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AGEVO - Associazione Guide Evo

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ottobre 2015

Pregare … in ascolto

Per la preghiera quotidiana stiamo seguendo l’itinerario tracciato dal Card. Carlo Maria Martini nel testo:

“Il discorso della montagna” ed. Oscar Mondadori. In questa proposta di meditazione troverete un sunto del testo preparato da alcune guide EVO.

INTRODUZIONE

Nel testo degli Esercizi Spirituali di Sant’Ignazio di Loyola c’è una tappa detta “Principio e Fondamento “ in cui si pongono le premesse, le basi e la struttura di ciò che sarà sviluppato in seguito.

È una pagina molto importante.

Negli EVO abbiamo vissuto questa tappa nel Primo Anno, dalla S.P. 7 alla S.P. 10.

Ecco le parole di Sant’Ignazio:

“L’uomo è creato per lodare, riverire e servire Dio nostro Signore e per salvare, in questo modo, la pro- pria anima; e le altre cose sulla faccia della terra sono create per l’uomo affinché lo aiutino al raggiungi- mento del fine per cui è stato creato. Da qui segue che l’uomo deve servirsene, tanto, quanto lo aiutino a conseguire il fine per cui è stato creato e tanto deve liberarsene quanto glielo impediscano. Per que- sta ragione è necessario renderci indifferenti verso tutte le cose create (in tutto quello che è permesso alla libertà del nostro libero arbitrio e non le è proibito) in modo da non desiderare da parte nostra più la salute che la malattia, più la ricchezza che la povertà, più l’onore che il disonore, più la vita lunga che quella breve, e così tutto il resto, desiderando e scegliendo solo ciò che più ci porta al fine per cui siamo stati creati “ [n. 23].

Per Sant’Ignazio il P. e F. è il presupposto di tutto il cammino. Porterà a purificare l’immagine che noi abbiamo di Dio: che cosa vuole essere Dio per me? chi sono io per il Padre? chi sono io per il Figlio?

chi sono io per lo Spirito Santo?

Negli EVO durante la tappa del P. e F. abbiamo chiesto la grazia che il Signore ci doni uno sguardo di fede sulla realtà e su noi stessi: abbiamo scoperto Dio Amore Onnipotente e, mettendoci sotto il suo sguardo, la nostra verità più genuina.

Continuamente godiamo in maniera entusiastica per i valori e per la bellezza delle meraviglie che Dio opera, fino a sentirci “ricchi” per tutto il bene e il bello. Continuamente nasce in noi un desiderio profon- do di avere verso il Padre sentimenti di lode, di familiarità rispettosa e di servizio affettuoso.

È uno stato di buona salute spirituale in cui tutti i nostri desideri, i nostri modi di fare e il nostro mondo interiore sono in sintonia con il Padre, con Gesù e con lo Spirito Santo.

Terza meditazione

Vi esortiamo a leggere e rileggere di seguito i tre capitoli del Vangelo di Matteo, ci abitueremo a gustare la ricchezza della globalità del contenuto del Discorso che conosciamo “a pezzettini”… Dimenticheremo che il Discorso della montagna parla soltanto delle Beatitudini.

Il Discorso può essere vissuto solo nella preghiera e a partire da essa. Ciò che Gesù chiede è una gra-

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li può donare, noi non ne saremo capaci. Per questo deve essere pregato, va intriso di preghiera. Lo conferma del resto l’invito che Gesù ci rivolge verso la fine del testo (7, 7-11).

La Paternità di Dio

Il Discorso della montagna non ha una struttura assimilabile a quella degli Esercizi Ignaziani. Tuttavia è lecito porsi la domanda: c’è in esso un principio, un fondamento dal quale partire per comprendere l’insieme?

Per alcuni il punto nodale del Discorso della montagna è la volontà di Dio da compiere perché si realizzi il suo disegno (7, 21; 7, 24); volontà di Dio che si riassume in una regola fondamentale: “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti”

(7, 12). È la regola d’oro.

Per altri l’idea unificante è la gioia del Regno. “Felici”, “beati” sono detti coloro che scelgono e vivono le caratteristiche del Regno.

Per altri ancora il principio unificante è il rigore evangelico. Possiamo citare l’invito a entrare per la

“porta stretta” (7, 13), o l’imperativo di una giustizia più grande di quella degli scribi e dei farisei (5, 20).

Per non parlare di espressioni in cui il rigore è davvero grande (5, 19) (5, 22-24) (5, 28).

La centralità del Padre Nostro

Ma parecchi esegeti indicano che il pilastro portante, il punto centrale di tutto il Discorso della montagna è il Padre Nostro.

Il Padre Nostro potrebbe dunque essere equiparato al Principio e Fondamento degli Esercizi Ignaziani.

Per affermarlo si possono presentare alcune prove:

* se contassimo le righe nel testo greco il Padre Nostro si trova perfettamente a metà.

* considerando il Padre Nostro come centrale è possibile scoprire che il Discorso della montagna non è una serie di argomenti che si susseguono senza ordine. È un testo assai curato. Matteo ha elaborato con grande attenzione detti di Gesù tramandati dalla tradizione, mettendoli insieme e richiamandoli l’un l’altro.

* osserviamo che il termine Padre viene ripetuto molte volte in questo discorso: cinque volte prima del Padre Nostro, cinque volte nella parte centrale che lo comprende e cinque nella parte conclusiva. L’E- vangelista voleva proprio farci capire che il tema della paternità di Dio, espresso nel Padre Nostro, è davvero fondamentale, centrale, origine e sorgente, caposaldo dell’intero Discorso. Potreste voi stessi cercare la parola Padre, comunque citiamo per chiarezza: le cinque menzioni del Padre prima del Pa- dre Nostro (5, 16; 5, 45; 5, 48; 6, 1; 6, 4); le cinque menzioni nella parte centrale del Discorso (6, 6; 6, 8; 6, 9; 6, 14; 6, 15); infine le cinque menzioni della parte conclusiva (6, 18, 6, 26; 6, 32; 7, 11; 7, 21).

Cosa significa la centralità del Padre Nostro?

Il Padre Nostro ci insegna a vivere la paternità di Dio e la nostra figliolanza.

La fondamentale immagine di Dio come Padre si coniuga con quella di noi chiamati a essere gli uni per gli altri fratelli leali, misericordiosi, rispettosi della parola data …

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Il Discorso della montagna ci insegna come possiamo vivere da figli: non c’è dubbio che sia esigente e severo, ma nello stesso tempo noi dobbiamo prenderlo con spirito filiale.

Non è un nuovo decalogo di un signore o di un padrone: è la legge del Padre che vuole che i suoi figli siano felici e spiega loro come comportarsi per esserlo.

Il clima dell’intero discorso è pieno di affetto, di tenerezza, di fiducia, non c’è solo rigore, etica, è un guardare a Dio conosciuto come Padre.

Come lo prega il nostro cuore?

L’intenzione che dà origine alla preghiera è il desiderio ardentissimo di Gesù che si compia il disegno di Dio su di noi e sul mondo. Questa intenzione è davvero il cuore della preghiera.

Le prime tre domande del Padre nostro sottolineano sostanzialmente questo anelito del cuore, il desi- derio che la gloria di Dio si manifesti nella pienezza della vita e dell’eternità. La volontà di Dio nella no- stra vita ci presenta giorno dopo giorno, ora per ora, i modi con cui il Regno viene fin da adesso. È una volontà molto concreta e può essere anche molto dura. Pensiamo a Gesù nel Getsemani.

Le domande della seconda parte del Padre Nostro esprimono poi le condizioni per la venuta del Regno.

Chiediamo la sufficienza quotidiana delle cose necessarie, del nutrimento fisico e spirituale; il perdono delle nostre colpe, la pace tra noi, la resistenza nella prova, la liberazione da ogni influsso di male.

L’orante fa proprio il desiderio appassionato di Gesù, un desiderio che le povere forze del nostro cuore umano non saprebbero esprimere. È la tensione fondamentale del Padre Nostro. In noi è frutto di gra- zia: ne facciamo umilmente richiesta.

Grazia da chiedere: chiediamo di imparare a pregare secondo il cuore di Gesù, con il Suo sguar- do sul Padre, conosciuto come Padre che vuole che i suoi figli siamo felici e che spiega loro come comportarsi per esserlo.

Come recitiamo la preghiera di Gesù?

Abbiamo davvero in noi quei desideri che le invocazioni della preghiera esprimono, mentre le ripetiamo con le labbra?

Abbiamo chiesto la grazia che il nostro cuore, mosso dallo Spirito, ne sia capace.

In noi però c’è anche un cuore meschino, autoreferenziale, ristretto, che prende sovente possesso della preghiera e la piega ai suoi interessi. In ogni nostro pregare si combatte una lotta tra ciò che vogliamo chiedere secondo lo Spirito e ciò che di fatto chiediamo secondo la carne.

Ripercorriamo le singole invocazioni

La parola “Padre” non si riferisce solo a una paternità universale – potrebbe allora pronunciarla chiun- que crede in un Dio personale – ma designa il Padre di Gesù Cristo e Padre mio nel battesimo.

Posso dire “Padre” perché nel battesimo Dio ha pronunciato il mio nome e mi ha chiamato “figlio mio diletto”.

Invocandolo, ravvivo in me la grazia battesimale, sperimento l’amore con cui Dio mi ha generato alla vita divina.

Con l’aggiunta “nostro” ci sentiamo una cosa sola con tutti i battezzati, fedeli e credenti. Noi preghia-

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mo nella Chiesa, con la Chiesa, nella totalità della Chiesa. Purtroppo spesso il nostro cuore è gretto e meschino, mette avanti se stesso e pone la Chiesa e gli altri in secondo piano. Il Padre vuole che noi preghiamo unanimemente: quel “nostro” non è semplicemente un richiamo di sfondo.

“che sei nei cieli” espressione che significa infinita distanza, dovremmo pronunciarla con cuore pieno di riverenza.

Di fronte alla trasparenza dei “cieli”, là dove si compie perfettamente la volontà di Dio, il nostro cuore si riconosce ambiguo, appesantito, amareggiato, immerso nella confusione e nella nebbia. Impetriamo allora quella riverenza che sa adorare il Mistero di Dio sommamente distante; e insieme domandiamo la fiducia nel Dio che ci è vicino, una fiducia che ce lo fa sentire come “cielo” nel nostro cuore.

È il modo con cui il Signore ci chiede di pregare:” Signore, anche se mi sei vicino sei più grande di ciò che considero grande, vuoi fare di me il luogo della tua dimora”.

“sia santificato il tuo nome” È veramente il mio primo desiderio?

Se ascoltiamo con attenzione il nostro cuore, ci accorgiamo che viene dopo tanti altri: quello di non avere fastidi, di riuscire in una cosa o nell’altra, di star bene in salute, di non diminuire nella reputazione delle persone, di fare bella figura.

Desideriamo insomma che ci sia data gloria; e poi che Dio sia santificato.

Il cuore puro prega invece dimenticando se stesso, la propria fama, il proprio successo per cercare solo la gloria del Signore.

“venga il tuo Regno” Il mio cuore aspira davvero al Regno di Dio nella sua totalità? Chiediamo la venuta del Regno, come la chiedeva Gesù, nella sua pienezza definitiva, nel suo compimento come si mostra in Lui, crocefisso e risorto?

Non è forse vero che sovente desideriamo alcuni aspetti del Regno, per esempio la pace, il benessere, la giustizia, la riconciliazione tra gli uomini, senza però essere disposti a lasciare tutto, a prendere la croce, a odiare la nostra vita? “Rendi, Signore, la nostra vita una continua venuta e una continua Pente- coste della tua Paternità”.

Con l’invocazione “sia fatta la tua volontà” a volte intendiamo: sia fatta la tua volontà quando con- corda con la nostra, e se c’è discordia, se cozza contro la nostra volontà chiediamo che sia la nostra a realizzarsi.

Gesù nell’orto degli Ulivi mostra quanto sia difficile pregare veramente : “sia fatta la tua volontà”.

Il poter pregare davvero “sia fatta la tua volontà” in situazioni difficili, disperate è grazia da chiedere insi- stentemente, perché non ne siamo capaci.

Il nostro invocare “dacci oggi il nostro pane quotidiano” ci sembra conforme al piano di Dio. Tutta- via, pronunciando quelle parole vogliamo anche un certo benessere, la macchina, il computer... Non abbiamo purtroppo lo spirito di austerità e di rinuncia che l’invocazione richiede. Domandare il pane quotidiano equivale in realtà a domandare solo il necessario, e insieme saperne essere contenti senza cercare altro.

Quando ci preoccupiamo molto per il domani è segno che preghiamo senza profondità.

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“ rimetti a noi i nostri debiti” Abbiamo davvero la certezza che Egli ci perdona? A volte invochiamo la remissione dei peccati, senza fidarci fino in fondo, restando sempre turbati e amareggiati dal peso delle nostre colpe.

Soverchiati da abitudini negative, non crediamo che Dio rimette i nostri peccati con piena, gratuita, mi- sericordiosa bontà.

“come noi li rimettiamo ai nostri debitori” Ci portiamo dentro amarezze segrete verso persone che ci hanno deluso, amici, colleghi, gli stessi genitori? A volte non ci accorgiamo di covare sentimenti di amarezza, di scontentezza, di astio, che emergono nei momenti più forti e doloranti, facendo scattare lamentele e recriminazioni di cui non ci saremmo ritenuti capaci.

“non ci indurre in tentazione” Se scrutiamo il nostro cuore, scopriamo di non essere completamente sinceri: non c’è in noi una seria decisione di vincere le tentazioni, non siamo del tutto scontenti che le tentazioni vadano e vengano attorno a noi, giochiamo con esse. A volte si tratterebbe di piccole cose, per esempio non attardarsi con la televisione nelle ore serali…

Facciamo almeno un proposito concreto per non lasciarci trascinare dove non vorremmo? Un proposito pratico, concreto e insieme difficile e coraggioso. Non sempre abbiamo una tale determinazione.

Dobbiamo molto interrogarci se mettiamo in pratica il Discorso della montagna (5, 29-30).

“ma liberaci dal maligno” Troppo spesso il nostro cuore meschino lascia che il maligno ci ronzi intor- no, con forme di disfattismo, di tristezza, magari di lamentela sui nostri tempi e di nostalgia dei tempi passati. Pur dicendo “liberaci dal maligno”, non siamo veramente desiderosi che si allontani e lasciamo che i suoi influssi, almeno quelli meno evidenti, ci colgano e ci tocchino interiormente. Il Signore ci libe- ra dalla schiavitù interiore che permette al tentatore di legarci a sé.

Vivere il Discorso della montagna richiede una fede che si abbandoni completamente al Padre, sicura che Lui conosce ciò di cui abbiamo bisogno, perdona le nostre mancanze, le nostre negligenze, le no- stre inadeguatezze.

Continuamente il Padre ci attira e ci richiama a sé, se non perdiamo la fiducia e la perseveranza nella preghiera.

Chiediamo al Signore, per intercessione della Madonna, il dono di desiderare di pregare il Padre Nostro con cuore puro, come Gesù ci insegna.

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