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MOTIVAZIONI STUDIO SULLA PSICOLOGIA DI TUTTI I GIORNI

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Academic year: 2022

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IL GIOCO DELLE MOTIVAZIONI

STUDIO SULLA PSICOLOGIA DI TUTTI I GIORNI

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Sono come uno di quei venditori che girano per le case.

Vorrei farvi vedere un nuovo strumento:

il gioco delle motivazioni,

e poi semmai lasciarvelo in prova.

Nello stesso tempo posso mostrarvi alcuni prodotti ottenuti.

P. S.

Paolo Sacchi – Via Panoramica, 18 – 80016 Marano di Napoli (NA) – tel. 320 2482025 – email sacchipaolo44@libero.it

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L’E G O I S M O

BENESSERE FISICO

VALORE

PIACERE

FASTIDIO

_______________________________________________

F U O R I D A L L’ E G O I S M O

ALTRUISMO

SOCIALITA’ (

ONESTÀ E GIUSTIZIA)

_______________________________________________

IL GIOCO DELLE MOTIVAZIONI

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L’ E G O I S M O

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QUALCOSA DI DIVERSO

Qui egoismo non ha il solito significato: con egoismo dovrà intendersi solamente: il pensare verso se stessi.

Si sa bene che quando si dice egoismo c’è riprovazione ed accusa. Ed anche il vocabolario definisce l’egoismo: “Eccessiva cura di se stessi”. Invece qui si parlerà di egoismo, semplicemente per intendere un comportamento che sia nato per noi stessi, e non per gli altri.

Perciò qui è, egoismo: bere un bicchier d’acqua, scacciare una mosca, comprarsi una padella o prepararsi ad un esame.

Si parlerà di egoismo, senza per forza dover giudicare in modo negativo una persona che abbia intenzioni egoistiche.

Egoismo: solo per indicare una motivazione che abbia come destinatario noi stessi.

LE QUATTRO CATEGORIE DELL’EGOISMO

L’egoismo ha quattro radici.

Esse sono: il benessere fisico, il valore, il piacere ed il fastidio. E questi sono anche i nomi delle quattro categorie motivazionali dell’egoismo.

In altre parole, dobbiamo ottenere per noi: mantenere la buona salute fisica, aumentare la valorizzazione personale, gustare le cose piacevoli e annullare le cose fastidiose.

In particolare, nell’ambito del benessere fisico viene cercato un risultato fisico. Nell’ambito del valore un risultato psicologico. Nell’ambito del piacere e del fastidio un risultato che può essere sia fisico che psicologico.

Tutte le motivazioni egoistiche rientrano in una di queste quattro categorie.

UNA PREOCCUPAZIONE

Già solo sfogliando le pagine, si può notare una grande sproporzione fra le pagine dedicate alla categoria del valore e quelle, più poche, dedicate alle altre tre categorie.

Le apparenze sembrerebbero qui voler suggerire che tale categoria sia più importante delle altre. Ma non è così.

La ragione di questa disparità deriva solo dal fatto che un tenacissimo tabù incombe sulla realtà psicologica del valore. Tutti siamo in grado di capire quanto sia grande il bisogno di stare bene fisicamente, quanto sia grande il desiderio di procurarci i piaceri, quanto sia grande la necessità di fuggire dalle cose

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fastidiose, mentre, per quanto riguarda il bisogno di avvalorare la nostra personalità, tutti capiamo di che cosa si tratta, ma, a causa di quel tabù, quasi nessuno si accorge di come questa presenza sia, nell’animo, una presenza continua e necessaria.

Il maggior numero di pagine non indica priorità di importanza.

Le pagine del valore sono in numero maggiore, ma il valore è solo, una, delle quattro categorie dell’egoismo.

Tutte le categorie motivazionali vanno considerate, alla pari, e tutte ugualmente importanti.

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IL BENESSERE FISICO

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LO SAPPIAMO TUTTI

Le motivazioni che rientrano nella categoria del benessere fisico hanno lo scopo di ristabilire le buone condizioni del nostro corpo.

Il benessere fisico è continuamente attaccato da nemici. I suoi nemici più terribili sono il dolore fisico, la fame, la sete, tutte le malattie. Alla fine la morte è l’ultimo nemico.

Ma noi combattiamo anche contro un numero infinito di altri nemici che non ci consentono di stare bene completamente.

Fino ad arrivare ai nemici più piccoli.

Non sarà difficile capire che sono, della stessa categoria motivazionale, prendere una pillola per il fegato (benessere fisico) e volere farsi fare una operazione chirurgica senza anestesia nel tentativo di salvarsi la vita (benessere fisico).

Un’intera categoria motivazionale in una sola pagina?

Non c’è bisogno di più pagine. Tutti conosciamo bene l’argomento.

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IL VALORE

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IN GENERALE

Anche se spesso non ce ne accorgiamo, tutti sentiamo il bisogno di tener su il nostro valore: cercando sempre di nutrirlo un po’, e cercando di evitargli anche il più piccolo neo.

Minuto per minuto, nessuno può sottrarsi.

Non è uno scherzo, non è un di più. La posta in palio è: sentirci meglio.

Non è una cosa superflua, è una necessità fondamentale che ci impegna fin dai primi mesi di vita e poi ci accompagna per tutta la vita.

Sempre inconsciamente.

Continuo lavorio mentale.

Continue motivazioni di valore che ci spingono ad agire o a parlare.

E’ una presenza continua; e noi di continuo a badarci.

E’ come una fame; ma una fame speciale: per quanto nutrimento noi possiamo procurarci, non ci basta mai; la sazietà non arriva mai.

C’E’ BISOGNO DI FARNE SALIRE IL LIVELLO

Ognuno di noi si porta nell’animo l’inconscia sensazione del proprio valore. Questa sensazione, bella o brutta, deriva dal nostro attuale livello di valore alto o basso.

Questa sensazione non è frutto di valutazioni razionali. E’ impalpabile. Sfugge all’attenzione lucida del soggetto. E’ qualcosa che si sente, e non qualcosa che si pensa.

CONFIGURAZIONE

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Senza saperlo distintamente, per ottenere di vivere la buona sensazione che viene da un buon livello di valore, ammassiamo, giorno dopo giorno, l’uno sull’altro, tutti i materiali buoni per il nostro valore.

Sono pezzi grandi, pezzi piccoli e piccolissimi, e servono tutti. Cerchiamo di far salire il livello del nostro valore per ottenere un migliore stato psicologico. Sempre, in qualunque momento, un lavoro per noi stessi, non conosciuto.

Ed anche quando sentiamo di avere un’ottima sensazione del nostro valore, pur sentendoci già bene, ugualmente non smettiamo di aggiungere contributi.

Il bisogno di valore diventa così, motore di pensieri, azioni e discorsi.

IN QUALUNQUE MODO

Valore è una sconfinata categoria motivazionale. Ma forse sentendo parlare di valore molti penseranno soltanto a grandi cose e a grandi meriti. Ma qui non è così.

Per il valore, possiamo pensare: “Sono il più svelto”.

Ma possiamo anche pensare: “Sono svelto”.

Oppure: “Sono abbastanza svelto”.

Ma possiamo anche pensare: “Non sono svelto, ma sempre più di Carlo”.

Oppure ancora: “Sono il più lento di tutti, però ho dei capelli molto belli”.

Insomma, valore massimo, ma anche, valore minimo.

In tutti i piccoli momenti della vita, per alimentare il nostro valore, possiamo trarre lo spunto da qualunque cosa.

Inconsciamente, in un modo o in un altro, dobbiamo accontentare questa fame. Ognuno come può:

secondo la propria personalità e secondo la validità delle proprie intelligenze.

Nei modi più vari acquisiamo qua e là pezzetti di valore, possibilmente di buona qualità: quello che, per noi, è di buona qualità.

A questo scopo nella nostra mente anche il piombo può essere considerato oro. Potrà capitarci di utilizzare anche cose di valore, che per gli altri sono nient’altro che immondizia, ma che per noi sono materiale buono.

Tutto contribuisce o, almeno, tutto potrebbe contribuire.

La cosa è così importante che ognuno, fin da piccolo, durante la giornata cerca un po’ di valore per sé:

non sempre nei modi migliori, ma: dove può, e come può.

Per la necessità di tener su il nostro valore, a volte ci si deve arrangiare.

A volte poi nasciamo già in situazioni che ostacolano il nostro valore: uno non è nato in buona salute, un altro ha sviluppato qualche grado non alto di alcune intelligenze, qualcun altro non è nato di bell’aspetto.

Tante umiliazioni al proprio valore, inevitabili.

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Per benessere fisico, piacere e fastidio, bisogna, per forza, muoversi o parlare; invece per il valore è un po’ diverso: contributi ci arrivano anche solo dai nostri infaticabili pensieri.

Senza avvedercene.

Con i soli pensieri, il nostro valore si rende contento, oppure si difende validamente. Ci cuciniamo un po’

di valore, restando in casa, con quello che abbiamo nella dispensa.

Tutto ci può gratificare, già soltanto nella nostra mente.

Un conto unico

Il valore fa tutto un conto unico.

Perciò è sbagliato distinguere il valore che viene dal consenso degli altri, da quello che viene da noi stessi; le lodi degli altri e la consapevolezza di sé aiutano lo stesso padrone: tutto digerito, tutto, confluisce nel nostro unico valore. Molti, con una motivazione di valore, dicono: “A me che importa delle approvazioni degli altri?”, senza volersi rendere conto che, dentro di sé, in una qualche misura, anche quel consenso fa bene al loro valore.

Un conto unico: perciò è sbagliato distinguere il valore sociale, da qualche altro tipo di valore. La vanità e l’orgoglio, giudicati oppostamente, servono lo stesso padrone. Il mascherare le nostre inferiorità viene più accettato che non il mostrare le nostre superiorità, tuttavia queste operazioni cercano di ottenere il medesimo scopo. Il difendere quel poco di valore che abbiamo e il volerlo far salire cooperano insieme. Tutto confluisce.

Un conto unico: perciò è sbagliato distinguere il valore per gli occhi degli altri, dal valore per se stessi.

“Lo faccio per me, non per gli altri”: qualcuno dice, pensando di evitare di parlare di valore, senza sapere che sta sempre parlando di valore. Infatti, se tu ti fai bella e mi dici: “Lo faccio solo per me stessa”, ebbene, proprio il volerti vedere meglio allo specchio ti porta, alla fine, già a sentirti qualcosa di meglio: è questa è la vera motivazione (valore). E, sì, può anche essere che tu lo faccia solo per te, ma, è lo stesso: è sempre cercare di sentirsi più sicuri (valore).

Un conto unico: perciò è sbagliato distinguere il valore che cerchiamo continuamente di affermare solo nei nostri pensieri, da quello che ci può venire da tutta la vita esterna: tutto contribuisce allo stesso scopo.

Un conto unico: perciò è sbagliato pensare che il valore sia formato da alcuni tronconi principali. Infatti un buon livello di valore si costruisce, minuto per minuto, per miliardi di vie diverse, all’attacco o in difesa;

ed anche se fra queste cose vi sono cose più importanti delle altre, non bisogna considerare la costruzione del valore, come compiuta solo con alcuni tronconi. Guardare i componenti del proprio valore è come guardare dall’alto una grande città: sì , si vedono dei grattacieli più alti, si vedono delle zone più belle, ma quella città è quello che è: per, tutto, quello che vediamo. Quindi, è chiaro, vogliamo rivolgere una critica ad altre persone, ma non sarà mai completamente vero quando diciamo: “Quella si valorizza così”: volendo dire: non ha altro. Né sarà mai completamente giustificata la critica che comunemente si pronuncia:

“Quello, qui, si compensa di tutto quello che subisce in casa”: come se quella persona potesse puntare esclusivamente su due situazioni. L’idea che il valore si risolva fra due cose è inesatta. E ne sappiamo pochissimo del valore quando, intuendo in un’altra persona una semplice piccola traccia di valore, subito diciamo: “Fa così, è insicuro”: cosa che non potremmo mai affermare; non sapendo poi che, dentro di noi, di modi come quello, ne possiamo trovare tanti e tanti. Tutte queste critiche sono inesatte perché quelle

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persone aiutano il proprio valore anche in miliardi di altri modi; o, meglio, esattamente come noi, semplicemente cercano il valore dove possono, e come possono, in miliardi di modi diversi.

Potranno saltare agli occhi comportamenti dettati dal valore, rilevanti, che si ripetono, ma il valore fa tutto un conto unico, con quelli, sì, ma anche con tanti altri comportamenti.

LE OPERAZIONI DEL VALORE

Minuto per minuto, il valore è impegnato in una complessità di operazioni.

Queste operazioni ci richiamano alla mente le operazioni di una guerra.

Attacchi, difese e contenimenti si alternano.

Anche se non ce ne accorgiamo.

Anche le difese e le attività di contenimento, e non solo gli attacchi, contribuiscono indirettamente a tener su il valore. Tutto è importante e tutto contribuisce al risultato.

In questa guerra qui, le soddisfazioni, le soddisfazioni di valore, sono gli attacchi che sferriamo contro il nemico della svalorizzazione. Ma ugualmente importanti sono le difese: i cambiamenti di atteggiamento, le spiegazioni di sé, la proclamata involontarietà, il dirlo noi stessi prima che lo dicano gli altri, le difese che si tramutano in attacchi, gli interventi precisativi, gli interventi confermativi, gli interventi informativi, le divagazioni, gli alleggerimenti, le cortine fumogene, il controllo incessante di quello che stanno dicendo gli altri, il controllo incessante di quello che ci accade intorno, ecc., ecc.: con queste operazioni contrastiamo tutto ciò che minimamente possa toccare negativamente il nostro valore. Se insomma le soddisfazioni appaiono come i sentimenti che maggiormente sostengono il nostro valore, non bisogna peraltro dimenticare il complesso di tutti gli elementi che fanno parte della vicenda.

Nella sua casa, il valore è un padrone che ha molti servitori e le soddisfazioni sono i suoi servitori prediletti. Ma se la casa va avanti bene, è sicuramente anche per merito di tutti gli altri servitori che lavorano al proprio posto, in maniera continua e tenace.

SODDISFAZIONI E SUPERIORITA’

Le soddisfazioni sono quelle valutazioni positive su noi stessi, intimi e dolci compiacimenti, che giovano al nostro valore.

Dentro di noi, spesso ci arriva un pensiero che ci porta una soddisfazione di valore: sia da una cosa o cosettina accadutaci proprio allora, e sia da qualcosa che ci sia venuta in mente e che affiori improvvisamente tra i nostri pensieri. Piccolissime soddisfazioni, fuggevoli, piccole, prese al volo, possibilmente grandi, ancora più belle, durante la giornata, vengono, tra i nostri pensieri.

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Tutti sappiamo che cosa sono le soddisfazioni di valore, però non sappiamo precisamente: qual è il rapporto che c’è fra le soddisfazioni e la superiorità.

Quale superiorità?

Una qualunque superiorità. Una qualunque superiorità, solo su qualcun altro. O su molti altri. Sia quando questa superiorità sia oggetto di riflessione, e sia quando sia solo sentita.

Allora bisogna chiederci: può esserci una soddisfazione di valore senza superiorità? La superiorità è proprio la condizione necessaria, senza la quale non ci sarebbe soddisfazione?

A questo punto si ha bisogno di qualche esempio, e ci dovrebbe essere la signora Rossi. E’ una persona che si impegnò tempo fa a fornirci esempi, per le questioni particolari che le furono allora indicate. Dovette promettere che avrebbe portato esempi di cose, veramente vissute da lei stessa, e non inventate. Portatrice di esempi: un ruolo impegnativo, per una persona dotata di una buona capacità introspettiva. Eccola all’appuntamento.

Inizia: “Io sono una persona che rispetta sempre gli impegni ed eccomi al luogo prefissato. Mi fu detto di portare esempi di semplici soddisfazione di valore.

Allora: proprio stamattina, in automobile, ho risolto un piccolo blocco di traffico indietreggiando un poco con la mia auto.

Secondo: ogni tanto parlo delle belle piante che ho davanti casa.

Terzo: spesso avverto la stima di una mia cara amica.

Quarto: in famiglia mi hanno chiesto se era meglio cambiare lattaio.

Quinto: ogni tanto, lo voglio dire: “Piaccio agli uomini”.

Sesto: tempo fa, ad un certo punto, ero sola e mi è capitato di essere sfiorata fuggevolmente da una sensazione piacevole per aver capito il significato di una parola difficile.

Settimo: vedo le scarpe delle altre donne ma mi sembra un bel colore quello scelto da me.

Ottavo: oggi me ne vergogno, ma, tantissimo tempo fa, riuscii a costringere tutti i miei familiari a conformarsi perfettamente alle antiche usanze della nostra terra. Questi sono gli esempi che ho portato.

Ora io stessa proverò a vedere se dentro ad ognuna di queste soddisfazioni si possano trovare i semi di una qualunque superiorità.

Dunque vediamo: in alcuni dei casi che vi ho raccontato, ebbene, io non ho difficoltà ad ammettere che mi sono sentita, diversa rispetto agli altri. Ma, certo, diversa, significa migliore; e, migliore, significa superiore: lo capisco anch’io.

Per esempio, quando ho indietreggiato con la mia auto, in quel momento mi sono sentita superiore a quegli altri che ottusamente restavano senza muoversi. Nell’altro esempio delle piante, la soddisfazione consiste sicuramente in una superiorità sulle piante dei miei vicini. E così pure, in famiglia forse ritengono il mio giudizio sul latte superiore al loro. E ancora nel caso in cui avevo capito il significato di quella parola, effettivamente, sotto sotto, c’era il pensiero di una superiorità sui tanti altri che non l’avrebbero capita.

Nell’ultimo esempio, certo, mi ero sentita superiore ai miei familiari.

Quindi ho trovato queste superiorità. Invece, negli altri esempi che ho fatto non intravedo alcuna superiorità. Almeno così mi sembra”.

La signora Rossi si allontana.

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Per vedere se la superiorità costituisca sempre il nocciolo delle soddisfazioni di valore, è ovvio che dobbiamo riportarci su quegli esempi di soddisfazioni dentro i quali la signora Rossi non ha trovato alcuna superiorità. Certo, in molti casi è difficile trovare confronti vincenti nei riguardi degli altri. Sembra proprio che non ce ne siano.

Eppure, per tutte le soddisfazioni, proprio per tutte, alla fine, si potrà rispondere che la superiorità c’è sempre.

Come?

Applicando sempre lo stesso interrogativo.

E questo interrogativo lo andiamo subito ad applicare proprio a quelle soddisfazioni in cui la signora Rossi non ha trovato alcuna sensazione di superiorità.

Allora ci chiediamo: se tutte le persone del mondo avessero a disposizione un’amica che le stimi, la signora Rossi avrebbe provato ugualmente quella soddisfazione?

Se si venisse a sapere che tutte le donne attraggono gli uomini nella stessa misura , la signora Rossi avrebbe provato ugualmente quella soddisfazione?

Se tutti per legge dovessero portare scarpe di quello stesso colore, la signora Rossi avrebbe provato ugualmente quella soddisfazione?

A tutte queste domande la signora Rossi, o chiunque altro, risponderebbe: “No”. E quindi applicando questo tipo di interrogativo a qualunque esempio di soddisfazione si vedrà che la risposta sarà sempre:

“No”. E questi “No” sono subito la dimostrazione che, in ogni soddisfazione, c’è sempre una qualsivoglia superiorità, derivata da un confronto con altri.

“Se tutti”, “Se tutti”: con queste strambe ipotesi scomparirebbero tutte le soddisfazioni di valore.

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NEGAZIONE – OCCULTAMENTO – NAUSEA

Mentre leggiamo, siamo a disagio?

Anche se quello che leggiamo lo consideriamo abbastanza vero, ugualmente siamo un po’ irritati?

Fin quasi a metà libro, ci mancherà l’aria? Solo là, finita la trattazione del valore, incominceremo a respirare?

A disagio? Irritati? Serve l’aria?

E’ normale: viviamo un tabù.

Stai con una tua amica e le dici: “L’hai detto per apparire a tutti una persona colta, vero?” e lei risponde subito: “No, assolutamente”.

Un’altra volta le dici: “L’hai detto perché vuoi avere ragione, vero?” e lei risponde: “No, l’ho detto per lui”.

Un’altra volta le dici: “L’hai fatto per far risaltare la tua persona, vero?” e lei risponde subito: “Sei matto?”.

Un’altra volta le dici: “L’hai fatto per distinguerti, vero?” e lei risponde subito: “Non ci ho pensato nemmeno”. Sono state tutte risposte in buona fede.

Ma la tua amica avrà colto la verità dentro di sé? Oppure no?

Non lo possiamo sapere, ma è certo che, se incalzata, la tua amica presenterebbe sempre motivazioni, altre, non di valore, di altro genere.

Resta il fatto che ha immediatamente negato senza pensare a nulla; e resta il fatto che le sue risposte sono state, istintivamente, unidirezionali.

IL TABU’ DEL

VALORE

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In più, lei ha sentito che sei stato sgradevole con lei; e pazzo.

Chi risponde, qui si sente come se fosse stato messo sotto accusa.

Ma perché sotto accusa? Perché? Eppure, son cose di tutti.

E noi?

Diciamo: “Mi dà noia”, frase incongruente, al posto di: “Se lo facessi, ci perderei in personalità”.

Diciamo: “In questa cosa mi diverto”, frase incompleta, al posto di: “In questa cosa ricavo divertimento e soddisfazioni”.

Diciamo: “Così è più bello”, frase vaga, al posto di: “Questo mi valorizza di più”.

Diciamo: “Mi pare brutto”, frase sviante, al posto di: “Questa cosa mi svalorizzerebbe”.

Ma perché non ci esprimiamo in modo esatto? Perché usiamo tante cautele?

Agisce il tabù del valore.

Tutte le pagine del valore riguardano indistintamente tutti. Ma se apriamo una pagina a caso per applicarla a noi stessi, pensiamo: “No, io no”. Se apriamo una pagina a caso per applicarla agli altri, questi ci rispondono nello stesso modo, se non addirittura: “Mi vuoi offendere?”. E, parlando con gli altri, quando, semmai involontariamente, si va a capitare sui tentativi di valorizzazione di qualcuno che sta parlando con noi, ecco allora che il discorso subisce pause, va a saltelli; per poi riprendere da un’altra parte.

Imbarazzo, negazioni ed occultamenti: la stessa ripetitività di tutti questi atteggiamenti ci fa capire che c’è un tabù.

Perfino se abbiamo tradito, rubato, ucciso, perfino sugli argomenti più scabrosi che ci possono riguardare, qualche volta non lo nascondiamo; qua invece, sempre. Eppure si tratta del quotidiano e normalissimo bisogno di valore di tutti, il quale è continuamente nei nostri pensieri e continuamente muove le nostre parole e le nostre azioni.

Ma come si fa a parlare agli altri di questo argomento, se subito stanno a disagio? Come si fa ad esaminare con loro queste cose, se subito ci guardano perplessi come se fossimo maleducati? Come si fa a parlar loro di questo, se subito pensano: “Che c’entro, io, con la valorizzazione?”. Come si fa a ragionare con loro, se subito dicono: “Sono cose meschine”?

Come si fa a spiegare loro le cose del valore se loro non le vedono mai dentro di sé?

Certo, se si trattasse d’altra cosa, non si affannerebbero a negare così agitatamente. Però, d’altra parte, è pure comprensibile che reagiscano così: il tabù agisce per lo più, inavvertito.

Il bisogno di valore è addirittura ingombrante, eppure, quando si tratta di noi, abbiamo subito difficoltà a parlarne, non vogliamo nemmeno nominare le parole che lo riguardano, non abbiamo voglia di andare a fondo, inconsciamente ce lo spieghiamo con altre ragioni.

Solo a parlarne, solo a sentirne parlare, sentiamo nausea. Vogliamo smettere. Nausea lieve? Nausea forte?

Ed anche irritazione, se ci fanno restare per forza a parlarne.

Il valore: perché pensiamo che non ci riguardi? Perché inconsciamente lo nascondiamo? Perché ci viene la nausea?

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La risposta è: perché il valore è tabù.

Ma perché il valore è tabù?

A questa risposta possiamo arrivarci.

IL BISOGNO DI COMUNICARE

Possiamo arrivarci: il valore porta con sé anche il desiderio di comunicare agli altri quello che sentiamo come valorizzante per noi. Inconsciamente, con una motivazione di valore, vogliamo in qualche modo far sapere, o far vedere, agli altri, le nostre cose buone: piccole o grandi, incerte o effettive, sognate o reali.

Giuriamo che per noi non é così, diciamo: “Io, no”, ma questo bisogno c’è. Se ci teniamo tutto dentro, sentiamo che ci manca qualcosa.

E’ vero, nei nostri pensieri noi già finiamo per valorizzarci moltissimo, ma non sempre questo ci basta.

Tutte quelle cose che in quel momento sentiamo che sono un po’ valorizzanti per noi, per una motivazione di valore, proviamo a dirle agli altri. Le devono sapere. Solo questo. Solo per questo. Le devono soltanto sapere. E dopo che abbiamo detto quello che dovevamo dire, il più è fatto.

I risultati?

Che siano quel che siano. Infatti quasi sempre a noi non interessa conoscere quale sia stato il ricevimento di quella cosa nell’animo degli altri: no, questo sarebbe un altro lavoro, un lavoro in più.

Per noi, quella, è la cosa importante: scaricare la merce.

Che ne faranno di quella merce?

Non ci mettiamo a pensarlo.

Del resto, se non gliela diciamo noi quella cosa, nessuno la saprà mai; se non gliela mostriamo noi quella cosa, nessuno la conoscerà mai.

Gli altri hanno troppo da pensare alle loro cose. Che se ne importano di noi? Che se ne importano di sapere di noi: come siamo o come non siamo? Loro non ne hanno alcun interesse perché vanno sempre di corsa con in testa le loro cose e non hanno proprio né il tempo né la voglia di approfondire quello che ci riguarda.

Chi le noterà le nostre tante piccole cose buone, che facciamo o che abbiamo nell’animo?

Ma, poi, che possono capire gli altri? Dopo anni, non sanno niente di noi, nemmeno gli aspetti più evidenti. Non conoscono le nostre caratteristiche positive, i nostri piccoli pregi, le nostre buone intenzioni.

Perfino gli amici più vicini a noi, dopo anni ed anni di conoscenza, non apprezzano di noi che poche cose, semmai solo quelle che balzano per forza agli occhi; e semmai proprio quelle cose che a noi non interessa che siano apprezzate. Gli altri non sanno scrutare in noi quel poco di buono che c’è. Ed anzi, se noi abbiamo fatto, o detto, una cosa buona, molti di loro tendono a pensare in male, più che a pensare in bene.

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In famiglia? Anche là, può capitare che, se andiamo a dire quella, che è veramente una buona qualità che abbiamo, questa qualità non ci venga riconosciuta. Ed allora diciamo: “Beh, se nemmeno qui questo mi viene riconosciuto, figuriamoci dagli altri!”.

Quindi, a dire certe cose, ci siamo, come dire?, costretti.

Costretti? Si, costretti, e diciamo le cose, quasi sempre senza rendercene conto.

Per aiutare il valore è necessario. Nessuno ne può fare a meno. Nessuno ne può fare a meno: sempre. E se ci saranno alcuni che in buona fede diranno: “Mai”, ciò sarà solo perché non se ne accorgono.

Certo, è vero, non tutti gli altri ci interessano: solo pochi, di volta in volta, sono gli altri a cui veramente ci interessa di dire le nostre positività. Con loro, se capita, lo faremo.

LA REAZIONE DI ABBASSAMENTO

Allora noi siamo con questa voglia di dire certe cose, ma dall’altra parte c’è qualcosa che ci ostacola.

Che cosa ci ostacola?

Ci ostacola la reazione degli altri.

C’è un’esperienza che inconsciamente arriva a tutti, fin da ragazzi, attraverso la quale siamo avvertiti che, quando vogliamo dire qualcosa di positivo di noi, può anche capitare che si producano, nell’ambiente circostante, effetti palesemente negativi proprio per noi stessi. Possiamo produrre negli altri una reazione di abbassamento. Questa esperienza ci avverte decisamente.

Quando qualcuno cerca di mostrare qualche sua positività, o prova a parlarne, alcune volte si può creare negli altri una sensazione di insofferenza; altre volte un’atmosfera sospesa.

Ed, anche dentro di noi, alcune volte, senza saperlo, le tentate valorizzazioni degli altri non sono di nostro gradimento. Qualcuno parla di una sua positività, e non c’è dubbio che qualche volta noi possiamo trovarlo, non piacevole, senza alcun’altra ragione che averlo sentito.

Ma attenzione: nella stragrande maggioranza dei casi, questa reazione opposta non nasce: non ci dispiace sentire qualcuno che si vanta, chiaramente o tra le righe. Non ci dispiace vedere qualcuno che si vuole attribuire qualche punto a favore. Gli altri possono parlare e possono dire quello che vogliono. In tanti casi non succede niente. Tutto fila liscio. Certe cose non ci toccano. Infatti, le reazioni di abbassamento sono, come dire?, a nostra insaputa, molto selettive: solo in certi casi, ogni tanto, in quei casi là.

Certe volte, è diverso se la stessa cosa ci venga detta, o mostrata, da una persona o da un’altra: contro la prima sorge la nostra reazione di abbassamento, contro la seconda non abbiamo reazioni, non ce ne importa.

Tutta questa reazione sorge, perché in quel caso il nostro valore non vorrebbe vedere che una cosa di un’altra persona: si sollevi davanti a lui. In quel momento quella cosa si solleva, e i nostri occhi mentali non vogliono solo restare a guardare. Sia che si sollevi sopra di noi e sia che si sollevi mettendosi alla pari di noi, il nostro valore in quel momento prova dispiacere e quindi

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automaticamente nasce la nostra reazione. Questa reazione, poi, può restare solo nel nostro animo diventando automaticamente pensieri svalutatori, o venir fuori all’esterno diventando parole e frasi svalutatrici di quella cosa che abbiamo sentito sollevarsi un po’. E sono svalutazioni che servono ad abbassare.

Ma questo può capitare solo quando noi ne siamo in qualche modo, come dire?, sensibili. Possiamo venir provocati solo quando ne siamo sensibili. Quando non ne siamo sensibili, le cose degli altri possono sollevarsi quanto vogliano senza che ce ne importi nulla, e la reazione non nasce.

Dispiacere reazione di abbassamento.

Nascono dentro di noi, in una nebbia fittissima. La critica di abbassamento viene fuori subito, ma quel dispiacere del valore che l’ha causata sta in fondo in fondo all’animo.

Eppure, potrà capitare anche il caso che, dopo aver fatto chiarezza, noi protesteremo: “E’ vero, ho parlato ridimensionando il successo del nipote di mio marito nella pittura, ma che c’entra la pittura con me?”:

eppure, un pur sottilissimo oscuro collegamento deve esserci stato se è scattata la reazione di abbassamento.

Qua sembrerebbe che voltiamo pagina, mentre assolutamente restiamo nella stessa pagina: ebbene, sempre inconsciamente, le reazioni di abbassamento nascono in noi, non soltanto causate da quello che dicono gli altri, ma, qualche volta, alcune di esse, nascono da qualcosa degli altri, senza che questi altri, in alcun modo, lo abbiano detto.

Se uno legge un libro di psicologia potrebbe far nascere una reazione di abbassamento.

Anche se uno scrive poesie.

Se uno, molto anziano, si allena correndo per la strada potrebbe far nascere una reazione.

Oppure se uno spesso fa del bene ad altri.

Oppure ancora se uno si è fatto un vestito diverso.

O se uno è un animalista vegetariano. O se è conosciuto da tutti. O se dicono di lui che è un eroe. Oppure se fa parte del Comitato Irrigazioni. Oppure se non vuole assolutamente farne parte. Insomma, da qualunque cosa può nascere una reazione di abbassamento.

Ecco: quella persona che legge, quella che scrive, quella che corre, quella che aiuta, quella che ha il vestito, quella vegetariana, quella che è conosciuta da tutti, quella che è un eroe, quella del Comitato, quella che non vuole, ebbene, queste persone, mai avevano parlato di quelle loro cose. Quelle persone stavano per conto loro. Eppure, eppure, senza volerlo, senza sospettarlo, hanno potuto suscitare in qualcuno una reazione di abbassamento.

Ma se nessuno ne ha parlato? Sorge anche così?

E’ lo stesso.

E allora le reazioni in molti casi nascono anche senza che ci sia alcuna esternazione da parte degli altri.

Ma è come se l’avessero detto. Quello che conta è quello che abbiamo sentito noi: un’emanazione di valore che ci proveniva da un altro. Il nostro valore ne viene toccato, non è contento, quella cosa si alza, nasce inconsciamente una reazione di abbassamento.

E questo anche quando gli altri avevano semplicemente seguito i loro gusti. Anche quando erano nell’ambito dei loro diritti. Anche quando erano restati all’interno di comportamenti consueti.

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Ma, sia che ne parlino o sia che non ne parlino, come vanno le cose?

Ovviamente, inconsciamente, si deve tirar giù quello che si è sollevato.

Come?

Si tira giù con la critica verbale, che svalutando abbassa. La critica, per tirar giù quello che si è alzato, è il mezzo più immediato e facile da usare: subito semplice, universale. Certo, ci sono anche altri mezzi che noi usiamo: cercare di ignorare, o cercare di non parlarne, o di non rispondere, o ironizzare, o fare l’uguale, ma, fra questi tanti modi, è la critica a portare la svalutazione più evidente.

C’è bisogno di abbassare l’altezza di quella cosa che si è sollevata.

E quando, per tutte queste cose, qualcuno in buona fede dice al valore: “Tu sei meschino!”, il valore gli risponde: “Tutto questo è in tutti, e quindi anche in te. Lo sai quale è la posta in palio?”

La reazione di abbassamento: perché non chiamarla direttamente, invidia?

Non sarebbe una buona cosa. Perché l’invidia e la reazione di abbassamento hanno parecchio in comune, ma non coincidono perfettamente. Per esempio, se a me è antipatico un Cantante e dentro di me gli rivolgo qualche critica, si chiamerebbe invidia, tutto questo, per me che non canto, non suono e non ballo? Allora si direbbe: “Invidia? Invidia di che?”. In più, questa reazione di abbassamento è un dispiacere e una reazione, sottilissimi, sentimenti inconsci, trascorrenti, innocenti già solo per la loro naturalità, non riflettuti, di tutti i giorni, comuni a tutti. Invece, quello che intendiamo comunemente per invidia è solo un grosso peccato che rimproveriamo ad altri.

D’altra parte, anche noi, senza saperlo, cerchiamo di non suscitare quella reazione negli altri ed a questo scopo siamo costretti a stare attenti a moltissime cose. Vogliamo comportarci bene e non diventare antipatici agli altri: quasi come se fosse un comportamento di buona educazione. Certo, non sempre rischiamo di causare negli altri la reazione di abbassamento. Non sempre è così. A volte possiamo parlare a ruota libera, e non succede niente. A volte possiamo accennare a qualcosa di valorizzante per noi senza suscitare reazioni.

Possiamo avere di fronte una persona che ci vuole bene e parlare liberamente senza conseguenze. Se quella persona è a noi la più cara di tutte, può diventare: la nostra palestra di valore in libero orario continuo; da quella persona non temiamo reazioni. Tranquilli come bambini scarichiamo tutto il valore che vogliamo.

Comunque abbiamo esperienza che anche con tanti altri spesso la reazione non nasce. Senza pensarlo, lo sentiamo: “Ma sì, con lui questo posso dirlo”, “Ma sì, con questa persona queste cose posso mostrarle tranquillamente”, “A lei sicuramente posso parlarne”.

Tutto inconsciamente: ma, con un altro, come facciamo a prevederlo? Certo, sono poche le reazioni degli altri, ma il rischio c’è sempre. Sì, è vero, su quella cosa non dovrebbe avere reazioni, ma come esserne certi?

Non sempre possiamo sentire dove ci sia sensibilità di valore. Non sempre possiamo intuirne la presenza negli altri.

Nel loro animo la reazione di abbassamento può sorgere ad ogni minimo accenno di valore nelle nostre parole o nei nostri comportamenti. Certe volte, le persone, a questo proposito, hanno vista acutissima, colgono ogni più piccola traccia di valore. Hanno orecchio fino, sentono qualunque fruscio di valore

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all’interno delle nostre parole. Subito entrano in allarme. Vedono ombre di valore dietro ai nostri atteggiamenti. Credono anche di vedere quello che non c’è.

Caso estremo: noi stiamo così attenti a non indurre negli altri reazioni opposte che perfino quando è un altro che ci rivolge una lode o un semplice complimento, ebbene, anche in questi casi, noi siamo cauti e spesso rispondiamo attenuando la lode o smentendo in parte il complimento.

Nel cinquanta per cento dei casi, in molti casi, noi rispondiamo così; scatta dentro di noi questo impulso a ridimensionare. Lo facciamo così, subito: in un certo modo, senza pensarci.

Ci dicono una cosa carina: chi risponde non si pone il problema di vedere se quello che gli è stato detto sia vero o falso, come normalmente si fa. Qui, chi risponde non si interessa di verificarlo, essendo immediatamente teso solamente a non accettare la lode completamente per non causare una reazione.

E pensare che le lodi degli altri sono per noi un regalo raro e prezioso; e pensare che arrivano alle nostre orecchie, quasi tutte, come vere e fondate. Noi ne abbiamo bisogno, loro ce le danno: logico sarebbe che le accettassimo interamente senza lasciare nemmeno una briciola nel piatto.

Invece noi, a volte, ne limitiamo la portata. Operiamo limature che sono dei tipi più vari, quello che al momento ci viene in mente, con grande fantasia di contenuti. Spesso sono limature quasi impercettibili, una piccola parolina quasi nascosta nella risposta. E se non ci sono parole, ci mettiamo una risatina, un verso della bocca, un socchiudere gli occhi, un cambiare di discorso, ecc., ecc..

Proprio questa situazione così estrema è la migliore dimostrazione che noi inconsciamente abbiamo sempre in testa la reazione di abbassamento degli altri. Ed a tal punto noi l’abbiamo sempre in testa, che temiamo che una reazione si possa formare addirittura nello stesso animo di colui che ci ha lodato. Noi dovremmo pensare: “E’ proprio lui che lo ha detto; io lo accetto interamente, non succederà niente”. Ed invece limitiamo la lode, solo per evitare proprio il raro caso in cui tale reazione possa sorgere proprio in colui che ci ha fatto quel complimento. Accettare completamente: potrebbe risultare a lui come se lo avessimo detto noi.

Sediamoci in poltrona ed assistiamo a queste due scenette.

Prima scenetta

Leopoldo incontra Paolo e gli dice: “Paolo, hai fatto qualcosa di veramente buono” e Paolo immediatamente risponde: “Non ho fatto niente di speciale”.

Seconda scenetta

Leopoldo incontra un’altra volta Paolo e gli dice, esattamente, quello che Paolo aveva detto nell’altra scenetta: “Paolo, non hai fatto niente di speciale”. Ma a questo punto incredibilmente lo stesso Paolo risponde: “Si, però, proprio niente di speciale: veramente, non è vero: io ho fatto …”.

LE DECISIONI DEL PONTE DI COMANDO

C’è, in tutti, il Ponte di comando: ecco ora, un’altra prova che tutti temiamo, sia pure non chiaramente, la reazione di abbassamento degli altri.

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Anche se non ce ne accorgiamo, spesso viviamo quel dubbio: la diciamo, o la mostriamo, quella cosa valorizzante, anche se questo ci può attirare addosso la reazione? Vale la pena di rischiare? E’ il momento opportuno, questo? Il rapporto con alcune persone non vogliamo peggiorarlo.

Ma, nella nostra inconscietà, c’è il Ponte di comando, che lavora per noi e noi non ne sappiamo niente.

E’ lui che decide dentro di noi. E’ lui che decide di volta in volta.

Ci siamo noi che vorremmo dire certe cose; fuori di noi troviamo il rischio di certe reazioni: tra le due forze, si pone dentro di noi il nostro Ponte di comando a decidere quello che a noi conviene fare. Questo Ponte di comando decide, nella situazione particolare del momento, se debba prevalere la repressione o se debba essere lasciata via libera al desiderio di comunicare: quindi prende decisioni negative o decisioni positive.

Le decisioni negative danno ragione completamente al timore di una reazione di abbassamento e così viene giù l’ordine: “Fermare le macchine”: la cosa non deve venir detta, né mostrata.

Le decisioni positive invece danno via libera al bisogno di comunicare e così viene giù l’ordine: “Avanti tutta”: si può far conoscere agli altri quella cosa.

L’AGGANCIO IMPROVVISO

Il Ponte di comando lavora, certe volte, in modo tranquillo; altre volte, in modo rocambolesco. Lavora in modo tranquillo quando, sapendolo prima e volendoci accontentare, trova il momento più adatto per darci via libera: quando si rischia la minore reazione possibile.

Invece lavora in modo rocambolesco, quando, mentre stiamo parlando con gli altri, capitando improvvisamente una buona occasione, deve prendere una decisione all’istante. Si o no? Qui è stupefacente la sua prontezza. Il Ponte di comando non sembra mai soffrire di incertezze. Un preciso ordine ci arriva immediatamente. Se la decisione è positiva, va sfruttato subito l’aggancio capitato nel discorso: va detta immediatamente la cosa (motivazione di valore).

Il problema per lui è quello di intrufolare in qualche modo quello che vogliamo dire, sembrando ugualmente di rispondere a tono e sembrando di continuare coerentemente il discorso che si sta facendo.

Il Ponte di comando cerca di fare in modo che la persona con cui si sta parlando non ci venga a dire: “E’

questo che c’entra?”.

Uscendo un poco dalla coerenza dello scambio verbale, nello stesso tempo bisogna restare attaccati all’argomento: senza strapparlo. Siccome saremo rimasti, come dire?, nelle vicinanze, le altre persone non ci faranno caso perché non avvertiranno grosse deviazioni dal filo del discorso. Ed è questo il risultato che spesso il Ponte di comando riesce ad ottenere: che appaia, naturale, l’aver detto in quel momento quella certa cosa. Sembrerà all’altra persona un semplice arricchimento dell’argomento di cui si sta parlando, e non una motivazione di valore.

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Insomma, c’è la possibilità di avere uno sconto sul prezzo. Se la cosa scivola nello scambio verbale senza apparenti forzature, allora una eventuale reazione di abbassamento non sorgerà o, se sorgerà, resterà blanda.

E questo sarà un vero e proprio sconto sul prezzo per noi, che paghiamo spesso prezzi interi per esternare quello che al nostro valore interessa che sia detto.

Spessissimo poi il Ponte di comando, accorgendosi di una nostra voglia di dire una certa cosa, crea un aggancio, come dire?, artificiale. Introduciamo un argomento, a cui poter agganciare poi con naturalezza quello che vogliamo dire. Oppure all’altra persona domandiamo una cosa che la riguarda, attinente a quello che dobbiamo dire; così, dopo che la persona ha risposto parlando di sé, noi subito diciamo quello che vogliamo farle sapere.

AVANTI CON ISTRUZIONI DETTAGLIATE

Con le decisioni positive il Ponte di comando ci dice: “Vai avanti, fai come vuoi”. Ha deciso che non c’è pericolo, possiamo stare tranquilli. Il Ponte di comando è sicuro che non sorgeranno reazioni di abbassamento.

In molti altri casi, invece, il Ponte di comando ci lascia via libera, sì: ma non completamente.

In questi casi pensa che valga la pena di rischiare, ma solo andando avanti con cautela. La via libera che ci ha dato potrà essere percorsa da noi: ma solo con le sue istruzioni dettagliate.

In alcuni casi ci fa premettere: “Io ho questo difetto: …”. Oppure: “Non so se è una cosa buona o cattiva:…”. Oppure: “Forse sono fatto male: …”. Ecc., ecc..

Altre volte dobbiamo dire la cosa con toni di voce umili e modesti.

O dobbiamo dirlo mostrando nello stesso tempo di volerlo nascondere.

Oppure dobbiamo dirlo solo con un piccolo gesto, un’occhiata, un movimento.

Certe cose si possono dire col tono scherzoso, come se non dicessimo sul serio.

Si possono premettere frasi cautelative del tipo di: “Modestamente, …”. “Senza nulla togliere agli altri,

…”. “Non per vantarmi: …”. Ecc., ecc..

Altre volte il Ponte di comando ci fa dire la cosa che vogliamo dire ma ci fa sottolineare che noi sappiamo benissimo di non doverlo dire e che tuttavia facciamo solamente una scusabile eccezione: “Sì, qua non voglio fare il modesto:…”. Oppure: “ Veramente non lo dovrei dire, ma …”. “Ormai è passato molto tempo, lo posso dire: …”. Ecc., ecc..

Ma non sempre le cose sono semplici.

Spesso il Ponte di comando ci fa sbandierare una falsa motivazione, mentre poi diciamo quello che dobbiamo dire. “A te fa piacere sentire queste cose: …”. “Per farti capire come sono quelle persone:…”.

“Ho bisogno di un consiglio su questa cosa: …”. “Ve lo dico perché, saperlo, possa servire anche a voi: …”.

“Vedi se va bene: …”. Ecc., ecc..

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Altre volte ci fa dire quello che facciamo, ma lamentandocene come di una cosa noiosa o gravosa.

Infine, avvertendo una nostra grande impazienza , il Ponte di comando, non trovando altri modi, certe volte opta addirittura per il metodo del: dire altro per dire quello: c’è la vera motivazione di valore per la quale parliamo, ma diciamo tutt’altro.

Noi vogliamo far sapere A (motivazione di valore) ma diciamo R senza mai dire A. E così il messaggio parte nascosto.

Il Ponte di comando è convinto che quella persona con cui stiamo parlando, anche se abbiamo detto altre cose, ugualmente potrebbe arrivare a pensare le cose che facevano parte del messaggio nascosto. Dentro la sua mente dovrebbe poter avvenire una spontanea congettura o anche un semplice passaggio mentale, da cui possa venire in rilievo la cosa oggetto del messaggio nascosto. E quindi, quella cosa, l’avrà pensata, lei, quella persona. E noi? Noi non c’entriamo. Lo avrà pensato lei, e non potrà mai associare quello che noi abbiamo detto a quella cosa buona che ora nota in noi: da tutto ciò, niente reazione.

Si aprirà questo corridoio nella mente di quella persona?

Ebbene, se non si aprirà, pazienza; per il Ponte di comando sarà valsa la pena di aver tentato questo metodo.

Adesso serve proprio qualche esempio della signora Rossi. Eccola.

Inizia: “Pur avendo ben capita la cosa, non sono riuscita a trovare dentro di me le operazioni del dire altro per dire quello. Forse ci saranno pure state, ma comunque non ho esempi da darvi. Il patto era che gli esempi dovevano essere cose, capitate veramente, e non inventate. Mi dispiace”.

Se ne va.

E allora?

Allora, esempi completamente inventati..

Io dico ad un amico: “Devi stare molto attento”.

Non mi importa nulla dell’amico e ho detto questo solo per fargli sapere che io mi ero accorto della difficoltà di quella situazione (motivazione di valore). Ho portato avanti la cosa come se avessi parlato affinché lui potesse stare più attento.

Siamo, in gruppo, tutte donne. Si sta parlando delle meraviglie dei nuovi telefoni moderni. Dico: “Esiste un telefono di casa, fatto in modo che soltanto l’interessato possa rispondere alle telefonate per lui?”. E ho detto questo solo per far loro intuire che io ho un rapporto d’amore segreto con un uomo (motivazione di valore). Ho portato avanti la cosa come se avessi avuto la curiosità di scoprire nuove capacità tecniche dei telefoni. Un’amica, allora, mi dice che per ora un telefono di casa simile non esiste però forse un domani si potranno differenziare le suonerie, ma smette subito vedendomi completamente disattenta.

Io sono un bambino di dieci anni. Dico al mio cuginetto più piccolo: “Ti ricordi un mese fa, quando andammo giù al paese, come ci divertimmo?”. E ho detto questo solo per fargli venire alla mente di quando, durante quella sera, io riuscii a far girare la ruota (motivazione di valore). Ho portato avanti la cosa come se avessi cercato di rinnovare ancora col ricordo il piacere goduto insieme. Lui dopo un po’ mi risponde: “Ma io, mi ci annoiai”.

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Eppure, invece, ci sono anche dei casi in cui lo ascoltiamo di meno, il Ponte di comando. Se lui trova il modo di aiutarci subito, va bene, ma se poi dobbiamo aspettare sempre i suoi modi ed i suoi tempi, allora no.

In questi casi, assolutamente, di certe cose ne vogliamo parlare, non ce ne importa, lo vogliamo dire subito, senza aspettare.

Quali sono questi casi in cui il Ponte di comando viene messo da parte?

Questo accade esattamente o quando ci troviamo su di un nostro, importante, punto di soddisfazione (non ancora trattato) del quale ne vogliamo parlare; o quando abbiamo un livello di valore molto basso e dobbiamo parlare per forza; oppure, quando abbiamo già incominciato ad avere dalla nostra mente qualche disfunzione del comportamento e quindi andiamo, come dire?, a ruota libera a dire quello che vogliamo.

COME SI ARRIVA AL TABU’

Conclusione: perché il valore diventa tabù?

Risposta: il valore diventa tabù a causa delle reazioni di abbassamento.

Certo, quando i bambini sono tanto piccoli da non conoscere queste reazioni, si può allora vedere quanto sia sfrenato e senza riguardi il bisogno di comunicare il proprio valore; ancora di più, quando si trovino in gruppo; ancora di più, in gruppo, alla presenza di un adulto significativo. Poi, prima o poi, arriverà quell’esperienza, la quale diminuirà almeno un po’ l’irruenza di quelle acque tumultuose.

Fin da piccoli registriamo ed accettiamo, come regola ammonitrice, il fatto che, certe cose un po’

valorizzanti, se vogliamo essere sicuri, le possiamo dire, o mostrare, solo ai genitori. Spesso, non ai coetanei, e , perfino, non ai fratelli. Da costoro a noi, qualche volta viene l’avvertimento che la cosa può non essere gradita. La reazione opposta che ci viene da loro è come se ci dicesse: “E’ vietato”. Nello stesso tempo a noi stessi qualche volta non è gradito sentire certe cose dai coetanei e quindi anche dall’interno del nostro animo viene fuori la voce: “Non si fa”.

Risultato: è vietato.

Per il tabù, nessuno ci spiega la cosa. Per gli altri comportamenti che dobbiamo evitare riceviamo un continuo insegnamento. Per questo, nulla. Ed anche se qualche genitore più preoccupato ci dice: “Non ci si vanta con gli altri”, poi non potrebbe avventurarsi a spiegare bene la cosa. E si sa che tutte le cose di cui non si conosce la provenienza fanno più impressione.

Risultato: mistero.

Risultato: vietato e mistero.

Vietato e mistero quindi avvolgono le nostre piccole esternazioni di valore. Ma la nostra mente farà presto ad applicare, vietato e mistero, non più solamente alle esternazioni di valore, ma anche direttamente all’intero discorso del valore. Vietato e mistero, silenzio imbarazzato.

Questa trasposizione mentale è l’ovvia naturale conseguenza.

Sarebbe stato ben prevedibile che finiva così: tutto via.

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Tutta la sentita necessità di valore diventa, vietato e mistero, ed anche tutto quello che ne parla.

Da queste impressioni, da quello che abbiamo visto e sentito, il risultato non poteva che essere quello: il valore diventa un tabù.

Il valore è tabù.

Finiamo per associare mentalmente il concetto di valore a qualcosa, come di brutto, di odioso, di sporco.

E crescendo, le cose non mutano. Il tabù ormai si è radicato in noi e può continuare indisturbato, perché niente e nessuno intorno a noi contribuisce più a diradarlo.

Da adulti, col nostro allontanarci dai genitori, il principale porto franco che avevamo ci viene precluso. E poi le cose sono cambiate: siamo diventati grandi, ed anche con essi ormai quasi sempre usiamo le stesse cautele che usiamo con gli altri.

LO SAPPIAMO – SEMINCONSCIETA’ – INCONSCIETA’

Certe volte ne siamo coscienti. Pensiamo: “Non ho voluto parlare per difendere il mio onore” (valore).

Oppure: “Ci tengo molto a questa cosa perché mi dà molte soddisfazioni” (valore).

Ma sono pochissimi questi casi in cui riusciamo ad intuire che si tratta del bisogno di valorizzazione. In realtà, di questo non vediamo quasi niente nella nostra mente. Vediamo, come vedremmo in un laghetto dall’acqua torbida, dentro cui nuotino tantissimi pesci. Di tutti questi pesci, che pure nuotano in quel laghetto, noi ne vediamo solo qualcuno, appariscente, quando salti sopra il pelo dell’acqua e, semmai, altri due che vengano quasi in superficie. Ma non vediamo null’altro.

Ora, su tutti gli altri diecimila pesci del laghetto, cioè per tutto il valore inconscio che è nel nostro animo, il tabù agisce indisturbato.

Quindi, da una parte, di quasi tutto il nostro bisogno di valorizzazione personale che gira nei nostri pensieri, noi non ne sappiamo niente, e, dall’altra, ancora senza che noi lo sappiamo, vi agisce il tabù.

Alla fine, è una cosa, difficile a credersi: mentre, noi, non siamo abituati a tradurre, e quindi non sappiamo che una nostra motivazione è di valore, ebbene, invece, il tabù, lui, lo sa, lui ha già fatto la sua traduzione, e quindi noi ci troviamo a nascondere e a mitigare. E così, noi non ne sappiamo nulla, mentre lui lo sa.

Inconsciamente, a contatto con gli altri, spesso nascondiamo il valore, lo intrufoliamo, lo presentiamo devitalizzato, lo spieghiamo in altri modi. Poi: da fuori a dentro, nella nostra mente, il passo è breve: a furia di nasconderlo agli altri, finisce che resta nascosto anche a noi. A furia di intrufolarlo o presentarlo devitalizzato, finisce che sembra anche a noi una cosa evanescente. A furia di farlo uscire travestito, finisce che ci resta travestito anche in casa, ed anche noi stessi finiamo per considerarlo qualcosa d’altro.

Risultato: il valore diventa spesso inconscio.

Certe volte può anche accaderci che, cercando il perché di un nostro comportamento, escluse tutte le altre spiegazioni possibili, ci fermiamo pensando: “E allora? Una ragione non la trovo?”. Quella motivazione di

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valore, per il tabù, è qualcosa che non si vede come esistente. Eppure, era semplice, l’avevamo fatto per quello (motivazione di valore).

Il valore, noi lo viviamo ma non ci riflettiamo.

Lo sappiamo e non lo sappiamo. Lo sappiamo e non ci interessa saperlo. Se ce lo vengono a spiegare, sembra che già lo sapevamo. Ne parliamo, ma spesso non ce ne chiediamo il perché. Sorvoliamo. Siamo sonnambuli. Seguiamo motivazioni di valore e dopo non sappiamo bene tutto quello che c’è stato dentro la nostra mente. In molti casi la spiegazione di valore si trova appena sotto un leggerissimo strato di cipria:

basta soffiarci sopra e si può vedere tutto. Ma non vi soffiamo.

Alcuni guerrieri del valore, all’aperto o solo nei nostri pensieri, escono a combattere per conquistare altro bottino. Le sentinelle dell’accampamento, ventiquattro ore su ventiquattro, senza mai riposare, vegliano alla difesa del valore. Migliaia e migliaia di piccoli operai lavorano giorno e notte. I guerrieri combattono qualunque nemico, le sentinelle urlano al solo avvistamento di eventuali assalitori, i piccoli operai lavorano assiduamente: e di tutta questa situazione, proprio noi, non ne siamo pienamente consapevoli. Questa cosa incredibile diventa possibile perché il tabù del valore fa scendere la nebbia su tutto lo scenario. Una delle tendenze più forti del nostro animo ci risulta un debole fantasma.

Per la prima volta, si scopre il tabù che grava sul valore. E’ stato il gioco delle motivazioni (non ancora trattato) che, avendo visto tutto questo nostro imbarazzo e tutto questo nostro rifiuto, è andato a vedere.

Ma imbarazzo e rifiuto, di fronte a che?

Di fronte a qualcosa, il valore, che è nascosto e poco chiaro. Allora, per prima cosa, bisogna passare ad intravederlo, un poco, il valore. Bisogna capire quante cose vanno tradotte in esso. Poi ancora, bisogna incominciare a pensare che la cosa è così tanto importante, dai nostri pensieri, da riversarsi dai nostri pensieri prepotentemente fuori, attraverso le manifestazioni esteriori. Ma come si fa a fare tre salti, così difficili, uno dietro l’altro?

Ebbene, il gioco delle motivazioni (non ancora trattato) ci prenderà per mano, e ci farà fare tutti e tre questi salti.

Noi avremo discorsi ed azioni da esaminare. Allora, fra le varie risposte, la risposta: “Valore” ricorrerà spessissimo, minuto per minuto. Spessissimo? Nessuno ci crederebbe.

Sforzo di traduzioni, all’inizio, e poi vedremo che dovremo considerare, di valore, minuto per minuto, tanta parte di quello che diciamo e facciamo.

A tradurre ci sentiremo spaesati, non l’abbiamo mai fatto, non ci siamo abituati, ma senza traduzioni tutto resterebbe così come è.

Il gioco delle motivazioni (non ancora trattato) ci richiede traduzioni.

Il valore? Solo il gioco delle motivazioni può scoprirlo completamente. Solo il gioco delle motivazioni può scoprire quanto continua sia la presenza del valore dentro di noi. Il valore balla continuamente nei nostri pensieri e quindi si riversa nelle azioni e nelle parole.

C’è qui un interlocutore?

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INTERLOCUTORE – Ma dove sta questo valore ogni minuto, come dite voi? Io non lo vedo. Sì, ogni tanto, certo, ma poi basta.

AUTORE – Lei lo troverebbe continuamente dentro di sé, se volesse usare il gioco delle motivazioni.

INTERLOCUTORE – Ci vorrebbe anche questo, adesso!

AUTORE – Allora è naturale che Lei non possa vederlo.

Quando, all’inizio, si incomincerà ad usare il gioco delle motivazioni, non capiremo subito la collocazione, nel valore, di tantissime manifestazioni, anche di quelle più chiaramente di valore. Allora, uno che sia già esperto nel gioco sicuramente se ne meraviglierebbe. Se potesse entrare nella mente di colui che appena allora incominciasse ad usarlo, direbbe: “Ma tu, nemmeno questo, vedi che é, di valore? Nemmeno la cosa più semplice?”. Inoltre, quell’esperto vedrebbe che il novizio capirebbe che le sue manifestazioni sono, di valore, solo quando é valore che lo tocca fortemente, per le cose più importanti: non invece quando si trattasse del valore nelle cose piccole, piccolissime, motivazioni di piccolissimi movimenti e piccolissime frasi, nei momenti insignificanti, sciocchezzuole, bazzecole. E direbbe al novizio: “Devi rifletterci: anche alcune, di quelle piccolissime cose, che tu fai o dici: non sono, niente; anch’esse, in quel momento, difendono, proteggono o accrescono il tuo valore. Insomma, nella vicenda del valore, tutto conta e tutto serve”.

E, se qualcuno ci volesse impegnare a vedere come una nostra piccola cosa sia stata causata dal bisogno di valore, noi allora, irritati, risponderemmo: ”Il valore? In una cosa così piccola? Sono ben altre le cose…”.

Spreco di energie per mancate traduzioni.

Normalmente non si pensa che tante cose che facciamo abbiano la stessa motivazione, che confluiscano nello stesso alveo, e siano, come dire?, la stessa cosa. Delineare le proprie sopracciglia con la pinzetta per apparire meglio, e ristudiare la geografia solo per migliorarsi: sono la stessa cosa. Dire: “Siamo in pochi ad aver capito questo” per fare notare la differenza, e picchiare spesso la moglie per avere la sensazione di tenerla sotto: sono la stessa cosa. Dire: “Ho avuto ragione io” solo per ricordarlo agli altri, e mettersi, per uscire, un vestito migliore di quello di casa: sono la stessa cosa. Dire: “Cinque o sei volte” invece che: “Una o due” per fare migliore figura, e dire: “Io sono una persona leale” per far notare questa buona qualità: sono la stessa cosa. Riprendere il discorso per precisare le proprie intenzioni affinché non si pensi che si sia sciocchi, e impedirsi di fare una cosa, se passa qualcuno, per non fare brutta figura: sono la stessa cosa.

Ecc., ecc..

E normalmente tu non pensi che tante cose che senti nel tuo animo abbiano la stessa causa, che siano reazioni alla stessa esigenza, e siano, come dire?, la stessa cosa. Sono la stessa cosa: se ti senti fiero della tua macchina nuova, se non ti fa un buon effetto vedere un tuo coetaneo dimostrare meno anni di te, se critichi, come avversario, l’altro Settore dell’Ufficio, se, dentro di te, non fai il tifo per tuo fratello durante la sua gara perché non sta seguendo un tuo consiglio, se in un discorso ometti di dire una cosa solo per non fare brutta figura, se pensi: “Ben gli sta” di un alpinista che è precipitato, se stai bene perché hai risolto un cruciverba difficile, se pensi di sparare alla tua fidanzata che non ti ama più e ti vuole lasciare: “O mia, o di nessuno!”, se ti soddisfa il fatto che ti stai distinguendo dagli altri, se non sei contento se ti dicono che non hai saputo educare tuo figlio.

(30)

Ecc., ecc..

E ci siamo messi su una cattiva strada: a nulla servirebbero anche diecimila pagine di esempi di tutto quello che rientra nel valore. Diecimila pagine di esempi non servirebbero ad altro che a dare l’impressione di aver circoscritto un terreno che invece è infinito.

Il valore va in giro portando con sé una valigia grandissima.

Innumerevoli nostri atteggiamenti, mille volte più di quelli che pensiamo, si trovano, tutti, in quella valigia. Tantissime, non abbiamo mai pensato che si trovino in quella stessa valigia.

Dal bisogno di elevare e di non far scendere il livello di valore, vengono moltissimi tipi di comportamenti, parole, sentimenti, reazioni, impulsi, ecc., ecc..

Il valore è in giro dovunque; permea la vita delle persone come la panna con il caffè, solo che, di esso, si fanno tanti discorsi, ognuno diverso dall’altro.

Si danno tante spiegazioni diverse al posto di un’unica spiegazione.

Dei comportamenti di valore, si danno tante spiegazioni apparentemente diverse, che, tutte, rientrano nell’unica spiegazione di valore: quella persona ha cercato un po’ di valorizzazione per sé, o, in altri casi, sta cercando di evitarsi svalorizzazioni.

Si tratta di mattoni dello stesso edificio ed invece: si parla d’altro, di altro, e d’altro ancora.

Mille spiegazioni distinte, mille discorsi distinti: un enorme spreco di energie, per quello che è un discorso unico. Discorsi e studi: quanto spreco di energie, quanto lavoro inutile, senza capire che, in molti di quei casi, tutto è solo un effetto della stessa cosa.

(31)

LE SCELTE ED IL VALORE

Ad ogni attimo noi facciamo delle scelte.

Tra le tante scelte possibili, noi facciamo una scelta precisa: quella.

Usiamo un certo tipo di spazzola. Dopo molti ripensamenti compriamo una certa casa. Preferiamo un certo tipo di vino. Fra le tante cose a disposizione abbiamo scelto quella cosa.

Però le scelte che noi facciamo non sono soltanto le scelte che conducono ad una cosa materiale: la spazzola, la casa, il vino; ma noi facciamo anche scelte che sono solo nella nostra mente. Usiamo un certo tipo di comportamento. Dopo molti ripensamenti la pensiamo in un certo modo. Preferiamo in quei casi un certo tipo di convinzione.

Insieme alla scelte di cose materiali, anche queste, sono, scelte. Infatti fra i tanti modi di pensare possibili abbiamo scelto proprio quello, in particolare.

Non in altro modo: noi la pensiamo così.

Oggetto delle scelte: dalle cose importantissime, a quelle infime, ridicole.

Le scelte fanno parte della nostra personalità, le danno struttura e colori.

Stanno dentro di noi. Sono, noi. Ci caratterizzano quanto ci caratterizza il nostro viso.

Ora, le scelte sono, noi, perché queste propensioni mentali possono anche interessare il nostro valore.

Infatti alcune di esse, il valore, lo trasportano dietro le spalle: il valore sta nascosto, fino a quando sente di dover venir fuori al fianco della sua scelta.

Ma attenzione a non generalizzare: in numero maggiore, sono le scelte leggere, le scelte che non portano dietro le spalle alcun valore. Le scelte leggere sono quelle che non ci caratterizzano in alcun modo. Non

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