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371/2016 Bernard Stiegler. Per una farmacologia della tecnica

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371

settembre 2016

Bernard Stiegler

Per una farmacologia della tecnica

a cura di Paolo Vignola e Sara Baranzoni

Premessa 3

Paolo Vignola L’animale proletarizzato. Stiegler e l’invenzione della società automatica 16 Carlo Molinar Min, Giulio Piatti Stiegler e

l’individuazione “social” 31 Riccardo Fanciullacci Oltre l’apocalisse. Tecnica,

storia e conflitto politico nel pensiero di

Stiegler 46

Sara Baranzoni La funzione della ragione. Per non divenire folli nella società automatica 61 Francesco Vitale Politiche dell’attenzione.

La scrittura performativa di Stiegler 75 Pietro Montani Schematismo tecnico e

immaginazione interattiva 90 Antonio Lucci Antropotecnica e Negantropocene:

un confronto tra Sloterdijk e Stiegler 105 Bernard Stiegler Negantropologia

dell’Antropocene. Il pensiero come

biforcazione 119

Bibliografia di Bernard Stiegler 136

INTERVENTI

Edoardo Greblo Niente altro che esseri umani 143 Antonello Sciacchitano Verso una psicoanalisi

del soggetto collettivo 165

Paolo Godani Per un’archeologia del carattere 184

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Finito di stampare nel settembre 2016

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Premessa

C

iò che Derrida, poco prima degli eventi del 1968, aveva annunciato in Della gram- matologia, ossia il sorgere di una scrittura generalizzata in grado di scardinare e rivoluzionare tanto i fonda- menti epistemici quanto le relazioni sociali, sembra compiersi og- gi sotto le sembianze esacerbate delle società di controllo descrit- te da Deleuze agli inizi degli anni novanta. Le trasformazioni in- dotte dalle tecnologie digitali, che paiono annunciarsi “nella for- ma dell’assoluto pericolo”,1 riguardano sempre più aspetti della vita psichica e sociale, ormai in quasi ogni parte del globo. In ta- le situazione, nulla delle grandi teorie critiche e decostruttive del Novecento può essere messo da parte, né tanto meno le analisi sulle macchine presenti nei Grundrisse di Marx e la sintomatolo- gia della decadenza di Nietzsche, ma occorre riarticolare tali pro- spettive in funzione di una ricognizione accurata del milieu tecni- co e sociale odierno, in cui tutti i suoi elementi sembrano entrare in crisi, a partire dalle forme di governance neoliberali.

È in questa direzione che si muove il lavoro di Bernard Stie- gler, il quale, riformulando il ruolo della tecnica nella costituzio- ne dell’umano e nello sviluppo della società occidentale, propo- ne un’interpretazione della filosofia novecentesca per il ventune- simo secolo, attraverso una sua rilettura radicale, ossia finalizzata

1. J. Derrida, Della grammatologia (1967), trad. di R. Balzarotti et al., Jaca Book, Mi- lano 1998, p. 22.

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4

a far emergere le condizioni tecno-logiche del pensiero e del so- ciale, a suo vedere quasi sempre rimosse o lasciate insolute dal- le stesse prospettive teoriche da cui egli prende spunto. Per il fi- losofo francese è infatti solo a partire dalla consapevolezza di ta- li condizioni che può essere sviluppata una risposta politica ai di- sagi del presente.

L’invenzione della tecnica

In La technique et le temps 1. La faute d’Epiméthée,2 Stiegler sostiene che il ruolo della tecnica, rimosso da tutta la storia della filosofia in favore della purezza della vita e dell’episteme, sia quello di formare l’orizzonte dell’esistenza umana, non solo contribuendo all’antropo- genesi, ma, da un lato, aprendo la questione stessa della temporalità e, dall’altro, nel suo essere “la prosecuzione della vita con altri mezzi rispetto alla vita”,3 indicando una possibilità ulteriore dell’uomo rispetto all’evoluzione darwiniana e alla selezione naturale.

Ne consegue che, da un lato, l’umanità non può più essere pensata come il “soggetto” della storia e che, dall’altro, la tecni- ca non è un semplice mezzo per realizzare quest’ultima, poiché l’uomo e la tecnica sono da sempre presi in un rapporto di co- evoluzione, a partire dalla scheggiatura della selce fino ai compu- ter. L’operazione di Stiegler nei confronti dell’intera tradizione del pensiero, filosofico, politico e antropologico, in buona misu- ra supportata dall’analisi di Derrida, suo maestro, si rende allora palese proprio nel libro che li vede come co-autori, Ecografie del- la televisione. L’obiettivo è, letteralmente, teleologico, nel senso di una decostruzione della teleologia: “Nella tradizione occiden- tale, praticamente finora, la tecnica è stata pensata essenzialmen- te sotto la categoria del mezzo, ovvero come pura strumentalità che non partecipa in se stessa alla costituzione dei fini”.4

2. B. Stiegler, La technique et le temps 1. La faute d’Epiméthée, Galilée, Paris 1994. La technique et le temps è la serie di libri (tre volumi pubblicati, ma ne sono previsti almeno altri tre) che rappresenta l’esposizione più sistematica del pensiero di Stiegler.

3. Ivi, p. 135.

4. J. Derrida, B. Stiegler, Ecografie della televisione (1996), trad. di L. Chiesa, Raffael- lo Cortina, Milano 1996, p. 67.

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Dalla fenomenologia trascendentale di Husserl all’analiti- ca esistenziale di Heidegger, dalla paleo-antropologia di Leroi- Gourhan alla storia greca di Vernant e Detienne, dalla différan- ce e dalla logica del supplemento di Derrida al processo d’indi- viduazione di Simondon e ai sistemi tecnici di Bertrand Gille, la rete tessuta da Stiegler ha il compito di sostenere la tesi che pone la tecnica non più come strumento atto a realizzare i fini dell’uo- mo stabiliti a monte, bensì come co-protagonista dell’antropoge- nesi e della civilizzazione.

Se la critica all’antropologia filosofica che ne deriva ha come sfondo la prospettiva derridiana della traccia, della différance e del supplemento, il movente etico-politico di questa filosofia del- la tecnica ha origine dalla constatazione di una generale impre- parazione teorica ad analizzare la portata sociale delle tecnolo- gie attuali e la loro progressiva accelerazione innovativa. L’obiet- tivo è allora quello di ritornare alle origini dell’uomo, o meglio al suo difetto d’origine,5 per ripensare le basi dell’epistemologia, dell’economia e della politica, così come della teoresi, a parti- re da una tecnicità originaria – unica chiave di lettura, secondo Stiegler, per poter al tempo stesso interpretare e trasformare la società contemporanea nell’ottica di una “organologia generale”, da intendersi nel senso di una riformulazione del materialismo e della sua opposizione all’idealismo come nuova critica dell’ideo- logia e dell’economia politica.6

Sul piano dell’interpretazione, strettamente legato a tale ri- pensamento, il cammino che Stiegler prova a tracciare con la serie La technique et le temps può essere definito post-fenome- nologico, nella misura in cui il concetto principale, ossia la ri- tenzione terziaria, è volto a mostrare come le condizioni di pos- sibilità della coscienza e della sua temporalità si fondino su un’esteriorizzazione materiale, ottenuta mediante un supporto fisico di memoria, che, condizionando sempre e già da sempre

5. B. Stiegler, La technique et le temps 1, cit., p. 188.

6. L’organologia generale è l’analisi delle relazioni reciproche e di co-evoluzione tra gli organi o apparati psico-fisiologici, gli organi o artefatti tecnici e le organizzazioni sociali.

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16 aut aut, 371, 2016, 16-30

L’animale proletarizzato.

Stiegler e l’invenzione della società automatica

PAOLO VIGNOLA

A

differenza di molti critici radicali del- la società contemporanea, Bernard Stie- gler, pur impegnato costantemente nella denuncia degli effetti tossici delle tecnologie sulla vita sociale – appartenendo così a tale insieme di pensatori –, non può essere considerato né tecnofobico né desideroso di salvaguardare una purezza originaria dell’uomo rispetto all’ambiente tecnologico nel quale esso si trova immerso. Un aspetto infoderato nel titolo del suo libro La société automatique permette di cogliere il singo- lare posizionamento dell’autore, tanto nei confronti dei suoi con- temporanei, quanto dei suoi intercessori.

Se il tema a cui la società automatica fa riferimento, come ri- sultato di un capitalismo totalizzante, è sicuramente posto in li- nea con quello della società dello spettacolo (Debord), delle so- cietà di controllo (Deleuze) e della governamentalità algoritmi- ca (Rouvroy e Berns), un particolare essenziale contraddistingue l’obiettivo di Stiegler. Il problema per il filosofo francese non è quello di analizzare i rischi, i disagi e i problemi di tale società da lui definita appunto automatica, se non per mostrare che, alla lettera, essa non esiste. Ciò che Stiegler descrive e denuncia è in-

Paolo Vignola, PhD in filosofia, studioso di filosofia francese contemporanea e di filoso- fia della tecnologia, è attualmente ricercatore universitario Prometeo presso il ministero dell’Istruzione superiore e della ricerca dell’Ecuador.

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fatti una “dis-società”1 basata su algoritmi e automatismi tecno- logici, dove il sociale, inteso à la Simondon come individuazione collettiva e trans-individuazione, viene tendenzialmente, ma si- stematicamente, annichilito. Dove risiede, allora, la differenza ri- spetto agli altri critici radicali?

Sognare nel nichilismo

La dis-società automatica è descritta da Stiegler come il compi- mento digitale del nichilismo nietzschiano e gemellata con l’An- tropocene, ossia la supposta nuova era geologica in cui l’uomo sarebbe diventato il principale fattore di trasformazione delle condizioni di vita globali. Se tale processo di antropizzazione del mondo, iniziato con la rivoluzione industriale, rappresenta la

“svalutazione di tutti i valori […] concretizzatasi come l’età del capitalismo planetarizzato”,2 il motivo risiede nel filo conduttore della mathesis universalis che, in un divenire tecnico incessante, dalla meccanica guida l’umanità verso l’automazione integrale della società automatica su base algoritmica.

In tal senso, sebbene il concetto di Antropocene sia stato tan- to sviluppato quanto decostruito da diversi autori,3 l’originalità dell’approccio di Stiegler risiede nel porlo in relazione sia con la governamentalità algoritmica di Thomas Berns e Antoinet- te Rouvroy, come controllo e anticipazione computazionali dei comportamenti, sia con il capitalismo 24/7 impiegato da Jona- than Crary per descrivere lo sfruttamento delle facoltà fisiologi- che e psichiche degli individui, 24 ore al giorno, 7 giorni alla set- timana, fino alla tendenziale scomparsa del sonno libero dall’e- strazione di valore.4 Ciò significa un sistematico annichilimento della facoltà protensionale, tanto conscia quanto inconscia, fino

1. B. Stiegler, La société automatique, vol. I: L’Avenir du travail, Fayard, Paris 2015, p. 178.

2. Ivi, pp. 24-25.

3. Per una presentazione generale del termine, cfr. P.J. Crutzen, Benvenuti nell’Antro- pocene, a cura di A. Parlangeli, Mondadori, Milano 2005. Un’ottima ricognizione critica è presente in T. Cohen, C. Colebrook, J. Hillis Miller, Twilight of the Anthropocene Idols, Open Humanities Press, London 2016.

4. Cfr. J. Crary, 24/7. Late Capitalism and the End of Sleep, Verso, New York 2013.

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all’incapacità da parte degli individui di proiettare, ossia di im- maginare, sognare e inventare un futuro collettivo.

Ecco dunque realizzarsi, agli occhi di Stiegler, il nichilismo prefigurato da Nietzsche,5 relativo al livellamento delle differen- ze e alla volontà del nulla, che si traduce nell’annichilimento pro- gressivo dei processi di individuazione psichica e collettiva, al- la base dell’avvenire di una società. Tale annichilimento, che ri- guarda infine la stessa volontà collettiva e consiste nell’indeboli- mento dei legami sociali e dei saperi condivisi, è concepito come il risultato di un rapporto entropico tra apparati psico-fisiologi- ci, sistemi tecnici e istituzioni sociali. Piuttosto che metafisico, il nichilismo stiegleriano è organologico, dettato cioè da un disag- giustamento del rapporto tra gli organi psicofisiologici, gli organi artificiali e le organizzazioni sociali.6 Ora, l’annichilimento della volontà come perdita di immaginazione del futuro e il livellamen- to delle differenze biologiche e culturali sono tra le caratteristi- che essenziali dell’Antropocene. Per Stiegler, a legare questi due aspetti è il rapporto tra tecnica ed entropia che si manifestereb- be tanto sul piano geofisico e biologico, quanto su quello sociale:

La tecnica è un’accentuazione della neghentropia, nel senso che è un agente di incremento della differenziazione […]. Ma essa è, al tempo stesso, un’accelerazione dell’entropia, non solo perché è sempre in qualche modo un processo di combustione e di dis- sipazione di energia, ma poiché la standardizzazione industriale sembra condurre l’Antropocene contemporaneo alla possibilità di una distruzione della vita in quanto sviluppo e proliferazione di differenze – come biodiversità e sociodiversità.7

Se quindi la globalizzazione neoliberale sta distruggendo la biodiversità con l’inquinamento e la devastazione degli habitat, le tecnologie del capitalismo cognitivo accelerano l’omogeneizza-

5. Stiegler si riferisce spesso a F. Nietzsche, Frammenti postumi 1887-1888, in Opere, trad. di S. Giammetta, Adelphi, Milano 1971, vol. III, tomo II, 362 [119].

6. B. Stiegler, La société automatique 1, cit., p. 167.

7. Ivi, p. 31.

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Stiegler e l’individuazione “social”

CARLO MOLINAR MIN GIULIO PIATTI

1. Pharma.com: ricordare il futuro e trasformare il presente

Quando nel 1995 uscì il film diretto da Robert Longo, Johnny Mnemonic, chi scrive non aveva ancora sufficiente cognizione per cogliere il valore storico del distopico straniamento che la cinematografia sci-fi aveva allora escogitato al fine di immaginare futuri iper-tecnologici. Non potevamo ancora sapere che cosa si sarebbe installato di lì a poco all’orizzonte. Oggi, però, a vent’anni abbondanti di distanza, ritornando sulla sceneggiatura di William Gibson e sull’omonimo racconto del 1981,1 possiamo azzardare valutazioni retrospettive intorno al peso di quelle proiezioni nar- rative. Ci siamo allora domandati che cosa renda questa storia uno straordinario reperto della nostra epoca.

È vero, il pensiero filosofico degli ultimi due decenni non ha di certo esitato ad addentrarsi nel vasto ed eterogeneo ambito di temi aperto dagli eccezionali mutamenti nel campo della ricer- ca digitale. Tuttavia, anche considerando le migliori tra le artico- late e ben ponderate indagini filosofiche, notiamo una significa- tiva difficoltà nell’adeguare i propri mezzi riflessivi alle velocità

Carlo Molinar Min svolge attività di ricerca presso l’Università di Torino. Si occupa pre- valentemente di filosofia contemporanea di area francese e tedesca. È membro fondato- re e redattore del progetto editoriale “Philosophy Kitchen”. Giulio Piatti è dottorando in Scienze filosofico-sociali presso l’Università di Roma Tor Vergata, in co-tutela con l’Uni- versità di Toulouse Jean Jaurès. Il suo progetto di ricerca verte sulla questione dell’imper- sonale tra Bergson e Deleuze. (Il primo e il terzo paragrafo dell’articolo sono stati scritti da Carlo Molinar Min, il secondo e il quarto da Giulio Piatti.)

1. W. Gibson, La notte che bruciammo Chrome (1986), trad. di D. Zinoni, Mondado- ri, Milano 1993, pp. 13-39.

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con cui si muovono e trasformano i fenomeni trascinati dai flussi digitali. Del resto, come sovente è accaduto nella storia della ci- vilizzazione e delle sue autodescrizioni, è stata proprio la lettera- tura posta sotto l’egida dell’immaginazione – anche la più fervi- da – a venire in soccorso alle lentezze dell’otium philosophicum, conducendo in molti casi a previsioni ben calibrate. Questo è senz’altro il caso di Johnny Mnemonic, nel quale i temi e i risvol- ti della presente congiuntura storica vengono fotografati e previ- sti con stupefacente sensibilità.

Ora, a colpire non è soltanto l’acume visionario, capace di an- ticipare scenari sino ad allora impensabili. La sua efficacia emer- ge bensì nell’individuare e poi nel penetrare il senso di proble- mi specifici, che solo questa precisa svolta storica avrebbe potu- to produrre. Intorno al 1995, data di uscita della trasposizione cinematografica del racconto di Gibson, in ambito strettamente filosofico si assisteva a un generalizzato infiacchimento del tono speculativo e della presa sull’attualità: l’onda lunga della teoria critica francofortese, così come l’esausta ermeneutica di lignag- gio heideggeriano e gli ultimi colpi di coda dei post-strutturali- smi, non sembravano cogliere l’urgenza della rivoluzione digita- le, la cui reale portata, evidentemente, restava ancora impercepi- bile al lavoro del concetto. In questo panorama, tuttavia, il filo- sofo francese Bernard Stiegler aveva già iniziato a gettare le basi della sua filosofia della tecnica, in tempestiva sintonia con quel- lo che noi, ex post, identifichiamo agevolmente con l’inizio dello Zeitgeist digitale. Il suo testo La technique et le temps, pubblicato nel 1994, segue di poco la decisione da parte del CERN di Gine- vra di estendere a un uso pubblico la tecnologia del WWW (World Wide Web), ideata due anni prima dall’informatico inglese Tim Berners Lee.

Pur rimanendo fortemente legato alle circostanze del dibatti- to filosofico dell’epoca, La technique et le temps può a giusto ti- tolo essere considerato un testo di rottura, sia dal punto di vi- sta metodologico che per la radicalità delle tesi proposte. Ad- dirittura, come vedremo meglio in seguito, le idee e le intuizio- ni contenute in nuce in quest’opera anticipano con precisione

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“fantascientifica” le conseguenze, positive e deleterie, di quan- to nel 1994 poteva essere avvertito soltanto per avvisaglie e pre- sentimenti.

Ma chi è Johnny Mnemonic? Gibson lo descrive come un

“corriere mnemonico” errabondo, una specie di sofista postu- mano che commercia informazioni sensibili, immagazzinate all’interno di una memoria artificiale impiantata nel suo cervel- lo. Questa volta, però, la missione che Johnny deve compiere è di importanza capitale: stando alla versione cinematografica, un gruppo di ribelli ha caricato nella sua memoria di silicio la cura per il NAS (Nerve Attenuation Syndrome), la patologia epidemi- ca che sta indebolendo e facendo precipitare la popolazione sot- to il definitivo controllo delle Corporations. Al di là dell’inge- nuità dello schema pro bono, contra malum che – soprattutto nel film – risulta funzionale alla fluida e ordinata articolazione del- le scene, l’avvicendarsi manicheo dei LoTeks (Low-Technology) e della multinazionale, curiosamente chiamata Pharmakom, po- ne in risalto alcuni aspetti interessanti. Al netto della scorza di- stopica caratteristica del discorso fantascientifico, le prospettive di Stiegler e di Gibson sono avvicinabili su almeno tre punti es- senziali.

1. Secondo Gibson, al pari di Stiegler, la natura dell’oggetto tecnico – di qualsiasi foggia esso sia – non è costitutivamente né buona né cattiva, e va ricercata nella specificità delle sue declina- zioni storiche, a partire dalle modalità attraverso cui le “tenden- ze tecniche” attualmente egemoni l’hanno collocata nella posi- zione e nel ruolo di “fatto tecnico”.2 Nel caso dell’epoca del digi- tale – così come in quelle precedenti del libro e della selce scheg- giata – l’oggetto tecnico è dunque derridianamente concepito come pharmakon, ossia come realtà sempre suscettibile di pro- durre esiti contrastanti, tanto vantaggiosi quanto tossici.3 John- ny, nella sua ambiguità di uomo-macchina, assume questa dupli-

2. B. Stiegler, La société automatique 1. L’Avenir du travail, Fayard, Paris 2015, pp. 174-175.

3. Id., Pharmacologie du Front national, suivi de “Vocabulaire d’Ars Industrialis” par Victor Petit, Flammarion, Paris 2013, pp. 421-422.

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46 aut aut, 371, 2016, 46-60

Oltre l’apocalisse. Tecnica, storia e conflitto politico nel pensiero di Stiegler

RICCARDO FANCIULLACCI

1.

Tutti i libri, e sono più di trenta, che Ber- nard Stiegler ha pubblicato si raccolgo- no intorno a un progetto fortemente uni- tario. Ne sono una prova i frequenti rimandi tra l’uno e l’altro, che non di rado diventano addirittura rinvii a volumi non anco- ra scritti. Eppure questi libri non si dividono il lavoro come se a ciascuno toccasse l’esposizione di una parte diversa di uno stes- so sistema già definito. Piuttosto, il progetto alla cui realizzazio- ne tutti contribuiscono viene ogni volta sottoposto a una nuo- va formulazione e definizione, a una nuova individuazione. Que- sta nozione tecnica nel lavoro di Stiegler (e a sua volta ripresa da Gilbert Simondon) serve anche a designare il più profondo rapporto che si può intrattenere con un concetto o una teoria:

non la sua conservazione o ripetizione, bensì un’attività da cui quel concetto e quella teoria escono ulteriormente determinati, per esempio perché posti in relazioni precise con altri concetti da cui prima erano tenuti isolati. L’unità dell’opera di Stiegler sta nel fatto che ogni volta viene rilanciata, attraverso una nuova ap- propriazione e un approfondimento, la stessa sfida teorica avan- zata la prima volta vent’anni fa. Questo comporta, tra l’altro, che è dall’altezza cui è giunto il primo (e per ora ancora unico) tomo

Riccardo Fanciullacci, assegnista post-doc in Filosofia morale dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, si è occupato, tra l’altro, di Guy Debord, Louis Althusser e Iris Murdoch.

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di La société automatique (2015)1 che bisogna rileggere gli scrit- ti precedenti.

2. Una caratteristica di questo volume, che salta subito all’occhio, è il tono apocalittico che Stiegler spesso vi si concede, come quando afferma che lo stato di fatto in cui ci troviamo è la “disintegrazione totale”2 o che è molto prossimo a una “catastrofe incommensura- bile che è un cataclisma entropico”3 o, ancora, che è uno stato di idiozia (bêtise) generalizzata.4 Questo tono apocalittico non è mai del tutto mancato nei suoi scritti, ma di recente si è accentuato.5 Ritengo che, per interpretarlo, lo si debba riferire non all’intenzione teorica ma all’altra, che contribuisce ad animare il lavoro di Stiegler:

quella pratica. Questa demarcazione è resa necessaria dal fatto che, se le formule in cui si esprime quel tono fossero prese come parte del discorso teorico, genererebbero cortocircuiti di vario tipo. Il più evidente, sebbene non il più importante, su cui torneremo, può essere chiarito nel modo seguente. Prendiamo l’affermazione secondo cui “tutti noi diventiamo più o meno stupidi, se non del tutto idioti”;6 qualcuno vi riconoscerà immediatamente una lucida presa d’atto della nostra attuale condizione, ad altri susciterà una non meno immediata perplessità, se non una reazione di rigetto.

Queste risposte, ovviamente legittime nella loro immediatez- za, non hanno però a che fare con il lavoro del pensiero, il quale vorrà invece esaminare le prove su cui quell’affermazione si ap- poggia; salvo che, se quell’affermazione è presa nel suo senso or- dinario, allora non può essere verificata in alcun modo perché il suo significato è troppo indeterminato (che cosa esattamente do- vrebbe implicare, dal punto di vista empirico, l’ipotesi che sia-

1. B. Stiegler, La société automatique 1. L’Avenir du travail, Fayard, Paris 2015. Cfr. inol- tre Id., Dans la disruption. Comment ne pas devenir fou, Les liens qui liberent, Paris 2016.

2. Id., La société automatique, cit, p. 115.

3. Ivi, p. 87.

4. Cfr. anche B. Stiegler, États de choc. Bêtise et savoir au XXIe siècle, Mille et une nuits, Paris 2012.

5. Cfr. per esempio Id., Ce qui fait que la vie vaut la peine d’être vécue. De la pharma- cologie, Flammarion, Paris 2010, il cui primo capitolo si intitola “Apocalypse sans Dieu”.

6. Id., La société automatique, cit., p. 55.

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mo tutti idioti?), mentre, se è parafrasata con una formula tecni- ca, qualcosa che la teoria di Stiegler consente nella misura in cui introduce una definizione speciale di idiozia come perdita del savoir-faire, del savoir-vivre e del savoir-penser (tra cui il sapersi rapportare a idealità),7 allora l’affermazione citata non solo non suscita più reazioni immediate, ma soprattutto perde la sua gene- ralità semplice: che cosa può voler dire che nessuno ha più quei saperi? Forse che non sono più coltivati? Se sì, dov’è esattamen- te che non sono più coltivati? In qualunque istituzione educativa o in tutte? In tutto il mondo (e ovunque allo stesso modo) oppu- re con delle differenze tra un paese e l’altro ecc.? Domande co- me queste non sono pedanti, sono il lavoro della ragione quando viene esercitato su una tesi che riguarda uno stato di fatto. Sono pedanti per chi vuole tenere il discorso sul piano in cui è legitti- mo il tono apocalittico e i netti contrasti di colore, cioè sul pia- no del discorso pratico. Un piano che Stiegler coltiva, ma su cui non situa l’intero suo lavoro. Per chiarire questo punto, conviene riprendere brevemente il progetto di Stiegler mettendo in primo piano la sua intenzione pratica.

È come se Stiegler partisse dalla constatazione pre-teorica che c’è qualcosa che non va, che c’è del marcio nello stato di cose presente: c’è della sofferenza che dilaga nelle sfere più diverse dell’esperienza. Combattere o ridurre questa sofferenza è il fi- ne pratico nella sua formulazione pre-teorica.8 Ma per persegui- re tale fine occorre innanzitutto elaborare una diagnosi di quel- la sofferenza avvertita e constatata: occorre elaborare un quadro teorico che renda intelligibile la natura di quella sofferenza e di quel marcio. Questo quadro, nell’ottica di Stiegler, deve essere quanto mai ambizioso: deve includere una teoria di ciò che è sto- ria, di ciò che è società, di ciò che è tecnica, di ciò che è agire e pensare ecc.9 Gettando sulla realtà la rete dei nuovi concetti ela-

7. Su questo è decisiva la trilogia Mécréance et Discrédit, Galilée, Paris 2004-2006.

8. Cfr. B. Stiegler, Pharmacologie du Front national, Flammarion, Paris 2013, pp. XI-XVIII. 9. Per un’ottima sintesi di questo quadro, P. Vignola, “La tecnica innanzitutto. Breve introduzione ai concetti di Bernard Stiegler”, in B. Stiegler, Platone digitale. Per una filoso- fia della rete, trad. di P. Vignola, Mimesis, Milano-Udine 2015, pp. 7-32.

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La funzione della ragione. Per non divenire folli nella società automatica

SARA BARANZONI

Dei limiti di un’epoca dei limiti

Quella che Stiegler racconta è la storia di una frattura. Una storia che può essere riassunta nel gioco eterno e processuale di due tendenze contrapposte, che potremmo identificare in generale come entropia e neghentropia,1 e del tentativo del sistema che le contiene di procedere verso un equilibrio, seppure metastabile, che ne costituisca il punto di negoziazione: un’epoca che, volendo usare un concetto whiteheadiano, costituisce una durata, in quanto unità temporale-esperienziale.2

Partendo dalla connotazione fenomenologica dell’epoché, che fa del rimbalzo tra il significato di “era” e quello di “sospen- sione” il metodo noetico per eccellenza, Stiegler ha cercato fin dall’inizio del suo percorso filosofico di descrivere un processo in cui, tra interruzioni e assestamenti durevoli, e dunque sempre per intermittenza, il vivente ha tentato di produrre una différan- ce rispetto all’entropia.3 Ed è proprio l’attività noetica che deri- va da un tale procedere ad aver attivato le tendenze neghentro-

Sara Baranzoni, PhD in studi teatrali e cinematografici, studiosa di filosofia della tecnolo- gia, è attualmente ricercatrice universitaria Prometeo presso il ministero dell’Istruzione su- periore e della ricerca dell’Ecuador.

1. Stiegler si appoggia sulla nozione di neghentropia fornita da Schrödinger, ossia la tendenza complementare all’entropia, dominata da finalità e differenziazione, che produr- rebbe stati di ordine anche se solo a livello locale e temporaneamente (restando la tenden- za entropica quella globale). Cfr. E. Schrödinger, Che cos’è la vita? La cellula vivente dal punto di vista fisico (1944), trad. e cura di M. Ageno, Adelphi, Milano 1995.

2. Cfr. A.N. Whitehead, Il concetto di natura (1920), trad. di M. Meyer, Einaudi, To- rino 1948.

3. Il concetto di différance fa parte di quell’eredità derridiana che Stiegler riprende e La filosofia comincia nella meraviglia.

E in fondo, quando il pensiero filosofico ha fatto del suo meglio, la meraviglia rimane.

A.N. Whitehead

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piche sul piano psicosociale. Siamo però ben lontani dal suppor- re un’essenza basata sull’io penso o sull’intenzionalità di una co- scienza: come si cercherà di precisare in seguito, secondo Stie- gler il pensiero arriva unicamente in un secondo tempo rispetto alla temporalità dell’esperienza, la quale, a sua volta, si presen- ta come esperienza del caos in relazione alle differenti fasi tecni- che del divenire.4 È cercando un po’ d’ordine che il pensiero si muoverà, e che il piano dell’individuazione psichica, così come quello dell’individuazione collettiva, potranno armonizzarsi con il piano dell’individuazione tecnica,5 in un procedere d’insieme che Stiegler definisce transindividuazione.

Ebbene, afferma il filosofo francese, negli ultimi decenni del- la storia di questo procedere dettato dalla tecnica si è andata cre- ando una spaccatura, determinata dall’effetto dirompente, o ad- dirittura disruptivo, di un divenire ormai slegato da ogni preoc- cupazione organologica – rispetto cioè al legame fra i tre piani.6 Una nuova accelerazione della tendenza entropica che, proprio a causa della sua origine antropica, è oggi sempre più spesso iden- tificata sotto il termine Antropocene, in quanto epoca-limite, per l’umano e non solo.

Secondo Stiegler, l’Antropocene sarebbe il prodotto di una disinibizione che permette al sistema economico vigente di fo- mentare l’iper-accelerazione dell’innovazione tecnologica senza alcuna regolazione o pianificazione a lungo termine,7 aumentan-

allo stesso tempo trasforma, proprio attraverso l’affermazione del ruolo della tecnica. Cfr.

B. Stiegler, La technique et le temps 1. La faute d’Épiméthée, Galilée, Paris 1994.

4. La concezione del tutto personale e distaccata da quella della tradizione post-strut- turalista francese che Stiegler ha del termine “divenire” è indicativa di un procedere quasi automatico del flusso evolutivo, specialmente tecnologico, in quanto non deviato (non bi- forcato) da alcun tipo di differenza (o selezione artificiale) impressa dalla volontà colletti- va, ossia in assenza di spinte protensionali che lo trasformino in un desiderio per il futuro (avenir). Cfr., tra gli altri, B. Stiegler, Dans la disruption. Comment ne pas devenir fou, Les liens qui libèrent, Paris 2016, p. 66.

5. Il concetto di individuazione è presentato da Stiegler con esplicito riferimento a Simondon, sebbene allargato anche al piano tecnico. Cfr. B. Stiegler, La technique et le temps 1, cit. Tutti insieme, i tre piani compongono quella che Stiegler ha definito un’“or- ganologia generale”.

6. Cfr. B. Stiegler, La société automatique 1. L’Avenir du travail, Fayard, Paris 2015.

7. Ivi, p. 176.

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do così il ritmo della distruzione consumistica del mondo. Tale incuria, che in La société automatique è associata al capitalismo 24/7 e alla governamentalità algoritmica8 – ossia allo sfruttamen- to senza ritegno delle tracce digitali, come strumento di marke- ting iper-pervasivo e come dispositivo di controllo e gestione dei comportamenti attraverso la loro prevedibilità statistica –, è per Stiegler l’espressione contemporanea di quella particolare conce- zione di ragione razionalizzante che del capitalismo costituisce lo spirito.9

Già in passato Stiegler aveva esaminato come l’accoppiamen- to tra iper-capitalismo e neuro-marketing da una parte, e la con- dizione di miseria simbolica, con la conseguente perdita della capacità di sentire, e dunque del sentimento di esistere o del- la ragione di vivere dall’altra, generasse azioni letteralmente fol- li.10 Ma ciò che oggi appare ai suoi occhi maggiormente preoc- cupante è la potenza con cui tali fenomeni si sono fatti strada.

La sinergia tra ipertrofia del mercato e nullità delle strategie po- litiche attuali, perfettamente declinata nel refrain neoliberale del

“There is no alternative”, ha assecondato la diffusa incapacità di sviluppare collettivamente sogni, desideri e volontà, così come di esprimerli, proiettandoli in un avvenire possibile: e dunque, eliminando qualsiasi protensione collettiva intergenerazionale e transgenerazionale che non sia totalmente apocalittica.11 Ciò ha spinto non solo la società, ma anche il pensiero – inteso sia co- me il pensiero dell’aristotelica anima noetica, che più in generale come sistema di pensiero, ossia la filosofia in quanto tale – a loro

8. Ivi, p. 34. Le analisi di Stiegler in questo senso si ispirano esplicitamente ai lavori di Jonathan Crary (24/7. Il capitalismo all’assalto del sonno, 2013, trad. di M. Vigiak, Ei- naudi, Torino 2015) e Antoinette Rouvroy (cfr. in particolare A. Rouvroy, T. Berns, Gou- vernementalité algorithmique et perspectives d’émancipation: le disparate comme condition d’individuation par la relation?, “Réseaux”, 177, 2013, pp. 163-196).

9. Cfr. M. Weber, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo (1905-06), trad. di A.M.

Marietti, Rizzoli, Milano 1997.

10. Si vedano in particolare due tra le “serie” stiegleriane dei primi anni duemila: quel- la sulla miseria simbolica (ora edita congiuntamente in De la misère symbolique, 2 voll., Flammarion, Paris 2013), e quella su Mécréance et Discrédit, i cui tre volumi (editi presso Galilée, Paris) sono stati pubblicati tra il 2004 e il 2006.

11. B. Stiegler, Dans la disruption, cit., p. 26.

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75

aut aut, 371, 2016, 75-89

Politiche dell’attenzione.

La scrittura performativa di Stiegler

FRANCESCO VITALE

“F

ais attention!”1 – questa ingiunzione,

“fai attenzione!”, che Stiegler rivolge al lettore di Pharmacologie du Front national, potrebbe essere considerata il movente che orienta la sua produzione testuale, esplicitamente quella più recente, alme- no a partire dalla costituzione dell’associazione Ars Industrialis,2 condizionandone non solo le coordinate tematiche e le strategie interpretative ma anche la struttura, il ritmo, il tenore. La pro- duzione testuale di Stiegler sarebbe dunque performativamen- te orientata, e quindi strutturata, dalla stessa ingiunzione che ri- volge al lettore che, in questo modo, vi si ritrova coinvolto, in- scritto: la scrittura filosofica di Stiegler, infatti, non si limita a richiedere per sé un’attenzione ermeneutica di tipo tradizionale – comprensione “oggettiva” di contenuti teorici “oggettivi”, assi- milati innanzitutto passivamente e in modo impersonale – ma su-

Francesco Vitale insegna Storia delle dottrine estetiche presso l’Università di Salerno. Il suo lavoro riguarda la filosofia francese contemporanea e in particolare l’opera di Derrida, al quale ha dedicato numerosi saggi e volumi.

1. B. Stiegler, Pharmacologie du Front national. Suivi du Vocabularie d’Ars Industrialis par Victor Petit, Flammarion, Paris 2013, p. 15.

2. Ars Industrialis è “un’associazione internazionale per l’ecologia industriale dello spi- rito” che coniuga critica teorica, proposta programmatica e invenzione di strumenti tecno- logici di fruizione pedagogica e intellettuale. Il primo manifesto dell’associazione risale al 2005 ma è a partire dal 2010 che l’associazione orienta esplicitamente le proprie attività al contrasto della crisi globale in corso. Cfr. B. Stiegler, Ars Industrialis, Réenchanter le mon- de. La valeur esprit contre le populisme industriel, Flammarion, Paris 2006; trad. a cura di P. Vignola, Reincantare il mondo, Orthotes, Napoli-Salerno 2012.

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bordina questo tipo tradizionale di lettura all’attenzione che pre- tende di suscitare nel lettore; un’attenzione “attiva”, si potreb- be dire, e cioè tale che deve farsi presa di coscienza individuale e quindi decisione responsabile rispetto a ciò che accade: “Fare at- tenzione, vale a dire, prenderci le nostre responsabilità”.3

Si tratta – questa la nostra ipotesi – di una scrittura performa- tiva che, all’ordine dell’ingiunzione “fai attenzione!” e dell’ur- genza che sembra implicare come tale, è necessariamente, strut- turalmente, orientata alla prassi, deve farsi pratica, precipitarsi in effetti concreti,4 per giustificarsi quale teoria: “Fare attenzio- ne: questo titolo all’infinito richiama un imperativo. Il passaggio dall’infinito all’imperativo (che è anche un passaggio dal teorico al pratico), imponendosi in questo momento critico in cui ogni passo conta, è un ingiunzione: Fai attenzione!”.5

Si potrebbe dunque estendere, se non a tutta la produzione testuale di Stiegler, almeno a quella più recente, lo statuto che lo stesso Stiegler attribuisce a Pharmacologie du Front national, in virtù del quale la si dovrebbe intendere come produzione di strumenti di lotta che richiedono la loro pratica e non solo una semplice lettura:

Quest’opera è uno strumento. È stato concepito come tale – e in vista di condurre delle lotte. Come ogni strumento, bisogna praticarlo. E come ogni strumento, dovrebbe istruire quelli che lo praticano: attraverso le sue pratiche, lo strumento tende a istruire un aspetto del mondo che i suoi praticanti hanno in comune e soprattutto fanno in comune.6

Dunque, non si può non prestare la dovuta attenzione a questa in- giunzione – “Fai attenzione!” – se si vuole provare a rendere conto del lavoro di scrittura di Stiegler e in particolare della sua irriduci-

3. B. Stiegler, Pharmacologie du Front national, cit., p. 14.

4. “Precipitazione” da intendersi sia come effetto di una reazione chimica, sia come tempo dell’agire dettato dall’urgenza di ciò che in pratica si deve fare.

5. B. Stiegler, Pharmacologie du Front national, cit., p. 16.

6. Ivi, p. XI.

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bile condizione performativa. D’altra parte, l’attenzione costituisce la vera e propria posta in gioco delle lotte alle quali questo lavoro di scrittura vuole preparare: bisogna fare attenzione all’attenzione, perché l’attenzione, la nostra attenzione, è oggi minacciata più che mai dallo sfruttamento commerciale delle tecnologie del digitale da parte del marketing strategico e in particolare da parte delle

“industrie di programmi” e di intrattenimento (dalla televisione ai vari social network e relativi supporti mobili), all’ordine di un unico principio – il consumo – la cui legge domina incontrastata nonostante la crisi economica che pure ha contribuito a produrre:

Quanto alla crisi attuale, che è già così complessa e vasta, così immensa, bisogna inoltre e perfino innanzitutto fare attenzione all’attenzione: bisogna fare attenzione alle condizioni stesse della formazione dell’attenzione in generale, quali che siano la sua forma e i suoi oggetti, e a ciò che minaccia e rende fragili queste condizioni nel momento in cui l’attenzione è diventata la posta principale dell’economia planetaria – la sua captazione sistematica avendo condotto alla sua fragilità, se non alla sua distruzione. La minaccia contro l’attenzione, che è una iper- minaccia nella misura in cui rovina ogni possibilità di presa di coscienza e di responsabilità, di ciò che permette di immaginare un’uscita dalla crisi iper-sistemica, è la dimensione essenziale e specifica di ciò che costituisce un’iper-crisi. E questo stato di fatto risulta dalla dominazione sull’economia mondiale di un sistema speculativo che sfrutta a sua volta un sistema consu- mista basato sulla disattenzione, l’obsolescenza, la gettabilità, l’imprevidenza, il “menefreghismo” e l’incuria.7

Da questo punto di vista, il discorso di Stiegler si inscrive nella tradizione della critica dei mezzi di comunicazione di massa quali strumenti di condizionamento sociale. Una tradizione che po- tremmo far risalire a Walter Benjamin, alla sua attenzione per la

“distrazione” quale condizione psicologica indotta dalla fruizione

7. Ivi, p. 6.

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Schematismo tecnico e immaginazione interattiva

PIETRO MONTANI

1.

Nel terzo capitolo di La société auto- matique,1 intitolato “La destruction de la faculté de rêver”, Bernard Stiegler apre un dettagliato confronto con alcune delle tesi sostenute da Jona- than Crary nel suo fortunato pamphlet 24/7.2 Si tratta di una di- scussione piuttosto importante non solo per i suoi contenuti – su uno dei quali mi propongo di intervenire qui in modo tema- tico –, ma anche perché si costituisce come un’occasione per ri- badire efficacemente una differenza di orientamento tra la filoso- fia della tecnica di Stiegler e gli innumerevoli pronunciamenti, di volta in volta apocalittici o apologetici, sulle implicanze antropo- logiche della rivoluzione digitale, nei quali, con poche eccezio- ni, l’altissima posta filosofica in gioco nell’attuale modo di esse- re della tecnica viene minimizzata o ignorata del tutto. La diffe- renza, di fondo e irriducibile, consiste in questo: che la filosofia della tecnica di Stiegler si caratterizza per il suo radicale orienta- mento “farmacologico”, secondo la ben nota accezione del ter- mine che designa al tempo stesso il carattere tossico del pharma- kon e il suo potere terapeutico. Da questo punto di vista, Crary

Pietro Montani insegna Estetica all’Università La Sapienza di Roma. Curatore dell’edizio- ne italiana dei testi teorici di Ejzenštejn e Vertov, il suo attuale campo di interesse è la filo- sofia della tecnica.

1. B. Stiegler, La société automatique 1. L’Avenir du travail, Fayard, Paris 2015.

2. J. Crary, 24/7. Il capitalismo all’assalto del sonno (2013), trad. di M. Vigiak, Einau- di, Torino 2015.

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coglie aspetti importanti e del tutto qualificanti della rivoluzione digitale – come, in primo luogo, il suo carattere di “mobilitazio- ne totale”3 – ma poi non riesce a impegnare lo sforzo di pensiero necessario per metterne in luce il profilo affermativo e le concre- te opportunità di carattere emancipativo: vale a dire quell’impor- to potentemente “neghentropico” che, invece, sta a cuore a Stie- gler per il buon motivo che si tratta dell’unica chance di cui l’es- sere umano potrebbe ancora avvalersi nel momento in cui l’“an- tropocene” dà segni di essere divenuto un “entropocene”, un’e- poca di devastante disorientamento entropico.

Ho corsivato l’aggettivo “concrete” per enfatizzare un one- re specifico connesso col versante terapeutico e affermativo del pharmakon tecnico: se gli apocalittici se la possono cavare con diagnosi più o meno raffinate e inquietanti e gli apologeti con la prefigurazione di esaltanti scenari avveniristici, lo sforzo di pen- siero dei filosofi della tecnica in senso rigoroso è tenuto a ono- rare con particolare cura il principio dell’adeguatezza empirica che investe ogni teoria meritevole di questo nome. È in questo quadro che vorrei provare a mantenere, per quanto è possibi- le, il mio contributo. Ciò giustificherà, mi auguro, il suo caratte- re molto circoscritto: affronterò la questione – spesso ingenua- mente fraintesa – della cosiddetta “interattività” e la riferirò a un tema filosofico classico, quello dell’immaginazione e del suo ruolo nel dispositivo che Kant definì “schematismo” (un tema, quest’ultimo, che attraversa come un filo rosso l’intera riflessio- ne di Bernard Stiegler). Su questo fondamento di carattere teori- co proverò a far apparire, nelle battute finali, il frame applicati- vo che ne potrebbe conseguire, e in particolare i suoi requisiti di specifica creatività politica.

Nel far questo – vorrei aggiungere – rispondo a una sollecita- zione dello stesso Stiegler che, nel discutere in particolare il con- cetto di una interattività automatizzata, o di sistema, stigmatizza- to da Crary, accenna alla possibilità che delle pratiche interatti-

3. L’espressione, mediata da Ernst Jünger, è stata utilizzata da Maurizio Ferraris in di- versi contributi e, da ultimo, in Mobilitazione totale, Laterza, Roma-Bari 2015.

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ve si possa dare un’interpretazione diversa e meno semplificata, osservando, in nota, che “bisognerebbe aprire una discussione tra Jonathan Crary e Pietro Montani […] sulla questione dell’in- terattività e del suo carattere farmacologico”.4 Ciò che mi ripro- metto di fare, in quel che segue, consiste nell’esplicitare i presup- posti filosofici ai quali una tale discussione dovrebbe far riferi- mento per conseguire qualche risultato.

2. Entro immediatamente nel vivo della discussione osservando che il primo problema incontrato da chi affronti in una prospettiva filosofica il fenomeno dell’interattività postulata dall’uso comune delle tecnologie digitali ha a che fare con il tempo. Tali tecnologie, infatti, dopo aver acquisito per delega una parte cospicua delle nostre funzioni mnemoniche,5 avrebbero l’ulteriore caratteristica di “bruciare sul tempo”, per così dire, la prestazione protensionale della nostra immaginazione neutralizzando la sua normale attitudi- ne a produrre – o ipotizzare – delle sintesi grazie a un dispositivo computazionale che gliele fa trovare già belle e pronte. Ciò ad- destra l’immaginazione a un’assunzione acritica del “dato percet- tivo” nel cui raggio d’azione non risulta più riconoscibile alcunché di nuovo o imprevedibile o non-ancora-processato. Stando così le cose, “interagire” con i dispositivi digitali significherebbe in realtà abbandonarsi a una sostanziale passività, peraltro fortemente “in- naturale” in quanto fa violenza all’attitudine inferenziale, ipotetica e sperimentale tipica della nostra immaginazione.

Prima di proseguire in questa analisi, sarà bene notare che nel processo che ho appena descritto non c’è nulla che non sia già noto da tempo. Il fenomeno, per esempio, fu già stigmatizza- to acutamente da Horkheimer e Adorno nel loro classico studio sull’industria culturale,6 dove a questo proposito ci si riferisce (in

4. Cfr. B. Stiegler, La société automatique, cit., p. 126.

5. Stiegler, com’è noto, propone di integrare l’analisi husserliana dei processi ritenzio- nali introducendovi una forma (ipomnestica) specificamente tecnica: la ritenzione terziaria.

6. Cfr. M. Horkheimer, T.W. Adorno, “L’industria culturale”, in Dialettica dell’illumi- nismo (1947), trad. di R. Solmi, Einaudi, Torino 1966, pp. 131-180. Per una critica delle tesi di Horkheimer e Adorno si veda: B. Stiegler, La technique et le temps, vol. III: Le temps du cinéma et la question du mal-être, Galilée, Paris 2001.

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Antropotecnica e Negantropocene:

un confronto tra Sloterdijk e Stiegler

ANTONIO LUCCI

1. Piani

Con modestia si potrebbe ridurre un poco la sentenza di Borges

“Forse la storia universale è la storia di alcune metafore”,1 e soste- nere che “forse la storia della filosofia è la storia dell’uso di alcune parole”. Senza voler azzardare una storia di parole dalla rilevanza teoretica incalcolabile, come “essere”, “tempo” e “divenire”, è forse interessante considerare come, perlomeno nella filosofia del secolo scorso, una parola apparentemente innocua come “piano” sia stata la posta in gioco di alcune teorie, e sia stata al centro di alcune dispute dal peso decisivo per il pensiero contemporaneo. Come esempio paradigmatico dell’uso della parola possono essere presi anzitutto i piani “di consistenza” e “di immanenza” di Deleuze e Guattari, i quali hanno sempre mostrato una particolare attenzione per la metafora delle superfici. Tuttavia, la più importante distin- zione tra “piani” offerta dalla filosofia del secolo scorso, sulla quale si è incentrato gran parte del dibattito sull’umanismo nel secondo dopoguerra, è quella tra Sartre e Heidegger: per il primo il piano è quello in cui “c’è solamente l’uomo”,2 mentre per il secondo è quello su cui “c’è principalmente l’essere”.3

Antonio Lucci è docente di Filosofia della tecnica e della cultura presso l’Institut für Kul- turwissenschaft della Humboldt Universität di Berlino.

1. J.L. Borges, La sfera di Pascal (1951), in Opere complete, trad. di F. Tentori Montal- to, a cura di D. Porzio, vol. I, Mondadori, Milano 1984, p. 911.

2. J.-P. Sartre, L’esistenzialismo è un umanismo (1945), trad. di G. Tosco, introduzione di P. Caruso, Mursia, Milano 1963, p. 46.

3. M. Heidegger, Lettera sull’“umanismo” (1946), trad. a cura di F. Volpi, Adelphi, Mi- lano 1995, p. 61.

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Il contesto in cui sono poste la sovrapposizione e la distin- zione dei due piani è noto: dopo gli orrori della guerra, in L’esi- stenzialismo è un umanismo, Sartre aveva rilanciato la questione dell’umanismo, incentrandola sulla libertà della réalité humaine come fondamento assente di ogni ordine di trascendenza, com- presi i valori politici e religiosi. Di contro, Heidegger, nella sua Lettera sull’“umanismo”, aveva operato un’importante modifica- zione della prospettiva. Heidegger aveva infatti interpretato l’as- serzione sartriana per cui saremmo su un piano in cui c’è sola- mente l’uomo, contrapponendole l’idea per cui saremmo su un piano in cui c’è principalmente l’Essere.

Lo slittamento di piano operato da Heidegger è sostanziale perché, così facendo, l’Essere è il piano.4 Infatti, egli riformula la tesi sartriana inserendola nella tradizione umanistica occidenta- le che, in quanto ancora metafisica,5 paradossalmente non rico- nosce una sufficiente dignità all’essere umano. L’uomo dovreb- be invece essere pensato nel suo rapporto con l’Essere, cioè con quel piano che è l’Essere.

La puntualizzazione ontologica di Heidegger è importante per l’ipotesi che cercheremo di dimostrare: la differenza che se- para la riflessione sulla tecnica di Peter Sloterdijk da quella di Bernard Stiegler è sostanzialmente una differenza di “piano”. Le teorie di entrambi si sviluppano tematizzando un “piano” su cui c’è principalmente la tecnica. Ma, mentre quella di Sloterdijk re- sta di ispirazione heideggeriana, in quanto pensa il “piano” e la

“tecnica” come coincidenti, senza tenere conto del tertium rap- presentato dalla “politica” e dal “fare”, quella di Stiegler, ponen- do l’accento sul “principalmente”, non pensa unitariamente i tre elementi della tecnica, del piano e dell’Essere e apre così lo spa- zio possibile della dimensione propriamente politica del piano.

2. Sloterdijk e il piano dell’antropotecnica

Il luogo in cui Sloterdijk introduce il concetto di antropotecnica

4. Cfr. ivi, p. 62.

5. Cfr. ivi, pp. 42-43.

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è il famoso saggio Regole per il parco umano, il cui sottotitolo è Una risposta alla Lettera sull’“umanismo” di Heidegger.6 La posta in gioco del saggio riguarda il significato del termine umanismo, con cui Sloterdijk intende tutte quelle pratiche culturali che, fin dall’antichità, hanno mirato all’addomesticazione dell’uomo, in generale attraverso la scrittura, in particolare mediante la trasmis- sione dei classici, da intendersi strictu sensu come i testi classici della letteratura universale.

Entro il concetto di antropotecnica da lui introdotto, Sloter- dijk opera l’importante distinzione tra antropotecniche primarie e secondarie. Le prime rappresentano il modo in cui l’uomo ha storicamente sempre agito sull’uomo, tramite la cultura, l’educa- zione, le pratiche e le ripetizioni di moduli comportamentali. Le antropotecniche secondarie, invece, fondate sulle moderne con- quiste dell’ingegneria genetica, sono quelle che in futuro permet- teranno all’uomo di manipolare attivamente la propria evoluzio- ne biologica, per la prima volta in maniera pianificabile.

Il passaggio da queste analisi a quelle di Devi cambiare la tua vita7 comporta un’ulteriore specificazione del concetto, che in parte sarà una rivisitazione della suddivisione qui riporta- ta. In Devi cambiare la tua vita, infatti, Sloterdijk supera la di- stinzione tra antropotecniche primarie e secondarie in direzio- ne di un’antropotecnologia generale basata sulla nozione di eserci- zio. Le antropotecniche secondarie sono ricondotte nell’alveo di quelle primarie, intese nel senso ampliato di pratiche di eserci- zio autoplasmatore,8 mirato o all’autoperfezionamento o al cam- biamento radicale del mondo esterno. A mio parare, l’acquisizio- ne fondamentale di questo testo è la scoperta dell’esercizio qua- le nucleo fondamentale dell’antropotecnica. Il concetto di eserci- zio svuota quello di antropotecnica secondaria, in quanto esso è

6. P. Sloterdijk, Non siamo ancora stati salvati. Saggi dopo Heidegger (2001), trad. a cu- ra di A. Calligaris e S. Crosara, Bompiani, Milano 2004, pp. 239-266.

7. Id., Devi cambiare la tua vita. Sull’antropotecnica (2009), trad. di S. Franchini, a cura di P. Perticari, Raffaello Cortina, Milano 2010.

8. Ivi, p. 15.

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Negantropologia dell’Antropocene.

Il pensiero come biforcazione

BERNARD STIEGLER

Per Sara Baranzoni, Benoît Dillet, Gerald Moore, Anaïs Nony, Dan Ross, Paolo Vignola e Alexander Wilson

1. La messa in questione della presenza

Sollecitato da Alley Eldebi sulla questione relativa a ciò che si chiama pensare, devo anzitutto ricordare il punto di vista da me sostenuto in Ce qui fait que la vie vaut la peine d’être vécue.

De la pharmacologie: se ciò che Heidegger chiama Dasein è costituito dalla sua possibilità di mettere in questione l’essere, in effetti il Dasein può farlo solo perché è a sua volta messo in questione. La messa in questione è il fatto della tecnica. Nata da questioni precedenti a cui ha risposto in quanto operazione del Dasein messo in questione (l’insistenza sulla parola opera- zione verrà precisata alla fine del mio intervento), la tecnica provoca sempre nuove messe in questione, ponendo sempre nuovi problemi. Oggi, dinnanzi ai problemi posti dalle risposte alle precedenti questioni, la messa in questione evidentemente varca una soglia e costituisce una biforcazione dall’ampiezza incommensurabile, tanto nella storia di ciò che Heidegger ha chiamato Dasein, quanto di ciò che Derrida ha chiamato différance. Questa biforcazione è un salto nell’immenso, cioè nello smisurato: nella hybris.

La messa in questione che deriva dal salto è tale da poter met- tere fine a ogni possibilità di questionare e instaura l’avvento dell’Antropocene. Questo avvento è il tempo del riconoscimen-

Nel tradurre il testo ci siamo avvalsi del manoscritto originale francese, offertoci dall’auto- re, e di alcuni accorgimenti bibliografici suggeritici dal traduttore inglese, Daniel Ross. A Stiegler e Ross vanno dunque i nostri ringraziamenti. [N.d.T.]

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to (intuitivo o riflessivo, da parte del papa o del GIEC1) dell’E- vento Antropocene, come lo hanno definito Christophe Bonneuil e Jean-Baptiste Fressoz.2 Una simile messa in questione è mol- to più che “istoriale” (geschichtlich), dal momento che mette in questione la stessa istorialità, e invita a rivisitare l’intero corpus heideggeriano. È ciò che inizierò a fare nuovamente in questa se- de, riferendomi al notevole articolo Pensée et technique di Ru- dolf Boehm.3

Al presente, ossia a pubblicazione dei Quaderni neri avvenu- ta, è opportuno precisare che l’involuzione che condusse Hei- degger sulla scia del movimento nazista rende ancor più indi- spensabile una lettura meticolosa del suo pensiero e della sua storia. A questo proposito Rudolf Boehm mostra quanto la que- stione della techne sia inaugurale, complessa e persino tortuosa.

L’involuzione storica di Heidegger nel nazismo, infatti, dev’es- sere vista unitamente alle deviazioni impostegli dal tentativo di pensare la techne, che talvolta lo conducono a quelle che appaio- no come delle contorsioni noetiche.

Pensare autenticamente è sempre pensare il presente nel pre- sente: è questo ciò che Heidegger intendeva, parlando di Ge- genwart. La presenza intesa in questo modo coincide sempre con la messa in questione che sconvolge il presente, ossia coincide con il suo assentarsi (absentement). Oggi, questo sconvolgimento raggiunge quel limite, peras, che è l’assenza d’epoca: l’epoché ne- gativa dell’assenza d’epoca è il compimento del nichilismo.

L’assenza d’epoca costituisce quell’assenza di fondamento chiamata Antropocene. Allora il pensiero oggi non può essere che l’esperienza di pensare ciò che l’assenza d’epoca, in ultima istanza, dovrebbe costituire: se non una “nuova epoca”, almeno

1. GIEC è l’acronimo francese di Groupe d’experts intergouvernemental sur le chan- gement du climat (Gruppo di esperti intergovernativi sul mutamento climatico, in inglese

IPCC, Intergovernmental Panel on Climate Change), organismo aperto a tutti i paesi ONU, creato nel 1988, che ha per scopo lo studio scientifico dei dati sul mutamento climatico del pianeta e l’individuazione dei rischi a esso collegati. [N.d.T.]

2. C. Bonneuil, J.-B. Fressoz, L’Événement Anthropocène, Seuil, Paris 2013.

3. R. Boehm, Pensée et technique, “Revue Internationale de Philosophie”, 14, 1960, pp. 194-220.

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una tutt’altra epocalità. Chiamiamo Negantropocene la possibili- tà di questa impossibilità totalmente altra.

2. Prometheia, epimetheia, hermeneia

Fin dal mio primo tentativo di interpretare (ermeneuô) il mito di Prometeo, Epimeteo ed Hermes contenuto nel Protagora, ciò che chiamo pensare oggi, cioè nell’Antropocene, è un prendersi cura del pharmakon che costituisce lo choc a partire da cui c’è pensiero: il pensiero è sempre una forma di Sorge. Pensare consiste sempre nel tracciare dei circuiti di transindividuazione (come concatenamenti di ritenzioni e protensioni) inter- e trans-generazionali, attraverso i quali si metastabilizza ciò che Gilbert Simondon chiama il trans- individuale. Il pensiero nelle sue diverse forme, ossia la noesi, la vita dello spirito in tutte le sue forme, viene oggi distrutto dalla proletarizzazione generalizzata di cui l’Antropocene è la prova.

La vita dello spirito è un’esteriorizzazione dall’andamento circolare. Il circolo consiste nell’interiorizzare ciò che era stato precedentemente esteriorizzato. Questo movimento costituisce a posteriori la noesi come tecnesi e come pharmakon generato dalla condizione organologica dell’anima, che è noetica in quan- to essa sogna, ossia in quanto può realizzare i suoi sogni, ma sempre col rischio di trasformarli in incubi.4 I circuiti di trans- individuazione in cui consiste la vita dello spirito, in seno alla quale il pensiero si presenta sotto le più diverse forme, sono in- dotti dagli choc provocati dai tipi successivi di ritenzioni terzia- rie che costituiscono l’organogenesi dei pharmaka nel corso del tempo della noesi, cioè nel corso della sua evoluzione, quell’e- voluzione che Georges Canguilhem ha descritto come la forma tecnica della vita.5

Ciò che chiamo pensiero è la storia, accumulata ma continua- mente rinnovata e riattivata, dei modi di pensare, i quali a lo- ro volta sono il risultato della serie di messe in questione provo-

4. Cfr. B. Stiegler, La société automatique 1. L’Avenir du travail, Fayard, Paris 2015 e le video-conferenze dell’Académie d’été della scuola pharmakon.fr (www.pharmakon.fr).

5. Cfr. Id., Ce qui fait que la vie vaut la peine d’être vecue. De la pharmacologie, Flam- marion, Paris 2010, pp. 51-56.

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136 aut aut, 371, 2016, 136-140

Bibliografia di Bernard Stiegler

Monografie

La technique et le temps, vol. I: La faute d’Epiméthée, Galilée, Paris 1994.

Échographies de la télévision. Entretiens filmés (con J. Derrida), Galilée-INA, Paris 1996; trad. di L. Chiesa, Ecografie della televi- sione, Raffaello Cortina, Milano 1996.

La technique et le temps, vol. II: La désorientation, Galilée, Paris 1996.

La technique et le temps, vol. III: Le temps du cinéma et la question du mal-être, Galilée, Paris 2001.

Passer à l’acte, Galilée, Paris 2003; trad. di E. Imbergamo, Passare all’atto, Fazi, Roma 2008.

Aimer, s’aimer, nous aimer. Du 11 septembre au 21 avril, Galilée, Paris 2003; trad. e cura di A. Porrovecchio, Amare, amarsi, amarci, Mimesis, Milano-Udine 2014.

Mécréance et Discrédit, vol. I: La décadence des démocraties indu- strielles, Galilée, Paris 2004.

Philosopher par accident. Entretiens avec Elie During, Galilée, Paris 2004.

De la misère symbolique, vol. I: L’époque hyperindustrielle, Galilée, Paris 2004.

De la misère symbolique, vol. II: La catastrophè du sensible, Galilée, Paris 2004.

L’attente de l’inattendu, École supérieure des beaux arts, Genève 2005.

Constituer l’Europe, vol. I: Dans un monde sans vergogne, Galilée, Paris 2005.

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