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Posizioni che per te sono di netta inferiorità, dall’interessato possono essere viste come di superiorità.

Quelli che per te sono difetti, un altro li potrà considerare pregi. Altri verranno da te a farti conoscere le loro migliori cose, che viceversa per te sono cose brutte.

Si può confermare il proprio valore solo con buone azioni?

Certo che no. Il valore può essere confermato anche dal male.

Quindi si può essere orgogliosi di rubacchiare senza necessità.

Orgogliosi di aver ucciso.

Sicari, orgogliosi dei soldi guadagnati.

Capi di stato, si può trarre valorizzazione personale, dall’assalire un altro Stato, causando migliaia di morti; salvo poi a pensare che lo si è fatto per la grandezza o per la difesa della Nazione (altruismo).

L’obbedienza cieca può costituire, in un campo di sterminio, un attributo positivo di valore.

Tra lo scienziato filantropo e l’omicida senza pietà? Quest’ultimo, specialmente quando non venga mai catturato, può anche sentirsi più valorizzato dello scienziato.

Le peggiori persone della Comunità?

Possono trarre una propria valorizzazione proprio da quei vantaggi concreti che sono il frutto delle loro cattive azioni.

Si può essere orgogliosi di frodare il lavoro dovuto.

Si può sentire valorizzazione da piccole bravate e da piccoli soprusi.

Ci si può sentire in gamba per essersi attribuito più denaro del dovuto.

Ci si può vantare della propria intelligenza che ha saputo scaricare una propria mancanza su altri.

Ecc., ecc..

Da strade opposte: con cose grandi e cose piccole. Se pensiamo alla preoccupazione di valore pensando solo a grandi cose: ebbene, è come se stessimo pensando ad una goccia nel mare. La preoccupazione di valore pensa, per lo più, a cose futili, piccole, della vita quotidiana, in cui raramente entrano le cosiddette grandi cose. Ed anche quando vi entrassero, non sospenderebbero in alcun modo il minuto lavorio mentale per tutte le piccole cose.

E quando, per tutte queste cose, qualcuno in buona fede dice al valore: “Tu ti servi di cose futili; a che ti servono?”, il valore gli risponde “Servono, serve tutto, non si butta niente: quando capita, quando si può, quando ci si riesce. Tutto questo è in tutti, e quindi anche in te. Lo sai quale è la posta in palio?”.

Le lamentazioni

Per una cosa o per tutte, ci sono persone, che, neanche morte, si lamenterebbero di alcunché. Mai, confiderebbero i patimenti di un disagio o di un dispiacere, agli altri. Ed hanno in testa, proprio come valorizzante, il non parlarne mai.

Da strada opposta, tutti noi siamo portatori di lamentazioni da far conoscere a chi ci ascolta. Tutti facciamo un po’ così, chi più e chi meno.

Vogliamo che gli altri lo sappiano: seccature, malanni, dolori, preoccupazioni, torti subiti, patimenti dell’animo, ecc., ecc. . Vogliamo dire quello che ci capita di subire oggi; e vogliamo dire quello che ci è capitato di subire in passato. Non importa se per causa nostra o per mano di altri; non importa se per ragioni naturali, o per altro: sono tutte sofferenze capitateci in sorte, che potevano anche non capitarci.

E quando si parla di lamentazioni si deve pensare a tutti i tipi di lamentazione, anche a quelli che riguardano una poltrona scomoda, un affollamento in autobus, brutti sogni, una bottiglia che non si riusciva ad aprire o il tempo troppo capriccioso.

Sofferenze lievi?

Vanno bene lo stesso.

Ora, spesso le lamentazioni hanno motivazione di valore.

Eppure sembrerebbe non essere possibile.

Sembrerebbe impossibile che qualcosa che ha avvilito la nostra personalità, possa poi, per incanto, servire a sollevare proprio il nostro valore. Sembrerebbe impossibile che proprio le cose che ci hanno buttato giù ritornino poi a sostenerci.

Dalla sofferenza alla valorizzazione? Come si arriva?

Qui il valore ragiona male. Ma non lo fa apposta. Lui, qualche volta, ha visto che aver avuto sfortuna ha diminuito, o ha annullato, alcuni demeriti. Lui ha visto che essere partiti in una corsa subendo un handicap fa sì che ti guardino benevolmente. Queste cose lo hanno impressionato molto: allora, a lungo andare, con una errata trasposizione mentale ha creato un legame fisso tra sfortuna e valore. Con una errata trasposizione mentale, sfortuna non è più solo un handicap, ma è direttamente valore.

Semplicisticamente lui subito pensa alle cose che sopportiamo come, direttamente apportanti valorizzazione. Sente che sono valorizzanti e basta.

Ed infatti, spesso, con motivazione di valore, noi parliamo di qualche nostra sofferenza. Con motivazione di valore, portiamo avanti le cose che abbiamo subìto, come già, di per se stesse, valorizzanti: come esercitando un titolo di credito, valido sempre, per ottenere moneta di valore in cambio.

Ed ecco perché, come per tutte le cose valorizzanti, vogliamo farlo sapere agli altri; per dirlo balziamo addosso agli agganci che ci capitano nei discorsi; certe volte vogliamo anche stabilire, come dire?, una superiorità in sofferenze.

La tendenza è così forte che, quando per caso incrociamo gli occhi di una persona sconosciuta, non è raro che questa, come parlando con se stessa, sussurri qualcosa che sta sopportando, o coi movimenti degli occhi o delle labbra ci rivolga qualche sua muta lamentazione. A noi sconosciuti. Per qualunque cosa. E, perfino, le persone tendono a lamentarsi presumendo sempre di far parte di tempi peggiori di quelli passati; mentre, colui, che abbia letto scritti provenienti da altre epoche, sa bene che queste stesse lamentazioni ci sono state in tutti i tempi.

Quando portiamo avanti le nostre sofferenze del passato, inconsciamente la motivazione è quasi sempre di valore; mentre quando incominciamo a parlare di cose che ci angustiano nel presente, qualche volta la motivazione può essere di altro tipo. Infatti certe volte abbiamo intenzione, anche se non chiaramente, di cercare conforto, consigli o aiuti pratici.

Invece, quando chi si lamenta ha solo una motivazione di valore, non è raro il caso che rifiuti l’offerta di un perfetto aiuto, o non ascolti il consiglio di un decisivo rimedio. Ed anzi può anche capitare il caso in cui, tu, che volevi aiutarlo, ti senta rispondere con un no deciso e senza ringraziamenti; o con una frase risentita, da persona offesa. E allora te ne vai pensando: “Ma, allora, che vuole?”.

Ha la stessa provenienza di valore, nel nostro animo, quella fugace puntina di dolcezza che qualche volta sentiamo, laggiù in fondo, fare capolino sull’amarezza dei nostri più grandi dolori.

Anche attraverso gli altri

I nostri pensieri cercano di trarre valore dalla nostra stessa persona. Da chi, se no?

Ma, in qualche momento, da strada opposta, addirittura altre persone che non sono noi diventano, quasi noi, ai fini del valore. Solo per quanto riguarda il valore, inconsciamente, per qualche ragione, noi li incorporiamo. Ecco perché ci può essere anche: il valore attraverso gli altri. Senza saperlo, i loro successi li sentiamo un po’ come nostri; senza saperlo li difendiamo dalle critiche.

I nostri figli qualche volta, ai fini del valore, li sentiamo, quasi noi. Specialmente quando siamo a contatto con degli estranei. Ma non mancheranno i periodi o i momenti in cui non li sentiremo, noi, ma, altri da noi.

Tutti quelli che vivono molto a contatto con noi, ed a cui ci affezioniamo, possiamo sentirli, quasi noi.

Ma possiamo sentire, quasi noi, qualunque altra persona che conosciamo; e perfino persone che nemmeno conosciamo personalmente. Questi ulteriori collegamenti si creano nella nostra mente per nostre personalissime ragioni di unione con loro, ragioni tutte provenienti, in un modo o in un altro, dai giochetti del valore. A causa di questi collegamenti il nostro valore in qualche momento diventa sensibile a quello che accade a queste persone.

Senza che noi lo sappiamo, è il nostro valore a creare il collegamento, e poi da quel collegamento possono arrivargli riflessi positivi o negativi. Il collegamento con quelle persone deriva da nostre scelte recanti valore dietro le spalle.

Per esempio, una scelta fatta da un’altra persona che sia uguale ad una nostra scelta col valore dietro le spalle, può farci diventare quell’altra persona, quasi noi. Quel collega di lavoro non solo ci è simpatico, ma sentiamo anche, quasi come nostre, le cose buone che fa: prese la nostra stessa posizione.

Oppure ci dispiaciamo un poco per il declino della carriera di quell’attore: portava i capelli proprio esattamente come li portavamo noi.

Per esempio, il fatto che noi abbiamo preferito decisamente alle altre certe persone e che queste scelte avevano il valore dietro di sé, fa sì che queste persone diventino loro stesse, nostre scelte, e si capisce che le vicende delle nostre scelte possono influire direttamente sul nostro valore. E così ci troviamo a difendere quel cugino: lo abbiamo sempre preferito agli altri.

Oppure siamo orgogliosi perché ha vinto la nostra squadra sportiva. La scegliemmo fra tante e l’abbiamo sempre seguita.

Oppure il nostro valore si dispiace del cattivo comportamento di un lavorante: l’avevamo consigliato noi.

D’altra parte, da strada opposta, il fatto che proprio noi siamo stati scelti da altri, può farci sentire in qualche momento queste persone, quasi noi. Loro hanno scelto noi ed hanno in qualche modo confermato il nostro valore.

Per esempio, ci sentiamo un po’ diminuiti, anche noi, se le cose vadano male al nostro Capo: ci preferì agli altri.

Oppure siamo contenti se la vicina si veste con gusto: ha sempre avuto per noi più riguardi che per gli altri.

Molti di questi collegamenti possono anche essere intermittenti.

Sediamoci in poltrona ed assistiamo a queste due scenette.

Prima scenetta

Mamma critica Francesco, ma io lo difendo subito. Lo sapevo che mamma aveva ragione, ma io ho sentito ugualmente di doverlo difendere. In quel momento ho sentito Francesco, quasi me: Francesco ha la mia stessa grande passione per la danza e mia madre non vuole che io danzi.

Seconda scenetta

Più tardi, con mia sorella, ora sono io a criticare aspramente Francesco. Ora evidentemente lo sento, altri da me.

E queste erano scenette inventate. Ma è potuto capitare anche a voi di stare ad ascoltare un marito che vi parla malissimo della moglie o un padre che vi dice tante cose negative del figlio: di dire, anche voi, una piccola cosa negativa, e vedere allora come quel marito o quel padre vi guardino male.

COSA SONO

Sono qualcosa in cui pensiamo di essere molto validi.

Più di molti altri. Più di altri. Più delle quattro persone del nostro ambiente.

E quindi sono punti da cui sprizzano per noi soddisfazioni.

A spiegare un punto di soddisfazione, insomma, ci deve essere una qualche sensazione di superiorità.

Un punto di soddisfazione può avere come oggetto qualunque cosa che facciamo all’esterno di noi.

Comportamenti sconosciuti e attività ben viste. Azioni singole ed attività organizzate. Cose rivolte a sé stessi e cose rivolte agli altri. Cose nel privato e cose in ambito politico. Gesti, movimenti, opere, parole, discorsi. Ecc., ecc..

Ma un punto di soddisfazione può anche avere come oggetto qualcosa che resta solo nella nostra mente.

Una qualsiasi valutazione su noi stessi. Una capacità mentale che possediamo. Un nostro modo di pensare.

Essere in qualche modo. Un ragionamento. Un’intuizione. Un’idea. Una opinione su persone o cose. Un nostro gusto. Ecc. , ecc..

Un punto di soddisfazione può appuntarsi su qualità fisiche oppure spirituali.

Può consistere in qualcosa che si possiede da molto, oppure nelle cose acquistate da poco.

Può fissarsi sulle cose che abbiamo costruito, o solo migliorato.

Può sostanziarsi in una posizione, in un grado, in un comando.

Può identificarsi in un rapporto con un’altra persona.

Può essere nel passato e nel futuro. Qualcosa che si faceva in passato, una collocazione in cui si era, delle cose che si avevano, ecc., ecc.. O cose viste per sé nel futuro, un progetto, una speranza, un’aspirazione, ecc. , ecc. .

I PUNTI DI