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L’art. 67 della Legge Fallimentare.

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Academic year: 2021

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Introduzione

Il tema dell’azione revocatoria fallimentare applicata alle rimesse su conto corrente, eseguite, nel corso del c.d. periodo sospetto,

dall’imprenditore successivamente dichiarato fallito, durante il vigore della Legge Fallimentare del 1942, è stato uno fra i più discussi.

La curatela fallimentare era infatti solita intentare azioni revocatorie nei confronti delle banche al fine di determinare l’inefficacia degli atti con cui affluivano somme di denaro nel conto corrente dell’imprenditore poi dichiarato fallito, posti in essere da

quest’ultimo nel corso del periodo sospetto. Questo uso da parte dei curatori aveva assunto carattere ormai largamente frequente, tanto che era per prassi considerato legittimato, cosicché veniva raccolta liquidità dalle banche e fatta convogliare alla procedura

fallimentare.

Gli operatori del diritto, studiando questo fenomeno, si erano accorti che con un siffatto utilizzo l’azione revocatoria si

trasformava da uno strumento di redistribuzione delle perdite fra i creditori, ad uno strumento di concentrazione delle stesse perdite presso il sistema bancario. Si venivano a realizzare eccessi che non potevano giustificarsi neanche volendo fare riferimento ad una natura anti-indennitaria dell’azione revocatoria, la quale sarebbe divenuta uno strumento funzionale alla ripartizione di perdite derivanti dal fallimento di un’impresa, presso i creditori.

L’applicazione sfrenata dell’azione revocatoria alle rimesse in conto corrente avrebbe soltanto aggravato il deficit derivante dal

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2 fallimento esclusivamente su una sola classe di creditori, ovvero le banche.

Gli istituti bancari, da parte loro, per reagire a questa situazione di svantaggio, è risaputo aver esercitato pressioni nei confronti del legislatore, al fine di ottenere provvedimenti a proprio favore, aver, insomma, esercitato un’attività di lobbying. Questo fenomeno costituì un fattore “catalizzatore”, di accelerazione per la realizzazione di una riforma di tutta la disciplina degli atti pregiudizievoli ai creditori. Certamente, però, non è senz’altro possibile pensare che alla base di tale “rivoluzione” dell’intero diritto concorsuale vi sia stato solo questo.

Le banche, temendo di subire azioni revocatorie, finirono per

“trattenersi” dal proporre istanze di fallimento nei confronti delle imprese clienti, od addirittura dall’erogare alle stesse crediti.

Con gli interventi di riforma di cui verrà ampiamente trattato in quest’elaborato, è stata rimodellata questa disciplina degli effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori, ed in particolare sull’applicazione dell’azione revocatoria alle rimesse su conto corrente dell’imprenditore poi dichiarato fallito, per eliminare o comunque “smussare” gli abusi che stavano subendo gli istituti di credito.

Sotto la vigenza della Legge Fallimentare non ancora riformata, non vi era riferimento espresso alcuno alla disciplina degli atti

consistenti in rimesse o comunque versamenti di denaro sul conto corrente bancario del fallito. Esistendo però questo fenomeno, fra gli operatori del diritto s’iniziò a pensare se poter assoggettarlo alla disciplina degli atti pregiudizievoli ai creditori, e dunque occorreva affrontare il problema se considerare le rimesse, ed eventualmente

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3 a quali condizioni, allo stesso modo degli atti estintivi ovvero

parzialmente estintivi di debiti del correntista nei confronti della banca.

Secondo un’isolata giurisprudenza1, le rimesse in conto corrente dovevano ascriversi alla categoria di atti a titolo oneroso e

revocabili, per questo, in quanto tali, e non per il fatto di avere una funzione solutoria.

L’opinione maggioritaria, invece, avrebbe ascritto tali atti alla

categoria di pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, revocabili in certe circostanze sulla base di certi presupposti, ovvero che fossero stati eseguiti nel periodo rilevante e fosse stata provata la scientia decoctionis dell’imprenditore da parte della banca, dunque, la norma di riferimento per la trattazione di questi atti sarebbe stata l’art. 67, secondo comma, della Legge Fallimentare, nella sua originaria scrittura.

Occorre, in particolare, puntualizzare che il dibattito interpretativo sorto a proposito della revocabilità delle rimesse, verteva,

soprattutto, sulla questione se considerare la rimessa in conto corrente come pagamento di un debito dell’imprenditore poi fallito nei confronti della banca; tuttavia tale equiparazione non risultava affatto semplice, in quanto per mezzo delle rimesse in conto corrente si cerca di perseguire, più che il risultato di estinguere un debito, quello di realizzare una integrazione della provvista del correntista, per poter eseguire nuove operazioni, ma anche per la conduzione dell’ordinaria gestione degli affari del correntista.

1 Cass., 75/3603.

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4 La presente opera si propone di analizzare l’attuale disciplina

dell’istituto revocatorio riferito al caso delle rimesse su conto corrente, comparandola con la precedente, di ripercorrere l’evoluzione interpretativa e giurisprudenziale che ha condotto all’esigenza di un intervento di riforma, e le varie tappe

caratterizzanti la stessa riforma del diritto concorsuale, ed in particolare di questo istituto.

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5

Capitolo I

L’attuale disciplina.

Le disposizioni di legge dalle quali oggi si trae la disciplina dell’

azione revocatoria applicata alle rimesse effettuate su un conto corrente bancario, sono l’ art. 67, terzo comma, lett. b) della Legge Fallimentare (Regio Decreto 267/1942), per i presupposti oggettivi e soggettivi di applicazione dell’azione revocatoria, l’art. 70, terzo comma della Legge Fallimentare, per l’ammontare della somma che deve essere restituita dal soggetto verso cui sono state effettuate le rimesse, e l’art. 78, primo comma della Legge Fallimentare, che prevede uno degli effetti diretti sul conto corrente del fallimento dell’imprenditore che sta intrattenendo con la banca tale rapporto contrattuale.

Volendo condurre un’analisi dettagliata della materia, attraverso lo studio delle suddette disposizioni, non possiamo prescindere da un riferimento, seppur minimo, essendovi dedicato un paragrafo a sé della presente opera, alla riforma che ha coinvolto questa sezione così rilevante nel quadro d’insieme, della disciplina dell’azione revocatoria fallimentare, più precisamente per l’argomento qua proposto, gli articoli 67 e 70 della Legge Fallimentare.

La novella, dovuta al c. d. “decreto competitività”- D. L. 35/2005, convertito in L. 80/2005- come disegno di massima manifestato attraverso ritocchi sparsi alle disposizioni della Legge Fallimentare oggetto del nostro studio, aveva quello di porre un freno, un argine, agli eccessi che si registravano in tema di effetti del Fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori, in particolare in campo di revocatoria

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6 delle rimesse in conto corrente, come si credeva secondo

un’opinione largamente diffusa in dottrina e giurisprudenza anche al di fuori del sistema bancario.

Di fatto, questa è la direzione nella quale si sono posti anche i successivi interventi di riforma che completano e concludono questo ciclo di riforme caratterizzanti gli anni 2005, 2006, 2007, ovvero la L. 5/2006, definita come la vera e propria legge di riforma della disciplina fallimentare, e il D. Lgs. 169/2007, ovvero il decreto correttivo della riforma fallimentare.

Obiettivo che si è cercato di perseguire con una riduzione dei poteri degli organi fallimentari.

La disposizione all’art. 67, terzo comma L. F., è concepita con un rapporto regola–eccezione invertito: la regola diventa quella di non poter assoggettare ad azione revocatoria certi atti, salvo l’esistenza di specifici caratteri delle rimesse.

Un aspetto che preme precisare, per completezza espositiva di quanto trattato, è che l’intento della riforma di ridurre la possibilità per i curatori di esercitare azioni revocatorie, passa anche e

soprattutto dall’art. 67 L. F., che come affermato da Patti2, << regola gli strumenti principalmente usati dalle curatele per incrementare l’attivo da distribuire fra i creditori>>.

2 In Commentario Jorio, 2010.

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7

1.1

L’art. 67 della Legge Fallimentare.

Dedichiamoci, dunque, all’analisi, nel dettaglio, delle disposizioni menzionate, prendendo le mosse dall’art. 67 L. F.

Riporto le tre versioni dell’art. 67 L. F., così come modificato dagli interventi di riforma: dalla storica, all’attuale.

Art. 67 - Testo storico

Atti a titolo oneroso, pagamenti, garanzie

“Sono revocati, salvo che l'altra parte provi che non conosceva lo stato d'insolvenza del debitore:

1) gli atti a titolo oneroso compiuti nei due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento, in cui le prestazioni eseguite o le obbligazioni assunte dal fallito sorpassano notevolmente ciò che a lui è stato dato o promesso;

2) gli atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili non effettuati con danaro o con altri mezzi normali di pagamento, se compiuti nei due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento;

3) i pegni, le anticresi e le ipoteche volontarie costituiti nei due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento per debiti

preesistenti non scaduti;

4) I pegni, le anticresi e le ipoteche giudiziali o volontarie

costituiti entro l'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento per debiti scaduti.

Sono altresì revocati, se il curatore prova che l'altra parte conosceva lo stato d'insolvenza del debitore, i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, gli atti a titolo oneroso e quelli costitutivi di un diritto di prelazione per debiti contestualmente creati, se compiuti entro l'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento.

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8 Le disposizioni di questo articolo non si applicano all'istituto di emissione, agli istituti autorizzati a compiere operazioni di credito su pegno, limitatamente a queste operazioni, e agli istituti di credito fondiario. Sono salve le disposizioni delle leggi speciali.”.

Art. 67 - Testo riformato dalla L. 5/06

Atti a titolo oneroso, pagamenti, garanzie

“Sono revocati, salvo che l’altra parte provi che non conosceva lo stato d’insolvenza del debitore:

1) gli atti a titolo oneroso compiuti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, in cui le prestazioni eseguite o le obbligazioni assunte dal fallito sorpassano di oltre un quarto ciò che a lui è stato dato o promesso;

2) gli atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili non effettuati con danaro o con altri mezzi normali di pagamento, se compiuti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento;

3) i pegni, le anticresi e le ipoteche volontarie

costituiti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento per debiti preesistenti non scaduti;

4) i pegni, le anticresi e le ipoteche giudiziali o volontarie costituiti entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento per debiti scaduti.

Sono altresì revocati, se il curatore prova che l’altra parte conosceva lo stato d’insolvenza del debitore, i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, gli atti a titolo oneroso e quelli costitutivi di un diritto di prelazione per debiti, anche di terzi, contestualmente creati, se compiuti entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento.

Non sono soggetti all’azione revocatoria:

a) i pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa nei termini d’uso;

b) le rimesse effettuate su un conto corrente bancario, purché non abbiano ridotto in maniera consistente e durevole

l’esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca;

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9 c) le vendite a giusto prezzo d’immobili ad uso abitativo,

destinati a costituire l’abitazione principale dell’acquirente o di suoi parenti e affini entro il terzo grado;

d) gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore purché posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria e la cui ragionevolezza sia attestata ai sensi dell’articolo 2501-bis, quarto comma, del codice civile;

e) gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione del concordato preventivo, nonché dell’accordo omologato ai sensi dell’articolo 182-bis;

f) i pagamenti dei corrispettivi per prestazioni di lavoro effettuate da dipendenti ed altri collaboratori, anche non subordinati, del fallito;

g) i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili eseguiti alla scadenza per ottenere la prestazione di servizi strumentali all’accesso alle procedure concorsuali e di concordato preventivo.

Le disposizioni di questo articolo non si applicano all’istituto di emissione, alle operazioni di credito su pegno e di credito

fondiario; sono salve le disposizioni delle leggi speciali.”.

Art. 67 - Attuale testo, a seguito della riforma apportata dal decreto correttivo D. Lgs. 169/2007:

Atti a titolo oneroso, pagamenti, garanzie

“Sono revocati, salvo che l’altra parte provi che non conosceva lo stato d’insolvenza del debitore:

1) gli atti a titolo oneroso compiuti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, in cui le prestazioni eseguite o le obbligazioni assunte dal fallito sorpassano di oltre un quarto ciò che a lui è stato dato o promesso;

2) gli atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili non effettuati con danaro o con altri mezzi normali di pagamento, se compiuti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento;

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10 3) i pegni, le anticresi e le ipoteche volontarie costituiti

nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento per debiti preesistenti non scaduti;

4) i pegni, le anticresi e le ipoteche giudiziali o volontarie costituiti entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento per debiti scaduti.

Sono altresì revocati, se il curatore prova che l’altra parte conosceva lo stato d’insolvenza del debitore, i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, gli atti a titolo oneroso e quelli costitutivi di un diritto di prelazione per debiti, anche di terzi, contestualmente creati, se compiuti entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento.

Non sono soggetti all’azione revocatoria:

a) i pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa nei termini d’uso;

b) le rimesse effettuate su un conto corrente bancario, purché non abbiano ridotto in maniera consistente e durevole

l’esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca;

c) le vendite ed i preliminari di vendita trascritti ai sensi dell’articolo 2645-bis del codice civile, i cui effetti non siano cessati ai sensi del comma terzo della suddetta disposizione, conclusi a giusto prezzo ed aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo, destinati a costituire l'abitazione principale

dell'acquirente o di suoi parenti e affini entro il terzo grado;

d) gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore purché posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria e la cui ragionevolezza sia attestata da un professionista iscritto nei revisori contabili e che abbia i requisiti previsti dall'art. 28, lettere a) e b) ai sensi dell’articolo 2501-bis, quarto comma, del codice civile;

e) gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione del concordato preventivo, nonché dell’accordo omologato ai sensi dell’articolo 182-bis;

f) i pagamenti dei corrispettivi per prestazioni di lavoro effettuate da dipendenti ed altri collaboratori, anche non subordinati, del fallito;

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11 g) i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili eseguiti alla scadenza per ottenere la prestazione di servizi strumentali all’accesso alle procedure concorsuali e di concordato preventivo.

Le disposizioni di questo articolo non si applicano all’istituto di emissione, alle operazioni di credito su pegno e di credito

fondiario; sono salve le disposizioni delle leggi speciali.”.

Articolo interamente dedicato, dunque, ai confini entro cui poter esercitare, da parte del curatore fallimentare, l’azione revocatoria.

Oggetto di studio rimane tuttavia la parte evidenziata in grassetto, dove si ricava la portata operativa dell’azione

revocatoria applicata alle rimesse effettuate su un conto corrente bancario, espresse attraverso un rapporto di regola–eccezione invertito, collocata all’interno del terzo comma, elencato assieme a una lunga serie di atti che non possono essere oggetto di azione revocatoria. Dunque l’applicabilità dell’azione revocatoria è ricavabile al contrario.

Se poniamo a confronto l’attuale articolo 67 L. F. con l’originaria versione dello stesso, appare interessante notare il mutamento strutturale di cui è stato protagonista: si nota che l’attuale terzo comma è stato inserito comportando lo scalare del contenuto dell’originario terzo comma, all’attuale collocazione di quarto comma.

Il nuovo terzo comma, che alla lettera b) non ha subito variazioni per opera del D. Lgs. 169/2007, presenta una lunga serie di operazioni che possa aver attuato l’imprenditore

dichiarato fallito, esentate da revocatoria, e la sua impostazione contenutistica permette di alludere ad eccezioni per indicare i casi

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12 in cui è ammessa la revocatoria, e regole, quando si trattano i casi di atti esentati.

Concentrandosi adesso sulla lettera b) del terzo comma, proseguiamo con l’analisi dell’istituto oggetto di trattazione, da doversi considerare il caso di esenzione di maggior impatto pratico, in relazione alla così alta incidenza percentuale sulle azioni revocatorie fallimentari esercitate dalla curatela.

L’azione revocatoria può essere esercitata con riferimento alle rimesse in conto corrente bancario soltanto se queste riducano in modo consistente e durevole l’esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca. Interessante notare la sottile linea di continuità che s’instaura con il secondo comma, nel collocare le rimesse nella più generale categoria degli atti estintivi di debiti liquidi ed esigibili qui trattata, con una revocabilità che appare legata ad un loro effetto solutorio.

Viene già, a questo punto, da domandarsi se l’esenzione debba funzionare solo con riferimento alla regola ricavabile dall’art. 67, secondo comma L. F., e quindi ai pagamenti normali, oppure debba funzionare anche con riferimento alla regola espressa all’art. 67, primo comma, n. 2) L. F., e dunque in relazione agli

“atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili non effettuati con denaro o con altri mezzi normali di pagamento, se compiuti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento.”. Cercheremo di dare risposta a questo interrogativo più avanti.

Occorre come primo passo dedicare attenzione alla definizione di “esposizione debitoria”, poiché assumono rilievo ai fini

dell’azione revocatoria le rimesse–pagamento che il fallito effettua nei confronti della banca, per ridurre il suo debito.

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13 Non essendo offerta dalla legge un’elencazione degli atti

ricompresi nella nozione di rimessa qua esaminata, occorre avvalerci della ricostruzione interpretativa della dottrina, secondo la quale rileverebbero le rimesse effettuate per rientrare da uno scoperto del conto, su un conto passivo entro i limiti

dell’affidamento – quindi su un conto non scoperto -. Parte della dottrina3 crede che siano revocabili anche in mancanza di una chiusura del conto o di una richiesta di rientro da parte della banca, perché finalizzate ad estinguere il debito maturato su un conto, mentre altri studiosi4 ritengono che non sarebbero da considerarsi come pagamenti, ma solo come semplice restituzione della provvista, dunque non revocabili. Ancora altri interpreti5 considerano rilevanti solo le rimesse su un conto bloccato, mentre non rileverebbero le rimesse effettuate su un conto attivo.

Doveroso però aggiungere che, presentando la legge espressa menzione dell’esposizione debitoria nei confronti della banca, con un riferimento dunque molto generico, che non ricomprende soltanto il singolo rapporto di conto corrente, può essere ritenuta revocabile anche una rimessa effettuata su di un conto attivo se quest’ultimo può essere utilizzato dalla banca per compensare le passività presenti in altri conti o rapporti intrattenuti fra banca e cliente, sempreché, chiaramente, le rimesse su un conto attivo portino con sé i caratteri di consistenza e durevolezza. La tesi di Santangeli volge in questa direzione.

3 Cito Santangeli, Meoli.

4 Ad esempio, Fortunato.

5 Cito Granata.

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14 L’esposizione debitoria del fallito rilevante ai fini della

revocatoria si individua per mezzo delle stesse disposizioni utilizzate sotto la disciplina previgente , per ricavare il saldo disponibile , che avrebbe rappresentato in modo più corretto la situazione debitoria del correntista verso la banca.

Esistono specifici criteri individuati da prassi e giurisprudenza, che permettono di ricavare quello che è il saldo disponibile in relazione alle principali operazioni bancarie: contabile, che tiene conto della data di registrazione in conto delle singole operazioni che emergono dal’estratto conto, e di valuta.

La giurisprudenza di legittimità6 e di merito7 ha specificato che, adottando il criterio contabile, elementi presuntivi di prova possono desumersi dalla data di registrazione in conto delle operazioni c. d. in avere del correntista, costituite da versamenti e bonifici in contanti, e dai prelevamenti in contanti o a mezzo assegni. Mentre si desumono dai dati ordinati per valuta i versamenti in conto di titoli di credito, presumendo che, fatta salva la possibilità della banca di dimostrare che sia avvenuto anteriormente, l’incasso sia avvenuto almeno alla data della valuta.

Il saldo disponibile è anche documentato nell’estratto conto se si riferisce a operazioni in contanti del correntista, bonifici dei terzi, titoli acquistati dalla banca, assegni circolari e bancari tratti presso lo stesso sportello, mentre si discosta dalle operazioni salvo buon fine, come la negoziazione di assegni fuori piazza.

6 Cass. 94/2744.

7 Trib. Milano 25 maggio 2000 e 9 marzo 1999.

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15 Procedo ad una elencazione al solo scopo esemplificativo, delle più comuni operazioni sul conto corrente, precisando se debba considerarsi il criterio contabile o quello per valuta. Cito, per gli accrediti, l’assegno circolare della stessa banca, il bonifico in contanti, il giroconto, il versamento in contanti, rispetto ai quali deve adottarsi il criterio contabile per individuare la data di disponibilità. Sempre fra gli accrediti, si distinguono l’assegno circolare di altra banca, le ricevute bancarie, i versamenti sul conto mediante titoli, anche se la banca ha concesso l’immediata disponibilità della somma, esempi di operazioni sul conto corrente per le quali si utilizza il criterio per valuta, per la determinazione della data di disponibilità.

Fra le operazioni di addebito, la data di disponibilità è quella individuata con il criterio contabile, per, ad esempio, assegno tratto sul conto, bonifico bancario, emissione di assegno circolare, prelievo di contanti, spese bancarie. Il criterio per valuta lo si utilizza per l’insoluto.

Parte della giurisprudenza8 ritiene che la disponibilità vada rapportata al giorno immediatamente successivo a quello dell’annotazione contabile.

Vale la pena dedicare spazio alla trattazione di particolari ma comunque molto frequenti operazioni sul conto.

Ci si imbatte spesso, ad esempio, sulla definizione di

“operazioni bilanciate”, che si verificano quando il correntista esegue una rimessa, anche sul conto scoperto, per fornire una provvista utile a un contemporaneo o successivo prelievo, o per

8 Ex plurimis, Trib. Milano, 30 luglio 2001.

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16 dare esecuzione a certi ordini di pagamento: mi riferisco, e riporto come ipotesi, quella del versamento su conto scoperto che il correntista esegue allo scopo di ottenere il contestuale rilascio di assegni circolari di pari importo o, magari al fine di permettere alla banca di effettuare un pagamento a terzi, contestualmente

ordinato dal correntista.

La giurisprudenza prevalente9 di legittimità e di merito, si è sempre dimostrata concorde a non includere le operazioni bilanciate fra quelle revocabili: la rimessa non può definirsi pagamento del

correntista, e quello della banca è soltanto un intervento limitato ad effettuare un pagamento per conto del correntista.

Tuttavia la stessa giurisprudenza10 si è dimostrata risoluta

nell’affermare che l’esclusione da revocatoria può aversi solo a certe condizioni, ovvero se la banca eccepisce, a fronte di un’istanza di revocatoria, l’esistenza di un’operazione bilanciata, ha onere di provare quale fosse la destinazione della rimessa affluita sul conto, pattuita fra le parti sin dal momento del versamento, l’esistenza di un accordo fra le parti, specificamente indirizzato all’esecuzione dell’ordine di pagamento, e il collegamento fra le rimesse e l’operazione di cassa eseguita, molto semplice quando si tratta di

9 Cass. 21 maggio 2004 n. 9698, 26 gennaio 1999 n. 686, 17 luglio 1997 n. 6998.

Trib. Milano, 9 marzo 1999.

10 Trib. Bergamo, 20 marzo 2006, 29 marzo 2003, Trib. Venezia, 4 gennaio 2002,

Trib. Roma, 27 aprile 2005.

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17 una provvista costituita da bonifici, assegni circolari o versamento di contanti, poiché è sufficiente provare la contestualità dell’accredito e dell’addebito e la coincidenza degli importi fra le operazioni: la banca entra nella disponibilità del denaro e poi lo eroga al terzo secondo l’accordo pattuito col cliente. Un poco più complessa la dimostrazione della banca quando la provvista è costituita da assegni bancari, in quanto non è sufficiente l’uguaglianza degli importi in dare e avere per dimostrare il collegamento fra l’accredito e il successivo addebito.

L’esenzione da revocatoria nell’ipotesi delle operazioni bilanciate, può riguardare i versamenti diretti come bonifici attivi e versamenti di contanti o assegni circolari, ma è doveroso precisare che non può applicarsi per le rimesse derivanti da altre forme di credito, come lo smobilizzo di portafoglio, anticipi su fatture, poiché sono casi in cui si profila un’ulteriore concessione di credito dalla banca e un successivo pagamento, con l’incasso del titolo accreditato.

Se mancano queste prove, la rimessa ha natura solutoria, dunque è assoggettabile a revocatoria fallimentare.

Riporto, a sostegno di quanto esposto, per completezza di

esposizione, due massime giurisprudenziali relative, in un caso, alla non revocabilità delle operazioni bilanciate, e, nell’altro, alla revocabilità di operazioni che non possono annoverarsi fra le bilanciate:

Cass. 27 maggio 2004, n 10012:

<<è considerata operazione bilanciata e quindi non

revocabile quella con cui la banca riceve e registra sul conto del cliente degli assegni circolari emessi da altri istituti e consente poi al cliente una operazione di prelievo per un

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18 importo non superiore: in tal caso la banca non concede credito, ma adempie solo ad ordini di cassa.>>.

Tribunale di Cagliari, 27 marzo 1985:

<<Non sono bilanciate le operazioni c. d. per anticipazione export sui conti correnti bancari. In tali casi il correntista presenta di volta in volta alla banca dei benestare

all’esportazione di propri prodotti a soggetti stranieri per dati importi, e la banca, in attesa che arrivi il pagamento del prezzo dall’estero, anticipa al cliente una percentuale di tali importi per poi recuperarla con le rimesse eseguite

dall’estero sul conto. Le anticipazioni accordate dalla banca costituiscono mutui concessi al cliente, e le rimesse

dall’estero restituzione delle somme mutuate, ossia dei pagamenti in favore della banca, come tali revocabili.>>.

Fra gli altri casi di operazioni particolari sul conto, troviamo, ad esempio, l’operazione di giroconto (o bancogiro), con cui si

accredita una somma su un conto corrente bancario, addebitando la stessa somma su un diverso conto corrente bancario.

La revocabilità si profila quando questa operazione è svolta fra diversi rapporti di conto corrente intrattenuti dallo stesso correntista presso la stessa banca, nel caso in cui uno di essi sia scoperto.

Non è revocabile il giroconto quando si è avuto addebito di uno scoperto, in quanto si è realizzata la diminuzione dello scoperto come frutto di una compensazione.

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19 La giurisprudenza della Cassazione e di merito11 ha sempre ritenuto che la compensazione vada sottratta alla revocatoria, a patto che i due rapporti di conto corrente si considerino autonomi e sussistano gli ulteriori presupposti della compensazione, salva l’eventuale revoca degli atti che l’hanno resa possibile.

Esclusa la revocabilità per il caso di addebito di un conto scoperto o passivo e accredito di un altro conto scoperto o passivo, poiché sono casi, questi, in cui non si verifica alcun incasso da parte della banca, ma solo un trasferimento di una posta passiva da un conto all’altro. La Suprema Corte, con sentenza n. 10208 del 3 maggio 2007, avrebbe affermato che la compensazione fra saldi attivi e passivi di più rapporti o conti, fra banca e cliente, può verificarsi solo quando si tratti di conti o rapporti chiusi, poiché se la

compensazione operasse fra conti o rapporti aperti, darebbe luogo alla continua determinazione di un saldo unico, in contrasto con la volontà delle parti di dare vita a due rapporti distinti.

Ecco quindi che se il giroconto avviene da un rapporto attivo a uno passivo, ancora aperti, del cliente, ha luogo un pagamento

revocabile, e non la compensazione.

Secondo parte della dottrina12 resta però fermo che il curatore possa chiedere la revoca dell’operazione qualora si profili in

11 Cass. 97/6558, 86/3447, 82/3480,

Trib. Torino, 20 giugno 1985, Trib. Roma, 6 giugno 2005, Trib. Catania, 7 gennaio 1995, Trib. Napoli, 17 febbraio 1994.

12 Bonavera, Quagliotti.

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20 concreto una violazione del principio della par condicio creditorum, come nel caso di aumento del saldo debitore di un conto

maggiormente garantito, rispetto a quello accreditato.

Ancora proseguendo nell’esposizione di operazioni particolari sul conto, si evidenziano i casi di pluralità di rapporti di debito/credito o pluralità di conti fra banca e correntista. Secondo l’art. 1853 c.c. i saldi attivi e passivi si compensano reciprocamente, salvo patto contrario. Recita infatti tale articolo: “ Se tra la banca e il correntista esistono più rapporti o più conti, ancorché in monete differenti, i saldi attivi e passivi si compensano reciprocamente, salvo patto contrario”.

Atteggiamento piuttosto comune da parte della banca è l’eccepire la compensazione per sfuggire dalla revocatoria delle rimesse.

Eccezione però respinta per mancanza di autonomia di crediti e debiti che si vogliono compensare.

Il Tribunale di Roma13 ha precisato che la compensazione è ammessa se i fatti da cui deriva si sono verificati prima del fallimento del correntista, quando fra banca e cliente siano intercorsi più rapporti di conto corrente fra loro autonomi.

La giurisprudenza per parte sua ritiene che se il cliente intrattiene con la banca due o più rapporti di conto corrente, non viene a modificarsi la struttura del rapporto con la banca, poiché se il cliente effettua rimesse sul conto con saldo attivo si considerano di matrice solutoria quando riducono, mediante compensazione, l’esposizione sul conto passivo. Modo, questo, per evitare che le banche

suddividano l’unico conto corrente in più conti, per poter eccepire la

13 26 giugno 1998.

(21)

21 compensazione fra poste attive e passive, ma anche per evitare che procedano all’apertura di un conto ad hoc intestato allo stesso cliente, alla dichiarazione di fallimento di questo.

Pertanto il curatore ha l’onere di provare la simulazione per

ottenere la revocabilità delle rimesse, ovvero di provare che i conti non sono realmente autonomi, ma solo formalmente.

Se la banca riesce ad eccepire validamente la compensazione – in caso di conti correnti autonomi o perché il curatore non ha provato la simulazione – al curatore resta la possibilità di chiedere che la revocatoria sia eseguita sul contratto di conto corrente che ha permesso la compensazione.

Infine un rapido accenno al caso in cui il correntista esegua nella stessa giornata più operazioni di segno opposto, positivo o negativo.

La regolamentazione adottata dalla giurisprudenza14 denota un favor verso la banca, in quanto si prevede come riferimento il saldo giornaliero finale.

Poiché però, come afferma la Suprema Corte15, l’effettivo ordine cronologico delle singole operazioni non può trarsi dall’ordine riportato sull’estratto conto o dalla scheda di registrazione contabile, al curatore è data la possibilità di dimostrare che l’effettivo ordine cronologico sia stato un altro, e di chiedere la revoca di rimesse avvenute sul conto scoperto.

14 Cass., 94/10869, 84/2548,

Trib. Taranto, 6 marzo 2006, Trib. Novara, 2 marzo 2005.

15 Cass., 05/21083.

(22)

22 La Cassazione16 ha precisato che se il conto è scoperto all’inizio della giornata e così rimane fino alla chiusura, se nessun versamento è stato in grado di ridurre il passivo entro il limite dell’affidamento pattuito fra la banca e il cliente, ognuno di questi versamenti sarà considerato avente carattere solutorio.

Proseguendo nell’analisi dell’art. 67, terzo comma, lett. b) L. F., dedichiamoci adesso alle caratteristiche delle rimesse su conto corrente che riducano l’esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca. Riporto, ancora una volta, la disposizione in esame:

<< Non sono soggetti all’azione revocatoria:

[…]

b) le rimesse effettuate su un conto corrente bancario, purché non abbiano ridotto in maniera consistente e durevole

l’esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca;

[…] >>.

Apprendiamo dunque, che per la revocabilità delle rimesse, esse debbano presentare i caratteri di consistenza e durevolezza, rectius la riduzione all’esposizione debitoria del fallito da esse apportata.

Niente di più. Può sicuramente essere richiesta una consulenza tecnica d’ufficio per ricostruire l’andamento del conto corrente, ma non sarà questa ad offrire una valutazione nel merito dell’esistenza di questi requisiti.

Non pochi problemi sono subentrati per interpretare il testo della norma in esame, in particolare i due aggettivi sopra evidenziati. E la dottrina ha già impiegato fiumi di parole in questo tentativo.

16 Cass., 07/14676.

(23)

23 Molti studiosi hanno messo in evidenza, sin dai primi commenti successivi alla riforma apportata dal D. L. 35/2005, la scadenza della qualità tecnica delle nuove disposizioni introdotte, in generale, da questo intervento di riforma, ma specialmente in materia di rimesse in conto corrente.

Numerose censure si sono susseguite dalla sua entrata in vigore, sconfinata anche in eccessi di polemica riguardo alla connotazione della riduzione dell’esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca, che deve presentare i caratteri di “consistenza” e

“durevolezza”.

Sono stati qua riconosciuti elementi di vaghezza nella disciplina, da cui discendono incertezze nella sua applicazione.

Giuliana Scognamiglio17 parla di un <<effetto di potenziamento in maniera eccessiva e non agevolmente controllabile, della

discrezionalità del giudice>>, di <<elevamento del rischio di moltiplicazione del contenzioso e decremento del tasso di prevedibilità delle decisioni>>, di <<minaccia definitiva al

raggiungimento degli obiettivi di chiarificazione della disciplina e di superamento dei pregressi contrasti giurisprudenziali di stabilità dei rapporti facenti capo all’impresa, che si volevano perseguire con la novella>>.

Vorrei, ancora, riportare commenti che in merito alla questione oggetto della nostra analisi sono scaturiti da altri due autorevoli esponenti della dottrina contemporanea.

17 In Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, diretto da Vassalli, Luiso, Gabrielli, Vol. III, Torino 2014.

(24)

24 Lascio spazio alle parole di Gino Cavalli18: <<Se infatti, il concetto di riduzione dell’esposizione debitoria dell’insolvente verso la banca appare abbastanza semplice da focalizzare, è tutt’altro che chiaro, ed anzi sommariamente oscuro, il significato degli aggettivi

“consistente” e “durevole”, che sono stati inseriti nel testo della norma. Qui, veramente, appare difficile astenersi dal censurare l’opera di un legislatore che si manifesta incapace di formulare i precetti con un minimo di proprietà e la cui sciattezza concettuale e linguistica pone sempre più spesso gli interpreti dinanzi a problemi insolubili, con buona pace degli obiettivi di certezza del diritto che, pure, si vorrebbero, a parole, conseguire>>.

Sostiene, Inzitari19: <<Il linguaggio utilizzato è molto lontano dai requisiti di univocità richiesti da una disciplina tecnica, come quella delle obbligazioni nelle fasi dell’esecuzione concorsuale. […] Il

legislatore si è arreso di fronte a problemi troppo spinosi per poterli, con linguaggio piano e sicuro, districare, per lo più al cospetto di gruppi di pressione spesso impazienti di incassare comunque un risultato>>.

Sull’impatto negativo di questa pessima tecnica legislativa sui valori di certezza dei rapporti giuridici, anche altri autori: Schiano di Pepe20 parla di una terminologia utilizzata dal legislatore <<piuttosto approssimativa ed atecnica, che non aiuta a un’interpretazione

18 Considerazioni sulla revocatoria delle rimesse in conto corrente bancario dopo la riforma dell’art. 67, Legge Fallimentare, in Banca, Borsa, Titoli di credito, I, 2006.

19 Azioni revocative e tutela del credito in crisi dell’impresa e riforma delle

procedure concorsuali, in Atti del convegno di Courmayeur 23-24 settembre 2005.

20 In Il diritto fallimentare riformato, commento sistematico a cura di G. Schiano di Pepe, Cedam 2007.

(25)

25 univoca per l’indefinibilità concettuale, prima ancora che giuridica delle espressioni riferite alla riduzione dell’esposizione debitoria>>.

Galletti21 scrive che <<non può sfuggire la portata asistematica, incoerente e disorganica dell’intervento normativo>>.

Vi è stato anche chi ha assunto una posizione meno severa, in particolare Terranova22, riguardo ai critici delle scelte lessicali compiute dal riformatore: riconoscendo la necessità di uno sforzo di affinamento e precisazione in sede d’interpretazione, è possibile intravedere i vantaggi di una disciplina basata su concetti generici.

Terranova apprezzerebbe dunque una siffatta formulazione per i casi di esenzioni dalla revocatoria, in particolare con riferimento a fattispecie come le rimesse sui conti correnti bancari, che

presentano caratteri di astrattezza: una formulazione generica della disciplina permette di esentare da revocatoria ogni tipologia di operazione. Sarà definita dallo stesso autore come un “comodo passepartout”.

Nonostante, dunque, una terminologia atecnica ed approssimativa adottata dal legislatore, è doveroso notare che nessun dubbio si muove adesso riguardo alla natura della rimessa che rileva: si tiene conto non più della rimessa atomistica, considerata singolarmente in relazione alla sua collocazione, ma complessiva o di durata, all’interno del periodo di riferimento per l’esercizio della revocatoria.

21 Le nuove esenzioni dalla revocatoria fallimentare, in Giur. Comm., I, 2007.

22 I profili generali dell’istituto. Il danno come fondamento dell’azione, in Trattato delle procedure concorsuali, diretto da Ghia, Piccinini, Severini, II, Le azioni revocatorie, i rapporti preesistenti, Torino, 2010.

(26)

26 Tornando più nel dettaglio, alla lettera della norma, dedichiamo qualche spazio all’analisi dei requisiti richiesti alle rimesse per cercare di sciogliere tutte le intricate posizioni assunte in questi nove anni da dottrina e giurisprudenza, in un flusso di opinioni che, sicuramente, non è destinato ad arrestarsi entro breve termine, a parere, espresso con modestia, di chi scrive, ma anzi è ormai destinato a proseguire probabilmente fino all’avvento di un nuovo ritocco della disciplina, da moltissimi auspicato, che sarebbe se non altro utile a dipanare i dubbi di costituzionalità inoltre suscitati dalla norma riguardo l’aspetto di una possibile disparità di trattamento fra le rimesse bancarie e tutti gli altri pagamenti di debiti liquidi ed esigibili già precedentemente passati in rassegna in questa opera.

“Consistente e durevole”, dunque, il carattere della riduzione dell’esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca, realizzata per mezzo di rimesse effettuate su conto corrente bancario, per poter assoggettare quest’ultime ad azione

revocatoria. La congiunzione “e” fra i due aggettivi fa intendere che entrambi i requisiti debbano sussistere; il primo aggettivo riguarda l’entità della rimessa (rectius la riduzione apportata dalla rimessa all’esposizione debitoria del fallito), l’altro, la stabilità nel tempo.

Si è presentata una tesi dottrinale23 che proporrebbe l’impostazione di un’endiadi, ovvero un concetto unico espresso per mezzo di due termini coordinati, come anche da interpretazione del Tribunale di Brescia24.

23 Fra gli esponenti, Vincre, Le nuove norme sulla revocatoria fallimentare, in Rivista Dir. Proc., 2005.

24 29 aprile 2008.

(27)

27 Nota Schiano di Pepe25 che la prima improprietà tecnico-giuridica attiene al riferimento dell’esenzione dalla revocatoria alla rimessa.

Essa è infatti da vedersi come movimento neutro, l’azione revocatoria dovrebbe toccare invece atti o pagamenti, dunque, disposizioni patrimoniali effettive.

La giurisprudenza conduce un percorso per enucleare

nell’andamento del conto corrente, i pagamenti, ovvero rimesse di natura tout court, il tutto prima ancora di operare la misurazione di consistenza e durevolezza della riduzione dell’esposizione debitoria.

1.1.1

Il carattere di “consistenza”.

L’aggettivo “consistente” si riferisce non alle rimesse, ma alla riduzione dell’esposizione debitoria, ponendosi non in termini assoluti, ma relativi alla stessa riduzione; dobbiamo pertanto considerare le diverse rimesse solutorie affluite nel periodo e l’entità dell’esposizione debitoria riguardo all’ammontare dell’affidamento accordato fra correntista e banca.

Esistono diversi tipi di strumenti negoziali, ciascuno produttivo di una disponibilità sul conto. Se taluni producono una disponibilità immediata, come l’apertura di credito, l’anticipazione bancaria, altri producono una disponibilità differita, come il castelletto di sconto, detto anche “fido sbf (salvo buon fine)” o “fido per lo sconto di cambiali o altri titoli”, contratto con cui la banca si impegna, entro un ammontare predeterminato, ad accettare i titoli che il cliente

25 Op. cit.

(28)

28 presenterà, concedendogli credito utilizzabile tramite lo sconto di effetti o altri titoli scontabili. La banca ha il mandato di riscuotere i titoli per poi accreditare l’importo in conto corrente,

subordinandolo alla condizione dell’incasso, cosicché l’importo dell’accredito è disponibile solo dopo che è stato pagato il titolo.

Il credito del correntista, dunque, si amplia, ma non si amplia l’apertura del credito: pertanto non potranno cumularsi i due tetti, nonostante che, per prassi operativa bancaria, vi sia un

collegamento stabile fra il conto corrente ordinario assistito da apertura del credito, e un conto corrente transitorio caricato di un fido salvo buon fine. Tale fido, dunque, non si considera ai fini della valutazione dello scoperto.

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Se la riduzione dell’esposizione debitoria del fallito è consistente, significa che le rimesse con cui è stata realizzata è d’importante misura: questa è accertata, nella pratica, dal giudice, è rimessa alla sua discrezionalità, ed ovviamente l’accertamento avverrà in termini relativi, poiché si dovrà infatti considerare in relazione all’entità dell’esposizione debitoria prima e dopo la riduzione, dunque ha rilievo la condizione di partenza dell’esposizione, prima della

riduzione, ed anche l’affidamento accordato fra banca e correntista.

Le rimesse devono considerarsi nell’arco di un periodo di tempo, così da poter apprezzare la loro consistenza.

Si è osservato come nella pratica vi siano stati tentativi di aggirare la norma, frazionando i pagamenti del correntista in una pluralità di rimesse, ciascuna non consistente, considerando, quindi, solo le singole rimesse, che così non avrebbero integrato il requisito in

(29)

29 questione: poiché, però, accanto al requisito della consistenza, si ha quello della durevolezza della riduzione, per la valutazione delle rimesse revocabili si deve tener conto del carattere della

durevolezza, e quindi della stabilità nel tempo di essa. La consistenza è integrata tramite una sommatoria delle singole rimesse, e valutata in rapporto all’esposizione debitoria complessiva del cliente.

Si profila, riguardo a questo requisito, un dubbio di legittimità costituzionale, nota parte della dottrina, riguardo alla diseguaglianza del trattamento delle rimesse su conto corrente, rispetto a quello di altri pagamenti effettuati a soggetti diversi dalla banca, i quali sono revocabili indipendentemente dalla loro entità.

Nella logica dell’art. 67, terzo comma, lett. b) L. F. riformato, la situazione passiva o scoperta del conto, perde ogni rilevanza; non rileva l’entità di ogni rimessa in una visuale atomistica del contratto di conto corrente, ma rileva il risultato finale.

Gino Cavalli26 commenta che può risultare utile stabilire una soglia percentuale sotto la quale i rientri, ancorché durevoli, non siano rilevanti, consistenti, e dunque esenti da revocatoria. A questo scopo ritiene non sia utile27 l’indicazione del 25% fissata al primo comma, n. 1) dell’art. 67 L.F., ove si specifica:

“ Sono revocati, salvo che l’altra parte provi che non conosceva lo stato d’insolvenza del debitore:

1) gli atti a titolo oneroso compiuti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, in cui le prestazioni eseguite o le

26 Op. cit.

27 Di parere opposto, invece, sostenitore dell’utilità della soglia fissata al primo comma, n. 1) dell’art.67 L. F., Rago, in Manuale di diritto fallimentare, Padova, 2006.

(30)

30 obbligazioni assunte dal fallito sorpassano di oltre un quarto ciò che a lui è stato dato o promesso;

[…]”.

Ecco allora come si pone questo dubbio di legittimità costituzionale dal punto di vista di Cavalli: vi è un’incomprensibile diseguaglianza fra il modo di considerare i pagamenti all’art. 67 L. F., secondo comma, di debiti liquidi ed esigibili, intervenuti nel periodo sospetto e nella consapevolezza dello stato di insolvenza, per disposizione di legge revocabili, e il modo di considerare le rimesse che hanno ridotto in modo consistente e durevole il credito della banca, le quali, se di scarsa consistenza, non sono revocabili.

Per espressa previsione di legge si profila legittimo, nel caso delle rimesse su conto corrente, commettere un illecito (!) a patto che la frode sia contenuta, e cioè stia al di fuori dei confini tracciati dai caratteri di consistenza e durevolezza della riduzione.

Cavalli, con toni aspri, auspica l’espunzione di questa possibilità dall’art. 67 L..F.

Resta il dubbio su quale percentuale risulti rilevante.

In questa “nebbia” interpretativa, la giurisprudenza ha cercato di ricavare una valida interpretazione della norma. Il Tribunale di Milano28, e il Tribunale di Monza29 hanno ritenuto di considerare come entità massima dell’esposizione debitoria del conto, il valore medio dei versamenti e prelevamenti dal conto corrente, e

l’importo del debito nel momento di effettuazione delle rimesse.

28 27 marzo 2008.

29 3 settembre 2008.

(31)

31 Abbiamo notato che in base a tali principi è stato ritenuto

consistente un rientro del 10% della differenza fra la massima esposizione debitoria del conto, nel periodo sospetto, e al momento dell’apertura del concorso.

Successivamente, il Tribunale di Milano30 ha ritenuto che per individuare le rimesse assoggettabili a revocatoria, si dovesse procedere alla determinazione dell’importo medio dei versamenti e del saldo medio a seguito dei versamenti, dell’incidenza media percentuale – ottenuta dai rapporti fra rimessa media e saldo medio di conto derivato dalla rimessa -, inoltre si dovessero considerare le rimesse consistenti che hanno avuto di volta in volta un’incidenza percentuale sul saldo di conto superiore a quella media, e la durata media delle rimesse consistenti, per il periodo di centottanta giorni.

Infine, fossero da qualificare come pagamenti revocabili solo le rimesse la cui giacenza non fosse stata utilizzata per almeno la durata media.

Larga parte della dottrina31 ha comunque rilevato come il rientro in grado di soddisfare ambedue i criteri (consistenza e durevolezza), sia quello individuato all’art. 70, terzo comma, L. F.

Dell’aggettivo consistente vi è stato, almeno inizialmente, un approccio interpretativo di tipo quantitativo, discendendone, comunque, l’impossibilità di fare ricorso a valori assoluti, finendo per fare ricorso a valori relativi, a percentuali, anche se del tutto

3030 25 maggio 2009.

31 Cavalli, in Commentario Jorio, 2010, Costa, in Dir. Fall. 2010, Tarzia, in Trattato delle procedure concorsuali, diretto da Ghia, Piccinini, Severini, II, Le azioni revocatorie, i rapporti preesistenti, Torino, 2010.

(32)

32 opinabile può dirsi l’identificazione della percentuale oltre la quale la riduzione si connota consistente.

Tante le scelte interpretative, come dicevamo: dal riferimento alla percentuale del 25%, al primo comma n. 1) dell’art. 67 L. F., al riferimento a percentuali inferiori, del 10% almeno32, della differenza fra la massima esposizione e il saldo finale, oppure del 7%33.

Vi è stata anche l’ipotesi riguardante la valutazione della consistenza della riduzione dell’esposizione debitoria cagionata da una specifica rimessa da parte della giurisprudenza, la quale potrebbe affermarsi in un intervallo compreso fra il 25%, parametro desumibile dall’art.

67, primo comma, n. 1) L.F., e il 10%, misura desumibile dall’art.

1850 c.c., che, incluso nel capo XVII del Titolo III del Libro IV del Codice Civile, recita:

“Se il valore della garanzia diminuisce almeno di un decimo rispetto a quello che era il tempo del contratto, la banca può chiedere al debitore un supplemento di garanzia nei termini d’uso, con la diffida che in mancanza, si procederà alla vendita dei titoli o delle merci dati in pegno. […]”.

Altra proposta, quella di utilizzare il criterio matematico della media, come da applicazione del tribunale di Milano34, per cui vengono considerate le rimesse affluite nel conto corrente durante il periodo in cui, nell’arco di tempo rilevante di sei mesi, venga dimostrata la

32 Trib. Milano, come visto, 27 marzo 2008,

Trib. Venezia, 1 febbraio 2013 ( il giudice estensore Zanon ritenne che la percentuale fissata al 10% dovesse essere ragguagliata al saldo debitore medio e non all’importo massimo revocabile indicato dall’art. 70 L. F.).

33 Trib. Monza, 3 settembre 2008.

34 25 maggio 2009.

(33)

33 scientia decoctionis della banca, con il calcolo dell’importo medio, e la consistenza viene riferendosi a quelle che superano questo importo.

Inoltre, un altro criterio che si avvale del calcolo della media, considerando il tempo di permanenza di ciascuna rimessa sul conto corrente del fallito, nel corso del periodo rilevante, permette di determinare il limite oltre il quale qualificare una rimessa come durevole, rectius la riduzione da essa operata all’esposizione

debitoria del fallito nei confronti della banca, e, ove sussista anche il requisito della consistenza, verrebbero meno i presupposti per l’esonero da revocatoria.

1.1.2

Il carattere di “durevolezza”.

Il concetto di durevolezza richiama alla mente un intervallo

temporale, e rileva dunque sotto un profilo cronologico. S’intende come tale il riferimento ad un tempo in cui vi è stata una riduzione del debito, una riduzione non temporanea, ovvero non coperta da un’immediata operazione di segno opposto, ed anche quella che riduce il debito in modo persistente, ovvero definitivo.

Per condivisa opinione dottrinale, questo concetto, come l’altro sopra esposto, risulta di difficile comprensione e interpretazione: il Tribunale di Milano35 ha evidenziato che questo concetto richiede un’apprezzabile stabilità, nel tempo, dell’effetto solutorio.

35 27 marzo 2008.

(34)

34 La giurisprudenza più recente36 ha sottolineato che la presenza di addebiti relativi a crediti della stessa banca, non impedisce la revoca di rimesse anteriori, in quanto l’esposizione debitoria da considerare è, oltre a quella emergente dal contratto di conto corrente, quella complessiva del cliente a fronte di erogazioni finanziarie da parte della banca, per mezzo di diverse forme tecniche di finanziamento.

Il Tribunale di Brescia37 ha ritenuto revocabile il pagamento eseguito per ripianare il saldo passivo di un conto corrente già chiuso.

Questa espressione introduce un criterio che può essere valutato solo ex post, per osservare ciò che è avvenuto sul conto dopo il versamento, e stabilire se una rimessa ha determinato una

riduzione del debito durata fino alla chiusura del rapporto, ovvero fino alla dichiarazione di fallimento, senza essere seguita da successivi prelievi.

Si potrà, dunque, aprire la strada alla revoca di rimesse c.d. intra- fido, prima della riforma non percorribile, poiché doveva aversi una valutazione ex ante, ed anche alle rimesse di lieve entità, qualora da una valutazione ex post risulti che abbiano determinato una

riduzione dell’esposizione dal carattere consistente e durevole.

Non sono invece revocabili le operazioni ( o partite) bilanciate38, particolare tipo di operazione sul conto corrente già analizzata nel

36 Ex plurimis Trib. Udine, 24 febbraio 2011.

37 29 aprile 2008.

38 Trib. Pavia, 19 aprile 2006,

Trib. Milano, 25 marzo 2009, Cass., 11/1834,

App. L’Aquila, 15 luglio 2011,

(35)

35 corso della trattazione delle singole operazioni, con una valutazione del saldo disponibile in riferimento a queste: casi in cui la riduzione dell’esposizione debitoria non può dirsi durevole. Sono infatti rimesse effettuate con l’unico scopo di costituire la provvista per consentire alla banca, mandataria del correntista, di effettuare pagamenti per conto di quest’ultimo. Tale esclusione si è profilata come una novità, poiché era una realtà più conosciuta e affermata dalla giurisprudenza sotto la previgente disciplina39. Infatti si era sostenuto che la rimessa contestuale ad un prelievo di tale importo (p.e. il versamento di somme per il rilascio di assegni circolari), non fosse revocabile.

In tali casi è revocabile il pagamento eseguito tramite la banca a favore del terzo beneficiario.

La vigente Legge Fallimentare esclude le operazioni bilanciate dalla revocatoria anche quando non c’è coincidenza cronologica fra l’operazione a credito e quella a debito. Basta che il saldo debitore sia d’importo circa uguale a quello precedente l’ultimo accredito.

A parere della dottrina di Donato40, sono sempre revocabili le rimesse oggetto di un rientro programmato, rateale, in quanto determinanti una riduzione durevole del debito verso la banca.

Dalla lettera della legge deve inoltre desumersi che siano escluse da revocatoria, se compiute nel periodo sospetto, anche le rimesse che a breve distanza di tempo ripianano uno sconfinamento.

Trib. Messina, 31 marzo 2011.

39 App. Lecce, 26 marzo 1981, Cass., 99/686, 97/9558.

40 In Dir. Fall. 2006.

(36)

36 L’esclusione varrebbe41 anche per il caso di un susseguirsi

consecutivo di queste operazioni, se dopo ogni operazione il saldo finale non sia di molto inferiore a quello che ha preceduto l’ultima rimessa (p.e. se in un conto affidato per 1000€, il saldo debitorio raggiunge 1500€, poi scende a 1000€, e risale a 1400€. Le rimesse che ripristinano l’affidamento non dovrebbero essere revocate).

Il concetto di “riduzione durevole” richiama un intervallo temporale, rilevando quindi sotto un profilo cronologico, di un tempo in cui si procede ad una riduzione del debito.

La Suprema Corte42avrebbe aperto ad una interpretazione non solo relativa al concetto di cronologia degli eventi, dunque alla

contestualità della costituzione di una garanzia rispetto

all’insorgenza di un debito, ma relativa anche ad un concetto di funzionalità, e cioè di originaria preordinazione alla garanzia di un’obbligazione, andando quindi oltre la stretta tempistica di attuazione.

Allo stesso modo possiamo scorgere un’interpretazione di questa terminologia che si basi, anziché sulla cronologica durata

dell’abbattimento per la rimessa solutoria, sulla sua finalità di riduzione non transitoria, secondo un’intenzione delle parti di escludere una successiva immediatezza di un prelievo, oppure una disposizione in uscita.

Sono inoltre molto importanti per comprendere se stiamo parlando di riduzione durevole dell’esposizione, ancorché non definitiva, gli atteggiamenti tenuti dalla banca, di tolleranza o meno di ulteriori

41 Così Silvestrini.

42 Cass., 00/5845, 97/6558.

(37)

37 sconfinamenti, con disposizioni allo scoperto o di costituzione di nuove forme di provvista o richiesta di garanzie nuove.

Tarzia43 e Schiano di Pepe44, secondo una valutazione non

atomistica ma complessiva del rapporto, ritengono che la riduzione non sia definitiva, ma si protragga fino all’epilogo del rapporto di conto corrente, aderendo alla corrente giurisprudenziale avviata dalla Suprema Corte45 nel 1992, che per individuare le rimesse revocabili in base all’andamento del conto corrente, ha individuato il criterio dell’abbattimento dell’esposizione del correntista fallito nei confronti della banca, per mezzo di un apprezzamento ex post.

Quest’ultima è però un’impostazione che contraddice il tenore della disposizione che riguarda una pluralità di rimesse che hanno ridotto l’esposizione debitoria, basandosi esse sullo scrutinio di un

andamento progressivo e continuo al rientro, e ad una riduzione dell’esposizione non durevole, ma definitiva.

Riguardo alla formulazione della norma in esame, commenta Gino Cavalli46 che la vaghezza del criterio indicato crea problemi e insoddisfazione, poiché finché un conto è regolarmente in essere, i versamenti che vi affluiscono consentono al cliente di disporre di quegli importi quando ne avrà bisogno: è complesso dunque distinguere un effetto solutorio durevole da uno non durevole, in quanto l’arco temporale esposto alla revocatoria è divenuto breve.

43 Le esenzioni vecchie e nuove dell’azione revocatoria fallimentare nella recente riforma, in Fall., 2005.

44 In Il diritto fallimentare riformato, Cedam, 2007.

45 Cass., 92/9064.

46 La riforma della legge fallimentare, cit. in Banca, Borsa; Titoli di credito, I, 2006.

(38)

38 L’aspro commento di Cavalli prosegue con la considerazione che l’aggettivo “durevole” sia stato utilizzato in modo del tutto

improprio dal legislatore, poiché se fosse da intendersi nel senso di

“definitivo”, dovremmo intendere che l’ammontare delle rimesse revocabili coinciderebbe con la differenza fra il saldo passivo più elevato verificatosi dopoché la banca ha acquisito contezza del dissesto, e il saldo al momento della chiusura del conto, o al momento della dichiarazione di fallimento, in base alla teoria c.d.

“del massimo scoperto”, che la riforma intendeva confermare e che pare la più idonea a cogliere la vera essenza giuridica ed economica della fattispecie.

Tale interpretazione, sostenuta anche da Tarzia e Silvestrini, si differenzia parzialmente da quella sostenuta da Granata47, secondo il quale sarebbero durevoli soltanto i versamenti intervenuti su un conto passivo chiuso o bloccato, in quanto il dato essenziale della fattispecie è costituito dalla mancanza in fatto o in diritto, di una capacità di ripristinare la provvista. Ecco che, secondo quest’ipotesi, si escluderebbero dalla revocabilità delle rimesse, quelle che

abbiano avuto solo ex post un effetto riduttivo del credito della banca.

Altre opinioni hanno poi volto verso la possibile esistenza di un rientro durevole anche se poi lo scoperto verso la banca verrà aumentato per effetto di ulteriori utilizzi, con difficoltà nello

stabilire quanto tempo debba intercorrere fra una rimessa e il primo prelievo successivo per poter qualificare il suo effetto solutorio

47 Esenzioni dalla revocatoria fallimentare e operazioni bancarie, in La riforma della legge fallimentare, a cura di Bonfatti e Falcone, Milano, 2005.

(39)

39 come durevole. Questa tesi è stata ad esempio accolta da Nigro48, che definisce “non durevoli” soltanto i rientri immediatamente riutilizzati dal correntista o frutto di un accordo di destinazione intervenuto con la banca, in base alla logica delle operazioni bilanciate.

Ulteriore problema interpretativo quando si analizza il termine durevolezza, viene profilandosi nella movimentazione di conti anticipi di effetti e documenti al salvo buon fine, quando il rientro conseguente al pagamento del terzo chiude la specifica operazione di anticipo e ne determina l’estinzione.

Si è notato, dunque, come per la determinazione del parametro della durevolezza, si è potuta registrare un ampia varietà di soluzioni interpretative: per connotare la durevolezza di una rimessa si deve valutare una stabilità dell’effetto solutorio, apprezzabile nel tempo.

Nella dottrina si sono distinti i pareri di chi qualifica come durevole una rimessa (rectius l’effetto solutorio o riduzione dell’esposizione debitoria a questa conseguente) cui non hanno fatto seguito operazioni di prelievo o addebito di circa pari consistenza, a breve distanza di tempo.

In ogni caso rimane da determinare l’arco temporale che rileva per escludere la stabilità della riduzione dell’esposizione debitoria del cliente verso la banca.

Un criterio adottabile per quantificare il tempo necessario a

caratterizzare l’effetto di una rimessa nel conto corrente in termini di durevolezza, è quello della media, per cui il requisito della

48 Riforma della legge fallimentare e revocatoria delle rimesse in conto corrente, in Dir. Banc., 2005.

(40)

40 durevolezza esiste quando le rimesse permangono nel conto più giorni rispetto alla soglia indicata dal criterio della media.

Criterio però non univocamente interpretato, in quanto secondo una prima teoria questo calcolo sarebbe da eseguire mettendo in rapporto il numero dei giorni del periodo sospetto (ovvero sei mesi, centottanta giorni), con il numero delle rimesse.

Altra tesi in merito ritiene più opportuna una valutazione che consideri la frequenza dei movimenti bancari, cioè il ritmo con cui si alternano accrediti e addebiti nel conto corrente, nel periodo di tempo rilevante49, oppure la frequenza degli addebiti, in quanto elidano o riducano gli effetti delle rimesse consistenti.

Dunque, per ricavare il valore medio degli addebiti, si effettua il calcolo dividendo il numero dei giorni del periodo sospetto per il numero delle operazioni di questo tipo svolte in questo periodo: le rimesse con una permanenza sul conto di tempo superiore a quello del valore medio, si qualificano come durevoli.

L’intervallo di tempo da considerare è quello dei sei mesi anteriori alla data della dichiarazione di fallimento, propri del periodo

sospetto; tuttavia, in concreto, dovrebbe considerarsi il semestre di ordinaria gestione dell’impresa.

Galletti50 ritiene che la situazione di crisi in cui versa l’imprenditore possa influire sulla frequenza degli addebiti: il confronto fra

l’andamento del conto corrente in condizioni di equilibrio finanziario e l’andamento in condizioni di crisi, renderebbe “anomalo” il

risultato delle operazioni sul conto in quest’ultimo periodo. Ecco,

49 Trib. Milano, 27 marzo 2008.

50 Le nuove esenzioni dalla revocatoria fallimentare, in Giur. Comm., 2007.

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