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Conclusioni
Le lingue scritto-parlate sono traduzioni per evocazione;
le lingue audio-visive […] sono traduzioni per riproduzione.
Il Linguaggio tradotto, dunque, è sempre il linguaggio non verbale della Realtà.
(P. P. Pasolini, Il non verbale come altra verbalità, 1971)
Alla fine del mio lavoro, mi sento di affermare che, all’interno della pratica della comparabilità, i parametri di valutazione della giustezza e della qualità artistica di una traduzione in rapporto all’opera di partenza non possono essere stabiliti a priori ma solo in una fase successiva, e tale condizione trova nuova ragion d’essere quando interessa un confronto di tipo intersemiotico come accade, ad esempio, tra un testo letterario e le sue diverse forme di adattamento.
Come conferma anche Dusi:
«Se si accetta che due testi autonomi nella propria coerenza discorsiva, e diversi radicalmente sul piano dell’espressione, come ad esempio un romanzo e un fumetto, un quadro o un film, siano messi a confronto, non si potrà che cercare – in generale – somiglianze e differenze, continuità e discontinuità»1.
Questo significa che un’equivalenza totale tra forme espressive diverse non può essere mai pienamente raggiunta, ma avrà piuttosto natura «contrattuale» o ideale, subordinata ai limiti e ai mezzi espressivi appartenenti al genere che opera l’adattamento
2. Pertanto, il problema della fedeltà diventa solo una delle tante questioni d’interesse nella valutazione dell’opera adattata o, quanto meno, resta un tema importante ma non quello centrale
3.
1 NICOLA DUSI, op. cit. 2003, p. 72.
2 «L’equivalenza è sia un simulacro che un effetto di senso, costruito attraverso una strategia testuale che manipola la competenza del lettore, al fine di fargli credere che quella proposta di testo di arrivo sia veramente l’intenzione del testo di partenz a. L’equivalenza diviene […] in tal modo qualcosa di variabile e […] si accentua la sua natura di contratto intersoggettivo», Ivi, p. 46.
3 «McFarlane sostiene che la fedeltà tra testo fonte e testo filmico è solo uno degli aspetti dell’adattamento, troppo spesso sopravvalutato mettendo in secondo piano altri importanti
247 Parlando degli adattamenti di Sorelle Materassi, dopo aver analizzato il testo originale e le singole trasposizioni, abbiamo notato come, a proposito della fedeltà, ogni adattatore abbia scelto di entrare in relazione col romanzo in forma soggettiva e diversificata, in funzione dei destinatari delle nuove opere, dei modi e dei mezzi espressivi adottati ma, soprattutto, in risposta a condizionamenti di tipo personale e/o storico-culturale.
La ricerca che è stata qui affrontata, suggerita da una iniziale impressione di teatralità e di impatto visivo riportati nella mia prima lettura del romanzo, si è subito dopo indirizzata non a valutare le possibilità di adattamento del testo palazzeschiano poiché bastano i fatti a confermare che l’operazione è ed è stata possibile. Gli aspetti che si è tentato, invece, di mettere in evidenza, parlando del romanzo in sé e analizzando gli adattamenti che ne sono stati tratti, hanno riguardato piuttosto la possibilità d’impiego di Sorelle Materassi come oggetto di trasposizione artistica e la spinta a studiare i tempi e i modi scelti di volta in volta per realizzarla.
Per arrivare a delle conclusioni di fondo e sintetizzare in maniera più agevole il lavoro svolto, si è scelto di fare affidamento sulle considerazioni elaborate dallo studioso Francis Vanoye
4a proposito della pratica dell’adattamento. Vanoye individua, infatti, per lo sceneggiatore- adattatore tre tipi di problematiche da affrontare nella pratica della riduzione di un’opera letteraria: aspetti tecnici, scelte estetiche e procedimenti di appropriazione
5.
In riferimento al nostro caso, possiamo dire che per quanto riguarda il primo punto, ovvero gli aspetti tecnici, le difficoltà affrontate da tutti e tre gli adattatori del testo palazzeschiano hanno toccato nel
fattori, come ad esempio la convergenza tra le arti o il processo di arricchimento culturale», Ivi, p.
23.
4 FRANCIS VANOYE, La sceneggiatura. Forme, dispositivi, modelli, Lindau, Torino, 1999.
5 «Ogni adattamento è trasposizione di una forma espressiva in un’altra. Tale trasposizione obbligata colloca lo sceneggiatore-adattatore di fronte a problemi che classificheremo secondo tre categorie […]: problemi tecnici, scelte estetiche e procedimenti di appropriazione», Ivi, p. 132.
248 complesso le medesime questioni: l’adeguamento del romanzo ai procedimenti di scrittura della sceneggiatura o del copione teatrale, la consequenziale messa in dialogo di alcune parti narrative, la necessaria rivisitazione dell’intreccio secondo i tempi e i mezzi della rappresentazione drammatica o audiovisiva e la gestione della voce- commento dell’istanza narrante.
Il cinema e il teatro, l’abbiamo detto, sono forme di comunicazione multipla che, potendosi basare sull’utilizzo simultaneo di più codici espressivi, riescono a rendere in maniera più varia e frammentata l’univocità del linguaggio verbale, almeno a livello letterale, appartenente al romanzo. Poggioli e Ferrero con il film e lo sceneggiato e Storelli con la commedia hanno cercato, infatti, di ricreare con strumenti espressivi diversi (musica, immagini, suoni, gesti, costumi, scenografie, tecniche narrative ecc.) la potenza evocativa della parola palazzeschiana riuscendo, sempre in una dimensione di soggettività percettiva e critica, a suscitare nello spettatore modello sensazioni ed emozioni vicine a quelle ricevute dal lettore di fronte alla pagina scritta.
Nonostante però le evidenti differenze legate al codice o al canale comunicativo o alle tecniche espressive, analizzando i tre adattamenti in rapporto all’opera di partenza, si sono rilevate alcune costanti comuni nel metodo di illustrazione della storia. Tanto nel film, quanto nello sceneggiato e nel testo teatrale, sono stati infatti ripresi molti elementi dell’organizzazione narrativa del romanzo che confermano sia la teatralità che la carica visiva presenti nell’opera, e quindi il suo effettivo potenziale rappresentativo.
Come nel romanzo, anche nei tre adattamenti sono stati rispettati reciprocamente la struttura circolare dell’opera (ordine-disordine- ordine), la «geometria drammatica»
6degli spazi e dei personaggi organizzata secondo strutture di opposizioni binarie di tipo tematico, psicologico e fisico, ma soprattutto ha trovato conferma la centralità dei
6 CESARE SEGRE, op. cit. 1984, p. 20.
249 caratteri dei protagonisti che, tanto nell’opera originale quanto nelle singole trasposizioni, si dimostrano i veri catalizzatori dell’azione.
Quest’ultimo punto, come evidenzia con precisione Segre, è uno degli aspetti principali del prototipo teatrale
7. A conferma di ciò, in tutti e tre gli adattamenti si ripetono alcune scene tratte dal romanzo in cui è particolarmente marcata la funzione dei personaggi come motori di eventi esteriori ma soprattutto intimi. Più di tutte: la scena della firma della cambiale e la scena del matrimonio su cui mi sono soffermata negli ultimi capitoli.
Ovviamente, la preferenza verso l’uno o l’altro episodio da parte dei tre adattatori è stata presumibilmente condizionata dal rispettivo genere di riferimento che ha consentito loro di esprimere al meglio il potenziale drammaturgico e iconico appartenente alle singole scene.
Non a caso, la forte componente visiva della descrizione delle due sorelle vestite da sposa presente nel finale del romanzo è stata resa con maggiore enfasi ed efficacia espressiva nei due adattamenti per lo schermo, mentre la tensione drammatica e tragica, che connota intensamente l’episodio della cambiale, è stata realizzata più compiutamente ed efficacemente nella riduzione per il palcoscenico.
Per quanto riguarda invece il secondo punto, le scelte estetiche, Vanoye fa riferimento a due tipi di sceneggiatura, distinguendo tra un modello di tipo «classico» e uno di tipo «moderno»
8.
Per la prima tipologia Vanoye parla di «concentrazione sull’azione […] attenzione alla razionalità dei collegamenti […] messa a punto di personaggi consistenti […] collocati in un contesto chiaro»
9, tutte caratteristiche che si collegano facilmente al tipo di drammaturgia adoperata da Poggioli nel suo lavoro cinematografico. Abbiamo visto, infatti, come nella sua trasposizione il regista si sia dimostrato molto più
7 «Si può dire insomma che nel testo [teatrale] si verifica la quasi completa centralità dei personaggi, in quanto portatori di motivazioni, realizzatori di contrasti e alleanz e, scatenatori di eventi», Ivi, p. 20.
8 FRANCIS VANOYE, op. cit. 1999, pp. 142-143.
9 Ibidem.
250 interessato ad organizzare il discorso in maniera logico-causale a discapito dell’approfondimento psicologico dei protagonisti dell’azione.
All’ opposto, gli altri due adattatori, Ferrero e Storelli, non solo hanno riabilitato nei loro lavori la centralità dei personaggi, ma hanno offerto maggiore spazio ai contenuti romanzeschi «più ambigui e lacunosi» ed hanno tentato «procedure di straniamento o di riflessività»
10, tutti procedimenti che Vanoye riconosce come caratteristiche appartenenti all’altro modello di scrittura drammaturgica, ovvero quella «moderna».
Pertanto, il tipo di sceneggiatura «classica» utilizzata da Poggioli non si dimostra per nulla in linea con la modernità del testo palazzeschiano. Paradossalmente il film, che è stato prodotto in anni più vicini a quelli di pubblicazione del romanzo, si rivela, rispetto a quest’ultimo, incapace di cogliere pienamente l’effettiva tensione narrativa e mette in evidenza un atteggiamento più convenzionale e arretrato nell’approccio alle tematiche principali dell’opera scritta. Solo in tempi più moderni l’essenza profonda del romanzo viene veramente compresa e adeguatamente rappresentata. Nello sceneggiato e nella pièce teatrale il testo di Palazzeschi ritrova la sua vera veste narrativa;
Ferrero e Storelli ne hanno riconosciuto definitivamente la complessità mettendosi al passo anche con la moderna critica letteraria che ha definitivamente liberato il romanzo dalla sua prima definizione di testo tradizionale a sfondo realistico.
Questa constatazione ci permette di collegarci e di analizzare più dettagliatamente l’ultimo punto messo in evidenza da Vanoye e cioè il processo di appropriazione dell’opera:
«L’appropriazione non è un processo scelto, ma la conseguenza di una limitazione esistenziale dell’adattamento che si potrebbe designare con il termine di transfert. […] L’opera adattata, infatti, si trova sempre in un contesto storico e culturale diverso da quello in cui è stata prodotta. […] L’appropriazione indica, dunque, […] il processo di integrazione, di assimilazione dell’opera (o di certi aspetti dell’opera) adattata al punto di vista, allo sguardo, all’estetica, all’ideologia del contesto di adattamento e degli adattatori. Essa può andare dal
10 Ibidem.
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rifiuto d’intervento (ma la neutralità è un atteggiamento estetico e ideologico […]) alla “deviazione” o alla “inversione”»11.Le considerazioni dello studioso francese valorizzano la nostra necessità, nei capitoli precedenti, di fare costantemente riferimento al contesto storico di produzione di ciascuna trasposizione del romanzo, giudicando la contestualizzazione come pratica obbligata per comprendere opportunamente le scelte e i modi di rappresentazione messi in pratica nelle diverse rivisitazioni dell’opera. Mentre nella prima parte del lavoro (capp. I, II e III) l’indagine approfondita sulla vita dell’autore, sulla sua produzione letteraria e, nello specifico, sulle fasi redazionali e sulla struttura romanzesca di Sorelle Materassi è stata principalmente destinata a una conoscenza più completa e dettagliata delle motivazioni poetiche e ideologiche alla base dell’atmosfera teatrale presente nel romanzo, nei capitoli successivi, la messa a fuoco si è rivolta al contesto socio-culturale relativo alla politica e alla cinematografia del periodo fascista (cap. IV), all’ambiente culturale di produzione dello sceneggiato (cap. V) e ai metodi di realizzazione di un’opera teatrale (cap. VI). Questo procedimento mi è apparso indispensabile per una migliore comprensione della diversità dei singoli adattamenti in qualità di originali concretizzazioni artistiche delle potenzialità drammaturgiche appartenenti all’opera di partenza.
Riprendendo, quindi, i tre atteggiamenti dell’adattatore evidenziati da Vanoye, in relazione al contesto socio-culturale e al punto di vista assunto nei riguardi dell’opera adattata, possiamo ricollegare Poggioli al tipo della deviazione, Ferrero al tipo della neutralità e in ultimo Storelli al tipo dell’inversione.
Poggioli, infatti, pratica sul testo una forte deviazione in senso etico-storico, allineandosi con i gusti e i canoni dell’epoca fascista. Egli è portato pertanto a tradire inevitabilmente la vena provocatoria che aleggia nel romanzo e ad enfatizzare i toni melodrammatici della storia. Il dramma delle due zie si riduce quasi ad intreccio secondario e maggiore
11 FRANCIS VANOYE, op. cit. 1999, pp. 149-151.
252 rilevanza viene invece affidata alla storia d’amore tra Remo e Peggy che, messa in primo piano, è raccontata più distesamente sul modello delle convenzionali trame amorose tipiche del cinema di quegli anni. Ciò non esclude che nell’allestimento cinematografico non sia rilevabile la marca personale del regista che in questo film non ha dato il meglio di sé, come riconosciuto anche dalla critica cinematografica
12. I toni crepuscolari e melensi, la tensione drammatica e l’esposizione elegante ed ordinata dei fatti, più che elementi stilistici di Poggioli, sono da considerarsi segni distintivi di quella corrente cinematografica rappresentata dai registi calligrafici a cui lo stesso apparteneva, corrente i cui tratti principali sono, per l’appunto, il motivo letterario e il gusto estetizzante.
Anticipando ora il giudizio sulla messinscena teatrale si vede come Storelli si schiera sul fronte opposto rispetto a Poggioli. A differenza del regista, che sposta tutta l’attenzione sulla drammaticità e sulla tragicità legate alle esperienze esistenziali delle due sorelle, il drammaturgo romano rispristina volutamente i toni comici che diventano prevalenti. Sempre nell’ottica della comicità Storelli pratica sul testo altre due importanti modifiche, una sul piano formale, l’altra sul piano tematico ricorrendo per un verso ad un’espressività colloquiale medio-bassa con punte di colore regionale e per l’altro alla manifestazione di quel carattere erotico-sensuale che nel romanzo resta esclusivamente sotto traccia. La sua commedia è, pertanto, segnata dall’eccesso e dalla buffonata, sia in senso linguistico che in senso tematico, elementi stilistici molto probabilmente determinati dalla necessità di fare presa su un pubblico diversificato, moderno, per la maggior parte costituito da un uditorio televisivo prima che teatrale.
Questa consapevolezza porta il drammaturgo a scegliere per la propria rappresentazione i modi e i tempi tipici dell’avanspettacolo e del piccolo
12 «Il superiore valore del libro, nel film non lo ritroviamo se non in una vaga – ed assai vaga – apparenza […]», Fabrizio Sarazani, in «Il Tempo», Roma, 19 gennaio, 1945; «Le sorelle Materassi di Aldo Palazzeschi sembravano dover offrire al regista occasioni di prim’ordine. E invece il film omonimo risultò frettoloso e scialbo […]», Giulio Cesare Castello, in «Cinema», Milano, n. 39, 30 maggio 1950, p. 315. I due interventi sono riportati nella Rassegna stampa sulla produzione cinematografica del regista posta in appendice in ORIO CALDIRON- ERNESTO G. LAURA, op. cit. 1978, pp. 61-2.
253 schermo insieme all’impiego di attori e di attrici conosciuti tanto in ambito teatrale quanto in ambito televisivo, soprattutto per la loro partecipazione a spettacoli di varietà e d’intrattenimento. In definitiva, l’esigenza di Storelli si dimostra essere, da un lato, quella di rinnovare e attualizzare un romanzo come quello di Sorelle Materassi oggettivamente datato e destinato ad una tipologia di pubblico culturalmente diversa e distante da quella a lui contemporanea, dall’altro quella di semplificare e rendere più facilmente comprensibile un’opera indubbiamente complessa dal punto di vista ideologico-tematico dove il
“non detto”, motivo portante della storia, in un ambiente come quello teatrale non può rimanere celato ma, per necessità, esige di essere mostrato, rappresentato e, dunque, immediatamente percepito dal pubblico in maniera spettacolare e diretta.
In questo senso, l’adattamento di Storelli assume più manifestamente i caratteri della trasposizione poiché trasforma il testo rileggendolo in chiave nuova e attuale.
Per Storelli possiamo parlare allora di un’appropriazione dell’originale di tipo «estetico individuale»
13in quanto dipendente da un modo personale e creativo di reinterpretare storia e personaggi. Tuttavia, le modifiche che Storelli opera sul testo non intaccano né il contenuto generale, né il messaggio profondo dell’opera ma, al contrario, sono dei cambiamenti/inversioni intesi a una sua nuova valorizzazione.
Nella sua pièce teatrale il drammaturgo inserisce, ad esempio, delle riflessioni sul progresso e sulla modernità che sono assenti nel romanzo, ma che gli consentono di avvicinare la storia alla sensibilità e alla contemporaneità di un pubblico moderno. Inoltre, lo studio approfondito della poetica dell’autore e un’attenta conoscenza dell’opera lo spingono, come abbiamo visto, a modificare il finale e a
13 Secondo Vanoye l’appropriazione si esercita su tre livelli: uno di tipo socio-storico, quando
«dipende da un’epoca, da un contesto di produzione», uno di tipo estetico, quando «dipende da una corrente, da un movimento, da una scuola» e uno di tipo estetico individuale, quando
«dipende da un autore o da un gruppo», FRANCIS VANOYE, op. cit. 1999, p. 151.