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Metodologie di eddy covariance per la misura dei flussi di carbonio e acqua fra suolo, vegetazione e atmosfera in area montana.

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Academic year: 2021

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AUREA

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AGISTRALE IN

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CIENZE

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MBIENTALI

Metodologie di Eddy Covariance per la misura dei flussi di carbonio

e acqua tra suolo, vegetazione e atmosfera in area montana

Relatore: Prof. Antonello Provenzale

Correlatore: Dott.ssa Gianna Vivaldo

Controrelatore: Dott. Marco Ciolfi

Dott.ssa Ilaria Baneschi

Candidato:

GENNARO ALBINI

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Sommario

Introduzione ... 3

2. Stato dell’arte: Eddy Covariance ... 10

2.1 Principi dell’eddy covariance ... 13

2.2 Strumentazione ... 14 2.2.1 Anemometro ... 17 2.2.2 Gas analizzatore ... 18 2.3 Pre-processing ... 21 3.Area di studio ... 23 4.Materiali e metodi ... 27 4.1 Data processing ... 29 4.1.1 EddyPro... 29 5. Risultati e discussione... 38 5.1 Flussi di CO2 ... 39 5.1.1 Wind Filter ... 45 5.1.2 RFlux ... 47

5.1.2.1 RFlux – caso studio del Nivolet ... 53

5.2 Flussi di H2O ... 55

6.Conclusioni ... 60

Ringraziamenti ... 62

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3 Introduzione

Il sistema terrestre è caratterizzato da una complessa rete di scambi di energia e materia tra le sue diverse componenti quali geosfera, biosfera, idrosfera e atmosfera. La dinamica di questi scambi può essere descritta come un insieme di flussi che si propagano da un comparto ad un altro in un periodo di tempo più o meno lungo.

Per flusso si intende una certa quantità di energia o materia che per unità di superficie viene trasferita da una riserva ad un’altra nell’unità di tempo; se il flusso è in uscita dalla superficie questa viene denominata sorgente, al contrario invece avremo un pozzo o un sito di accumulo (Burba, 2005). Per fare un esempio, un lago è una sorgente di H2O rilasciata in atmosfera nella forma di vapore acqueo per via del processo di evaporazione. Viceversa, la vegetazione durante le fasi diurne può rappresentare un pozzo di CO2 perché le foglie assorbono CO2 dall’atmosfera durante il processo di fotosintesi.

I flussi più importanti nel sistema terrestre sono quelli che comprendono il trasferimento di energia e i cicli biogeochimici.

L’energia che caratterizza il sistema terrestre e le sue componenti deriva principalmente dal sole. La radiazione solare, che arriva sulla superficie terrestre in maniera non uniforme, riscalda la superficie del pianeta in modo differenziale. Il calore assorbito viene in parte riemesso e trasferito all’atmosfera, in parte ridistribuito a livello globale grazie ai processi di trasporto a grande scala in atmosfera e oceano. Il trasferimento dell’energia termica include tre meccanismi principali: irraggiamento, convezione e trasporto turbolento, e trasferimento di calore latente mediante le transizioni di fase dell’acqua.

Tra i flussi che prevedono lo spostamento di materia, i cicli biogeochimici sono tra i più importanti a livello terrestre. Gli elementi che compongono la materia vivente vengono prelevati da siti di accumulo e vanno a costituire la materia organica. Dopo un certo periodo di tempo questi composti tornano nei diversi siti di accumulo partecipando ad una circolazione degli elementi chimici dagli organismi all’ambiente e viceversa, secondo processi ben precisi che instaurano un equilibrio dinamico tra le componenti del sistema terrestre.

Comprendere dunque il meccanismo dei flussi di scambio tra le componenti terrestri come geosfera, biosfera, idrosfera e atmosfera è di vitale importanza per capire meglio come è strutturato il sistema terrestre. È un lavoro non semplice data la complessità delle valutazioni

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qualitative e quantitative di questi scambi, ma necessario per capire meglio anche come l’impatto antropico stia modificando questi equilibri.

Tra i flussi biogeochimici, quello del carbonio assume una particolare importanza. Questo elemento è essenziale per il sistema terrestre e viene trasportato e trasferito da un sistema ad un altro mediante flussi che ne regolano la distribuzione a livello globale. Il meccanismo, mostrato nella Figura 1, prende il nome di ciclo del carbonio e descrive il movimento di questo elemento nelle sue varie forme e tra le diverse componenti del sistema terrestre. Ognuna di queste componenti presenta al suo interno pozzi e sorgenti, rispettivamente “sink” e “source”, che assorbono e cedono carbonio mediante meccanismi molteplici sia di tipo chimico che biologico. Il trasferimento del carbonio può avvenire su scale temporali diverse, ad esempio nella biosfera la produttività primaria netta segue cicli diurni e stagionali, mentre nel suolo il carbonio può essere immagazzinato fino a migliaia di anni.

Figura 1 Ciclo del Carbonio da UNEP/GRID-Arendal (2005a).

Tra i meccanismi di cessione e assorbimento di carbonio più noti in natura, vi è quello che riguarda il trasferimento di biossido di carbonio o anidride carbonica (CO2) tra la vegetazione e l’atmosfera. Le piante assorbono biossido di carbonio dall’atmosfera mediante

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la fotosintesi clorofilliana e rilasciano CO2 nell’atmosfera durante la respirazione. La luce solare è il motore della fotosintesi che trasforma i composti di CO2 e H2O in O2 e polimeri di CH2O che costituiscono le fibre vegetali, come la cellulosa, dove il carbonio viene intrappolato come carbonio fissato (Baird e Cann, 2006). L’assorbimento di CO2 dall’atmosfera non avviene uniformemente per tutto l’anno, ma prevale durante le stagioni primaverile ed estiva, periodo di attività fotosintetica più intensa, mentre si riduce durante l’autunno e l’inverno. In questo periodo parte della CO2 immagazzinata e utilizzata nella stagione precedente viene restituita attraverso la decomposizione dei tessuti vegetali.

La CO2 è un gas chimicamente stabile e inerte, inodore ed incolore, presente naturalmente in atmosfera ed è tra i principali gas ad effetto serra del sistema terrestre. L’effetto serra è il

fenomeno di termoregolazione naturale della Terra ed è di per sé fondamentale in quanto garantisce una temperatura media globale di circa 15°C, condizione necessaria per permettere la vita sul nostro pianeta. Un aumento delle concentrazioni dei gas serra nell’atmosfera può però portare ad una amplificazione di tale effetto con conseguente aumento della temperatura media sulla superficie terrestre. L’alterazione di questo ciclo può verificarsi quando i flussi naturali che regolano la distribuzione globale della CO2, vengono modificati da eventi naturali improvvisi o dall’impatto antropico.

La CO2 può essere rilasciata in atmosfera anche dalle attività antropiche come la combustione di fonti energetiche fossili (carbone, petrolio ed altri composti denominati idrocarburi), la deforestazione e l’uso del suolo. Particolare interesse scientifico ha rivestito nell’ultimo secolo l’analisi dell’andamento atmosferico del biossido di carbonio. Questo perché a partire dalla rivoluzione industriale e soprattutto negli ultimi 150 anni, è stato possibile osservare un aumento repentino del biossido di carbonio atmosferico che ha raggiunto le 407 parti per milione (p.p.m). nel 2018 (Bulletin of the American Meteorological Society, 2019); concentrazioni così alte non erano mai state raggiunte negli ultimi 800000 anni (Lüthi et al, 2008), rimanendo sempre nei limiti delle 280-300 p.p.m. durante le fasi più calde.

Tale trend di incremento positivo di CO2 è ben osservabile dalle misurazioni effettuate presso il sito di Mauna Loa sull’isola di Hawai, come mostrato in Figura 2. Posto ad una altitudine di 3397 m.s.l.m, dal 1957 è uno dei riferimenti mondiali per la misurazione della concentrazione atmosferica di CO2.

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6 Figura 2 Concentrazione atmosferica della CO2, presso l’osservatorio di misurazione di Mauna Loa, isola di Hawai:

https://www.esrl.noaa.gov/gmd/ccgg/trends/index.html

Essendo la CO2 tra i principali gas ad effetto serra, il suo repentino aumento in atmosfera è stato messo in relazione di causa-effetto con il recente riscaldamento globale, che negli ultimi 150 anni ha fatto misurare un aumento della temperatura media superficiale terrestre di 0.8 °C (NASA's Goddard Institute for Space Studies (GISS), 2019).

Considerando, dunque, l’attuale crescita della concentrazione atmosferica di CO2 e l’aumento di temperatura da essa prodotto, è evidente come sia necessario comprendere il modo in cui i diversi comparti naturali rispondono ai cambiamenti climatici e alle alterazioni dei cicli biogeochimici naturali.

Gli ambienti naturali, analogamente alla componente di vegetazione, sono sorgenti e pozzi di CO2, in quanto emettono e assorbono biossido di carbonio dall’atmosfera. Variazioni inter annuali della concentrazione di CO2 in atmosfera dipendono anche da quanto gli ecosistemi riescono a bilanciare le emissioni antropiche. Per di più la crescita e lo sviluppo di un ambiente naturale come un ecosistema è in stretta relazione con la componente climatica. Un aumento repentino delle temperature così come delle concentrazioni atmosferiche di CO2 e

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vapore acqueo possono comportare una trasformazione nella distribuzione spaziale e temporale, sia a livello locale che globale, delle componenti biotiche e abiotiche di un ecosistema. La copertura del suolo così come le specie vegetali e animali sono sensibili alle fluttuazioni climatiche e possono rispondere in maniera molto diversa a seconda dell’ambiente di appartenenza (Foden et al.,2016; Gross et al.,2016).

Per tali ragioni negli ultimi decenni la comunità scientifica si è interessata molto allo studio delle risposte ecosistemiche ai cambiamenti climatici.

Ambienti molto sensibili al recente riscaldamento globale e ai cambiamenti climatici sono risultati essere gli ecosistemi alpini o montani. Gli ambienti montani rappresentano una risorsa inestimabile; già nel 1992 a Rio de Janeiro per la Conferenza ONU su ambiente e sviluppo nell’Agenda 21 veniva espressa l’importanza della salvaguardia e conservazione dell’ambiente montano: “Le montagne sono un’importante fonte di acqua, energia, minerali, foreste, prodotti agricoli e aree di grande bellezza. Sono la sede di una straordinaria diversità biologica; sono la casa di specie in pericolo e una parte essenziale dell’ecosistema terrestre” (Agenda 21/13,1992).

A causa dei cambiamenti climatici l’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) ha dedicato nel suo ultimo rapporto Special Report on the Ocean and Cryosphere in a Changing Climate 2019, un capitolo specifico alle aree montane per descriverne lo stato attuale e incoraggiare le politiche governative ad intraprendere azioni sempre più mirate alla loro tutela.

In particolare, le aree montane rappresentano una fonte molto preziosa di acqua dolce. Coprendo una porzione di terre emerse più o meno estesa, circa il 13-25% (Kapos et al., 2000; Kӧrner et al., 2011), queste aree provvedono in maniera cospicua alla ridistribuzione delle acque dolci dai rilievi montuosi agli altipiani fino alle zone pianeggianti, garantendo una risorsa indispensabile per l’irrigazione, per l’approvvigionamento idrico industriale e urbano, per la produzione idroelettrica e altri servizi ecosistemici che derivano dai fiumi (Viviroli et al., 2011), ossia quei benefici diretti e indiretti forniti dagli ecosistemi al genere umano (Millennium Ecosystem Assessment, 2005). Sono, inoltre, una riserva a livello globale di biodiversità. Le regioni montane ospitano una frazione molto importante di specie vegetali e animali endemiche, ossia presenti solo in poche e determinate aree, arrivando a rappresentare circa un terzo della diversità biologica terrestre (Spehn et al., 2011). Questo, insieme ad altri importanti servizi ecosistemici dai quali dipendono una grande parte delle attività umane, fa delle aree montane un patrimonio da tutelare e conservare.

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L’aumento delle temperature come conseguenza del riscaldamento globale è un fenomeno molto accentuato nelle regioni montane e alpine ed è prevista una sua accelerazione nel 21° secolo, con un tasso medio di 0.3°C per decennio (Adler et al., 2019; Ceppi et al., 2012). In tali condizioni le aree montane rappresentano delle sentinelle dei cambiamenti climatici e risulta dunque necessario investigare gli aspetti e le risposte che possono portare questo ambiente importante a trasformazioni nel breve e lungo periodo.

In Italia il monitoraggio delle aree montane e alpine è condotto da diversi enti e istituti di ricerca che, così come in altre parti del mondo, hanno potuto constatare una situazione potenzialmente preoccupante e che necessita di ulteriori sforzi di indagine.

Se da un lato la situazione dei ghiacciai alpini italiani mostra un evidente e sempre più marcato ritiro, dovuto a tassi di fusione ben documentati da studi e indagini condotte negli ultimi decenni (Salvatore et al., 2015), per quanto riguarda i flussi gassosi e in modo particolare il bilancio del biossido di carbonio si è vista la necessità di ampliare le indagini di studio.

Il ciclo del carbonio si compone di una parte più lenta che avviene essenzialmente per merito dell’attività vulcanica, della tettonica a placche e della degradazione meteorica e di una parte più veloce e consistente relativa alla biosfera che ha modificato negli ultimi secoli i livelli di biossido di carbonio in atmosfera alterando così i meccanismi del suddetto ciclo (Broecker, 2018).

Agli inizi di questo secolo è stata definita come Critical Zone o CZ l’area compresa tra lo strato di suolo e matrice di roccia sottostante fino al limite superiore della vegetazione (NRC 2001, Giardino and Houser, 2015). In questa porzione sono compresi tutti quei meccanismi chimici, fisici, geologici, idrologici e biologici che coinvolgono rocce, suolo, acqua, aria e organismi viventi sia vegetali che animali.

Nelle aree montane la Critical Zone è un’area di studio molto interessante per comprendere a pieno i meccanismi di interazione tra suolo, vegetazione e atmosfera come quelli ad esempio dei flussi gassosi tra i quali il biossido di carbonio. Proprio a tal fine, in Italia è stato creato il primo Critical Zone Observatory nel Parco Nazionale Gran Paradiso, con lo scopo di comprendere le dinamiche che regolano questi ecosistemi in relazione anche ai cambiamenti climatici.

Gli ambienti montani come le praterie alpine presenti nel territorio del Parco Nazionale del Gran Paradiso sono ambienti molto sensibili alle variazioni climatiche e all’impatto antropico. Occorre quindi comprendere come questi ecosistemi rispondano e risponderanno in futuro alle sollecitazioni derivate da un’elevata concentrazione di biossido di carbonio e

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da un aumento di temperatura; quali alterazioni si potranno verificare nei meccanismi di rilascio e accumulo della CO2 da parte di suolo, vegetazione e atmosfera.

Per le analisi dei flussi gassosi tra il suolo, la vegetazione e l’atmosfera, esistono diverse tecniche di misurazione. Quelle principali prevedono l’utilizzo di tecniche micrometeorologiche e tecniche che prevedono l’utilizzo di camere di accumulo. Ciascuna metodologia ha i suoi punti di forza e di debolezza e può presentare errori di misura, non esiste quindi una tecnica che sia in assoluto migliore di altre (Norman et al., 1997).

Nel seguente elaborato verrà presa in esame la tecnica di misurazione micrometeorologica della eddy covariance. Questa tecnica è un metodo di monitoraggio micrometeorologico che permette la misurazione dei flussi di gas intesi come trasporto verticale turbolento di gas da e verso il suolo. In ambito micrometeorologico, il concetto di flusso è legato al moto delle particelle di gas, che spostandosi verso l’alto e verso il basso, seguendo flussi turbolenti irregolari definiti genericamente eddies, trasportano le informazioni relative alla velocità del vento e alla concentrazione del gas stesso. Le stazioni di eddy covariance registrano quindi i movimenti dell’aria e la concentrazione dei vari gas, la temperatura e l’umidità. Conoscendo queste informazioni possiamo di conseguenza definire i flussi di gas di interesse (Burba, 2013). Questo è il principio che regola il metodo dell’eddy covariance: il flusso di un gas è proporzionale alla covarianza tra la concentrazione in esame del gas stesso (ad es. la CO2) e la componente verticale della velocità del vento.

Questa tecnica anche se più costosa e difficoltosa da applicare rispetto alle camere di accumulo, permette misurazioni continue su ampie superfici e non disturba il microclima del suolo (Jassens et al., 2001).

Il seguente elaborato prenderà inoltre in esame le tecniche indicate per filtrare i dati provenienti da una stazione di eddy covariance, le procedure da eseguire nell’elaborazione dei dati e i software da utilizzare per trasformare i dati grezzi in dati utili alle analisi successive. Una volta elaborati, i dati serviranno ad arricchire la banca dati ICOS (Integrated Carbon Observation System) e il sistema di osservazioni sul bilancio del biossido di carbonio a livello europeo.

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10 2. Stato dell’arte: Eddy Covariance

Il seguente lavoro di tesi si basa sullo studio e la comprensione della tecnica dell’eddy covariance e sulla valutazione dei flussi netti di CO2 emessi dalle praterie alpine del colle del Nivolet, posto all’interno del Parco Nazionale del Gran Paradiso.

Come già accennato, la eddy covariance è un sistema di monitoraggio dei flussi turbolenti di gas come CO2, CH4, H2O, che consente di misurare anche i flussi del momento, del calore sensibile e del calore latente in aree di ampie estensioni (Aubinet et al., 2012).

È una tra le tecniche utilizzate per misurare i flussi gassosi in ecosistemi, quantificare le perdite di acqua come vapore acqueo all’interno di campi agricoli o per monitorare i tassi di emissione dei gas in un sito predisposto al loro stoccaggio (Burba, 2013). I flussi gassosi possono generarsi dal suolo, dagli specchi d’acqua, dalla copertura vegetale e da aree industriali ed urbane. Questo metodo si basa sulla misurazione diretta e veloce del trasporto dei gas da parte del vento e quindi sulla misurazione del flusso turbolento all’interno del boundary layer (strato limite della quantità di moto), ossia lo strato di atmosfera a diretto contatto con il suolo (Baldocchi, 2012).

Storicamente questo metodo, nato per misurare gli scambi di calore, massa e quantità di moto tra una superficie e l’atmosfera sovrastante, fu introdotto da Montgomery, Swinbank e Obukhov (Aubinet et al., 2012) all’inizio degli anni ‘50. In quel periodo però la strumentazione non era ancora sufficientemente adeguata a consentire studi approfonditi. Solo nei decenni successivi è stato possibile sviluppare e potenziare macchinari sempre più avanzati tecnologicamente e utili a monitorare in modo continuo lo scambio di flussi tra suolo e atmosfera.

È a partire dagli anni ’90 con l’utilizzo di nuovi anemometri sonici e di analizzatori di gas a infrarosso che si è stati in grado di monitorare gli scambi di biossido di carbonio e vapore acqueo negli ambienti naturali e urbani e di misurarli in maniera continua grazie allo sviluppo di software specifici per l’eddy covariance (Aubinet et al., 2012).

Utilizzato per più di 30 anni nell’ambito esclusivo della micrometeorologia, questo metodo si è diffuso in altri ambiti scientifici, dagli studi sulla dinamica degli ecosistemi alle applicazioni nei sistemi agricoli, dagli ambienti urbani (Grimmind e Christen, 2012) fino alla verifica dei modelli climatici, portando alla progressiva installazione di stazioni di monitoraggio in diverse parti del mondo.

Così facendo si è giunti a creare un network di ricezione e immagazzinamento dati sugli scambi di flusso tra suolo e atmosfera. La prima rete nasce nel 1998 e prende il nome di

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FLUXNET. Diffusa globalmente come mostrato nella Figura 3, ha lo scopo di archiviare i dati relativi alle misurazioni micrometeorologiche di scambio di biossido di carbonio, vapore acqueo ed energia tra la biosfera e l’atmosfera (Baldocchi et al., 2001). Ad oggi questa rete comprende più di 800 siti di monitoraggio distribuiti a livello mondiale in Nord America, Sud America, Asia, Europa, Africa e Australia e costituisce una banca dati molto importante per gli studi sui flussi degli ecosistemi terrestri (https://fluxnet.fluxdata.org/).

Figura 3 Mappa globale dei siti del network FLUXNET aggiornata al 2016. Da https://daac.ornl.gov/FLUXNET/.

Pur essendo un metodo che consente una misurazione diretta dei flussi turbolenti di gas, questa tecnica richiede una profonda conoscenza sia della strumentazione che del trattamento dei dati. Sebbene negli ultimi anni siano stati fatti numerosi sforzi per uniformare le metodologie di acquisizione e trattamento dei dati è ancora lungo il percorso a causa del cambio delle metodiche in relazione allo studio che si vuole perseguire (Burba, 2013).

Come detto precedentemente, l’eddy covariance è un sistema per la misurazione dei flussi dei gas. Considerando come esempio una vegetazione terrestre e gli scambi di CO2 che avvengono con l’atmosfera, il flusso sarà dato dal quantitativo di CO2 che si sposta dalla vegetazione all’atmosfera e viceversa. In particolare, l’eddy covariance consente il monitoraggio continuo dei flussi netti degli ecosistemi. Considerando l’esempio precedente, la CO2 entra negli ecosistemi attraverso il processo di fotosintesi ed esce attraverso il

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processo di respirazione dell’ecosistema. Facendo il bilancio tra la fotosintesi e la respirazione si ottiene quello che viene definito lo scambio netto di CO2 dell’ecosistema (NEE) e ciò consente di valutare se l’ecosistema rappresenta un pozzo, ossia assorbe CO2, o una sorgente di CO2, quindi la rilascia.

Il flusso di CO2 che si sposta da e verso la vegetazione è legato al vento. Questo flusso d’aria può essere immaginato come un flusso orizzontale formato da un numero considerevole di eddies, ossia piccoli e grandi vortici di aria idealizzzati come strutture approssimativamente circolari, come illustrato in Figura 4. Ognuno di questi vortici è formato dalle tre componenti tridimensionali del vento che comprendono il movimento verticale dell’aria.

Figura 4 Rappresentazione di un flusso d'aria con vortici al suo interno (eddies). Da G.Burba.

Gli eddies spostandosi verso l’alto e verso il basso trasportano con sé le molecole di gas che si trovano nell’aria, come la CO2. Questo movimento è quello che viene misurato direttamente da una torre di eddy covariance.

Gli eddies non hanno tutti le stesse dimensioni, ma ci possono essere vortici più grandi, di solito lontani dal suolo, e vortici più piccoli, di solito a distanza ravvicinata dal suolo. Questi vortici si spostano a velocità diverse e trasportano più o meno gas a seconda delle loro dimensioni. In generale, in un flusso d’aria ci sarà sempre il contributo di diversi eddies che ruotano a velocità diverse nell’arco di tempo che va dalle ore a 1/10 di secondo. Più vicini al suolo avremo frequenze più alte (vortici più piccoli e veloci), mentre allontanandoci dal suolo avremo frequenze più basse (vortici più grandi e lenti). Per avere una stima il più affidabile possibile, in genere i flussi vengono registrati con cadenza semi oraria così da minimizzare le perdite delle basse frequenze. Durante questo periodo le stazioni di eddy

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covariance registrano i movimenti turbolenti dell’aria e le informazioni relative alla velocità del vento dell’area di interesse, in cui vi è aggiunta o rimozione di gas o di energia al flusso principale. Il vantaggio di questa applicazione risiede nella continuità delle misurazioni che avvengono di giorno e di notte, di modo continuo per mesi o anche anni.

È importante comunque considerare che il flusso misurato riguarda solo il trasporto turbolento che si genera nell’area di interesse, perciò occorre che questo meccanismo sia ben sviluppato così da rendere trascurabili gli altri meccanismi di trasporto come l’avvezione e la diffusione molecolare.

2.1 Principi dell’eddy covariance

La comprensione dell’importanza dello studio dei flussi turbolenti si deve a Osborne Reynolds (1842-1912), che intuì come il moto turbolento potesse trasportare anche calore, portando poi ad estendere questa ipotesi alle altre quantità scalari (Pitacco, 2008).

Successivamente fu Geoffrey Ingram Taylor (1856-1915) ad immaginare il flusso turbolento costituito da strutture vorticose definite eddies che, conservando in parte e per qualche tempo le proprietà originali, sono i responsabili del trasporto (Pitacco, 2008).

Da un punto di vista matematico, nei moti turbolenti, il flusso verticale di un gas, può essere descritto dalla seguente relazione:

𝐹 = 𝜌𝑑 𝑤𝑠 (1)

dove s è la frazione molare secca del gas di interesse nell’aria, w è la velocità verticale del vento e ρd è la densità dell’aria.

Attraverso trasformazioni e semplificazioni derivanti dalla teoria della turbolenza, ed in particolar modo ricorrendo alla cosiddetta decomposizione di Reynolds (Reynolds, 1894) che permette di separare il valore atteso di una variabile dalle sue fluttuazioni, l’Eq. (1) diventa:

𝐹 = 𝜌̅̅̅̅𝑤′𝑠′𝑑 ̅̅̅̅̅ (2)

Dal punto di vista matematico quindi il flusso verticale di gas può essere rappresentato come la covarianza della deviazione istantanea nella velocità verticale del vento (w’) e della deviazione istantanea nella concentrazione dell’entità di interesse (s’) rispetto al valore atteso (media).

Allo stesso modo si possono calcolare i flussi delle altre variabili considerate dall’eddy covariance: il flusso di calore sensibile (H) e il flusso di calore latente (LE). H sarà uguale alla densità media dell’aria moltiplicata per la covarianza media delle fluttuazioni di velocità verticale del vento (w’) e temperatura (T’):

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𝐻 =𝜌̅̅̅̅𝑑 𝐶𝑝𝑤′𝑇′ (3)

Il flusso del calore latente (LE), invece, considerato come l’energia trasmessa nei processi di evaporazione, traspirazione o evapotraspirazione, sarà uguale a:

𝐿𝐸 = 𝐿𝜌̅̅̅̅𝑑 𝑤′𝑞′ (4)

dove 𝜌𝑑 è la densità dell’aria, L il calore latente di vaporizzazione e 𝑤′𝑞′ la covarianza media delle fluttuazioni di velocità verticale del vento (w’) e del rapporto di mescolanza di H2O (Launiainen et al., 2005).

Il metodo dell’eddy covariance misura direttamente i flussi del calore sensibile e del calore latente. Se vengono misurate anche la radiazione netta, intesa come la differenza tra la radiazione solare entrante e la radiazione terrestre uscente, e il flusso di calore dal suolo, si può stimare la chiusura del bilancio energetico attraverso l’equazione del bilancio energetico della superficie (Sharaiha e Ramzi, 2005):

𝑅𝑛− 𝐺 = 𝐻 + 𝐿𝐸 (5)

dove Rn è la radiazione netta e G è il totale del flusso di calore dal suolo, H il flusso di calore sensibile e LE il flusso di calore latente.

Questo procedimento generalmente è utile a convalidare i flussi misurati tramite eddy covariance (Burba, 2013). Teoricamente se le componenti del budget sommate danno come risultato zero, allora come si conviene per la conservazione dell’energia, si possono ritenere plausibili i flussi misurati di calore sensibile e latente. Nella realtà, la chiusura del budget energetico nel caso dell’eddy covariance non avviene se non all’80%. Fra i motivi vi è sicuramente la sottostima dei flussi da parte della tecnica stessa, la difficoltà nello stimare il flusso di calore dal suolo e il tipo di superficie su cui la torre di eddy covariance è installata (più la superficie è eterogenea, meno il bilancio energetico sarà soddisfatto). In ogni caso una verifica quantomeno parziale della chiusura del budget energetico è condizione necessaria, ma non sufficiente per la validazione delle misure di flussi di gas effettuate tramite eddy covariance. Se i flussi di calore sono corretti è possibile lo siano anche i flussi di gas. In presenza di gas estremamente volatili, però, una misura corretta dei flussi di energia non basta a garantire l’affidabilità delle misure dei flussi di gas. D’altro canto, se i flussi di calore non hanno senso fisico, gli stessi errori di misura (evidentemente strumentali) inficeranno le misure dei flussi di gas (Mauder e Foken, 2006; Aubinet et al., 2012)

2.2 Strumentazione

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Innanzitutto, le fluttuazioni della densità dell’aria devono essere trascurabili. Inoltre, il valor medio del flusso verticale del vento (w) è assunto essere trascurabile su terreni orizzontali e omogenei. Per consentire misurazioni attendibili, l’eddy covariance può quindi essere usata

in aree che siano ampie e pianeggianti e non in aree troppo scoscese, come in alcune zone montane di versante molto acclive (Burba, 2013).

Inoltre, le misurazioni effettuate in un punto sono assunte come rappresentative di un’area controvento, corrispondente all’area che si vuole monitorare; le turbolenze e quindi gli spostamenti delle particelle verso il basso e verso l’alto avvengono in tempi molto rapidi, perciò la frequenza di campionamento degli strumenti deve essere scelta in modo tale da misurare velocemente queste fluttuazioni; in più gli strumenti non devono rappresentare un ostacolo al passaggio del flusso principale del vento quindi vanno eliminate quelle aree potenzialmente problematiche per la misurazione della turbolenza.

Queste assunzioni servono a rendere attendibili le misurazioni effettuate. Tuttavia, esse non sono esenti da errori dovuti a fenomeni fisici, a caratteristiche del terreno e dell’area di studio o a problemi dovuti alla strumentazione e alla sua installazione.

Perciò, prima di procedere ad uno studio condotto con l’eddy covariance è assolutamente necessario stabilire gli obiettivi da raggiungere e l’area di studio da monitorare e verificare che questi rispettino le assunzioni richieste dal sistema.

I flussi possono infatti venir sottostimati o sovrastimati se i parametri non vengono rispettati, rendendo inutili le misurazioni.

Gli strumenti quindi devono essere a prova dell’ambiente di studio e vanno scelti onde evitare errori nella misurazione per le criticità dovute al terreno di studio o alle condizioni meteorologiche.

Perciò per scegliere la strumentazione bisogna considerare: • l’asperità del terreno

• la resistenza alle intemperie

• la resistenza allo sporco, alla polvere, etc. • la resistenza all’acqua

• l’affidabilità a lungo termine • la dimensione giusta e pratica • la stima nei consumi

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Siccome uno degli obiettivi principali dell’eddy covariance è quello di stimare i flussi turbolenti di energia e gas di un ecosistema, la posizione della torre dove sono installati gli strumenti di misurazione, deve essere tale da poter monitorare la maggior parte dell’area, cioè deve essere in grado di ricevere i flussi dei venti principali. Quest’area è detta anche area di footprint ossia quell’area che contribuisce maggiormente alla misurazione dei flussi. Ogni torre, inoltre, può misurare fino a una distanza massima che in genere varia dai 200 ai 500 metri di diametro ed è nota come fetch.

Per tali ragioni e per le approssimazioni finora dette, gli strumenti devono essere posizionati al di sopra della vegetazione, perché devono trovarsi nella parte del boundary layer dell’atmosfera dove i flussi turbolenti si possono approssimare come costanti. Tale strato dell’atmosfera è anche chiamato il Constant-flux Layer o inertial sublayer, come mostrato in Figura 5.

Figura 5 Esempio di disposizione di una torre di osservazione (a sinistra) e del Constant flux Layer (a destra). Da Licor Webinar.www.licor.com.

La strumentazione di base di un modello di eddy covariance è costituita da un anemometro sonico tridimensionale (SA) e un analizzatore di gas (GA). Questi strumenti devono presentare dei requisiti specifici:

• campionamento veloce in grado di stimare accuratamente le concentrazioni di tutti gli eddies (tra i 10 e i 20Hz)

• sensibilità delle misurazioni per piccole variazioni • precisione e stabilità

• design aerodinamico della strumentazione per minimizzare le perturbazioni degli eddies

• resistenza ai cambiamenti ambientali • connessione da remoto

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17 2.2.1 Anemometro

L’anemometro sonico tridimensionale misura le componenti ortogonali del vento oltre al modulo della velocità. Queste misure vengono poi utilizzate per calcolare il flusso di quantità di moto e la temperatura sonica. Ogni anemometro sonico triassale, come mostrato nella Figura 6, è composto da tre paia di trasduttori che registrano ognuno la velocità del suono. Le tre componenti vettoriali vengono calcolate e la componente della velocità verticale del vento (w) è utilizzata per le analisi di covarianza (Burba, 2013).

Figura 6 Ci sono tre tipologie di anemometrici sonici ognuna delle quali presenta una buona risoluzione temporale, una buona durata e un basso consumo. Da G.Burba, 2013.

La distanza tra le coppie di trasduttori, come mostrato in Figura 7, è nota (L) ed è un parametro che permette la misurazione della velocità del suono e la velocità del vento.

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La velocità del suono (C) è calcolata dalla distanza tra la coppia di trasduttori e il tempo di percorrenza del segnale acustico per passare da un trasduttore all’altro. La velocità del vento (V) è calcolata come la differenza nel tempo che il segnale acustico impiega per percorrere il percorso all’inverso, o dalla differenza tra la velocità del suono nota a livello dell’aria e quella misurata nell’aria in movimento (Burba, 2013).

Il tutto è sintetizzabile dalle seguenti equazioni: 𝑡1 = 𝐿 𝐶+𝑉 (6) 𝑡2 = 𝐿 (𝐶−𝑉) (7) 𝐶 = 𝐿/2 𝑡1+𝑡2 (8) 𝑉 = 𝐿/2 𝑡1−𝑡2 (9)

La velocità del suono misurata dall’anemometro permette di misurare la temperatura sonica, secondo la seguente relazione:

𝑇𝑠 = 𝐶2(𝛾𝑑𝑅𝑑− 273.15) (10)

dove 𝛾𝑑 è il rapporto fra il calore specifico dell’umidità dell’aria a pressione costante e quello a volume costante e 𝑅𝑑 è la costante dei gas per l’aria secca. La temperatura sonica differisce da quella effettiva dell’aria per l’assenza della concentrazione del vapore acqueo, perciò per ottenere la temperatura dell’aria reale è necessaria una correzione:

𝑇𝑠 ≈ 𝑇(1 + 0.51𝑞) (11) dove q indica l’umidità specifica.

Tuttavia, anche dopo queste correzioni la temperatura sonica non è accurata come quella misurata da un sensore della temperatura, ma risulta comunque utile per effettuare le analisi di covarianza dei flussi di calore tipiche dell’eddy covariance, come quello del calore sensibile (Burba, 2013).

L’anemometro triassale dell’eddy covariance è progettato per misurare con una frequenza molto alta, intorno ai 10-20Hz.

Il problema principale nelle misurazioni rimane legato alla distorsione del flusso di aria che raggiunge l’anemometro per la presenza di ostacoli lungo la traiettoria di propagazione rappresentati anche dagli strumenti stessi. Perciò conviene, una volta raccolti i dati, escludere dalle procedure di processamento quelle aree che disturbano l’anemometro.

2.2.2 Gas analizzatore

L’analizzatore di gas compatibile con il metodo di eddy covariance può essere un analizzatore ottico in grado di misurare le fluttuazioni della concentrazione dei gas in atmosfera ad alta risoluzione temporale (10Hz o maggiore) di segnali di piccola intensità,

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così da poter misurare la maggior parte del trasporto nella maggior parte delle condizioni. Gli analizzatori dei gas che utilizzano sensori ottici possono essere classificati in due gruppi: broadband e narrowband. I sensori a banda larga o broadband, tipicamente gli NDIR (Non Dispersive InfraRed), lavorano misurando la quantità di luce assorbita su un ampio intervallo dello spettro elettromagnetico (Fiddler et al., 2009). I narrowband, o analizzatori a banda stretta, utilizzano diverse tecniche di spettroscopia laser (Wavelenght Modulation Spectroscopy, Integrated Cavity Output Spectroscopy, Cavity Ringdown e la Photoacoustic Spectroscopy, etc.) (Fiddler et al., 2009). Entrambe le tipologie hanno una buona risoluzione e un’alta velocità di misurazione, idonea quindi al sistema dell’eddy covariance.

Per quanto concerne la misurazione, tutti gli analizzatori di gas misurano la concentrazione del gas in esame seguendo la legge di Lambert-Beer:

𝐴 = −𝑙𝑛 (𝐼

𝐼0) = 𝜀𝐿𝜌 (12)

dove A è l’assorbanza ossia la quantità di luce assorbita da un corpo che è uguale all’opposto del logaritmo naturale della trasmittanza, ossia il rapporto tra I/I0, dove I e I0 appresentano, rispettivamente, l’intensità del flusso radiante trasmesso e l’intensità del flusso radiante incidente. L’assorbanza può essere anche calcolata dal cammino ottico (L) e dalla concentrazione tramite un coefficiente di assorbività molare (ε).

Nel caso degli strumenti ottici, bisogna sottolineare che non viene misurata direttamente la concentrazione (frazione molare o il rapporto di mescolanza) del gas in esame ma la densità del gas (ρ). Per ottenere la concentrazione del gas è necessario conoscere anche la pressione, la temperatura e il volume all’interno dell’analizzatore ottico.

Gli analizzatori del sistema di eddy covariance, illustrati nella Figura 8, possono essere di due modelli: open path o closed path.

L’open path ha una strumentazione compatta e non ha bisogno di una scatola di protezione meteorologica. Questo modello di analizzatore ha le celle a diretto contatto con l’ambiente circostante, così che l’aria fluisca liberamente.

Nel closed path la strumentazione di solito è più grande ed è protetta all’interno di una scatola meteorologica, al cui interno c’è un tubo che aspira l’aria dall’esterno e la porta alle celle dell’analizzatore dove avviene la misurazione del gas.

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20 Figura 8 Esempio di Open Path (a sinistra) e Closed Path (a destra). Da Licor website.www.licor.com.

Ognuno di questi modelli presenta vantaggi e svantaggi, perciò devono essere scelti a seconda dell’ambiente in cui si vuole condurre lo studio.

L’open path effettua misurazioni dirette in situ, ossia il campionamento del gas avviene senza che questo venga aspirato in un tubo. Siccome non necessita di pompe di aspirazione, questo modello è anche più economico dal punto di vista energetico perché non richiede grandi consumi di energia. Inoltre, per la struttura aperta dell’analizzatore ottico è anche facile da pulire.

Il closed path invece permette misurazioni dirette anche in condizioni meteo avverse, ad esempio durante le precipitazioni l’acqua non può entrare all’interno del tubo. Inoltre, per determinati modelli closed, non sono richieste correzioni di densità del flusso perché possono essere automatizzate.

A partire dal 2011 è stato sviluppato un nuovo modello di gas analizzatore denominato enclosed path che presenta un tubo di aspirazione più corto rispetto al modello closed path e consumi energetici ridotti. Tale modello è stato ideato per comprendere i vantaggi di entrambi i gas analizzatori del sistema di eddy covariance.

Il gas analizzatore è posizionato di solito allo stesso livello dell’anemometro o poco lontano, mantenendo una distanza orizzontale che non supera i 15-20 cm (Burba, 2013). Questa disposizione permette di ridurre i ritardi nelle misurazioni delle due apparecchiature. É comunque necessario che gli strumenti siano posizionati in modo da ridurre al minimo la distorsione del flusso di aria misurato dall’anemometro.

In generale gli strumenti devono essere in grado di quantificare i flussi in tutti gli intervalli di frequenza richiesti ed essere molto sensibili a piccole variazioni che si possono verificare

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nell’atmosfera. Devono essere scelti per la loro praticità nel mantenimento e nei costi di consumo.

2.3 Pre-processing

Una volta installata la torre di osservazione e posizionati gli strumenti di misurazione, è necessario controllare il corretto funzionamento della struttura, soprattutto se gli strumenti provengono da produttori diversi. La diagnostica degli strumenti va fatta in primo luogo in base alle condizioni ambientali del sito di studio, quindi valutando se gli strumenti misurino correttamente i parametri relativi alle condizioni meteo-climatiche, e del tipo di vegetazione e di suolo presenti per evitare che ci siano sin da subito errori nelle misurazioni e nella registrazione dei dati. Un aiuto in questo senso può essere dato dalle serie storiche registrate da stazioni meteorologiche vicine in modo da confrontare i dati della torre con la letteratura presente. Sempre in relazione alle condizioni meteorologiche è consigliabile valutare la possibile interruzione del potenziale di segnale elettrico per la registrazione dei dati in presenza di fenomeni come pioggia, neve, ghiaccio.

Se le prime indagini risultano essere positive, bisogna comunque per alcune ore e nei giorni seguenti controllare la registrazione dei dati per evitare problemi elettronici nella strumentazione.

C’è inoltre bisogno di verificare che i dati registrati dalla torre di eddy covariance vengano memorizzati costantemente e possano essere recuperati in tempo reale tramite connessione wireless o in-situ mediante chiavetta usb. Il controllo in tempo reale da remoto è molto importante, perché permette di gestire meglio la stazione e la strumentazione e all’occorrenza attuare delle modifiche nei parametri di misurazione. Quando il sito non è accessibile da remoto, è importante recuperare i dati con una certa frequenza.

I controlli alla torre sono necessari non solo nelle prime fasi dell’esperimento, ma devono essere condotti nel corso del tempo per evitare che durante la registrazione possano insorgere problemi come ad esempio la presenza di buchi o gaps nella collezione dei dati.

Quindi, la realizzazione dell’esperimento richiede una corretta collocazione della torre e della strumentazione, test rigorosi sui dati collezionati e sulle trasmissioni di comunicazione con la torre, oltre ad un’adeguata manutenzione (Burba, 2013).

Una volta verificate le buone condizioni della strumentazione è possibile passare all’archiviazione dei dati e al loro controllo e successiva analisi.

Le misurazioni effettuate dall’anemometro sonico triassale e dall’analizzatore ottico di gas vengono registrate in un’apposita memoria o data logger come dati grezzi o raw data. Questi dati contengono le informazioni relative ai flussi turbolenti, che, prima di poter essere

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utilizzati per interpretazione dei trend, devono essere sottoposti a tutta una serie di operazioni, cosiddette di pulizia o pre-analisi. Questi controlli servono principalmente per eliminare dati anomali, causati da problemi elettronici nella strumentazione o da eventuali anomalie nell’area di studio, come situazioni atmosferiche non rappresentative, e per inserire eventualmente interpolazioni per i periodi di dati mancanti (gap filling).

Questa procedura di pre-analisi, piuttosto complessa, può essere eseguita da software specifici in grado di stimare i flussi dell’eddy covariance eseguendo automaticamente queste correzioni. Ad esempio, EdiRe, ECPack, TK2, EddyPro sono software dedicati alle analisi dei flussi turbolenti dell’eddy covariance, ma possono essere utilizzati anche altri programmi scritti dall’utente in Matlab, Fortran, Python, R in modo da poter adattare la procedura di processamento alla tipologia di misure effettuate.

Nel seguito si farà riferimento alle procedure eseguite dal software EddyPro (https://www.licor.com/env/support/EddyPro/software.html) seguendo uno dei più generalizzati metodi di pre-analisi dati in ambito della eddy covariance, valido quindi per diversi setup e configurazioni dell’attrezzatura.

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23 3.Area di studio

La stazione di eddy covariance oggetto del presente lavoro di tesi è installata in un’area montana di alta quota all’interno del Parco Nazionale Gran Paradiso.

L’installazione della torre di monitoraggio è avvenuta ad opera dell’Istituto di Geoscienze e Georisorse del CNR di Pisa all’interno del progetto ECOPOTENTIAL H2020 ad agosto 2019.

Il Parco Nazionale Gran Paradiso è un’area protetta ed è il più antico parco nazionale italiano, istituito nel 1922 col fine di preservare e salvaguardare gli ecosistemi di rilievo nazionale e internazionale delle valli intorno al massiccio del Gran Paradiso.

Come precedentemente descritto, gli ecosistemi montani sono molto sensibili ai cambiamenti delle condizioni ambientali e sono ritenuti essere hotspot per i cambiamenti climatici, in seguito al significativo aumento delle temperature che si è registrato in questi ambienti e che si prospetta possa continuare a salire nei prossimi decenni (Auer et al., 2007). Vi sono crescenti preoccupazioni che il riscaldamento globale possa portare a una riduzione di habitat importanti per la biodiversità (Theurillat e Guisan, 2001; Sekercioglu et al., 2008), come è già stato possibile osservare in molte aree montane in seguito allo spostamento verso maggiori altitudini della vegetazione arborea (Harsch et al., 2009) e ad estinzioni locali di specie che vivono nelle zone sommitali (Dirnbӧk et al., 2011).

In questo contesto il Parco Nazionale Gran Paradiso rappresenta un’area molto importante per monitorare le dinamiche ecosistemiche dell’ambiente alpino e stimare l’evoluzione futura di tali zone.

L’area del Gran Paradiso si estende per circa 71000 ettari compresi tra le regioni di Piemonte e Valle d’Aosta. Ha uno scenario unico costituito da praterie alpine, ghiacciai ed è popolato da una fauna straordinaria rappresentata simbolicamente dallo stambecco (Capra ibex L.). Al suo interno il Parco si suddivide in cinque valli principali: Valle dell’Orco e Val Soana dal lato piemontese; Val di Cogne, Valsavarenche e Val di Rhêmes dal lato valdostano. Il territorio del parco è costituito complessivamente per il 62% da morene, superfici rocciose, acque e ghiacciai; per il 17% da praterie e pascoli in parte naturali e in parte di origine

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antropica; per il 20,2% da boschi ed arbusteti e per lo 0.8% da aree urbanizzate e coltivate (http://www.pngp.it/).

Il sito scelto per lo studio è ubicato nell’area del colle del Nivolet (Figure 9,10) nella zona nord-occidentale del Gran Paradiso. Il Nivolet è un valico alpino che separa la Valle dell’Orco in Piemonte dalla Valsavarenche in Valle d’Aosta e copre un’area di circa 6 chilometri che si estende tra i 2500 e i 2700 metri di altezza. Il valico è racchiuso tra il massiccio del Gran Paradiso (4061 m.s.l.m.) a est e alcune vette a ovest, come il Mont Tout Blanc (3438 m.s.l.m.). È un’area coperta solitamente da neve dal mese di novembre fino al mese di giugno ed è molto ricca di acqua, per gli ampi meandri della Dora del Nivolet.

Figura 9 Panoramica del Nivolet. La Dora del Nivolet scorre con molti meandri da destra verso sinistra, scendendo sulla Valsavarenche con un brusco salto. Foto di Antonello Provenzale.

Dal punto di vista geomorfologico, come mostrato nella mappa geologica riportata in Figura 10, sono visibili forme glaciali dal periodo LGM a oggi. Il substrato roccioso è formato dal massiccio del Gran Paradiso e gli affioramenti principali sono costituiti da ortogneiss e paragneiss, calcescisti, metabasiti, marmo e dolomie. Queste rocce sono coperte in modo variabile da depositi glaciali, fluvio-glaciali e alluvionali.

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25 Figura 10 (A sinistra) Mappa geologica semplificata del Parco Nazionale del Gran Paradiso. Tratta dal poster “Leveraging soil geochemistry and soil carbon dynamics at the Critical Zone and Ecosystem Observatory at Nivolet, Gran Paradiso National Park, Italy to project future alpine ecosystem functioning”. (A destra) riproduzione con Qgis dell’area di studio dove è installata la torre di eddy covariance.

L’area presenta laghi alpini, torbiere ed un complesso sistema alpino di prateria caratterizzato da una vegetazione tipica delle praterie di alta quota. Si possono identificare infatti specie botaniche come: il Geum montanum L., Carex curvula All., Anthoxanthum alpinum (Á.Löve&D.Löve) e il Ranunculus montanus Willd.

La prateria alpina è un ecosistema caratteristico delle zone montane di alta quota. Questo ecosistema fornisce servizi ecosistemici essenziali: è habitat di specie endemiche o rare, è un ambiente fondamentale per l’approvvigionamento idrico e per lo stoccaggio del carbonio. Tuttavia, come molti altri ecosistemi montani e alpini, è minacciato dall’impatto dell’uomo e dai cambiamenti climatici. Il riscaldamento globale insieme a impatti antropici diretti e indiretti, come ad esempio l’abbandono e il deterioramento dei pascoli montani, comportano delle trasformazioni che possono alterare gli equilibri di questo ecosistema. I fattori principali che mettono queste aree a rischio comprendono modifiche della distribuzione e ricchezza delle specie, della dotazione di nutrienti del suolo, dei tassi di evapotraspirazione e di umidità dei suoli con conseguente modifica del ciclo dei nutrienti, incluso il carbonio e gli scambi di CO2 tra geo-biosfera-atmosfera (Baneschi et al., 2017, Magnani et al., 2020). Il monitoraggio dell’area del Nivolet attraverso il metodo dell’eddy covariance si aggiunge agli studi sui flussi di CO2 condotti attraverso l’utilizzo di camere di accumulo (Magnani et al., 2020), allo studio della geochimica dei suoli e della vegetazione nel contesto più ampio dello studio della Critical Zone.

Il monitoraggio dei flussi netti di CO2 del sito del Nivolet si inserisce nel contesto del network ICOS o Integrated Carbon Observation System. ICOS è una infrastruttura di ricerca

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europea o European Research Infrastructure (ESFRI) che opera a livello europeo per lo studio dei flussi gassosi. Ad oggi consta di 130 stazioni di monitoraggio ed è suddivisa in tre differenti aree di ricerca (Atmosfera, Ecosistema e Oceani) con lo scopo di quantificare e valutare il bilancio dei gas serra nel territorio europeo. I dati raccolti da ICOS sono archiviati nel database ICOS Carbon Portal e costituiscono una banca dati europea per gli studi scientifici sul bilancio dei gas serra (https://www.icos-cp.eu/).

Il Centro Tematico degli Ecosistemi si occupa del processamento e archiviazione dei dati dei flussi gassosi come CO2, CH4 e H2O negli ecosistemi terrestri. É coordinato e gestito dall’Euro-Mediterranean Center on Climate Change (CMCC) in collaborazione con l’Università della Tuscia a Viterbo; in più collaborano anche l’Università di Antwerp (Research Centre of Excellence on Plant and Vegetation Ecology) in Belgio e il National Institute for Agricultural Research a Bordeaux, in Francia.

I siti appartenenti al network ICOS possono essere classificati in 3 specifiche categorie: classe 1 e classe 2 che equivalgono ai siti in cui vi è il massimo livello di standardizzazione richiesto da ICOS; i siti associati, ossia quei siti che non hanno gli stessi obblighi di standardizzazione, ma devono comunque garantire un certo livello di qualità, fornendo dati dettagliati e annuali, nel formato richiesto dalle direttive ICOS. Tutti i siti hanno poi l’obbligo di essere attivi per almeno 20 anni.

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27 4.Materiali e metodi

Il sistema di monitoraggio di eddy covariance presente sul colle del Nivolet (Figura 11) è costituito da un analizzatore di gas ad infrarosso (LI-7200RS) della LICOR, un anemometro sonico tridimensionale (modello Windmaster GILL) e una strumentazione ulteriore per misurare temperatura, pressione e umidità dell’aria, PAR o radiazione fotosinteticamente attiva e livello della neve.

Figura 11: Immagine della Torre di eddy covariance posta sull Colle del Nivolet. Dall’immagine oltre l’ecosistema studiato è visibile il sistema di alimentazione a pannelli solari.

La LICOR-Bioscences è una società biotecnologica internazionale che progetta, produce e commercializza strumenti, sistemi di misurazione e software, per la ricerca biologica e ambientale e sviluppa metodologie e tecniche di misurazione pertinenti (https://www.licor.com/).

La stazione di eddy covariance, oggetto del seguente elaborato, è stata installata ad agosto 2019 dall’Istituto di Geoscienze e Georisorse del CNR di Pisa. I dati analizzati in questo lavoro fanno riferimento al periodo di inizio attività della stazione fino al mese di novembre 2019.

La torre di eddy covariance è alta circa 6 metri e il sensore di CO2 è posto a 4.5 metri di altezza dal suolo. La strumentazione è alimentata da due pannelli fotovoltaici ad alta efficienza da 330 Wp (watt di picco), di dimensioni 100x170 cm ciascuno, usati per generare corrente. Sono posizionati quasi verticalmente (per problemi di accumulo di neve) ed uno spalle all’altro in direzione est-ovest. Con questa configurazione si ottengono 660 Wp con un

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rendimento abbastanza costante di 0.5 durante tutta la giornata. L’impianto è composto poi da quattro batterie al piombo acido, tensione 12 V, capacità 95 Ah ciascuna, che sono utilizzate come accumulatori per le ore di buio o periodi di scarsa luminosità diurna. Pannelli fotovoltaici e batterie sono attestati ad un regolatore di carica che gestisce l'energia proveniente dai pannelli e dalle batterie. Esso provvede a dare continuità energetica alla strumentazione selezionando automaticamente batterie o pannelli come generatore. Provvede inoltre alla ricarica delle batterie nei momenti di sovrapproduzione fotovoltaica.

Il modello di gas analizzatore LI-7200RS (Figura 12) è un tipo di analizzatore sviluppato appositamente che prende il nome di enclosed path.

Figura 12 Immagine del modello di gas analizzatore enclosed path LI-7200RS. Da www.esi.com.

Il cuore del modello LI-7200 è una cella di campionamento veloce nelle misurazioni, a prova di maltempo e universale, che può dare come risultati sia le densità che le frazioni molari secche di CO2 e H2O ( https://www.licor.com/env/products/eddy_covariance/LI-7200RS.html). Può essere utilizzato con un tubo di aspirazione lungo o corto e a seconda della scelta si comporta rispettivamente da closed o open. La lunghezza ideale rimane tra gli 0.5 m e 1 m. Questa configurazione è stata scelta per massimizzare il monitoraggio dei flussi di gas e ridurre al minimo gli errori dovuti alla configurazione open o closed.

In particolare, rispetto a un modello closed path come similitudini presenta: • Riduzione di perdite di segnale dovute a precipitazione e fenomeni di gelo.

• Nessun problema di surriscaldamento delle celle perché la temperatura è misurata. • Possibilità di calibrazioni automatiche sulla torre con appositi hardware.

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• Riduzione dei problemi legati all’espansione termica della densità (correzione WPL). • Riscaldamento del sistema per evitare problemi di congelamento in ambienti

estremamente freddi.

Invece rispetto a un modello ad open path gli aspetti comuni riguardano:

• Miglioramento della risposta in frequenza rispetto ad un modello closed. • Attenuazione del flusso minima nel tubo di aspirazione.

• Necessità di manutenzione ridotta.

• Richiesta di consumo bassa quando è usato con un tubo di aspirazione corto • Semplicità, dimensioni ridotte, peso leggero e impermeabile.

4.1 Data processing

La stazione di eddy covariance situata sul Nivolet registra in modo autonomo ogni 30 minuti i dati dei flussi di CO2 e H2O. I dati della stazione sono visualizzabili e scaricabili da remoto attraverso il software LI-COR. Questo programma consente di reperire i dati dalla stazione direttamente sul proprio computer come raw data, ossia file grezzi che in formato Smartflux 2. Il sistema Smartflux 2 (Synchronization, Managenment And Real Time flux system) è un componente della LICOR compatibile con gli standard ICOS. Acquisisce i dati da un analizzatore di gas LICOR e da un anemometro sonico ed elabora in continuo i dati grezzi, metadati e le informazioni meteorologiche, fornendo risultati live di flusso grezzo.

Nel seguente elaborato i file per le analisi dei flussi biometeorologici del piano del Nivolet sono stati scaricati come file grezzi nel formato di archiviazione caratteristico .ghg. Questo formato è una specifica estensione sviluppata appositamente dalla LICOR Biosciences per zippare i file. All’interno di ogni file .ghg sono presenti sia le informazioni relative ai flussi di energia, di gas e ai parametri meteorologici come temperatura, pressione, umidità e velocità del vento (formato .data), sia le informazioni (formato .metadata) relative alla strumentazione e alla sua esatta ubicazione, quali le coordinate e l’altitudine del sito di studio, ad esempio. Questa tipologia di file presenta come vantaggio la possibilità di comprimere in pochi giga byte diverse settimane di dati, permettendo quindi un più facile download e utilizzo degli stessi.

Come detto precedentemente, nel seguente elaborato per la pulizia dei dati grezzi è stato utilizzato il software della LICOR-Biosciences, EddyPro.

4.1.1 EddyPro

EddyPro (Figura 13) è un software gratuito sviluppato dalla LI-COR Biosciences a partire dal 2010 per calcolare i flussi biometeorologici di CO2, H2O, CH4, temperatura, quantità di

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moto e velocità del vento (EddyPro Software Manual, 2020). EddyPro nasce da ECO2S (Eddy Covariance Community Software), un software gratuito e open source creato per processare i dati dell’eddy covariance, rilasciato nel 2011 dall’IMECC-EU Consortium e sviluppato principalmente all’Università della Tuscia con sede a Viterbo, ma includendo i contributi di molti esperti del settore. Questo software è stato validato confrontandolo con altri sei software dedicati alla eddy covariance ai fini di sviluppare un sistema che fosse in grado di semplificare le operazioni di calcolo per gli utenti anche meno esperti.

EddyPro differisce da ECO2S per la maggiore semplicità nell’utilizzo, l’accuratezza nel processamento dei dati e la documentazione molto dettagliata attraverso videolezioni e manuali online. Il software presenta una pagina di progettazione dove devono essere inserite nel modo più corretto possibile, tutte le informazioni riguardanti il sito di studio e i dati per la fase successiva, quella di analisi. Il programma prevede un livello standard di pulizia dei dati che può essere avviata semplicemente indicando la cartella in cui si trovano i dati raw. In automatico il programma provvederà a processare ogni 30 min di dati utilizzando i file .data e .metadata contenuti all’interno dei file .ghg. Per essere sicuri che EddyPro utilizzi per il processamento dei dati tutte le informazioni aggiornate circa l’apparato di misura e il sito in esame è consigliabile utilizzare la modalità “embedded metadata”. Nel caso in cui nessun parametro strumentale o relativo al sito abbia subito una variazione è possibile processare tutti i dati in esame con un unico file .metadata, comune a tutti i file .ghg e quindi a tutta la durata delle misurazioni.

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La procedura di pulizia e filtraggio dei dati grezzi o pre-processing eseguita dal software EddyPro si compone di una serie di analisi statistiche di base. Durante la fase di pre-processing, le serie temporali contenenti valori anomali non vengono rimosse, ma flaggate secondo un indicatore che indica se le serie hanno passato il test (flag = 0) o se le serie presentano qualche anomalia (flag = 1). Nel dettaglio, il pre-processing comprende:

- Despiking: i dati istantanei ad alta frequenza possono presentare occasionalmente dei picchi o spike, ossia dei valori che si discostano molto dalla media e da un range scelto opportunamente per ogni variabile in esame sulla base dei riscontrati valori noti in natura. Il despiking permette di controllare ed eliminare questo tipo di errore dovuto a problemi fisici e/o elettronici, sostituendo i valori sospetti con valori che rientrano nella media (generalmente tramite metodi di interpolazione lineare). Bisogna comunque prestare attenzione alle fasi giornaliere cui si riferiscono i flussi misurati, perché ad esempio, di notte, quando la turbolenza diventa meno evidente, possono presentarsi dei picchi dovuti a fenomeni naturali e non ad errori di tipo elettronico.

Figura 14 Esempi di spike (in rosso) e trend anomali (verde) e non spike all'interno di una serie temporale. Da Licor website EddyPro Software, www.licor.com.

In Figura 14 è riportato un esempio di spike (in rosso), ossia un valore definito outlier o evento estremo, perché si discosta di molto dai valori limite (linee blu) e dalla media (linea rossa). Il software di processamento EddyPro considera spike una successione di 3 valori anomali (Vickers and Mahrt, 1997, Mauder 2013). Per un numero maggiore di 3 valori anomali consecutivi la corrispondente porzione di serie è trattata come un trend anomalo che non può essere rimosso o interpolato linearmente in quanto adducibile probabilmente ad un reale problema fisico e non solo a un errore di misura. Laddove una serie presenti più del 10% di spike viene segnalata come affetta da errore (flag=1).

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- Drop-out: sono dei periodi relativamente brevi in cui diversi valori consecutivi della serie temporale si allontanano di molto dalla media statistica calcolata su tutto il periodo. Sebbene questi valori possano corrispondere a misure effettivamente eseguite dalla strumentazione e siano inoltre fisicamente accettabili l’errore riguarda esclusivamente il “sostare” della serie temporale per un periodo di tempo troppo lungo su valori ben al di fuori della sua media statistica. Questa tipologia di errore (Figura 15) può insorgere per problemi di carattere fisico ed elettronico, relativi alla strumentazione.

Figura 15 Esempio di drop-out in cui la serie temporale per un breve periodo si discosta dai valori della media. Da Licor.com. www.licor.com

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- Amplitude resolution: In condizioni di venti deboli e di stabilità atmosferica, ma anche per una scarsa risoluzione della strumentazione, può succedere che i dati registrati presentino una debole covarianza. Ciò si riflette su una scarsa risoluzione in ampiezza del segnale o amplitude resolution (Figura16), per cui le fluttuazioni registrate sono deboli e presentano un andamento a scala o step ladder. Questa correzione consente di capire se il numero di valori diversi che ciascuna variabile assume copre il suo intervallo di variazione con sufficiente omogeneità o presenta range completamente assenti di valori (Vickers and Marth, 1997).

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33 Figura 16 Esempio di errore di amplitude resolution con il cosiddetto andamento a scala. Da www.licor.com.

- Skewness and kurtosis: questa correzione (Figura17) riguarda un’analisi statistica della simmetria della distribuzione e verifica se ci sia una mancanza di simmetria nei dati raw in questo caso dovuta ad un malfunzionamento della strumentazione.

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34 - Discontinuities: Il test sulle discontinuità serve a identificare quelle variazioni nelle serie temporali che portano a cambiamenti semi-permanenti non associabili a cambiamenti dovuti a piccole fluttuazioni. Le discontinuità (Figura 18) nei dati vengono rilevate usando la trasformata di Haar, un tipo di short wavelet che permette di identificare i punti in cui si verificano salti o cambi repentini all’interno di un segnale elettronico, oltre all’ampiezza e al tipo di perturbazione che si verifica, utili al fine di capire l’origine della perturbazione stessa (Chui, C. K., 2016, Vickers and Marth, 1997).

Figura 18 Esempio di serie temporale con una discontinuità permanente. Da www.licor.com.

- Time delay: poichè il metodo dell’eddy covariance si basa sul calcolo della covarianza tra la concentrazione d’interesse e la velocità verticale del vento, sincronizzare le serie temporali dell’anemometro sonico e dell’analizzatore di gas è fondamentale. Il time delay (Figura 19) è un errore che si manifesta quando i tempi di acquisizione dei due strumenti non sono perfettamente sincroni e quindi è necessario controbilanciare il ritardo che si verifica. Questo problema si può verificare maggiormente nei modelli a closed path per la presenza del tubo di aspirazione che trasporta il gas nelle celle dell’analizzatore. Per i modelli ad open path invece, questo ritardo è minimo anche se necessita comunque di correzioni.

Senza questa correzione il flusso può essere sottostimato raggiungendo anche valori prossimi allo zero a causa dello sfasamento fra i due segnali registrati (Ibrom et al., 2007).

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35 Figura 19 Nell'immagine un esempio di time lag tra due serie temporali. Da www.licor.com.

Una volta terminato il pre-processing riportato in precedenza, EddyPro effettua anche correzioni che riguardano l’anemometro sonico, come la rotazione delle coordinate, e correzioni di detrending.

Per quanto riguarda l’anemometro sonico, per misurare correttamente le tre componenti ortogonali del vento lo strumento deve essere posizionato o per meglio dire “livellato” correttamente, cioè il suo asse w deve essere perpendicolare al flusso del vento principale. Quando ciò non accade il segnale w sarà contaminato dalle altre due componenti tridimensionali del vento. Questa correzione può essere eseguita in diversi modi: ruotando le coordinate; utilizzando il planarfit; eseguendo l’angle of attack (Nakai et. al 2006, Wilczak et al., 2001). In genere il metodo della rotazione delle coordinate è quello più comunemente usato, mentre nel caso di terreni complessi (colline o vallate) o di piattaforme di misura mobili è consigliabile ricorrere al planar fit che è un metodo di rotazione più complesso. L’angle of attack invece riguarda una risposta scorretta dell’anemometro quando la direzione del vento differisce molto da quella orizzontale.

Infine, il detrending è una correzione che può essere applicata, se necessario, nel caso in cui le serie temporali presentino non stazionarietà (in genere trend crescenti o decrescenti). La stazionarietà delle serie è uno dei requisiti fondamentali della eddy covariance in quanto legata alla condizione di steady wind. Normalmente il detrending avviene tramite uno dei seguenti metodi: block averaging, linear detrending e non-linear filtering, fra cui medie mobili e medie mobili esponenziali (Gash and Culf, 1996, Moncrieff et al., 2004, Rannik and Vesala, 1999). Ognuna di queste procedure presenta vantaggi e svantaggi a seconda della quantità di informazione a bassa frequenza (che corrisponde ai trend lunghi) che si taglia durante il detrending. Il block averaging è il metodo che più rispetta il principio di Reynolds,

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