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INFIAMMAZIONE DI BASSO GRADO, ALIMENTAZIONE E SALUTE.

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Academic year: 2022

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DELL’AQUILA

Dipartimento di Medicina Clinica, Sanità Pubblica, Scienze della Vita e dell’Ambiente

CORSO DI LAUREA TRIENNALE IN SCIENZE BIOLOGICHE

TESI DI LAUREA

INFIAMMAZIONE DI BASSO GRADO, ALIMENTAZIONE E SALUTE.

Relatore: Laureanda:

Prof. ANGELUCCI ADRIANO STORNELLI GIORGIA Matricola 252822

Anno Accademico 2019/2020

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2 INDICE

LISTA DELLE ABBREVIAZIONI 4

Capitolo 1 – INTRODUZIONE 6

Capitolo 2 - CENNI DI ANATOMIA E FISIOLOGIA 9

2.1 CENNI DI ANATOMIA E FISIOLOGIA DELL’INTESTINO 9

2.1.1 Intestino Tenue 2.1.2 Intestino Crasso 2.2 SISTEMA IMMUNITARIO 12

Capitolo 3 - L’INFLUENZA DELLA DIETA SUL MICROBIOTA INTESTINALE 15

3.1 – COLESTEROLO 15

3.2 – ACIDI GRASSI SATURI E INSATURI 18

3.3 – FIBRE 22

3.4 – VITAMINE 24

Capitolo 4 - INDUZIONE DELL’INFIAMMAZIONE DA PARTE DEGLI ALIMENTI 26

Capitolo 5 - CONCLUSIONI 34

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA 38

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4 LISTA DELLE ABREVIAZIONI

NCD: Malattie non trasmissibili WD: dieta occidentale

BCN

T2DM: Diabete mellito di tipo 2

NAFLD: Malattia epatica grassa analcolica NASH: Steatoepatite analcolica

CVD: Malattie cardiovascolari LDL: lipoproteine a bassa densità

LDL-R: recettore delle lipoproteine a bassa densità oxLDL: forme ossidate di LDL

IL-1b: interleuchina-1b LXR: recettori X del fegato

FA: acidi grassi saturi ed insaturi SFA: acidi grassi saturi

TLR4: recettore Toll-Like 4

TMAO: trimetilammina N-ossido FMO: flavin mono-ossigenasi MUFA: acidi grassi monoinsaturi

TNFR recettore del fattore di necrosi tumorale SCFAs: fibre fermentate a Fas in catena corta

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5 BPCO: broncopneumopatia cronica ostruttiva HDAC: istone deacetilasi

Th1: cellule T helper 1 Treg: cellule T regolatorie

IBD: malattie infiammatorie intestinali TEER: resistenza elettrica transepiteliale CCR9: recettore delle chemochine CC 9 FoxP3: proteina forkhead box P3

CRP o PCR: proteina C reattiva SNC: sistema nervoso centrale KC: cellule di Kupffer epatiche

GMP: precursori monocitari granulociti altamente proliferanti TH: tirosina idrossilasi

PCSK9: pro-proteina della convertasi subtilisina/Kexin di tipo 9

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6 1. INTRODUZIONE

Ad oggi, l’interazione tra l’assunzione alimentare di macronutrienti e il sistema immunitario attira sempre di più l’attenzione di numerosi studiosi. Il consumo di diete ricche caloricamente, di tipo occidentale, combinate con l'over nutrition cronica e uno stile di vita sedentario, nelle società occidentali evoca uno stato di infiammazione metabolica cronica definita metaflammazione. La metaflammazione contribuisce allo sviluppo di molte NCD. Queste patologie associate allo stile di vita rappresentano un problema crescente di salute pubblica con dimensioni epidemiche globali. Una migliore comprensione di come lo stile di vita moderno e la WD attivano le cellule immunitarie è essenziale per lo sviluppo di strategie preventive e terapeutiche efficienti per le BCN comuni [1].

L'infiammazione cronica di basso grado contribuisce allo sviluppo della malattia in molti di questi NCD, tra cui la sindrome metabolica associata all'obesità, il diabete mellito di tipo 2 (T2DM), la malattia epatica grassa analcolica (NAFLD), la steatoepatite analcolica (NASH), le malattie cardiovascolari (CVD), le malattie neurodegenerative (cioè il morbo di Alzheimer), nonché alcuni tumori come cancro al colon, cancro al pancreas e cancro al seno [2]. Inoltre, le abitudini alimentari giocano un ruolo chiave nella modulazione della composizione del microbiota intestinale. Esistono, infatti, differenze principali tra il microbiota intestinale dei soggetti alimentati con dieta prevalente occidentale e quello dei soggetti con una dieta ricca di fibre. Cambiamenti specifici nella composizione del microbiota intestinale sono stati dimostrati tra i soggetti in base a un diverso apporto alimentare. Una dieta particolare può favorire la crescita di specifici ceppi batterici inducendo gli ospiti ad una conseguente alterazione del metabolismo fermentativo con effetto diretto sul pH intestinale che può essere responsabile dello sviluppo di una flora patogena. Inoltre, una dieta ricca di grassi può favorire lo sviluppo di un microbiota intestinale pro-infiammatorio,

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con conseguente aumento della permeabilità intestinale e, di conseguenza, dei livelli circolanti di lipopolisaccaridi. Il microbiota intestinale, essendo coinvolto principalmente nello sviluppo e nella crescita dell'immunità e nella regolazione di diverse vie metaboliche fondamentali, gioca, pertanto, un ruolo rilevante all'interno del nostro corpo. Alterazioni quantitative e / o qualitative del microbiota intestinale portano alla compromissione di questa omeostasi e, di conseguenza, allo sviluppo di diverse malattie come: malattie infettive intestinali, malattie infiammatorie intestinali, patologie epatiche, tumori gastrointestinali, obesità, sindrome metabolica e diabete mellito, malattie allergiche, autismo ed altre [3]. È molto importante, pertanto, comprendere i trigger e le vie di segnalazione che attivano queste condizioni infiammatorie croniche, ed in particolare, l’influenza della dieta di tipo occidentale sull’attivazione del sistema immunitario innato e sulla patogenesi della malattia. Le cause delle malattie infiammatorie croniche non trasmissibili rimangono non completamente comprese e i fattori di rischio che influenzano la loro comparsa sono complessi.

Un corpo crescente di prove scientifiche suggerisce che lo stile di vita occidentale inneschi processi infiammatori che sono collegati ai principali problemi di salute nelle nazioni occidentalizzate. Infatti, uno dei cambiamenti nello stile di vita che si è verificato negli ultimi decenni è un aumento del consumo di diete di tipo occidentale (WD) come “fast food”, prodotti pronti, snack e dolci zuccherati, bevande, ma tutti privi di fibre, vitamine e minerali. Con l’aumento del loro consumo si è verificato un concomitante incremento delle malattie associate alla WD [4].

Il consumo protratto nel tempo della WD può influenzare la fisiopatologia promuovendo l’aumento di peso, le alterazioni patologiche dei lipidi e le variazioni nel metabolismo energetico nonché l’attivazione del sistema immunitario. Ad oggi, è ben accetto che le risposte immunitarie tessuto- specifiche e sistemiche e la regolazione metabolica sono altamente integrate: il

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corretto funzionamento di ognuna dipende dall’altra. Questa interfaccia è considerata un meccanismo omeostatico centrale e l’omeostasi immuno- metabolica disturbata può portare ad una serie di disturbi metabolici cronici:

obesità, diabete mellito di tipo 2, malattie cardiovascolari, neurodegenerative e autoimmuni. Nel complesso, la combinazione dei diversi fattori di rischio noti che sono causati dai disturbi immuno-metabolici vengono riassunti sotto il nome di “sindrome metabolica”.

La WD è ricca di zuccheri raffinati, farina bianca, carni lavorate, sale, grassi animali purificati e additivi alimentari, ma contiene una bassa quantità di vitamine, fibre, minerali e altre molecole di origine vegetale come gli antiossidanti. Quindi, la WD presenta un alto contenuto di energia e un alto indice glicemico e ciò si traduce in un rapido aumento della glicemia (tabella 1) [5]. Tuttavia, il consumo della WD lo possiamo interpretare come alto contenuto calorico per brevi periodi, rapidi picchi di glucosio ed insulina nel plasma e un successivo assorbimento di nutrienti nel tessuto adiposo che è associato ad un rapido aumento di peso, a differenza di diete più equilibrate.

Tabella 1: nutrienti, infiammazione e malattie metaboliche.

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9 2. CENNI DI ANATOMIA E FISIOLOGIA

2.1 CENNI DI ANATOMIA E FISIOLOGIA DELL’INTESTINO [6]

L’intestino rappresenta l’ultima porzione dell’apparato digerente e viene comunemente suddiviso in intestino tenue e intestino crasso. L’apparato digerente permette nell’uomo l’assunzione del cibo, la masticazione e la digestione oltre che l’assorbimento di metaboliti, acqua e sali rendendoli utilizzabili per tutte le cellule dell’organismo. Ricopre anche la funzione di escrezione ovvero di eliminazione di cataboliti che, accumulandosi nell’organismo, risulterebbero tossici.

2.1.1 INTESTINO TENUE

Rappresenta quella parte del canale alimentare che si estende dallo stomaco all’intestino crasso; vi si svolgono le funzioni della digestione e dell’assorbimento. Si presenta in forma di tubo cilindrico esteso avente numerose introflessioni e occupa gran parte della cavità addominale discendendo anche nella piccola pelvi, per una lunghezza media di circa 7 metri con diametro variabile. Ha una capacità media di circa 6000 ml. Vi si distinguono, in seguito al comportamento del peritoneo e alla conseguente diversa mobilità che ne deriva, due parti principali: il duodeno o parte fissa e l’intestino tenue mesenteriale o parte mobile. Il tenue mesenteriale si divide a sua volta in digiuno e ileo. [7] I movimenti del tenue sono caratterizzati da “contrazioni di rimescolamento” e “contrazioni propulsive”. In presenza di chimo, il tenue si rigonfia per distensione dalla parete intestinale evoca, ad intervalli irregolari, delle contrazioni concentriche, circoscritte e distanziate lungo l’intestino, dando origine ad una serie di

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“segmentazioni”. Le contrazioni di segmentazioni tagliano il chimo 2-3 volte al minuto così da determinare un rimescolamento del materiale alimentare con le secrezioni dell’intestino tenue. La frequenza massimale delle contrazioni di segmentazione dell’intestino tenue viene stabilita dalle onde lente della parete intestinale. Il chimo, attraverso le onde peristaltiche, viene sospinto lungo il tenue in direzione arborale lentamente; di fatto ci vogliono circa 3-5 ore per il passaggio del chimo dal piloro alla valvola ileo-ciecale. Tuttavia, il ruolo delle onde peristaltiche, non è solo quello di trasportare il chimo verso la valvola ileo-ciecale, ma anche quello di avvicinarlo alla mucosa intestinale.

Le contrazioni peristaltiche, nel giro di pochi minuti, percorrono lunghe distanze spingendo il contenuto intestinale nel colon così da liberare l’intestino tenue dal chimo che contiene sostanze irritanti evitando così anche l’eccessiva distensione.

DUODENO

Il duodeno rappresenta la prima parte dell’intestino tenue, ha una lunghezza di circa 30 cm e con un calibro di 47mm. Origina dal canale pilorico dello stomaco e continua nel digiuno. Possiede una forma a “C” che abbraccia nella sua concavità la testa del pancreas. È un organo cavo e presenta una tonaca mucosa, sottomucosa, muscolare e sierosa. Si differenzia dal tenue per la situazione profonda, per la scarsa mobilità, per il calibro maggiore e per alcuni aspetti strutturali. Dalle varie direzioni delle diverse porzioni dell’ansa duodenale, possiamo distinguere quattro parti: superiore, discendente, orizzontale ed ascendente. Il duodeno riceve la bile dal coledoco e il succo pancreatico dal dotto di Wirsung che sfociano nella papilla maggiore duodenale, necessari per l’emulsione dei grassi (bile) e la digestione enzimatica del chimo (tripsina, amilasi e lipasi). Un’altra funzione fondamentale del duodeno è la neutralizzazione del chimo gastrico mediante la secrezione alcalina delle ghiandole del Brunner.

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Inoltre, il duodeno, attraverso gli ormoni secretina e colecistochinina rilasciati all’arrivo del chimo gastrico stimola il rilascio degli enzimi epatici e la secrezione di bile facilitando la digestione.

DIGIUNO E ILEO

È preceduto dal duodeno e seguito dall’ileo. Presentano una tonaca mucosa ricca di estroflessioni “villi intestinali” in cui le cellule epiteliali si organizzano in ulteriori microvilli aumentando notevolmente la superficie di assorbimento. I villi intestinali del digiuno sono più lunghi che nel duodeno o nell'ileo. L’epitelio specializzato permette l’assorbimento delle particelle nutritive precedentemente digerite dagli enzimi duodenali, oltre che il trasporto di sostanze nutritive come il fruttosio (trasporto passivo) e amminoacidi, piccoli peptidi, vitamine e gran parte del glucosio (trasporto attivo). Una volta assorbiti, i nutrienti (ad eccezione del grasso, che passa alla linfa) passano dagli enterociti nella circolazione enteroepatica e penetrano nel fegato attraverso la vena porta epatica.

2.1.2 INTESTINO CRASSO

Fa seguito al tenue. Inizia con una parte a fondo cieco, poco al di sotto dell’estremità inferiore dell’ileo, e termina aprendosi all’esterno tramite l’orifizio anale. Ha una lunghezza di 1,8 m e viene diviso in tre porzioni: intestino cieco, colon (ascendente, trasverso, discendente), sigma e retto. Ha la funzione di assorbire acqua ed elettroliti (1,5 Litri/die), vitamine (vitamina B, K, cobalamina, tiamina e riboflavina) e di compattare il materiale fecale e di contenerlo fino al momento di espulsione anale.

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12 2.2 SISTEMA IMMUNITARIO [8]

Il sistema immunitario assicura una sorveglianza costante del nostro organismo in relazione all’ambiente esterno, conferendo uno stato di salute equilibrato grazie all’eliminazione di agenti patogeni quali ad esempio batteri, virus, funghi e parassiti. Il sistema immunitario si è evoluto in modo da consentire agli organi e alle cellule di interagire con l’ambiente per proteggersi da agenti patogeni. Allo stesso tempo, il nostro organismo ha sviluppato dei meccanismi di tolleranza verso il naturale microbioma presente in esso, instaurando rapporti simbiotici.

Questi due sistemi in equilibrio tra di loro evitano lo sviluppo di una malattia.

La principale funzione del sistema immunitario è quella di discriminare tra “self”

e “non self”. Tutto ciò che viene registrato come “non self” potrà innescare una risposta immunitaria. L’agente estraneo o qualsiasi parte di esso che può essere riconosciuta specificatamente è chiamato antigene. Un antigene viene definito come qualsiasi sostanza che può essere riconosciuta dal sistema immunitario (le classi maggiori di antigeni comprendono lipidi, acidi nucleici e proteine). Se l’antigene è di elevata complessità e peso, esso diventa immunogeno. Per poter mantenere una protezione efficiente, è molto importante la capacità di riconoscere le cellule self dalle non self, se questa capacità viene persa e quindi ad esempio il tessuto self viene visto come estraneo, il sistema immunitario mette in atto una risposta molto aggressiva contro i nostri stessi tessuti; questo fenomeno coincide con l’autoimmunità, dove la distruzione del self coincide con una malattia clinica. L’omeostasi immunitaria è sotto il controllo di molteplici fattori: componenti genetiche e ambientali. Le linee di difesa sono organizzate in immunità innata o aspecifica e immunità acquisita o specifica.

L’immunità innata o aspecifica: è una difesa aspecifica perché non distingue un agente patogeno da un altro. Agisce in modo passivo grazie a barriere chimiche e fisiche e in modo attivo attraverso una risposta cellulare. La pelle è la prima

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barriera difensiva del corpo ed è passiva perché non implica alcuna azione delle nostre cellule, così come il sudore, la saliva e le lacrime. Inoltre, le parti del corpo comunicanti con l’esterno, come bocca e naso, sono protette da difese non specifiche. Se i microrganismi riescono a penetrare all’interno del corpo, entrano in gioco sistemi di difesa più complessi, aspecifici ma attivi. Uno di questi è la risposta infiammatoria, in cui viene liberata istamina e sono coinvolti i fagociti.

L’infiammazione può essere localizzata, nel caso di una ferita, o estesa (febbre).

Un altro meccanismo di difesa aspecifico attivo è rappresentato dalle proteine del complemento. Si tratta di un gruppo di proteine che si attivano in presenza di patogeni ed agiscono in sequenza con un meccanismo a cascata. Ogni proteina contribuisce a distruggere i microrganismi, seppur in modo diverso. Alcune provocano la rottura delle cellule microbiche, altre contrassegnano i patogeni rendendoli riconoscibili dai fagociti.

L’immunità acquisita o specifica rappresenta una linea di difesa specifica che si ottiene entrando in contatto con i patogeni. Essa consta di una complessa rete di cellule sparse in tutto il corpo. Questa difesa immunitaria opera principalmente grazie ai linfociti, che sono in grado di:

•riconoscere l’agente patogeno;

•sconfiggere il microrganismo attraverso gli anticorpi e particolari cellule;

•ricordare il contatto con il patogeno e mettere in atto una difesa più rapida se il contatto si ripete.

I linfociti circolano nel sangue e distinguono le cellule del nostro corpo (self) da quelle estranee (non self). Talvolta però potrebbero attaccare le cellule del corpo, scatenando una malattia autoimmune. I linfociti sono prodotti dal midollo osseo rosso e dal timo. Si localizzano negli organi linfatici (milza, tonsille, adenoidi, linfonodi e alcune parti dell’intestino), e si dividono in due tipi: linfociti B e T. I linfociti B, restano nel midollo osseo fino alla maturità, mentre i linfociti T, sono

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prodotti dal midollo osseo e maturano nel timo. Ciascun linfocita riconosce un agente estraneo grazie a recettori specifici, che si adattano agli antigeni esposti sui patogeni. I linfociti B determinano la risposta immunitaria primaria, generano due tipi di cellule: le plasmacellule e le cellule della memoria. Le plasmacellule producono anticorpi (o immunoglobuline) specifici in grado di legarsi all’antigene da neutralizzare (complesso antigene/anticorpo). Gli anticorpi sono riversati nel sangue e nella linfa, si parla per questo di immunità umorale.

Diversamente dalle plasmacellule, le cellule della memoria rimangono in vita decine di anni, mantengono il ricordo dell’antigene e consentono la risposta immunitaria secondaria. Invece, i linfociti T sono responsabili dell’immunità mediata da cellule. Essi si attivano solo se l’antigene presentato sulla superficie delle cellule è legato a speciali proteine dette proteine MHC. Si distinguono, inoltre, in linfociti T helper e T citotossici.

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3. COMPONENTI DELLA DIETA OCCIDENTALE ED INFIAMMAZIONE Recentemente, diversi studi su roditori e soggetti umani hanno stabilito che i modelli dietetici di tipo occidentale sono associati ad elevati livelli dei marcatori sierici di infiammazione, suggerendo, pertanto, che il sistema immunitario risponde alla WD direttamente o indirettamente [9]. Diversi componenti delle WD possono causare reazioni infiammatorie del sistema immunitario.

3.1 COLESTEROLO

Il colesterolo è un composto organico appartenente alla famiglia dei lipidi steroidei. Nel nostro organismo svolge diverse funzioni biologiche, importanti ed essenziali: è un componente delle membrane cellulari, di cui regola fluidità e permeabilità; è il precursore della vitamina D, dei sali biliari e degli ormoni steroidei, sia maschili che femminili (testosterone, progesterone, estradiolo, cortisolo ecc.). Tuttavia, nonostante questo ruolo biologico di primo piano, quando il colesterolo circola nel sangue in concentrazioni superiori alla norma si trasforma in un acerrimo nemico della nostra salute, rappresentando un fattore di rischio per numerose patologie umane. In particolare, numerosi studi sulla popolazione umana hanno stabilito la correlazione tra elevate quantità di colesterolo nel sangue e aterosclerosi [10]. Il colesterolo proveniente dai grassi animali è uno dei principali driver dell'infiammazione nel contesto dell'aterosclerosi [9] [11]. Esso viene tipicamente assorbito dalle cellule in modo controllato, poiché le cellule assorbono il colesterolo " su richiesta" sotto forma di LDL. Le cellule con basse quantità di colesterolo sovra-esprimono il recettore LDL (LDL-R), il quale cattura le LDL se esposto sulla superficie cellulare. Una volta che quantità sufficienti di LDL sono state incorporate dalle cellule, l'espressione di LDL-R viene sotto-regolata per evitare un carico eccessivo di colesterolo. Sebbene questo processo di feedback negativo autonomo dalle

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cellule limiti tipicamente l'assorbimento di quantità eccessive di LDL, un'altra forma di assorbimento di LDL può portare ad un eccesso di colesterolo all'interno delle cellule. Il consumo di diete ad alto contenuto di grassi e zuccheri, fumo, l’esposizione a tossine e all’inquinamento, i conservanti e lo stress prolungato inducono la formazione di radicali liberi, che possono evocare l'ossidazione di molecole come il colesterolo LDL. Le oxLDL sono più reattive con i tessuti circostanti. Dopo l'accumulo nelle placche aterosclerotiche, vengono assorbite dai macrofagi tramite i recettori scavenger (CD36, SR-A1, LOX-1 e LDL-R) e i TLR; questi percorsi di assorbimento non hanno gli stessi meccanismi di feedback che regolano la loro efficacia. Studi sui topi dimostrano che oxLDL può attivare direttamente i macrofagi e l'assorbimento aumentato e meno regolato di oxLDL può ulteriormente portare a una transizione di fase del colesterolo, da solubile alla sua forma cristallina [12] [12.1] [14]. Il colesterolo libero, cioè il colesterolo che non è immerso nelle membrane lipidiche o immagazzinato in una forma esterificata in goccioline lipidiche, è scarsamente solubile in soluzioni acquose. I cristalli di colesterolo vengono rilevati nelle lesioni aterosclerotiche dove si trovano sia a livello extracellulare che all'interno dei macrofagi. Da notare, vari studi sui topi hanno dimostrato che i cristalli di colesterolo, assorbiti dalla fagocitosi, portano alla rottura dei fagolisosomi e alla successiva traslocazione del contenuto proteolitico fagolisosomiale (cioè, catepsine ed efflusso di ioni di potassio) nel citosol. Il danno lisosomiale induce l'attivazione dell'inflammasoma NLRP3 mediante meccanismi ancora da definire, che si traduce nella produzione di IL-1b e nella promozione dell'infiammazione [13][13.1]. Allo stesso modo, è stato dimostrato che il colesterolo in eccesso consegnato tramite oxLDL ai macrofagi induce la formazione di cristalli di colesterolo nei lisosomi, che innesca il danno lisosomiale e, successivamente, provoca l'attivazione dell’inflammasoma NLRP3 [12][14]. Anche i cristalli di colesterolo possono attivare NLRP3 nei macrofagi umani [15] (Figura A).

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Nelle placche aterosclerotiche, i macrofagi possono assorbire quantità eccedenti di oxLDL e incorporare ulteriormente quantità eccessive di colesterolo tramite efferocitosi (il processo di consumo di cellule morenti). Questo processo può portare alla produzione di citochine infiammatorie tramite l'inflammasoma NLRP3 nei macrofagi sottoposti a piroptosi. Tuttavia, non tutte le cellule che entrano in contatto con LDL ossidate o cristalli di colesterolo attiveranno

Figura A

Figura A: rappresentazione schematica della metabolizzazione dell’eccesso di colesterolo con induzione di danni lisosomiali ed attivazione

dell’inflammasoma NLRP3 e piroptosi.

Figura B: Il colesterolo in eccesso può anche essere esterificato e immagazzinato come colesteril-esteri nelle goccioline lipidiche, che rappresentano una forma di stoccaggio del colesterolo. L'ossidazione del colesterolo porta agli ossisteroli che innescano i fattori di trascrizione LXR. LXR regola positivamente i geni coinvolti nell'efflusso del colesterolo, come la colesteril-estere idrolasi o i trasportatori del colesterolo (ABCA1, ABCG1). I fattori di trascrizione LXR sopprimono anche una serie di geni pro- infiammatori.

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l'inflammasoma NLRP3 e moriranno di morte cellulare piroptotica. Al contrario, nei macrofagi, dove non viene superata la capacità di metabolizzare il colesterolo ingorgato tramite LDL ossidato o assorbito come cristalli di colesterolo, possono essere mediati effetti antinfiammatori. Questo risultato alternativo dell'assorbimento di colesterolo in eccesso è mediato dall'induzione della famiglia dei fattori di trascrizione dei recettori X del fegato (LXR), che rileva i metaboliti del colesterolo come gli ossisteroli. Il colesterolo libero in eccesso può essere esterificato con acidi grassi che portano alla formazione di goccioline di lipidi, oppure può essere metabolizzato in 25 o 27 idrossicolesteroli (ligandi LXR naturali). A sua volta, l'attivazione di LXR porta all'induzione di geni essenziali per l'efflusso di colesterolo e può reprimere l'induzione genica proinfiammatoria [16] (Figura B). Si pensa che queste funzioni apparentemente opposte del colesterolo in eccesso attivino i rispettivi percorsi in modo dipendente dalla dose di colesterolo.

3.2 ACIDI GRASSI SATURI ED INSATURI

L'omeostasi delle cellule immunitarie può essere influenzata da un’altra classe di lipidi: gli acidi grassi saturi ed insaturi (FAs). Questi possono essere assunti con l’alimentazione (via esogena) o attraverso il metabolismo dei triacil gliceridi del tessuto epatico o adiposo (via endogena). Gli acidi grassi influenzano l'omeostasi e la funzione delle cellule immunitarie tramite il loro metabolismo o l’interazione con recettori specifici. I grassi di origine animale sono particolarmente ricchi di SFA come l'acido palmitico o stearico. Studi sui topi hanno rivelato che alte concentrazioni di SFA provocano effetti citotossici [17] e inducono lo stress del reticolo endoplasmatico che viene rilevato [18] dai macrofagi attraverso diversi meccanismi. Simile al colesterolo, il palmitato alimentare può attivare

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l'inflammasoma murino NLRP3, ma questa attivazione procede in modo diverso:

quantità elevate di acido palmitico inibiscono la protein chinasi attivata dall'adenosina monofosfato (AMPK) e portano alla generazione di specie reattive dell'ossigeno mitocondriale, che potenzialmente innesca l'attivazione di NLRP3 [19]. È stato inizialmente ipotizzato che gli SFA possano innescare direttamente l'attivazione del TLR4. In linea con questo, il deficit di TLR4 protegge i topi dall'infiammazione indotta dagli SFA [20] [20.1] e dall'aterosclerosi. Prove recenti, tuttavia, argomentano contro una funzione diretta di TLR4 come recettore SFA. Invece, si ritiene che TLR4 funzioni nell'innescare i macrofagi murini per rispondere agli SFA attraverso alterazioni nel metabolismo cellulare (attivazione JNK indotta da stress del reticolo endoplasmatico), espressione genica e vie metaboliche lipidiche a valle della segnalazione TLR e, successivamente, alterazioni nella composizione della membrana lipidica. I cambiamenti indotti dalla dieta nella composizione del microbiota e nella produzione di metaboliti microbici, l’alterata permeabilità intestinale e l'efflusso di metaboliti tossici nella periferia inducono "endotossiemia metabolica", che potenzialmente innesca l'attivazione di TLR4. In conclusione, gli SFA forniscono un secondo colpo di attivazione che dipende dalla precedente attivazione di TLR4 [21].

Oltre ai lipidi, è stato visto che anche i derivati della carne rossa, delle uova e dei latticini sono coinvolti nello sviluppo delle malattie cardiovascolari collegando il loro consumo ad un aumento del rischio di malattia [22]. La L-carnitina e la fosfatidilcolina dietetiche vengono convertite in TMAO, che è un prodotto metabolico che promuove la trombosi e l’aterosclerosi attraverso un processo di due fasi dipendente dal microbiota intestinale che include la fermentazione microbica in anaerobiosi e l’ossidazione enzimatica per via epatica che porta alla FMO [23]. Il TMAO è coinvolto nell'induzione delle cellule schiumose infiammatorie dei macrofagi e dell'iperreattività piastrinica, contribuendo così ad aumentare il rischio di CVD. Le cellule della schiuma sono macrofagi carichi di

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grasso contenenti colesterolo LDL. La formazione di cellule schiumose è innescata da una serie di fattori tra cui l'assunzione incontrollata di colesterolo LDL modificato, la successiva sovraregolazione dell'esterificazione del colesterolo e la compromissione dei meccanismi associati al rilascio di colesterolo. La formazione di cellule schiumose è fortemente legata allo sviluppo di CVD.

Quindi, il WD contiene sia i trigger diretti per le risposte infiammatorie e sia induce i trigger indiretti tramite alterazioni del microbioma intestinale.

Presumibilmente, si prevede che esistano molte più sostanze bioattive legate ai WD ancora da scoprire e probabilmente, la dieta occidentale contiene molteplici molecole che possono essere riconosciute direttamente dai recettori attivando le risposte immunitarie. In contrasto con WD è stato visto che le diete tradizionali contengono una quantità sostanziale di ingredienti naturali, che non sono trasformati, così come nel modello della dieta mediterranea che si basa sostanzialmente sul consumo di cereali, verdura, pesce, noci, legumi, frutta e uso dell’olio di oliva come grasso culinario centrale [24] [24.1] [26]. Vari studi effettuati sull’uomo, hanno dimostrato che l’uso di una corretta alimentazione come nel modello della dieta mediterranea, è associato ad una riduzione del rischio metabolico e cardiovascolare, tra cui infarto del miocardio o ictus, fino al 30%. [25]. È interessante notare che il consumo di una dieta mediterranea è correlato anche in modo negativo con i marker sierici di infiammazione. Di fatto gli acidi grassi insaturi sono importanti costituenti di questa dieta e sono legati ad un fenotipo antinfiammatorio; queste molecole vengono classificate in base alla posizione del primo legame insaturo all’estremità della catena di carbonio (omega-3, omega-6, e omega-9). I mammiferi possono produrre omega-9 FAs ma dipendono dall'acquisizione di omega-3 e omega-6 FAs da fonti alimentari [26].

L'acido oleico, che è un omega-9 FA monoinsaturo, rappresenta la forma più abbondante nell'olio d'oliva. Sebbene esistano effetti auto-protettivi e

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antiinfiammatori dell'olio d'oliva, un possibile effetto benefico dei MUFA rimane oggetto di dibattito [27]. Anche altre molecole secondarie come ad esempio i polifenoli, sono state testate in studi umani per spiegare gli effetti protettivi dell'olio d'oliva sulle malattie metaboliche. Tuttavia, l'acido oleico abbassa la pressione sanguigna ma non influenza i marcatori infiammatori [28]. Alcuni studi in vitro, hanno evidenziato che sono i MUFA a smorzare gli effetti deleteri di SFAs promuovendo la loro incorporazione in gliceridi triacilici [29] [29.1] o la loro degradazione tramite b-ossidazione [30]. Inoltre, l'oleato diminuisce lo stress ER indotto dal palmitato e l’apoptosi in cellule THP-1 e macrofagi umani [31], limitando potenzialmente l'infiammazione indotta dal palmitato, che è un’infiammazione nel contesto delle malattie metaboliche. La sostituzione di SFA con MUFA in un modello di topo trattato con una dieta ad alto contenuto di grassi ha diminuito l’attivazione dell’inflammasoma di NLRP3; tuttavia, questo dipende dal fatto che gli effetti fossero esplicitamente dipendenti dai MUFA o dovuti alla diminuzione degli SFA nella dieta [32]. Mentre il ruolo dei MUFA sulla malattia metabolica e l'attivazione immunitaria rimane poco chiaro, gli omega-3 FAs (a catena lunga FAs) trovati nel pesce, nelle noci, o negli oli di semi, hanno effetti benefici sulla malattia metabolica sia nei topi che nei soggetti umani.

Gli omega-3 FAs regolano la secrezione ormonale dal tratto digestivo attraverso il legame con il recettore 120 accoppiato alla proteina G (GPR120). Il GLP-1 prodotto dall'intestino dopo l'attivazione del GPR120 contribuisce al rilascio di insulina dal pancreas [33], e diminuisce la secrezione di grelina gastrica, un ormone coinvolto nella regolazione dell'appetito e dell'equilibrio energetico [34].

Gli Omega-3 FAs sono quindi cruciali nel controllo della produzione di ormoni in risposta all'assunzione di cibo e sono antinfiammatori attraverso il meccanismo dipendente o indipendente da GPR120. L’attivazione di GPR120 sui macrofagi murini inibisce la segnalazione di TLR2, TLR4 e del TNFR, e quindi gli omega-3 FAs possono regolare direttamente le risposte infiammatorie [35].

Inoltre, EPA e DHA sono substrati per resolvina, maresina e biosintesi protettiva,

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che rappresentano potenti molecole antinfiammatorie con funzioni chiave nella cessazione delle reazioni infiammatorie [36].

3.3 LE FIBRE

Le fibre sono una componente delle diete benefiche e si trovano abbondantemente nella verdura, nella frutta, nei legumi e nei cereali integrali. Le fibre nel cibo hanno il ruolo di abbassarne l’indice glicemico così da rallentare l’assorbimento dei carboidrati e impediscono l’assorbimento di lipidi e colesterolo [37]. È ben noto che le fibre come parti non digeribili di frutta, verdura e cereali sono un’importante fonte di energia per i batteri che attraverso la fermentazione portano alla produzione di FAs a catena corta detti SCFAs come nutrienti essenziali per l’uomo, tra cui i più importanti sono: l'acetato, il propionato e il butirrato. Sebbene la maggior parte degli studi sia stata eseguita su modelli di animali in vivo, ci sono le prime prove che indicano che l'assunzione di fibre può anche migliorare la patologia in vari organi negli esseri umani. È stato visto che una dieta ad alto contenuto di fibre favorisce la diversità microbica e la produzione di SCFA ed impedisce la fermentazione di substrati meno favorevoli come le proteine e gli aminoacidi, con conseguente riduzione del rischio di cancro colon-rettale e della malattia di Crohn. [38] [39] Inoltre, gli SCFA vengono assorbiti e distribuiti sistematicamente attraverso la circolazione sanguigna e quindi possono anche prevenire patologie al di fuori dell'intestino. I pazienti che soffrono di asma o di fibrosi cistica presentano una ridotta diversità microbica nell'intestino che porta ad un passaggio dalla produzione di SCFA al metabolismo dei lipidi, degli aminoacidi e dei carboidrati [40][41]. È stato dimostrato che una dieta a lungo termine ricca di fibre può migliorare la funzione polmonare ed abbassare il rischio di BPCO [42] [43]. Inoltre, le persone che seguono una dieta mediterranea (con assunzione di circa 30 g fibra / giorno) hanno un rischio inferiore per il diabete di tipo 2 e pazienti a rischio di malattie

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cardiovascolari mostrano una minore incidenza di eventi, evidenziando gli effetti benefici delle fibre sulla sindrome metabolica [44] [45]. Meccanicamente, diete ad alto contenuto di fibre possono influenzare malattie immunomediate, ad esempio, attraverso l'impatto degli SCFA sulla segnalazione attraverso i recettori accoppiati alle proteine G (GPR), vale a dire GPR41, GPR43 e GPR109A [46], che sono altamente espressi in una varietà di tessuti tra cui le cellule immunitarie di derivazione mieloide. Inoltre, l'acetato e il butirrato, due SCFA comuni, mostrano la capacità di inibire l'attività dell’HDAC [47] influenzando ampiamente la struttura della cromatina e lo stato epigenetico della cellula. Sono necessari ulteriori studi su animali in vivo e studi umani per valutare il contributo delle modifiche epigenetiche alla funzione delle cellule immunitarie, anche se un corpo significativo di lavoro suggerisce che l'inibizione di HDAC nelle cellule epiteliali è fondamentale per la funzione di barriera e per influenzare la risposta immunitaria [48]. Questo evidenzia il potenziale delle fibre come uno strumento importante per la prevenzione delle malattie [49]. Vari studi hanno dimostrato che l’attivazione da parte degli SCFAs di GPR41, 43 e 109a che sono espresse sulle cellule epiteliali murine promuove l’infiammazione mentre, nelle cellule dendritiche umane primarie inibisce la secrezione di citochine così come fanno i macrofagi della lamina propria murina con l’inibizione di HDAC [50][50.1].

Inoltre, la segnalazione da parte di SCFA attraverso le cellule dendritiche intestinali di topo, può inibire la differenziazione delle cellule Th1 ma promuove la differenziazione delle cellule T ingenue in cellule Treg. Allo stesso modo, gli SCFA promuove la differenziazione delle cellule Treg e mantiene l’omeostasi delle cellule B intestinali [51]. La sfida in futuro sarà quella di integrare le fibre nelle nostre diete e gli sforzi dovrebbero essere intrapresi per educare i bambini (e gli adulti) a raggiungere almeno l'assunzione raccomandata di 25-31 g di fibre al giorno o anche più (Tabella 2). Tuttavia, devono essere realizzati anche approcci personalizzati in quanto fare un discorso generalizzato per tutti non è corretto e, in presenza di alcune malattie di base (ad esempio malattie

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infiammatorie intestinali) e di un rapido aumento del contenuto di fibre nella dieta, potrebbero verificarsi degli effetti collaterali indesiderati come diarrea, flatulenza, costipazione e mal di stomaco.

3.4 LE VITAMINE

Le vitamine sono componenti essenziali per la salute dell’uomo e di altri vertebrati. Non possono essere sintetizzate da questi organismi e quindi devono essere assunte con la dieta. Sono state individuate due classi generali di vitamine:

vitamine liposolubili e vitamine idrosolubili. Le vitamine liposolubili vengono ulteriormente suddivise in vitamine del gruppo A, D, E, e K tra cui la D e la A sono precursori ormonali [52]. La vitamina A e la vitamina D svolgono ruoli chiave nella regolazione dell'omeostasi gastrointestinale. L'acido retinoico, un metabolita della vitamina A, media alcuni degli effetti. Attraverso una serie di studi preclinici ed umani, è stato dimostrato che le vitamine liposolubili influenzano la composizione della barriera mucosa, l'integrità epiteliale, il sistema immunitario innato, il sistema immunitario adattativo e il microbiota intestinale. I recettori della vitamina A e della vitamina D sono espressi sia a livello delle cellule epiteliali e sia a livello delle cellule del tratto gastrointestinale.

La carenza di vitamina A o D negli animali riduce la diversità microbica e aumenta la presenza di commensali del phylum Proteobacteria che sono potenzialmente patogeni in pazienti con IBD [53] [54]. I diversi studi effettuati

Tabella 2: Guida dell'Istituto di Medicina sull'assunzione di grassi e fibre.

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hanno mostrato che le vitamine influenzano l’epitelio intestinale. Studi in vitro mostrano che la vitamina A e la vitamina D sono coinvolte nella regolazione della funzione di barriera intestinale modificando l’espressione delle molecole delle giunzioni strette, di fatto le linee cellulari epiteliali intestinali trattate con vitamina A e vitamina D hanno mostrato un aumento della TEER che è associato ad un up-regulation di ZO-1, occludina e claudine [55] [56]. Le vitamine possono modulare anche le risposte immunitarie a diversi livelli. Ad esempio. l'acido retinoico è in grado di aumentare l'espressione dei recettori gut-homing sulle cellule T come α4β7 e CCR9 [57], mentre la vitamina D riduce il processo di gut- homing delle cellule T nell'intestino diminuendo l'espressione di α4β7 e l'espressione di CCR9 [58]. Entrambe le vitamine sono in grado di inibire la produzione di IFN-γ dalle cellule T in vitro [59] e di inibire le cellule Th17 in vitro e in vivo. L'acido retinoico e la vitamina D possono indurre la FoxP3 e la produzione di IL-10 in vitro [60]. Infatti, nei bambini carenti di vitamina A, l'integrazione di vitamina A può migliorare la funzione di barriera intestinale [61]. Mentre, il trattamento con 2000 UI/giorno di vitamina D può migliorare la permeabilità cellulare dell'intestino tenue e del colon e, inoltre, riduce i livelli plasmatici di CRP in pazienti con IBD [62].

Tabella 3: esempi di vitamine liposolubili ed idrosolubili.

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4. INDUZIONE DELL’INFIAMMAZIONE DA PARTE DEGLI ALIMENTI

Il tratto intestinale è un sistema complesso che richiede barriere e continui meccanismi di regolazione utili a preservare le interazioni simbiotiche “ospite- microbo”, l’omeostasi tissutale, l’omeostasi immunitaria e la fisiologia umana in generale. Le unità batteriche che troviamo appartengono a quattro phyla principali e sono: Firmicutes, Bacteroides, Proteobacteria e Acrinobacteria; di cui Fiurmicutes e Bacteroides rappresentano circa il 90% e il valore del rapporto tra queste componenti facilita e promuove uno stato di disbiosi1 che può essere correlato non soltanto a problemi dell’apparato digerente ma anche, ad esempio, a diabete e obesità, patologie cardiovascolari, Alzheimer, dermatite, Parkinson o anche a malattie sistemiche [63]. La composizione microbica complessiva cambia costantemente in risposta al variare dei fattori ambientali, e, pertanto, il microbiota rispondendo ai fattori esterni influenza l’omeostasi dell’ospite. Il microbiota intestinale risente dell’influenza di diete, età, sesso, peso corporeo, fumo e consumo dell’alcool, interventi medici, storia medica, esposizione allo stress, sonno e condizioni socioeconomiche. Di fatto, un microbioma intestinale squilibrato può causare un disturbo all’integrità della barriera e quindi si può avere l’induzione dei processi infiammatori sistemici [64]. In particolare, il microbiota intestinale risente dell’alimentazione: da studi emerge che la WD nei topi porta a disbiosi. La disbiosi, che nel tratto gastrointestinale è tipicamente il risultato di cambiamenti nella dieta, nei farmaci o elevate quantità di stress, è definita dalla crescita di patogeni e da riduzione o perdita completa di batteri commensali. Di conseguenza, il microbiota disbiotico va ad influenzare il sistema immunitario dell’ospite con molteplici meccanismi tra cui l’inflammasoma NLRP6 e TLRs, che è accompagnato da una ridotta produzione di AMP e da

1 DISBIOSI termine usato per indicare uno squilibrio microbico o disadattivo su o all’interno del corpo, come il microbioma alterato.

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rilascio di muco nel lume, la degradazione di IgA secrete e la perdita selettiva di Tregs che sono i produttori di IL-10 [65]. Questi fattori, a loro volta, portano alla perdita dell'integrità della barriera e quindi alla perdita dell'omeostasi delle cellule immunitarie intestinali, che è associata allo sviluppo di malattie metaboliche così come l'autoimmunità e la sensibilizzazione alle allergie [66]

Inoltre, la tolleranza ridotta da parte della mucosa favorisce le malattie infiammatorie immunomediate come le IBD. L'influenza della dieta sull’infiammazione è stata osservata anche in una serie di studi epidemiologici e osservazionali. L'aumento dell'assunzione di carne e grassi animali (cioè, SFA e omega-6 FA) e il minor consumo di verdure e frutta sono associate ad alterazioni del microbioma intestinale, all'infiammazione della mucosa e all'aumento del rischio di sviluppo delle IBD. I pazienti con IBD presentano una risposta immunitaria squilibrata con alta espressione di marcatori infiammatori, con conseguente risposte immunitarie mucosali potenziate e incontrollate [67]. Gli esperimenti sui topi hanno rivelato che l'integrazione nella dieta di vitamine A o D, o di fibre migliora l'infiammazione intestinale, in quanto modula il fenotipo delle cellule Th CD4+ e ripristina il pool di batteri produttori di SCFA [68]. La WD può contribuire anche allo sviluppo di asma che è caratterizzata dall’infiammazione cronica della mucosa. Studi effettuati su modelli di topo hanno dimostrato che l'alimentazione di commensali intestinali porta alla riduzione dei sintomi dell'allergia e allo sviluppo dell'asma cronica inducendo le cellule Treg, che migrano al polmone e inducono la tolleranza immunitaria.

Beyaz e colleghi hanno dimostrato che la WD non solo influenza l’omeostasi immunitaria intestinale e la colonizzazione microbica, ma ha anche un impatto sulle cellule staminali intestinali (ISC) e sulla crescita delle cellule progenitrici [69].

Il disaccoppiamento delle cellule staminali intestinali indotto dalla WD dalle cellule di Paneth e l'espansione incontrollata in una segnalazione PPAR-d e b-

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catenina porta alla disregolazione dei geni che sono coinvolti nella tumorogenesis intestinale precoce. Inoltre, l'iperglicemia interrompe la permeabilità della barriera intestinale attraverso una riprogrammazione trascrizionale GLUT2-dipendente delle cellule epiteliali intestinali e la perdita di integrità della giunzione stretta. Di conseguenza, questo permette un afflusso di metaboliti microbici che induce l'endotossemia metabolica [70]. La Disbiosi microbica può essere associata all’età e questa aumenta la permeabilità intestinale, l’infiammazione sistemica e la disfunzione dei macrofagi. È interessante notare come, in condizioni in cui i topi sono “germ free”, non viene rilevato un aumento di mediatori infiammatori (IL-6 e TNF) legato all’età, e i macrofagi mantengono la loro funzionalità antimicrobica. Il TNF è uno dei principali driver infiammatori, in quanto è stato visto che i topi privi di TNF sono protetti da infiammazione sistemica associata all’età. Secondo alcuni studi, i topi germ free (gnotobiotici), alimentati con WD, mostrerebbero una ridotta infiammazione, un aumento di peso e adiposità se non vengono ricolonizzati con i batteri, il che riflette il forte impatto del microbioma nello sviluppo di malattie metaboliche [71].

Pertanto, il microbioma intestinale è l'interfaccia tra l'ospite e fattori nutrizionali- infiammatori. Diete occidentalizzate possono qualitativamente e quantitativamente modificare il microbioma intestinale influendo negativamente sul sistema immunitario dell'ospite e contribuendo allo sviluppo di malattie infiammatorie croniche.

La disbiosi può essere indotta dalla dieta e ciò può influenzare l’infiammazione sistemica, la funzionalità dei tessuti e il metabolismo del corpo che insieme possono avere un impatto su cervello e su più organi metabolici quali: tessuto adiposo, isole pancreatiche, muscoli e fegato.

Ad esempio, l’omeostasi intestinale se disturbata, influenza la glicemia, va ad abbassare le quantità di ormoni intestinali (GLP-1 e peptide YY) favorendo l’LPS

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e i metaboliti microbici e quindi produce uno stato di infiammazione sistemica [72].

4.1 TESSUTO ADIPOSO

Il tessuto adiposo è l’organo metabolico primario utile per l’immagazzinamento dell’energia sotto forma di gliceridi triaciclici. Il tessuto adiposo, in caso di richiesta di energia fa si che gli adipociti possano rilasciare i FAs così da alimentare gli organi periferici che necessitano di energia. Al contrario, quando c’è un eccesso di nutrienti, gli adipociti proliferano e aumentano di dimensione favorendo l’obesità [73]. La capacità degli adipociti però è limitata, quindi se la riserva di energia in forma di triacil gliceridi è eccessiva, può indurre la morte dei tessuti adiposi e quindi una perdita di omeostasi. I vari segni di un’alterata omeostasi sono: sviluppo di insulina-resistenza, alterato assorbimento del glucosio, passaggio dalla lipogenesi alla lipolisi, aumento della secrezione dei grassi ed infiammazione [74]. Sia l’accumulo di lipidi ectopici, che l’accumulo di gliceridi triaciclici e intermedi biosintetici, possono avere degli effetti deleteri sui vari organi metabolici, ma possono anche contribuire alla progressione del T2DM e delle malattie metaboliche [75]. Molteplici trigger possono mediare l'infiammazione del tessuto adiposo, compresi i vari segnali di stress derivati dagli adipociti, i grassi ed i prodotti microbici che derivano dalla disbiosi e dall'aumento della permeabilità intestinale. Una fuoriuscita di FAs e di citochine che poi arrivano alla circolazione, contribuiscono allo stress ossidativo sistemico e allo sviluppo di malattie metaboliche. Quando le citochine infiammatorie vengono rilasciate inducono un'upregulation di NADPH, ossido nitrico sintasi (NOS) e mieloperossidasi (MPO). Tutto ciò contribuisce alla perossidazione lipidica, a danni al DNA e alle proteine che può provocare insulino-resistenza, disfunzione delle cellule beta del pancreas, aumento delle concentrazioni

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plasmatiche di glucosio e complicazioni micro e macrovascolari associate al diabete [76].

4.2 FEGATO

Le cellule epatiche immunitarie integrano le informazioni immunitarie intestinali essendo fegato ed intestino collegati dal sistema portale, e pertanto, la disbiosi può influenzare il loro funzionamento. Esistono due tipi di cellule macrofaghe epatiche: le cellule di Kupffer epatiche (residenti nel tessuto) e macrofagi epatici che derivano dai monociti infiltrati nel tessuto. Le cellule di Kupffer sorvegliano il tessuto continuamente e hanno notevoli funzioni nel limitare l’infiammazione [77]. Le KC hanno varie funzioni, producono citochine antiinfiammatorie, fagocitano ed eliminano i batteri che attraversano la barriera intestinale, contribuiscono al mantenimento della sensibilità all’insulina, al controllo della lipolisi e influenzano il dispendio energetico. In caso di iperlipidemia o ipercolesterolemia o perdita di integrità della barriera, casi indotti da WD, si induce un flusso maggiore di attivatori immunitari innati di derivazione microbica e di lipidi alimentari modificati attraverso la vena porta che arrivano al fegato. Questa disfunzione provoca l'attivazione di KC e il rilascio dei fattori pro-infiammatori. Di conseguenza, si mette in moto una risposta infiammatoria che porta al reclutamento di monociti infiammatori derivati dal midollo osseo CCR2+ che sono monociti infiammatori, neutrofili e cellule del sistema immunitario adattativo. L'attivazione dei sottogruppi di cellule immunitarie attratte può quindi diffondere ulteriormente l'infiammazione, che può disturbare la funzione epatica attraverso l'attivazione delle cellule stellate, l'aumento del rilascio di collagene e formazione di fibrosi epatica [78].

Studi sui topi hanno dimostrato che la segnalazione infiammatoria epatica induce la produzione e il rilascio sistemico di proteine in fase acuta compresa la

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PCR, siero amiloide A (SAA) e S100A8/A9 che però a loro volta hanno effetti sistemici pleiotropici inclusa la differenziazione dei progenitori mieloidi ematopoietici. Quindi, sia la dieta che la disbiosi possono avere effetti locali o sistemici sull’infiammazione. Di fatto, l’infiammazione cronica epatica indotta dalla dieta, e che è associata allo sviluppo di NAFLD e NASH, che colpisce ulteriormente il metabolismo dell’intero corpo, porta all’infiammazione sistemica ed aumenta la suscettibilità alla sepsi [79]. La steatosi epatica indotta dall’obesità può anche aumentare il flusso di FA sintasi derivato dagli adipociti (Fas) e i lipidi alimentari, che attiva la lipogenesi epatica ed inibisce l’ossidazione di FA. Da notare che dai vari esperimenti effettuati su topi è scoperto che il TNF potenzia questi effetti e aumenta l'attività lipogenica degli epatociti e la biosintesi delle ceramidi, che stabilisce un ciclo positivo di feed-forward che favorisce la resistenza all'insulina [80]. Inoltre, il WD va a cambiare la ceramide sistemica e il metabolismo degli sfingolipidi con un’elevata concentrazione circolante di lattosilceramide che porta a cambiamenti metabolici che a loro volta inducono un ulteriore infiltrazione di neutrofili nel derma che è associata all’aumento dell’infiammazione cutanea, legata all’obesità. Altri esperimenti hanno dimostrato come dopo la delezione di varie chinasi indotte da TNF quali IKKb, JNK e la proteina chinasi C atipica, hanno migliorato l’infiammazione epatica e la resistenza all’insulina [81]. Quindi, in condizioni omeostatiche, le KC residenti nei tessuti evitano la diffusione dei commensali e sono essenziali per la normale funzione dei tessuti. Però se sono sotto l'influenza dannosa dei WD infiammatori, le KC contribuiscono all'infiammazione sistemica e allo sviluppo delle malattie epatiche.

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32 4.3 SISTEMA NERVOSO CENTRALE

Il microbioma intestinale quando è modificato dalla WD ha effetti anche sul sistema nervoso centrale che controlla l’appetito e la segnalazione cibo- ricompensa che sono tratti essenziali per l’omeostasi dei tessuti in generale. La WD influenza le concentrazioni di vari metaboliti bioattivi (tra cui SCFA, g- GABA e 5-HT) che sono fermentati dai batteri commensali e queste sostanze agiscono sul SNC attraverso le vie di segnalazione dirette ed indirette. I vari recettori delle cellule enteroendocrine intestinali rilevano i metaboliti e portano alla produzione e al rilascio di ormoni intestinali quali GLP-1, PYY, colecistochinina, leptina e grelina che insieme ad altri agiscono mediante meccanismi sistemici immuno-neuroendocrini. I processi immuno-metabolici locali che vengono alterati dalla disbiosi indotta dalla WD, sono responsabili di un controllo alterato dell’appetito e di un’alterata segnalazione di ricompensa alimentare al SNC [82]. Tuttavia, il SNC interagisce attivamente con il sistema nervoso periferico che è esposto ad infiammazioni aberranti che sono associate a malattie metaboliche. Vari studi su topo hanno evidenziato che i processi infiammatori sono associati a funzioni celebrali alterate che portano ad un declino cognitivo e ad una riduzione della memoria spaziale che ha dimostrato di innescare depressione e ansia [83]. Un’altra connessione tra SNC e sistema immunitario è la milza; per esempio, la milza di topi con diabete di tipo 1 e 2 in stato di iperglicemia, mostrano un elevato numero di GMP e un numero elevato di cellule mieloidi infiammatorie. È stato visto inoltre nelle milze di questi topi un elevato tono neurale simpatico che si traduce in un’elevata produzione di catecolammine non solo da parte del sistema nervoso simpatico, ma anche dai leucociti splenici che esprimono la TH e che sono coinvolti anche nella comunicazione neuro-immunitaria. La segnalazione delle catecolammine e la successiva differenziazione delle GMP funzionano grazie alla via di segnalazione del recettore b2-adrenergico che provoca la mielopoiesi splenica [84]. Inoltre, i

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topi che hanno i recettori delle lipoproteine a bassa densità (LDLR) che vengono alimentati con la WD mostrano un aumento del trasporto della barriera ematoencefalica (BBB), associato con la microglia attivata e la neuro- infiammazione. L’aumento dell’assorbimento del glucosio da parte della barriera ematoencefalica, successivamente, altera il ciclo dell’acido tricarbossilico nel cervello insieme ad un accumulo di intermedi della ẞ-ossidazione, amminoacidi e mediatori lipidici pro-infiammatori, che nel complesso vanno a disturbare il metabolismo del cervello e la funzione cognitiva [85]. Studi recenti hanno illustrato come l’ambiente intestinale alterato è coinvolto nell’insorgenza e nella progressione della sclerosi multipla (SM) [86]. La disbiosi microbica indotta dalla WD, la rottura della barriera ematoencefalica e il trasferimento dei componenti patogeni, come ad esempio il peptidoglicano, della parete cellulare batterica nel cervello possono indurre l’attivazione di: microglia, riduzione del numero di cellule Treg ed una infiltrazione di cellule Th17. È stato visto che in topi trattati con antibiotico o topi privi di germi, è compromesso lo sviluppo dell’encefalomielite autoimmune sperimentale (EAE) in quanto si verifica un aumento del numero delle cellule Treg e delle cellule B regolatrici nei linfonoidi mesenterici e cervicali e di un ambiente antinfiammatorio generale. Per ridurre i sintomi dell’encefalomielite autoimmune sperimentale sono efficaci diete a basso contenuto di grassi, zinco, aspartato e vitamine A e D e diete con SCFA in quanto vanno ad attenuare la risposta e la reattività delle cellule T e B [87]. Si può concludere dicendo che l’infiammazione indotta dalla WD che induce una disbiosi microbica è di rilevanza traslazionale in quanto l’analisi del metaboloma2 del siero mette in evidenza fenotipi clinicamente rilevanti quali obesità, sindrome metabolica, disturbi autoimmuni, sensibilizzazione ad allergie e ad alcuni tipi di cancro.

2 METABOLOMA è l’insieme di tutti i metaboliti in grado di partecipare a tutti i processi di un organismo biologico

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34 5. CONCLUSIONI

È sempre più evidente come le associazioni tra dieta ed immunità abbiano alla base interazioni molecolari tra le molecole presenti nella dieta o quelle generate dal microbioma e i recettori che sono espressi sulle cellule dell’ospite. La dieta può essere scomposta in sostanze farmacologicamente attive e la somma delle interazioni con i recettori dell’ospite può mantenere l’omeostasi oppure può indurre un’infiammazione cronica. Ad esempio, molte piante che vengono utilizzate come nutraceutici3 contengono antiossidanti, sostanze fitochimiche, fibre, vitamine e minerali e di fatto queste esercitano effetti benefici per la salute grazie alle loro proprietà di riduzione dei lipidi, proprietà antinfiammatorie e proprietà protettive del cancro attraverso la modulazione del metabolismo e dell’epigenetica [88]. Ci sono varie sostanze che possono essere utilizzate con effetti antinfiammatori ed antiossidanti come, ad esempio, il Celastrol che è un composto pentaciclotriterpenoide che può aumentare la sensibilità alla leptina e quindi ridurre il peso corporeo fino al 45% oppure il Chitosano che è una fibra alimentare presente nei crostacei e nei funghi, in grado di ridurre le concentrazioni di lipidi e colesterolo nel sangue in quanto si lega ai grassi alimentari ed inibisce così il loro assorbimento. Anche le sostanze fitochimiche, tra cui polifenoli e fibre alimentari, possono ridurre le concentrazioni di lipidi e colesterolo in quanto sono in grado di legarsi agli acidi biliari. Inoltre, le sostanze fitochimiche possono proteggere le cellule b del pancreas dallo stress ossidativo e possono inibire ulteriormente il rilascio delle citochine pro-infiammatorie IL-6, TNF e IL-1b [89]. Gli SCFA oltre ad avere proprietà immunomodulanti, possono contribuire in maniera benefica nel metabolismo energetico. Gli SCFA, con la segnalazione attraverso i recettori accoppiati alle proteine G (GPR) inducono il rilascio degli ormoni legati all’intestino che sono GLP-1, PYY e CKK che possono

3 NUTRACEUTICI sono sostanze di origine naturale in grado di svolgere una funzione benefica sull’organismo

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influenzare in maniera positiva il peso corporeo, l’omeostasi del glucosio, la sensibilità dell’insulina, la regolazione dell’appetito, la funzione mitocondriale e l’attivazione della segnalazione AMPK epatica e muscolare. Tuttavia, i nutraceutici hanno funzioni biologiche documentate sul sistema immunitario e sui sistemi ormonali, ma l’efficacia, la sicurezza e il meccanismo d’azione sono ancora oggi oggetto di studio [90]. Ci sono vari trattamenti che possono essere attuati per migliorare le condizioni del paziente e una combinazione sinergica di vari rimedi vegetali o farmaceutici può avere effetti superiori rispetto ad un singolo trattamento che varia in base alle condizioni del paziente. Oltre che a ad un cambiamento di stile di vita che include uno stile di alimentazione più sano o lo svolgimento dell’attività fisica più regolare, gli interventi farmaceutici possono avere un impatto positivo sulla prevenzione della malattia. Ad esempio, il trattamento con statine, che sono in grado di abbassare il colesterolo, rimane un trattamento consolidato per la prevenzione delle malattie cardiovascolari. Un altro metodo che è stato approvato è il trattamento dell’iperlipoproteinemia con l’uso di anticorpi terapeutici contro la PCSK9 in grado di andare a ridurre notevolmente le concentrazioni di colesterolo [91].

L’impatto dei processi infiammatori che accompagna l’induzione e la progressione delle malattie metaboliche è stato dimostrato in diversi studi che utilizzano modelli di animali genetici di tipo “gain of function” e “loss of function” e con interventi di tipo farmacologico attraverso l’uso di antinfiammatori. Vari studi dimostrano come la somministrazione di anticorpi IL-6 o anti-TNF sono efficaci in modelli di topo malati di diabete mellito di tipo 2 e artrite reumatoide, anche se i risultati clinici effettuati negli esseri umani sono meno convincenti [92].

Nei risultati dello studio “Canakinumab Anti-inflammatory Thrombus Outcomes Study” (CANTOS) è stato dimostrato che se viene bloccato il rilascio di IL-1b mediato dall’inflammasoma NLRP3, si ha un effetto benefico in quanto

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nell’uomo a rischio di eventi cardiovascolari si ha una riduzione della patologia.

Ad esempio, il Canakinumab4 riduce gli effetti cardiovascolari ricorrenti che sono indipendenti dall’abbassamento delle concentrazioni di colesterolo e ci suggerisce così che la diminuzione dell’infiammazione è un approccio terapeutico promettente per la prevenzione delle malattie cardiovascolari.

Inoltre, lo studio CANTOS ha dimostrato che i pazienti aventi una forte riduzione della proteina C reattiva dopo il trattamento, hanno mostrato il maggior beneficio della terapia consentendo così la selezione dei pazienti per studi futuri [93].

Vari studi ci mostrano “la via da seguire” per prevenire o migliorare le malattie con interventi nutrizionali ma, prima di poter dare delle raccomandazioni affidabili ai pazienti, dovrebbero essere eseguiti studi meccanicistici sui vari modelli nutrizionali o sui singoli nutrienti sulla funzione immunitaria e sui cambiamenti microbiologici ed epigenetici utili a comprendere il ruolo della nutrizione sugli esiti della malattia. (figura 2, box 1)

Tuttavia, sono necessari studi che collegano in modo completo il sistema immunitario, il microbioma e l’epigenetica e che vadano a determinare i mediatori casuali dei cambiamenti fisiologici che sono indotti dai nutrienti.

Studiare queste esposizioni multifattoriali richiede molti sforzi ma se eseguite bene possono portare a dei cambiamenti globali nella prevenzione e nella gestione delle malattie non trasmissibili. [94].

4 CANAKINUMAB anticorpo monoclonale di tipo umano

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Figura C: Direzione futura della ricerca nutrizionale.

Tabella 4: rappresenta la strada da seguire nella ricerca nutrizionale.

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