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DISCUSSIONE Il gene PCDH19 è stato recentemente associato alla EFMR, encefalopatia epilettica con ritardo mentale limitato alle femmine (Dibbens et al 2008)

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4. DISCUSSIONE

Il gene PCDH19 è stato recentemente associato alla EFMR, encefalopatia epilettica con ritardo mentale limitato alle femmine (Dibbens et al 2008).

Questa patologia era caratterizzata da esordio delle crisi intorno al primo anno di vita, prevalentemente di tipo generalizzato e spesso associate alla febbre; lo sviluppo era inizialmente normale ma si assisteva ad una regressione e compromissione delle facoltà cognitive all’esordio delle crisi (Marini et al 2010). In alcuni pazienti queste caratteristiche mimavano la Sindrome di Dravet, in altri il fenotipo era meno grave.

Resta aperta la questione se PCDH19 sia un nuovo gene per la Sindrome di Dravet (insieme ad SCN1A) o se soltanto causi EFMR con tratti Dravet-like in alcuni pazienti.

PCDH19 sta sicuramente emergendo come gene che maggiormente si trova mutato

in pazienti di sesso femminile con epilessia ad esordio infantile, sia in casi di familiarità che in casi sporadici. L’associazione del gene PCDH19 con un fenotipo epilettico ha interessato molto la comunità scientifica perché fino a poco tempo fa la genetica delle epilessie idiopatiche riguardava prevalentemente geni codificanti per canali ionici o recettori di neurotrasmettitori. In questo caso invece PCDH19 codifica per una protocaderina, proteina transmembrana appartenente alla superfamiglia delle caderine, con ruolo di adesione cellulare mediata dal calcio.

Il ruolo biologico specifico di PCDH19 è ancora sconosciuto; il gene è espresso nel cervello in sviluppo sia di uomo che di topo e si pensa che sia coinvolto nello stabilire le connessioni neuronali e nella trasduzione del segnale a livello della membrana sinaptica (Wu et al 1999; Yagi et al 2000).

È noto che le femmine con alterazione in eterozigosi del gene PCDH19 mostrano il fenotipo patologico, mentre i maschi che sono portatori obbligati non hanno crisi e risultano avere normali capacità cognitive. I pazienti di sesso maschile risultano affetti solo nel caso in cui siano mosaici somatici per la mutazione. Questo ha permesso di confermare

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la teoria dell’interferenza cellulare (Dibbens et al 2008; Wieland et al 2004; Johnson 1980) per spiegare questo singolare pattern di trasmissione del fenotipo: i maschi emizigoti, avendo un’unica copia del cromosoma X, esprimono o l’allele wild-type o l’allele mutato quindi complessivamente risultano avere un’unica popolazione cellulare; al contrario le femmine a causa del processo di inattivazione random del cromosoma X, sono mosaici naturali per tutti i geni X-linked; in caso di mutazione in eterozigosi esprimeranno contemporaneamente sia l’allele wild-type che quello mutato avendo così due tipi di popolazione cellulare. Lo stesso vale per i maschi se portatori mosaici della mutazione. La condizione di mosaicismo potrebbe quindi interferire con la comunicazione cellula-cellula per cui la proteina PCDH19 sembrerebbe preposta. Questo stesso meccanismo era stato proposto per la sindrome craniofrontonasale CFNS (Wieland, et al., 2004).

Nella nostra casistica abbiamo incluso pazienti con diversi tipi di epilessia nonostante studi precedenti avessero riportato nuove mutazioni puntiformi nel gene PCDH19 in pazienti con Sindrome di Dravet e risultati negativi per l’analisi di mutazione

di SCN1A (Depienne et al 2009).

Questo ci ha permesso di allargare lo spettro fenotipico rispetto al caratteristico profilo descritto per la Sindrome di Dravet e di includere quindi nello screening oltre a soggetti con patologia Dravet-like anche pazienti con tratti più lievi. Infatti i pazienti con mutazioni nel gene PCDH19, rispetto a quelli con Sindrome di Dravet, sono caratterizzati dall’aver avuto un esordio più tardivo delle crisi epilettiche; inoltre non presentano fotosensibilità, gli stati epilettici sono meno frequenti e rare sono le assenze e le crisi miocloniche. In particolare le crisi epilettiche sono in cluster e di tipo focale.

L’evoluzione della patologia con l’età tende ad essere meno ingravescente rispetto ai pazienti con mutazione nel gene SCN1A, sia dal punto di vista di frequenza delle crisi che considerando le conseguenti disabilità cognitive.

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Nel nostro studio abbiamo screenato 290 pazienti, di cui 271 femmine e 19 maschi.

Circa il 40 % delle femmine ed il 100% dei maschi, con fenotipo Dravet-like, erano stati precedentemente analizzati per la ricerca di mutazione nel gene SCN1A ed erano risultati negativi.

A seguito del sequenziamento automatico delle regioni codificanti e delle porzioni introniche fiancheggianti gli esoni di PCDH19, abbiamo individuato in totale 30 variazioni della sequenza nucleotidica, causanti mutazioni missenso, troncanti, frameshift e alterazione dei siti di splicing. Due delle 30 variazioni (c.1019A>G p.Asn340Ser; c.83C>A p.Ser28X) erano presenti in più di un paziente non imparentati tra loro, mentre una mutazione frameshift (c.1300_1301delCA p.Gln434GlufsX11) è stata trovata in due gemelle monocoriali, screenate entrambe perché con fenotipo di severità differente.

I dati relativi al nostro studio conferiscono al gene PCDH19 una frequenza di mutazione intorno al 10%. Ovviamente non è possibile escludere eventuali mosaicismi somatici non sempre rivelabili con il metodo di indagine molecolare utilizzato per effettuare questo screening. Sarebbe utile poter analizzare il DNA proveniente da un campione biologico del paziente diverso dal sangue (es. saliva, bulbo di capelli, pellet urinario); inoltre, per quanto riguarda i genitori dei probandi mutati, sarebbe opportuno allestire un saggio con sonde allele-specifiche per verificare ed eventualmente quantificare la presenza dei due diversi alleli (wild-type e mutato).

Lo spettro delle mutazioni identificate in questo studio risulta essere localizzato prevalentemente, anche se non esclusivamente, nell’esone 1, molto grande, lungo più di due kilobasi, codificante quasi tutta la porzione extracellulare contenente i 6 domini EC, molto conservati e adibiti alle interazioni cellulari calcio-mediate. In questa regione sono presenti 23 delle mutazioni individuate nel nostro studio (circa il 76%), soprattutto mutazioni missenso, ma anche mutazioni troncanti o frameshift con introduzione di un codone di stop prematuro. I siti di predizione, utilizzati per testare la patogenicità delle

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mutazioni missenso, basandosi sul grado di conservazione degli aminoacidi coinvolti e sulle caratteristiche chimico-fisiche degli stessi, hanno dato come esito una potenziale alterazione della funzionalità proteica. Per quanto riguarda le mutazioni che introducono un codone di stop prematuro (PTC) a livello dell’mRNA molto probabilmente subiscono l’intervento del sistema di nonsense-mediated decay (NMD) che distrugge le molecole di RNA difettose (Dibbens et al 2008).

In tutti questi casi i pazienti erano di sesso femminile. 16 delle 23 mutazioni che mappavano sulla porzione extracellulare risultavano de novo. In 3 casi non è stato possibile testare i genitori; le rimanenti 4 mutazioni erano state ereditate tre dal padre e una dalla madre.

Due dei tre padri portatori risultavano non affetti; il terzo aveva stranamente il cambio nucleotidico in eterozigosi. Questa anomalia è stato meglio indagata: avendo scongiurato scambi di campione con il saggio di paternità, e non avendo individuato duplicazioni del gene PCDH19 o parte di esso con la PCR quantitativa utilizzando le sonde TaqMan che mappavano lungo la sequenza genica, l’ipotesi era che il padre portasse la mutazione sotto forma di mosaico somatico. Se così fosse, in base alla teoria dell’interferenza cellulare, tale soggetto dovrebbe avere avuto durante l’infanzia un fenotipo epilettico, con crisi risoltesi poi con l’età. Purtroppo la famiglia, non residente in Italia, non ha mai inviato al nostro centro il materiale clinico relativo ai genitori e non è stato possibile reperire e analizzare il DNA di un altro tessuto che non fosse sangue.

Questo caso molto particolare deve quindi essere ancora risolto.

La madre, infine, che aveva trasmesso l’allele mutato alla figlia, aveva avuto esperienza di crisi epilettiche di tipo focale durante la sua infanzia.

Nella rimanente porzione transmembranale e citoplasmatica, mappavano le restanti 7 alterazioni che costituiscono circa il 23% del totale individuato nel nostro studio. Nello specifico, due erano mutazioni frameshift con inserzione di un codone di stop prematuro,

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entrambe de novo; due provocavano alterazione dei siti di splicing ed erano anch’esse de novo; le altre tre consistevano in cambi missenso ereditati dal padre in un caso (c.2264A>C

p.Glu755Ala) e dalla madre in 2 casi (c.3184A>G p.Ile1062Val; c.3280C>G p.Leu1094Val). I tre genitori portatori non risultavano essere affetti né aver avuto esperienza di epilessia durante l’infanzia. Questo dato poteva sembrare strano per le due madri dato che, essendo mosaici naturali per i geni X-linked, possedevano due popolazioni cellulari diverse.

Andando a consultare i siti di predizione online e osservando gli allineamenti delle sequenze aminoacidiche relative ai geni ortologhi, è stato notato un basso livello di conservazione dei residui coinvolti nella sostituzione missenso. Essendo la regione citoplasmatica di PCDH19 molto meno conservata rispetto a quella extracellulare, probabilmente i cambiamenti nella sequenza proteica risultavano meglio tollerati.

Da sottolineare un altro aspetto relativo al cambio c.3280C>G p.Leu1094Val: il probando in cui era stata identificata, era l’unico di sesso maschile, tra i 19 analizzati, trovato positivo allo screening di mutazione di PCDH19. Oltre a questo, la particolarità era data dal fatto che tale variazione era stata ereditata dalla madre non affetta. Sembrava stravolgere la teoria di trasmissione del fenotipo tipica di PCDH19. Molto probabilmente, considerando che la sostituzione coinvolgeva un aminoacido non conservato della proteina e che comunque veniva cambiato con un aminoacido avente simile caratteristiche chimico- fisiche, non comprometteva la funzionalità della molecola in toto.

Non possiamo quindi escludere che le mutazioni missenso in queste famiglie corrispondano in realtà a varianti benigne molto rare e che il gene PCDH19 non sia responsabile del fenotipo patologico.

Successivamente al sequenziamento diretto del gene PCDH19, è stato messo a punto un saggio di PCR quantitativa utilizzando 6 sonde TaqMan distribuite lungo la sequenza genica, con lo scopo di individuare delle variazioni nel numero di copie (CNVs)

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di tutto il gene o parte di esso. Tale saggio è stato eseguito su un primo gruppo di 20 pazienti risultati negativi all’analisi di mutazione di PCDH19. Mentre in letteratura erano note duplicazioni polimorfiche che interessavano tutto o parte del gene, individuate in soggetti di controllo, grosse delezioni di tutto o parte del gene erano state associate al fenotipo patologico. I risultati ottenuti fino ad oggi hanno dato un esito negativo.

L’obiettivo è quello di estendere l’analisi quantitativa al resto dei pazienti risultati negativi per la ricerca di mutazioni in PCDH19 ma il cui fenotipo rientra tra quelli associabili al gene. In futuro tale tecnica potrebbe essere utilizzata in campo diagnostico oltre che di ricerca clinica, in associazione al sequenziamento diretto.

Il nostro studio aveva lo scopo di delineare un profilo fenotipico specifico per il gene PCDH19 anche se non è stato semplice. Un dato che è risultato dalle osservazioni raccolte è che le mutazioni nel gene PCDH19 sono associate ad elevata variabilità dei tratti clinici, anche nell’ambito della stessa famiglia. Questa eterogeneità fenotipica (pleiotropismo) potrebbe essere una caratteristica del gene oppure potrebbe essere dovuta ad altri fattori genetici, epigenetici, ambientali.

Un’ipotesi era che il processo di inattivazione del cromosoma X fosse variabile tra i pazienti mutati e che la variabilità fenotipica dipendesse dal rapporto di inattivazione dei due alleli: random o sbilanciata. Un’inattivazione della X totalmente sbilanciata (100:0;

90:10) poteva comportare teoricamente la presenza di una popolazione cellulare omogenea che corrisponderebbe, secondo la teoria dell’interferenza cellulare, ad una situazione non patogenetica. Probabilmente, un parziale sbilanciamento dell’inattivazione della X (60:40;

70:30; 80:20) poteva portare ad una condizione meno severa rispetto ad una inattivazione letteralmente random (50:50) in cui cioè l’interferenza cellulare doveva essere la più elevata (Depienne et al 2011). A tale scopo circa 1/3 delle pazienti mutate aventi mutazioni missenso, frameshift, troncanti e alterazione dei siti di splicing sono state analizzate per l’inattivazione del cromosoma X ma non è stata trovata una correlazione tra lo stato di

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inattivazione della X e l’espressione fenotipica. Ovviamente non possiamo escludere che nelle cellule nervose tale processo sia diverso rispetto a quello che succede nel sangue.

In questo gruppo, analizzato per l’inattivazione della X, erano incluse anche le due gemelle monocoriali che pur essendo geneticamente identiche mostravano un fenotipo molto diverso da un punto di vista di severità. In particolare, la sorella più grave mostrava, rispetto alla gemella, un ritardo psicomotorio più marcato, ed una durata e persistenza delle crisi epilettiche maggiore. Questo caso specifico ha suscitato il nostro interesse perché può rappresentare un punto di partenza per indagare le eventuali cause epigenetiche associate al pleiotropismo di PCDH19, senza doverci preoccupare delle differenze nel background genetico. L’analisi dell’inattivazione della X non ha dato risultati particolarmente significativi: la differenza nella percentuale di inattivazione degli alleli materno e paterno nelle due gemelle non era marcatamente diverso. Risultava per entrambe le pazienti che complessivamente l’inattivazione della X fosse random. Abbiamo però notato che la bambina in cui lo sbilanciamento era minore, e quindi l’interferenza cellulare era maggiore, era proprio quella con fenotipo più grave.

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