamica generale del plasma nucleare va vista come quella di un mezzo capace di sostenere movimenti ondosi, di grandissimo periodo (centinaia e migliaia di anni); le componenti non dipolari del CMT, la sua deriva occidentale e le inversioni sarebbero manifestazioni magnetiche di queste in- stabilità ondose.

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