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Vangelo del 16 gennaio domenica del Tempo Ordinario - anno C Giovanni 2, 1-12

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Academic year: 2022

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Vangelo del 16 gennaio 2022

2° domenica del Tempo Ordinario - anno C – Giovanni 2, 1-12

Trascrizione del video-commento del biblista p. Fernando Armellini non rivista dall'autore.

Gli errori di composizione sono dovuti alla differenza fra la lingua parlata e scritta; la punteggiatura è posizionata a orecchio. I video sono disponibili sul suo canale YouTube: bit.ly/videoarmellini

In quel tempo, vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c'era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli.

Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: « Che c'è fra me e te o donna? Non è forse giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».

Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d'acqua le anfore»; e le riempirono fino all'orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono.

Come ebbe assaggiato l'acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto - il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l'acqua - chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all'inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora».

Questo, a Cana di Galilea, fu l'inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.

Chi legge il racconto delle nozze di Cana, ha l’impressione di trovarsi di fronte a un episodio molto semplice anche se un po’ strano e piuttosto imbarazzante per un credente. Anzitutto si rimane sorpresi dall’importanza che Giovanni dà a questo episodio, lo colloca proprio all’inizio del suo Vangelo come il primo dei sette segni che vengono raccontati nel Vangelo secondo Giovanni e poi conclude l’episodio con un’affermazione solenne:

Gesù manifestò la sua gloria e i suoi i discepoli credettero in lui.

Viene da aggiungere: per così poco? Sarebbe comprensibile questa affermazione se fosse stata collocata, per esempio, dopo la rianimazione di Lazzaro, lì davvero Gesù ha manifestato la sua gloria sconfiggendo la morte, ma qui, l’acqua cambiata in vino, sembra un po’ eccessiva questa manifestazione della gloria di Gesù e poi l’adesione che danno i suoi discepoli. Se poi consideriamo l'episodio in sé rimaniamo piuttosto sconcertati. Gli invitati alle nozze di Cana avevano già bevuto tanto al punto che avevano finito il vino. Qualche spiegazione che viene data suscita anche un po’

di ilarità, ma ancora oggi qualcuno la racconta e dicono: “l’hanno finito perché era stato invitato soltanto Gesù ma poi lui è venuto con i suoi dodici discepoli che erano persone che lavoravano, impegnate, poi avevano fatto un viaggio piuttosto lungo, sono arrivati e hanno fatto presto a finire il vino.

Sono spiegazioni, come dicevo, che suscitano il sorriso, ma non si capisce come Gesù, invece di raccomandare a tutti di darsi una regolata, abbia messo a loro disposizione altri 600 litri di vino, era questa infatti la capacità delle sei anfore di pietra; ma poi ancora, anche se fosse stato opportuno dare altro vino per la festa, era proprio necessario ricorrere a un miracolo? Sarebbe bastato fare una colletta fra tutti gli invitati e si comprava ancora un po’ di vino. Gesù, secondo noi, avrebbe potuto riservare la sua capacità di fare miracoli per qualcosa di più utile e di più urgente.

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In passato si tentava questa spiegazione: “Gesù non aveva alcuna intenzione di fare miracoli perché non era ancora giunto il momento, però a causa dell’insistenza della mamma, lui ha voluto compiacerla, un po’ di malavoglia e la mamma, a sua volta, voleva evitare una brutta figura alla famiglia dei due sposi perché era povera”. Ecco, sono state tirate in ballo queste spiegazioni, aggiungiamo subito non è affatto vero che fosse una famiglia povera perché nel racconto viene detto che aveva dei servi, delle serve e poi la presenza di 6 giare di pietra indica che la famiglia era benestante, soltanto i ricchi Giudei si potevano permettere delle anfore per le purificazioni così grandi. Queste spiegazioni non servono a chiarire il racconto anzi creano altre difficoltà e ulteriore imbarazzo. Ci chiediamo anche perché parla della madre e non dice Maria? E poi ancora, perché Gesù si rivolge in quel modo alla madre chiamandola donna? Non c’è un solo caso in tutta l’immensa letteratura rabbinica di un figlio che abbia parlato così a sua mamma.

Se lo si interpreta come un fatto di cronaca, questo racconto continuerà a suscitare, nella migliore delle ipotesi, qualche benevolo sorriso. L'unico messaggio infatti che si ricavava in passato era la raccomandazione di ricorrere con fiducia alla Madonna perché lei era capace di far cedere anche suo figlio alle nostre richieste. Da tempo i cristiani hanno cominciato a rendersi conto del vuoto teologico biblico che accompagnava questo modo di accostarsi al Vangelo, come se fosse una vita di Gesù, e questa forma di devozione Mariana. Il racconto non è così semplice come sembra, non è affatto un racconto di cronaca ma un segno, il primo dei segni che l’evangelista presenta con un linguaggio e con delle immagini bibliche che vanno decodificate altrimenti non si coglie il

messaggio che l’evangelista ci vuole dare. Noi cercheremo di andare in profondità, non ci fermeremo alla superficie di questo racconto. Sentiamo come inizia:

In quel tempo, vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c'era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli.

Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Che c'è fra me e te o donna? Non è forse giunta la mia ora».

Se ci accostiamo a questo racconto come se fosse un fatto di cronaca noi proviamo soltanto imbarazzo, già i contadini dell’Algeria, al tempo di Sant’Agostino, dicevano: “ma qui siamo a livello di Bacco”! Noi non ci fermeremo alla superficie di questo racconto perché l’evangelista ci invita ad andare in profondità, a cogliere il significato delle immagini bibliche, del linguaggio biblico che lui impiega, e la prima di queste immagini è la festa di nozze! Ci viene posto davanti uno sposalizio che è piuttosto strano perché se ci guardiamo attorno, noi abbiamo una prima sorpresa, non sono presentati gli sposi! La sposa non esiste proprio e lo sposo ha un ruolo insignificante, non dice una parola, viene tirato in ballo dal capotavola che si lamenta con lui perché non ha offerto subito il vino di qualità. Per quale ragione non viene presentato in un modo che noi avremmo impiegato per raccontare questo fatto? Per una ragione molto semplice, che qui sta parlando di un altro matrimonio! È la festa di nozze annunciata dal Battista quando ha detto “io sono l’amico dello sposo, non sono lo sposo! Io esulto di gioia perché sento la voce dello sposo che sta arrivando” e lo sposo era Gesù di Nazareth! Con il simbolismo dei colori, le icone orientali hanno colto nel segno il messaggio di questa pagina di Giovanni. È raffigurato lo sposo ed è facile capire chi è, i colori del suo abito lo indicano in un modo chiaro perché sotto ha una tunica rossa, il colore rosso indica la natura divina, sopra ha il manto azzurro che è il simbolo della natura umana che ha assunto; è Gesù lo sposo e la sposa che lui è venuto a prendere è l’umanità perché di questa umanità Dio è innamorato, è venuto nel mondo proprio per dare inizio a questa festa di nozze di

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cui ha parlato tanto l’Antico Testamento. Nella Bibbia Il matrimonio è un’immagine, una parabola splendida dell’amore di Dio con Israele; vi leggo alcuni testi dei Profeti molto famosi e molto belli perché il Dio d’Israele non voleva rapportarsi col suo popolo come un padrone che da ordini e poi paga alla fine della giornata. No! Dio ha voluto presentarsi come lo sposo che ama perdutamente Israel, la sposa!

Osea - Dio dice: ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa, ti fidanzerò con me nella fedeltà e tu farai l’esperienza della bellezza del mio amore!

Isaia - come un giovane sposa una Vergine così ti sposerà il tuo Signore. Come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te. La gioia di Dio è quella di vedere la sposa felice.

Geremia - (parla del fidanzamento) mi ricordo di te, dell’affetto della tua giovinezza, dell’amore al tempo del tuo fidanzamento quando camminavamo insieme nel deserto.

e poi ancora Isaia - anche se i monti si spostassero e i colli vacillassero non si allontanerebbe da te il mio affetto!

Dio è uno sposo che non tradisce mai la sposa, anche se viene abbandonato dalla sposa, lui viene a riprendersela perché non può fare a meno di questo amore. È stato coinvolto nell’ amore

passionale per Israel e questa sposa rappresenta tutta l’umanità della quale Dio è perdutamente innamorato.

Ci chiediamo: era una festa di nozze il rapporto fra Dio e Israele? La risposta è no! Perché Israel aveva instaurato un rapporto con Dio che era quello dell’operaio, del dipendente, si doveva presentare puntuale al lavoro; basta ricordare, per esempio, come il primo sacrificio nel tempio doveva essere compiuto all’ora esatta altrimenti non era valido perché si doveva offrire al Signore questo sacrificio. Era un rapporto commerciale, il pio israelita si recava al tempio per offrire i sacrifici così si guadagnava i favori del Signore, osservava i comandi, i precetti e così si garantiva la benevolenza del Signore che avrebbe benedetto la famiglia, i figli in buona salute, i campi fecondi, gli animali. Il Signore era considerato un legislatore e anche un legislatore severo ed esigente, suscettibile al punto di punire chi trasgrediva i suoi ordini. Se andate a leggere il capitolo 27 del Deuteronomio, ci sono ben 52 maledizioni che coglieranno i disobbedienti agli ordini del Signore.

Chiaro che in questa situazione, in questa forma di rapporto con Dio, erano necessarie continue purificazione perché non ci si sentiva mai a posto. Era la religione delle purificazioni!

Notiamo, in questo racconto, l’importanza che hanno quelle sei giare di pietra. Il numero 6 indica l’imperfezione, attende la perfezione, arrivare al numero 7 e sono di pietra, è la legge di pietra, scritta sulla pietra e poi sono vuote, hanno perso la loro funzione. Questa religione dei doveri, dei servizi per essere poi pagati secondo i meriti e quindi sentirsi sempre debitori in qualche modo, può dare gioia questa religione? La risposta è no! Crea solo ansia, apprensione, inquietudini.

C’erano 613 precetti da osservare, era difficile impararli tutti, quindi impossibile sentirsi a posto con Dio, c’era sempre un qualcosa di cui purificarsi. I Farisei che erano esecutori scrupolosi dei minimi precetti inculcati dalla tradizione degli antichi e dicevano, ce lo riferisce proprio

l’evangelista Giovanni, “questa gente che non conosce la legge è maledetta”. Come si fa a provare gioia in questo rapporto con Dio? Mancava il vino che è simbolo della gioia! Ecco la seconda immagine biblica. Nella Bibbia si parla spesso del vino, della vite. Del vino si parla nell’Antico Testamento 141 volte e nel Nuovo Testamento 34 volte, della vite anche si parla molto, 56 volte nell’Antico Testamento è 9 volte nel Nuovo Testamento. Nella Bibbia viene condannata l’ebrezza ma il vino è simbolo della gioia, dell’amore. Vi leggo alcuni testi che ci fanno cogliere il significato di questa immagine:

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il libro del Qohèlet - per stare lieti si fanno banchetti e il vino allieta la vita. Siracide - vino e musica rallegrano il cuore, che vita è quella di chi non ha vino?

Il salmo 104 – il vino rallegra il cuore dell'uomo.

Poi ricordiamo il celebre testo di

Isaia capitolo 25 - che annuncia il grande banchetto che il Signore preparerà per tutti i popoli, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di vini raffinati.

Ecco la seconda immagine, quella del vino. Il vino manca in questo rapporto che Israele ha instaurato con il suo Dio, è una festa di nozze in cui non c’è gioia e non c’è gioia se non entra un amore incondizionato che non è l’esecuzione di ordini ma un entrare in sintonia in questo rapporto di amore con il Signore. Non tutti in Israele avevano instaurato questo rapporto commerciale con Dio, da dipendente, da salariato, c’erano coloro che avevano coltivato un rapporto d’amore intimo con il Signore, i salmisti, i profeti.

Il Salmo 16, per esempio, conclude il salmista che dice al Signore: “io oramai sono al termine dei miei giorni ma noi due siamo innamorati, come farai tu a stare senza di me? Io non so come tu farai ma non puoi lasciare che il tuo innamorato veda la corruzione”.

Era uno vissuto prima della Pasqua ma capisce che l’innamoramento non può finire e poi ancora il Salmo che conosciamo tutti molto bene:

Signore tu mi scruti e mi conosci tu mi hai amato prima che io fossi tessuto nel grembo di mia madre.

C’erano quindi, in Israele, coloro che avevano coltivato il rapporto autentico con il Signore però gli scribi, i Farisei, i sommi Sacerdoti del tempio avevano inculcato un’altra spiritualità, quella

dell’osservanza dei precetti imposti dal Dio legislatore. Non c'era gioia, mancava il vino in questa festa di nozze.

Chi si rende conto che la situazione è insostenibile? Non i sommi Sacerdoti, coloro che erano le guide spirituali, no, non sono loro! È la madre, chi è questa madre? Non dice Maria, dice la madre.

Da quale grembo è nato il Messia? È nato dal grembo di Israele, da questa sposa del Signore e in questo popolo di Israele c’è un resto fedele che ha coltivato il rapporto con il Signore e si è reso conto che è insostenibile la situazione. Non c’è gioia in questa festa di nozze ridotta così come l’avevano ridotta le guide spirituali del popolo. La madre dal cui grembo è nato Gesù, si è nato da Maria ma il grembo di cui sta parlando qui, è il grembo della sposa Israel del resto anche al termine del suo Vangelo, Giovanni ci presenta questa madre ai piedi della croce, la madre che è affidata al discepolo che rappresenta la comunità nata dal grembo di Israele e Gesù morente, sono le sue ultime parole, dice al discepolo: “Ricordati che Israele è tua madre, sei nato da questo grembo, ama, accogli tua madre” e alla madre, che quando Giovanni scrive il suo Vangelo, ha ripudiato il figlio dice “questo è tuo figlio”. È molto profondo il messaggio, molto coinvolgente quello che viene dato dall’evangelista Giovanni. Chi si rende conto quindi che manca gioia in questa festa di nozze è quella parte di Israele che ha assimilato la spiritualità dei Profeti, che avevano predicato un rapporto d’amore con il Signore. Questa parte di Israele è la madre che ricorre a Gesù, l’unico che può dare l’acqua che, in chi l’accoglie, diviene sorgente inesauribile di gioia!

Notiamo, il testo non dice che hanno finito il vino. No! Dice “non hanno vino” non c’è mai stato vino in questa religione, è sempre mancata la gioia, arriva adesso la gioia. La madre, questa parte fedele di Israele dice ai servi “Dovete ricorrere a lui” ma prima, quando la madre dice al figlio “non hanno vino”, la risposta è molto strana “che a me e a te o donna? Non è forse è giunta la mia ora”

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. Cosa significa questa frase? È una espressione del linguaggio diplomatico, è la presa di distanza da qualcuno. L’espressione indica un distacco netto fra quella parte di Israele che non ha capito, non ha accolto il messaggio dei Profeti, adesso arriva la novità! E poi quella traduzione che noi conosciamo, la risposta di Gesù che direbbe alla madre “non voglio fare miracoli perché non è giunta la mia ora”. No! Nei codici antichi non c’è la punteggiatura e intendere la frase come una affermazione è scorretto, difatti Gesù agisce e va interpretata come una domanda, “non è forse è giunta la mia ora?” Adesso è arrivato il momento in cui in questa festa di nozze arriva il vino, arriva la gioia, l’ora di Gesù è il momento decisivo, il momento in cui Gesù manifesta la sua gloria, lo ricordiamo, viene ricordata spesso quest’ora nel Vangelo secondo Giovanni:

Quando cercano di catturare Gesù dice: “non era giunta la sua ora”

e poi alla fine quando Gesù dice pregando il Padre: “Padre è giunta l’ora glorifica tuo figlio”.

Glorificarlo non vuol dire che adesso lo applaudiranno. No! La gloria di Dio è quando lui riesce a manifestare la pienezza il suo amore! Fin dall’inizio del suo Vangelo, Gesù annuncia che è arrivata la sua ora, l’ora in cui lui donerà quel vino che è la gioia del rapporto nuovo con il Signore.

Sentiamo adesso cosa dice la madre, Israele fedele, questo Israele che attende che il Signore imbandisca il banchetto di gioia, la festa promessa dai profeti, sentiamo che cosa dice:

Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».

Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d'acqua le anfore»; e le riempirono fino all'orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono.

La madre, questo resto fedele ha capito da dove può venire la gioia e dice ai servi “Se volete avere il vino della gioia, andate ad attingere la sua acqua” e l’acqua dello sposo, di Gesù, è suo Spirito e qui entra il personaggio centrale in questo brano e sono le giare, le giare che indicano la religione antica sono vuote, da queste giare, da questo rapporto con Dio non uscirà mai la gioia. Erano sei, quel matrimonio che sopravvive ma è privo di slanci, si fa tutto quello che è stabilito dalla

tradizione, sembrano proprio quei matrimoni che sono arrivati alla frutta, che non danno più gioia, si sta insieme perché la tradizione è quella di stare insieme. Oggi questo brano è scritto per noi perché la tentazione di tornare alla religione rappresentata dalle giare è sempre attuale. Noi abbiamo ereditato una spiritualità che è quella dei meriti. Acquistare dei meriti davanti a Dio è tipico del dipendente, del salariato e la spiritualità che ci è stata inculcata non è il rapporto sponsale di chi si sente amato in un modo incondizionato, anche se la sposa tradisce, lo sposo rimane fedele. È un altro rapporto con Dio! Chiediamoci, cosa ci richiamano oggi le espressioni come pratica religiosa, vita in convento, sono legate alla festa, alla gioia, al sorriso, canto, danza, oppure sono collegati al sacrificio, alla serietà, all’osservanza di regole, di disposizioni dei superiori e allora non richiamano la gioia e la festa. Le nostre comunità cristiane che nel giorno del Signore si riuniscono per celebrare l’Eucarestia, come si presentano le persone, arrivano in chiesa felici sorridenti perché dopo una settimana di impegni lavorativi finalmente hanno la gioia di incontrarsi con i fratelli e le sorelle, per cantare insieme con loro, la gioia di sentirsi amati da Dio e da Cristo.

Sono queste le facce che noi vediamo o arrivano spesso persone un po’ immusonite che si ritrovano perché sono precettati a far festa e quindi devono stare attenti a non far arrabbiare troppo il Signore con un peccato mortale perché non si partecipa all’Eucaristia. Che rapporto con Dio è mai questo! Si può essere precettati di andare a trovare la persona amata sotto pena di

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peccato mortale! Come si può provare gioia in questo rapporto con il Signore? Sì è contenti per esempio, di come è gestita la vita delle nostre comunità cristiane? Cosa vedono i non credenti? Si respira giovinezza nelle nostre comunità cristiane oppure c’è un odore di muffa e di stantio? Cos’è questo rimpianto della Messa in latino, di pie devozioni o di credulonerie che piacevano tanto alla gente ma che avevano pochi agganci con il Vangelo. Dava gioia questa spiritualità? Vedevano gente felice o vedono ancora oggi persone sorridenti e felici della scelta che hanno fatto di seguire Cristo? Coloro che sono fuori dalla comunità cristiana come ci vedono? Si respira gioia nella nostra comunità? Quella religione delle giare vuote, non c’è da meravigliarsi se le persone non vedono questo nella comunità cristiana non vengono attratte e allora non ci coglie il dubbio che forse abbiamo ricoperto il Vangelo con un velo di tristezza e che per questo non viene capito, non viene accolto, anzi molta gente scappa. Se vedessero persone realmente felici non andrebbero a cercare la gioia da altre parti.

Dopo questa figura delle giare c'è la figura dei servi. Il mio pensiero va a quelle persone che sono necessarie perché sono loro che lavorano per presentare quell’acqua che si trasforma in vino e in gioia. Penso ai catechisti, alle catechiste, a quei cristiani impegnati che passano i pomeriggi del sabato a servizio della comunità cristiana e sono instancabili, il loro impegno è indispensabile perché si realizzi questo miracolo della gioia.

Dice Gesù: “attingete e portate al maestro di tavola”. La figura adesso del maestro di tavola. È citato 5 volte, è colui che dovrebbe preparare la festa, far sì che la festa coinvolga tutti nella gioia ma lui non si è accorto che manca il vino. Questo maestro di tavola rappresenta le guide spirituali del popolo, erano loro che organizzavano la festa di nozze, era un funerale, non dava alcuna gioia.

I maestri di tavola erano indaffarati a ben altro, lo sappiamo anche dal Vangelo, non si erano accorti che nella religione da loro predicata non c’era un rapporto autentico con Dio, erano intenti in ben altre faccende, cercavano di mettersi in mostra e pensavo una far carriera, ad arricchire ad affermare il loro potere, il loro prestigio, si presentavano con i loro paludamenti per ricevere inchini, baciamani, ossequi e Gesù non sopportava queste commedie. Loro non si sono accorti che non c’era gioia! Non potevano che rimanere sorpresi che qualcuno li facesse prendere coscienza che avevano imbandito un banchetto di persone tristi sentiamo adesso la loro reazione dalle parole del maestro di tavola

Come ebbe assaggiato l'acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto - il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l'acqua - chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all'inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora».

Questo, a Cana di Galilea, fu l'inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.

Il maestro di tavola, lo abbiamo detto, rappresenta i capi religiosi che avevano organizzato un rapporto con Dio che non dava alcuna gioia e adesso questi capi sono sorpresi che il vino nuovo sia migliore di quello vecchio. Il termine che viene impiegato non è il vino buono che adesso è

arrivato. No! Il vino bello! Viene ripetuto 2 volte, il vino bello, è entrata la bellezza finalmente nella pratica religiosa che non dava alcuna soddisfazione, solo ansie, paure e angosce. Facciamo

attenzione perché il ritorno al vecchio è una tentazione che incombe sempre. A volte sentiamo sulla bocca di certi nostalgici: “la pratica religiosa vecchia, quella sì che era bella!” Non era bella niente! il bello avviene quando ci si è resi conto di questo rapporto d’amore incondizionato di Dio.

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Gesù ha messo in guardia contro questo pericolo impiegando proprio l’immagine del vino. Nel Vangelo secondo Luca, capitolo 5, dice Gesù: “nessuno, dopo che ha bevuto il vino vecchio desidera quello nuovo!” perché dice “il vecchio sì che è buono!” È proprio questo il pericolo di ritornare a quelle sicurezze che ti dava la pratica religiosa antica e qui Gesù ha manifestato la sua gloria! Quando è che Dio manifesta la sua gloria? Quando finalmente riesce a farci capire quanto ci ama e che gloria ha manifestato in questo segno? Ha mostrato il suo volto amabile, il volto di Dio che vuole tutti i suoi figli felici e che vuole solo la gioia per i suoi figli, che non vuole salariati che obbediscono ai suoi ordini per ricevere lo stipendio al fine della vita. Lui non dà ordini per essere rispettato, la sua parola è un coinvolgimento d’amore perché possiamo essere felici solo se capiamo che lui ci vuole bene e che ci vuole donare vita. Lui non dà ordini per essere obbedito e mostrare che è lui che comanda e non vuole persone che poi se non gli chiedono scusa vengo a castigate. Questa è la religione delle giare, delle purificazioni, che non ha mai dato gioia nessuno.

La gloria del nostro Dio è la rivelazione del suo amore gratuito e incondizionato. Anche se

l’umanità non risponde con amore, lui non viene mai meno alla fedeltà dell’amore che ha giurato all’uomo! Chi si sente amato così allora non può che essere perennemente nella gioia. Se coloro che non hanno accolto la proposta di vita di Gesù di Nazareth non vedono questa gioia sui nostri volti, come possono essere attratti anche loro in questo coinvolgimento religioso con il Signore. Se la religione non è quella che ci lega a Dio con un amore incondizionato non vedranno mai sui nostri volti la gioia che Gesù è venuto a portare.

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