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INTRODUZIONE
Il pomodoro è una delle colture ortive più diffuse nel mondo e, in particolare, in Italia, dove ormai da molto tempo è diventato un ingrediente essenziale per tantissime ricette tradizionali, basti pensare alla pizza, alla pomarola, alla pappa al pomodoro, alla “caprese”, ma anche semplicemente ad un’insalata mista.
Da questo è facile capire quanto sia importante nel nostro Paese (e non solo) la coltivazione del pomodoro.
A livello di grandi aziende tale coltivazione è soprattutto dislocata nelle regioni del Sud quali Sicilia, Puglia, Calabria, Abruzzo e Sardegna e in alcune regioni più al nord quali Emilia Romagna, Lazio e Toscana (Bollettino ISTAT, 2009), ma è anche diffusa in tantissime piccole aziende di interesse locale di quasi tutta la penisola e non esiste orto privato che non riservi almeno un angolino ai pomodori! In queste ultime strutture il pomodoro cresce solitamente in filari, legato con un po’ di spago a canne, irrigato nella migliore delle ipotesi con un tubo per irrigazione localizzata, altrimenti addirittura con un annaffiatoio, a volte concimato a volte no. Ma quando la coltivazione è rivolta a un qualche mercato la situazione cambia notevolmente e soprattutto negli ultimi anni si è cercato di trovare tecniche agronomiche sempre più efficienti volte ad ottenere un prodotto ottimo dal punto di vista organolettico, ma anche con un basso impatto ambientale e con costi di produzione contenuti, tali da rendere sempre più redditizia questa coltivazione.
Così si è passati alla coltivazione in serra (ormai già da decenni), in modo da creare un ambiente climatico più favorevole, allungando l’intervallo di tempo in cui il prodotto può essere presente sul mercato e abbinando poi la coltivazione in ambiente protetto a tecniche di fuori suolo (su substrati quali perlite, torba, etc.) o addirittura alla coltivazione in idroponica.
Si è anche studiato quali siano le concimazioni e/o le soluzioni nutritive più idonee, quale tipo di acque sia consigliato utilizzare, o meglio quale sia la combinazione migliore di nutrienti e acqua, in base soprattutto alla disponibilità di questa.
Tutto questo anche nell’ottica di arrivare a tecniche di minor impatto ambientale e alla possibilità di sfruttare le risorse presenti, soddisfacendo così
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quella fetta di consumatori, per altro in continua crescita, che richiede prodotti sempre più eco-compatibili.
La grande eterogeneità dell’ambiente italiano impone di coltivare il pomodoro (come le altre colture) in aree diverse, con caratteristiche di terreno ed acque estremamente varie, così che ogni produttore si imbatte in “problematiche”
specifiche della propria zona. Per esempio, in Sicilia i pomodori di Pachino si avvantaggiano, diventando più dolci, dell’utilizzo di acque salate tipiche di quella regione. In Val di Cornia (Toscana) si ha, invece, un’acqua naturalmente ricca di boro (B); ad esempio, nell’acqua di Suvereto il valore medio di B è di 1,9 mg/l contro un valore soglia di 1 mg/l (USL 6 di Livorno, 2008) a causa del rilascio di B da parte di argille nella pianura del Cornia e per intrusione di acque marine (La Comba e Iannis, 2007). Quindi in questa realtà le aziende si scontrano con elevate concentrazioni di questo elemento, piuttosto che con altre problematiche.
Il B è, da quasi un secolo ormai, considerato un micronutriente essenziale per la vita delle piante, la cui mancanza provoca l’inibizione della crescita interferendo principalmente sui processi riproduttivi (in particolare accrescimento del tubetto pollinico e lo sviluppo delle antere). L’eccesso arreca, invece, numerosi danni che portano in ogni caso a un calo della resa; il fenomeno più frequente è rappresentato dalla comparsa di aree necrotiche, con conseguente diminuzione dell’area fotosintetizzante e riduzione del numero e della dimensione dei frutti.
L’eccesso di B si presenta soprattutto nelle zone aride e semi-aride del mondo, dove è da considerarsi uno dei principali problemi per le colture ed è spesso associato ad un’elevata presenza di NaCl (Dhankhar e Dahiya, 1980). Inoltre il B è rimosso più lentamente rispetto agli ioni salini Na+, Cl- e SO4-2 (Eraslan et al., 2007) durante la lisciviazione (Rhoades, 1982), per cui può essere ancora presente a livelli elevati in suoli bonificati (Nable et al., 1997) e può esistere in vari rapporti con la salinità. Comunque l’acido borico è facilmente lisciviato dal suolo per la sua alta solubilità (Shorrocks, 1997; Yan et al., 2006).
Al contrario, la carenza di B si riscontra soprattutto in terreni a tessitura grossolana nelle zone umide (Goldberg, 1997).
La coltivazione in entrambe le situazioni richiede dei particolari accorgimenti per limitare i possibili danni. La deficienza comporta minori difficoltà in
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quanto per contrastarla può essere sufficiente l’applicazione di un fertilizzante ricco in B (Reid et al., 2004). La tossicità dei suoli, invece, è più complicata da gestire in quanto la “correzione” di un terreno è difficile, anche se sono stati sperimentati alcuni metodi quali la lisciviazione (Prather, 1977; Leyshon e Jame, 1993) o l’uso di ammendanti (Barlett e Picarelli, 1973). Nel caso della lisciviazione è importante usare la giusta quantità di acqua in modo tale da lisciviare il B in eccesso, ma non i nutrienti essenziali per le piante ed è comunque una tecnica essenzialmente rivolta al B accumulato con precedenti irrigazioni piuttosto che al B presente originariamente nel terreno. L’uso di ammendanti invece è una tecnica il cui risultato si esaurisce in breve tempo.
La possibilità più semplice per coltivare questi terreni risulta essere la scelta di specie in generale, e di cultivars in particolare, resistenti, o quanto meno tolleranti, all’eccesso di B (Ruiz et al., 2003).
A prima vista questa può sembrare una grossa limitazione ma, essendo i terreni ricchi di B presenti anche in natura, si ha comunque una vasta gamma di specie resistenti, utilizzabili di per sè, se di interesse agrario, o come fonte di geni per la resistenza nella creazione di nuovi ibridi (Jefferies et al., 1999; 2000).
E’ perciò interessante lo studio degli effetti del boro sulle colture principali di queste zone quali, appunto, il pomodoro, considerata una specie tollerante per quanto riguarda questo possibile stress.
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Capitolo 1 IL BORO
1.1 - Caratteristiche chimiche
Il B, fig. 1, è il 5° elemento della tavola periodica, IIIA gruppo 2° periodo ed è l’unico non-metallo tra gli elementi del IIIA gruppo (Nable et al., 1997); ha perciò proprietà intermedie fra i metalli e i non-metalli (Argust, 1998).
All’interno del suo gruppo è l’elemento più elettronegativo.
Nella figura 2 è mostrata la configurazione elettronica del B.
Fig 1 - Tavola periodica
Fig 2 - Configurazione elettronica del B
In natura esistono due isotopi: il 10B e il 11B, presenti rispettivamente nelle percentuali di 19,82% e 80,18% (Rosman e Taylor, 1998; WHO, 1998).
Il B cristallino si presenta come un solido nero lucente o marrone scuro (Fig.
3), all’apparenza simile a un metallo, ma a differenza di questo non è un buon conduttore dell’elettricità (Humphreys e Robinson, 1990).
Il più importante stato d’ossidazione è B+3. Gli stati di ossidazione più bassi +1, 0, <0 sono presenti solo in composti quali borani (per esempio, B5H9),
5 Fig 3 - Boro
alogenuri subvalenti (per esempio, B4Cl4), boruri metallici (per esempio, Ti2B) o in pochi composti contenenti più legami B-B. Solitamente il numero di coordinazione del B è 3 o 4.
Il B cristallino presenta una struttura icosaedrica, con un atomo di B su ognuno dei 12 vertici - anche gli idruri di B (borani) si possono considerare come frammenti di icosaedri - comunque in natura il B si trova quasi esclusivamente legato all’ossigeno sotto forma di borato, meno frequentemente come acido borico (B(OH)3 o H3BO3) e molto raramente legato al fluoro come nel caso dell’anione BF-4 (Power et al., 1997).
L’acido borico (Fig. 4) si presenta come un composto cristallino stabile, incolore che forma sottili cristalli a forma di lamine (Humphreys e Robinson, 1990).
Fig 4 - Struttura chimica dell’acido borico
L’acido borico si comporta, in soluzioni acquose, come un acido molto debole tanto che la sua attività come acido sembra correlata piuttosto all’accettazione di OH- che alla donazione di H+:
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B(OH)3 + 2H2O ↔ B(OH)-4 + H3O+
Così in suoli neutri o leggermente acidi il B si trova soprattutto sotto forma di acido borico indissociato (Raven, 1980).
Sia l’acido borico che il borato possono reagire con molti tipi di molecole (Brown et al., 2002); l’acido borico, in particolare, forma esteri e complessi con una larga varietà di composti mono-, di- e poli-idrossilici (Woods, 1996).
Il B forma legami covalenti molto forti con C e N nei cristalli. Il carburo di B, B4C, e il nitruro di B, BN, sono duri e abrasivi quasi quanto il diamante. Il BN presenta pure la sua stessa struttura ed è isoelettronico con questo (il B ha un elettrone in meno rispetto al C, ma l’N ne ha uno in più).
L’aggiunta di polioli (glicerolo, mannitolo, etc.) aumenta l’acidità di soluzioni di acido borico e di borato attraverso la formazione di complessi (esteri ciclici borati), secondo la reazione:
il cui equilibrio, in soluzione acquosa, dipende dal pH della soluzione e dalla stereochimica del diolo (Henderson et al., 1973).
Questi legami sono influenzati da molti fattori, tra cui il pH, il cui aumento li stabilizza.
E’ noto inoltre che il B ha una maggiore affinità con i composti che presentano una conformazione molecolare di tipo cis rispetto ai loro isomeri trans (Boeseken, 1949) e a zuccheri che contengono un anello furanoide piuttosto che un anello piranoide (Loomis e Durst, 1992; Goldbach, 1997).
L’acido borico reagisce anche con il ribosio, l’apiosio, il sorbitolo e con altri polioli (Loomis e Durst, 1992) così come con fenoli e amminoacidi, quali la serina (Tate e Meister, 1978) e con glicoproteine e glicolipidi, in relazione al fatto che comunque zuccheri e loro derivati, e alcuni o-difenoli, hanno una configurazione cis.
7 1.2 - Geologia e distribuzione
Fino a qualche anno fa (Reeves, 1974) si riteneva che il B, come anche il Li e il Be, fossero prodotti dalle reazioni di fragmentazione risultanti dalla collisione di particelle di raggi cosmici che producono, da nuclei più pesanti, nuclei più leggeri. Studi più recenti propongono invece che il boro possa essere prodotto anche durante le esplosioni di stelle massicce molto calde e luminose (Crosswell, 1992), dette anche stelle blu.
Il B non si trova mai nella sua forma elementare, ma è presente sia nelle rocce sia concentrato in depositi (Argust, 1998) ed è largamente distribuito (Morgan, 1980) sia nella litosfera che nell’idrosfera. Il B nelle rocce ha una concentrazione media di 10-20 mg Kg-1, nell’acqua marina varia da meno di 1 a 10 mg Kg-1 (0,52 mg/L nel Mar Baltico, 9,57 mg/L nel Mediterraneo), mentre nell’acqua dolce si ha una concentrazione pari a circa 1/350 di quanto è presente nell’acqua di mare (Power, 1997).
Il B, soprattutto sotto forma di borato (forma potenzialmente solubile), risulta il 10° elemento più abbondante nei sali marini (Argust, 1998).
Per quanto riguarda il suolo, la sua presenza non è uniforme, tanto che i suoli possono essere divisi in due tipi:
- terreni a basso contenuto ( <10 mg B Kg-1) - terreni ad alto contenuto (10-100 mg B Kg-1)
Quelli del primo tipo sono sicuramente i più frequenti (Power, 1997).
Nella Fig. 5 sono messe in evidenza le zone soggette a carenza di B, secondo Shorrocks (1997), mentre nella Tab. 1 sono elencate le località che presentano i terreni maggiormente ricchi in B.
Le principali fonti di B nella maggior parte dei suoli sono la tormalina, (Na, Cl)(Al, Fe, Li, Mg)3Al6(BO3)3Si6O18(OH)4, e le emanazioni volatili dei vulcani (Chesworth, 1991). Altri minerali che cristallizzano il B sono l’ulexite, NaCa[B5O6(OH)6]*5H2O, e il borace greggio, Na2[B4O5(OH)4]*8H2O. Vicino a fonti di calore si può formare la sassolite, ovvero l’acido borico naturale. La lisciviazione e la degradazione dovuta ad agenti atmosferici danno luogo alla colemanite, Ca[B3O4(OH)3]*2H2O, un minerale meno solubile, e la presenza di alte pressioni e temperature produce la kernite, Na2[B4O5(OH)4]*2H2O, una forma meno idratata di borace.
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Fig 5 - Aree con carenza di B, identificate da zone scure, sulla base delle risposte delle colture al B e attraverso analisi dei suoli (Shorrocks, 1997)
Località Autori
Sud dell’Australia Cartwright et al., 1984; Cartwright et al., 1986
Medio Oriente Ravikovitch et al., 1961 Costa occidentale della
Malesia
Shorrocks, 1964 Valli lungo la costa sud del
Perù Masson, 1967
Colline pedemontane delle Ande nel nord del Cile
Caceres et al., 1992 Aridosuoli (solnetz) dell’ex-
URSS Zyrin e Zborishchuk, 1975
Oxisuoli indiani Takkar, 1982
Alcune zone di Israele Ravikovitch et al., 1961 Searles, Lake California
(maggiori depositi di B2O2-7) Chesworth, 1991 Tab. 1 - Terreni ricchi di B
Nelle rocce ignee, metamorfiche e sedimentarie il B si presenta come borosilicato, che è resistente alla degradazione dovuta agli agenti atmosferici per cui non è disponibile per le piante (Nable, 1997). Infatti, le piante sono in grado di utilizzare unicamente il B solubile, che risulta essere circa il 10% del contenuto totale di B nel suolo (Power et al., 1997). Il B adsorbito sulle superfici colloidali del suolo non influisce sulla quantità di B che dà tossicità alle piante (Ryan et al., 1977; Keren et al., 1985a; Keren et al., 1985b)
Le più alte concentrazioni di B nei suoli sono spesso quelle presenti negli evaporati marini e nei sedimenti marini argillosi (Erd, 1980).
I suoli, inoltre, possono avere alte concentrazioni di B derivanti non solo dalla loro stessa composizione, ma anche dalla risalita di falde sotterranee, per
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l’aggiunta artificiale di residui di processi minerari, di fertilizzanti o tramite l’acqua di irrigazione (Nable, 1997). Inoltre alte concentrazioni di B si trovano anche in suoli dove sono stati scaricati residui di combustibili fossili o in suoli usati come depositi per materiali contenenti B (Leyshon et al., 1993).
Probabilmente, comunque, la fonte maggiore di B nei terreni è l’acqua di irrigazione (Chauhan e Power, 1978; Keles et al., 2004).
1.3 - Ciclo biogeochimico
La fonte principale di B è costituita da mari e oceani; da questi il B può entrare nell’atmosfera o tramite il passaggio diretto dei sali contenenti B all’interfaccia aria-acqua o attraverso la volatilizzazione dell’acido borico.
Nell’atmosfera si trova anche il B volatilizzato nella combustione di carbone fossile o rilasciato dallo stesso come ceneri volanti oltre a quello presente nei fumi delle ciminiere durante la produzione di ceramica, porcellana, vetro e isolante cellulosico.
Il B che si trova nell’atmosfera può depositarsi sul terreno, dove i suoi
“movimenti” sono dovuti anche alla degradazione delle rocce, alla decomposizione della sostanza organica, all’infiltrazione di acqua, alla lisciviazione e all’applicazione di fertilizzanti.
Il tempo in cui il B rimane nel terreno dipende da vari fattori quali:
- le esigenze nutrizionali delle piante presenti,
- la quantità di pioggia e la relativa concentrazione di B, ovvero la sua capacità di lisciviare il B presente o di apportarne altro,
- l’azione delle argille, - il pH.
Essendo il B un micronutriente essenziale per la vita delle piante entra a far parte anche della sostanza organica vegetale e conseguentemente di quella animale e da queste ritorna al terreno.
Infine, attraverso la lisciviazione dal terreno e le precipitazioni atmosferiche il B torna al mare, completando il suo ciclo (Argust, 1998).
1.4 - Le diverse reazioni del B nei suoli
Nel terreno il B non ha grandi capacità di reazione, infatti non attua né reazioni di ossido-riduzione né reazioni di volatilizzazione (Goldberg, 1997).
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I minerali che contengono B nel terreno possono essere sia insolubili, come per esempio la tormalina, o molto solubili, come i minerali idratati di B, nonostante solitamente non incidano sulla solubilità del B nella soluzione circolante (Goldberg, 1993). Infatti la concentrazione di B nella soluzione circolante è controllata principalmente dalle reazioni di adsorbimento.
Esistono molti fattori che determinano la disponibilità di B nei suoli: il pH della soluzione circolante, la tessitura, l’umidità e la temperatura del terreno.
Aumentando il pH della soluzione circolante, il B diventa meno disponibile per le piante, infatti molti studi dimostrano che l’adsorbimento del B da parte del suolo aumenta linearmente in funzione del pH della soluzione nell’intervallo di pH tra 3 e 9 (Bingham et al., 1971; Schalscha et al., 1973; Mezuman e Keren, 1981; Keren et al., 1985a; Borrow, 1989; Lehto, 1995) e diminuisce nell’intervallo di pH tra 10 e 11,5 (Goldberg e Glaubig, 1986a).
La quantità di B adsorbito dal suolo dipende poi dalla tessitura del suolo stesso e aumenta con l’aumento del contenuto in argille (Bhatngar et al., 1979; Wild e Mazaheri, 1979; Mezuman e Keren, 1981; Elrashidi e O’Connor; 1982) soprattutto in relazione al contenuto in caolinite, montmorillonite e clorite (Goldberg, 1997). Per queste ragioni il B contenuto naturalmente in un terreno è correlato strettamente con la quantità e con la qualità delle argille presenti (Elrashidi e O’Connor, 1982).
Per quanto riguarda l’umidità del suolo si ha una correlazione diretta tra il suo incremento e l’incremento della disponibilità del B, infatti la carenza di B nelle piante risulta più probabile in suoli siccitosi (Fleming, 1980) in relazione al fatto che la soluzione circolante diviene meno mobile (Scott et al., 1975).
La temperatura, invece, agisce in maniera diretta sull’adsorbimento del B, anche se in suoli contenenti prevalentemente minerali cristallini l’adsorbimento diminuisce con temperature comprese tra 10 e 40 °C (Biggar e Fireman, 1960;
Goldberg et al., 1993a).
Il B nel suolo viene adsorbito principalmente da ossidi, minerali argillosi, carbonati di calcio e dalla sostanza organica.
L’adsorbimento del B su ossidi di metalli avviene rapidamente (Scharrer et al., 1956; Choi e Chen, 1979) mentre aumenta su ossidi cristallini e amorfi di alluminio e ferro con l’incremento del pH, fino a pH 8-9 (Scharrer et al., 1956;
Sims e Bingham, 1968; McPhail et al., 1972; Metwally et al., 1974; Choin e
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Chen, 1979; Goldberg e Glaubig, 1985; Bloesch et al., 1987; Su e Suarez, 1995).
Se nel terreno sono presenti altri anioni quali silicati, solfati, fosfati e ossalati questi svolgono un’azione competitiva nei confronti del B che viene perciò adsorbito in quantità minore; inoltre questi anioni sono capaci di lisciviare il B adsorbito per poi occuparne il sito di legame (McPhail et al., 1972; Metwally et al., 1974; Choin e Chen, 1979; Bloesch et al., 1987; Goldberg e Glaubig, 1988;
de Busetti et al., 1995).
Al contrario i silicati che contengono idrossidi di magnesio sono capaci di rimuovere dalla soluzione circolante notevoli quantità di B (Rhoades et al., 1970a).
La presenza di argille nel terreno è importante per l’adsorbimento del B, anche se, per grammo, i minerali argillosi adsorbono quantità significativamente inferiori degli ossidi minerali (Goldberg, 1997).
Le argille presentano un adsorbimento del B in due fasi: la prima (l’adsorbimento vero e proprio) è veloce ed esotermica, la seconda (reazione di fissazione) è lenta ed endotermica; in questa reazione il B che era stato adsorbito sugli angoli dai gruppi ossidrilici, migra e si incorpora nei siti tetraedrici, rimpiazzando ioni di silicio e alluminio (Harder, 1961; Fleet, 1965;
Couch e Grim, 1968).
La carenza di acqua diminuisce l’adsorbimento di B sulle argille.
Solitamente la presenza di cloruri, nitrati e solfati ha un effetto relativo; la presenza di fosfati diminuisce sensibilmente l’adsorbimento di B (Jasmud e Lindner, 1973), ma non ha alcun effetto sulla efficacia della montmorillonite, così Goldberg e Glaubig (1986b) conclusero che questo minerale presenta siti specifici per l’adsorbimento del B.
Anche il carbonato di calcio è capace di adsorbire il B (Elseewi, 1974; Elseewi e Elmalky, 1979; Goldberg e Forster, 1991), tanto che a volte viene usato per correggere terreni che presentano una certa tossicità perchè troppo ricchi di questo elemento, anche in relazione al fatto che la presenza di carbonato di calcio aumenta il pH della soluzione circolante che, come già visto in precedenza, aumenta l’adsorbimento del B. L’adsorbimento probabilmente avviene per uno scambio con i gruppi carbonati (Goldberg, 1997).
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Infine un ruolo fondamentale è giocato dal contenuto di carbonio organico: la sostanza organica adsorbe più B rispetto ai costituenti minerali del terreno a parità di peso (Yermiyaho et al., 1988; Gu e Lowe, 1990).
L’adsorbimento aumenta con l’aumentare del pH, fino a pH 9 (Gu e Lowe, 1990; Yermiyaho et al., 1988) e con l’aumentare del titolo della soluzione (Yermiyaho et al., 1988) avviene rapidamente. Può darsi che si formino dei complessi B-dioli a seguito della decomposizione della sostanza organica (Parks e White, 1952).
Il desadsorbimento del B non è molto noto e gli studi effettuati hanno riportato risultati contrastanti. Molti meccanismi dell’adsorbimento anionico potrebbero spiegare l’apparente irreversibilità dell’adsorbimento del B, anche se il desadsorbimento anionico a pH costante mostra invece vari gradi di irreversibilità (Hingston, 1981).
1.5 - Storia e usi del B
Per quanto il B nella sua forma elementare sia stato preparato solo nel 1808 da H. Davy in Inghilterra e quasi contemporaneamente da J.-L. Gay-Lussac e L.-J.
Thernard in Francia, è stato largamente utilizzato fin dall’antichità.
Pare che gli Egizi lo utilizzassero nella mummificazione. Nell’antica Roma era invece utilizzato per la fabbricazione del vetro.
Fin dall’VIII sec d. C. gli orafi e gli argentieri arabi usavano i boraci come agenti di saldatura e lucidatura. Si hanno anche notizie dell’utilizzo del B da parte dei Cinesi fin dal 300 d. C. Attualmente il B ha svariati utilizzi sia a livello industriale che in agricoltura.
Per quanto riguarda quest’ultimo settore il B è sostanzialmente impiegato come fertilizzante in areali B-carenti e/o per quelle colture che maggiormente ne abbisognano o, sotto forma di acido borico, in alcuni insetticidi.
Nell’industria è utilizzato, oltre che per la formulazione dei suddetti fitofarmaci, per la produzione di saponi e detersivi (candeggianti, come il perborato di sodio); l’ossido di B (B2O3) è impiegato per la fabbricazione di vetri borosilicati (per esempio, Pirex), che sono maggiormente resistenti a sbalzi repentini di temperatura, quindi estremamente indicati per cucine e laboratori. Il B si usa anche per la fabbricazione di ceramiche e porcellane, nella manifattura di pelli, per la fabbricazione di prodotti chimici per la
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fotografia (Nable et al., 1997), per quella di materiali isolanti elettrici (BN e borace), per quella di inibitori della corrosione (Meltem e Cavit, 2003) e per prodotti che agevolano la conservazione del legno. Filamenti di B sono impiegati in strutture aereospaziali, velivoli militari e telai di biciclette, in quanto materiali molto resistenti e leggeri.
Inoltre il B elementare è usato in metallurgia per la raffinazione di metalli (specialmente rame e alluminio) grazie alla sua capacità di disossidante e degassificante, e come indurente in leghe metalliche. Quantità di B dell’ordine di 1 parte su 10.000 sono sufficienti a migliorare considerevolmente le caratteristiche di durezza di un acciaio. Sotto forma di lega o di dispersione, o anche sotto forma di composto (per esempio carburo di B), in alluminio, rame, nichel ecc., il B rappresenta un importante materiale per la costruzione di barre di controllo e di schermi protettivi per i reattori nucleari. Ciò è dovuto all’alta affinità (elevata sezione di cattura) del B per i neutroni lenti, con i quali reagisce dando origine a un atomo di Li e una particella α (Amaldi, 1935).
Nell’industria farmaceutica l’acido borico è utilizzato come leggero antisettico, per esempio come collirio (soluzione di acido borico al 3% (acqua borica) per lavaggi oculari).
Dato che dando fuoco al B amorfo questo sprigiona una luce verde, viene anche usato per i fuochi d’artificio.
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Capitolo 2
IL B E LE PIANTE
2.1 - Il B come micronutriente
La nutrizione delle piante è basata sull’assorbimento di una serie di elementi minerali essenziali e su quello di altri detti benefici, in quanto, se presenti, portano alcuni vantaggi, ma la cui assenza non compromette la crescita della pianta stessa (Marschner, 1995).
I primi che definirono l’essenzialità di un elemento furono Arnor e Stout (1939) attraverso tre requisiti:
1. la pianta è incapace di completare il suo ciclo vitale in sua assenza, 2. l’elemento non deve essere rimpiazzabile da altri nelle sue funzioni, 3. l’elemento deve essere direttamente coinvolto nel metabolismo della
pianta o deve essere richiesto in un preciso passaggio metabolico.
Solo gli elementi che soddisfano tutti e tre i requisiti sopra riportati sono da ritenersi essenziali.
Questi elementi sono poi stati suddivisi in macro- e micronutrienti, in relazione alla quantità degli stessi necessaria alla sopravvivenza delle piante. Tale suddivisione non è sempre netta soprattuttto per le notevoli differenze esistenti tra specie e specie.
Secondo il regolamento CE n° 2003 del 13/10/2003, relativo alla regolamentazione dei concimi i macronutrienti sono N, P, K, Ca, Mg, S e Fe, di cui i primi tre sono considerati principali e gli altri secondari. I micronutrienti sono Cu, Zn, Mo, B, Mn, Na e Co.
Tutti gli elementi essenziali svolgono, comunque, funzioni di primaria importanza all’interno della pianta: N, P e S costituiscono gli acidi nucleici e le proteine; il Mg, oltre a essere parte fondamentale della clorofilla, va insieme alla maggior parte dei micronutrienti a costituire varie molecole organiche, fra cui gli enzimi. Inoltre svolgono funzioni catalitiche in numerose reazioni.
Il K e il Cl hanno invece una funzione osmoregolatrice nel mantenimento dell’equilibrio elettrochimico.
Il B pare svolgere varie funzioni importanti all’interno della pianta, soprattutto durante la fase riproduttiva, piuttosto che in quella vegetativa (Sommer e
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Lipman, 1926), infatti è essenziale oltre che per la crescita del tubetto pollinico anche per lo sviluppo e la forma dei frutti (Blamey et al., 1979; Birch, 1981;
De Moranville e Deubert, 1987; Walker et al., 1987; De Wet et al., 1989); in più risulta che la carenza di B induce l’aborto dei fiori nel pero (Kamali e Childers, 1970).
Il B influisce comunque nella produzione e nella vita post-raccolta in generale (Adams e Windsor, 1974; DeMoranville e Deubert, 1987; Coezter et al., 1990) e risulta avere dei ruoli rilevanti anche per quanto riguarda il metabolismo degli zuccheri, i loro complessi e per la respirazione (Dugger, 1983).
2.2 - Assorbimento del B da parte delle radici
Il B è assorbito principalmente dalla soluzione circolante come acido borico indissociato (Hu e Brown, 1997), probabilmente perchè è la forma naturalmente più presente in soluzioni acquose, quali appunto la soluzione circolante.
Dagli anni 70 del secolo scorso sono stati effettuati vari studi per capire il meccanismo di assorbimento del B che hanno portato a risultati spesso contrastanti. Per esempio, Bingham et al. (1970), attuando esperimenti su radici recise di orzo, giunsero alla conclusione che l’assorbimento del B è un processo fisico, non metabolico, che risponde al gradiente di concentrazione;
successivamente Wilders e Neales (1971), lavorando su dischi di carota e barbe rosse, proposero due vie per l’assorbimento del B: una diffusione passiva di B(OH)3 e un trasporto attivo dello ione B(OH)4-. Nel 1997 Hu e Brown conclusero che il B è assorbito nelle cellule tramite un processo di diffusione passiva dell’acido borico libero, seguito da una rapida formazione di complessi. Questo declino dell’acido borico libero all’interno della cellula permette un ulteriore assorbimento, così che si ha una concentrazione di B maggiore all’interno delle cellule che all’esterno.
Comunque non è possibile, allo stato attuale, escludere completamente la possibilità che esista un processo attivo, magari in alcune specie piuttosto che in altre.
L’assorbimento è, inoltre, influenzato anche da diversi fattori ambientali; per esempio il pH del suolo è molto importante in quanto determina, a parità di concentrazione, la quantità di B solubile e quindi disponibile per la pianta:
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all’aumentare del pH aumenta il B adsorbito dai colloidi e quindi diminuisce l’assorbimento da parte del vegetale.
Anche il tasso di traspirazione gioca un ruolo essenziale, infatti un aumento nella traspirazione risulta in un aumento dell’assorbimento, per cui tutti i fattori che influenzano la traspirazione influenzano in maniera diretta anche l’assorbimento del B. Ciò significa che una diminuzione dell’umidità relativa, un aumento della temperatura e/o dell’intensità luminosa provocano un maggior assorbimento di B (Hu e Brown, 1997).
Esiste una specie di paradosso sull’assorbimento del B: considerando che la maggior parte delle evidenze sperimentali indica che l’assorbimento avviene per diffusione passiva, tale processo dovrebbe essere strettamente collegato all’acqua e al terreno utilizzati così che specie diverse cresciute nello stesso ambiente senza carenze idriche dovrebbero avere un assorbimento di B molto simile. Ma questo non avviene sempre: l’assorbimento del B risulta molto diverso tra le varie specie e tra i genotipi (Nable, 1988). Sono state comunque ipotizzate varie possibili spiegazioni per tale fenomeno:
1. l’assorbimento del B può essere parzialmente controllato da processi metabolici, per esempio un meccanismo attivo di esclusione del B (anche se ci sono poche evidenze);
2. la fuoriuscita di essudati capaci di legarsi al B presente nella rizosfera può diminuire il B disponibile;
3. la capacità di assorbimento delle radici può differire significativamente fra dicotiledoni e monocotiledoni graminacee in relazione probabilmente al maggior contenuto di pectine nella parete cellulare delle dicotiledoni che perciò richiedono più B (Hu et al., 1996);
4. la presenza di barriere fisiche nella struttura della parete cellulare delle cellule radicali può indurre un diverso assorbimento del B;
5. differenze nell’assorbimento del B possono essere anche determinate da una diversa permeabilità di membrana. Si sa infatti che la permeabilità di membrana all’urea, all’acqua e ai protoni può variare notevolmente in relazione alla composizione della membrana stessa. Dato che la solubilità dell’acido borico nei lipidi, nonchè la dimensione della molecola, sono dello stesso ordine di
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quelle dell’urea anche l’assorbimento del B può variare significativamente (Hu e Brown, 1997).
2.3 - Mobilità del B
È fuor di dubbio che il B è trasportato dal succo xilematico, lungo il flusso traspiratorio; più complicato è stabilire il suo trasporto attraverso il floema.
Si hanno anche notevoli differenze tra le varie specie, che possono perciò essere raccolte in due classi: le piante che presentano una scarsa mobilità del B e quelle in cui questo elemento è molto mobile.
Nelle piante con scarsa mobilità di B, questo viene trasportato principalmente nello xilema, seguendo appunto il flusso traspiratorio soprattutto verso le foglie mature, dove tende ad accumularsi nei margini ed è poi difficilmente ritraslocato altrove. Comunque la traslocazione può avvenire anche in queste piante sia tramite un passaggio diretto del B dai vasi xilematici ai vasi floematici (nelle nervature fogliari sono infatti posti molto vicini) sia tramite un trasferimento indiretto che implica la trasformazione dei nutrienti nelle foglie e l’immediata esportazione di questi prodotti nel floema, tanto che si può concludere che anche in queste piante il rifornimento di B ai tessuti in crescita è attuato dal floema.
Esistono invece piante che hanno una notevole capacità di traslocazione del B:
nella seconda metà degli anni 90 del secolo scorso è stato dimostrato che le specie che producono sorbitolo come prodotto primario della fotosintesi hanno un rapido e significativo trasporto floematico del B (Brown e Hu, 1996).
Questo risultato è stato poi generalizzato, estendendolo a tutte quelle specie che producono polioli (sorbitolo, mannitolo, dulcitolo...) capaci di creare complessi con il B. Alcune di queste specie ricche di tali composti (Tab. 2) sono per esempio quelle appartenenti ai generi Malus, Pyrus e Prunus o alle famiglie delle Apiaceae, Oleaceae e Celestraceae, anche se è stato dimostrato che la produzione di polioli nelle varie specie può dipendere pure dalle condizioni ambientali e fenologiche (Delgado et al., 1994).
La diversa mobilità del B è correlata anche ai diversi organi dove l’elemento si accumula o comunque dove è riscontrabile una concentrazione più alta: se si hanno maggiori concentrazioni nelle foglie vecchie e/o mature rispetto alle
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giovani il B è tendenzialmente immobile; se, al contrario, le concentrazioni di B nei frutti o nei tessuti apicali sono maggiori o comunque uguali a quelle delle foglie il B si muove anche attraverso il floema (van Goor e van Lune, 1980).
Genere/specie Dulcitolo Mannitolo Sorbitolo
Catha x
Celastrus x
Euonymus x
Maytenus x
Allium x
Apium graveoleus x
Asparagus x
Brassica x
Coffea arabica x
Daucus carota x
Foeniculum vulgare x
Fraxinum x
Olea europea x
Phaseolus vulgaris x
Pisum x
Cydonia oblunga x
Eriobotria japonica x
Malus domestica x
Prunus amygdalus x
Prunus armeniaca x
Prunus avium x
Prunus domestica x
Prunus persica x
Pyrus communis x
Pyrus pyrifolia x
Tab. 2 - Specie che sintetizzano dulcitolo, mannitolo e sorbitolo, dove il B è floema-mobile.
Fig 6 - Foglia di melo (sinistra) e fogliolina terminale di nocella (destra) con relative concentrazioni di B (mg/Kg s.s.) (Brown e Shelp, 1997).
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Nella Fig. 6 sono indicate le concentrazioni di B, espresse in mg/Kg s.s., in foglie mature di due specie diverse, melo e nocella, la prima delle quali ha la capacità di ritraslocare il B, mentre la seconda è B-immobile.
Altre prove della mobilità del B si possono individuare tramite la dislocazione dei sintomi di tossicità e tramite i movimenti del B applicato per via fogliare.
2.4 - Funzioni
Il B, come già accennato, svolge svariate funzioni all’interno delle piante, anche se risulta che il 95-98% del B totale presente in una pianta è, in condizioni limitanti di B, localizzato nella parete cellulare, lasciando solo una piccola frazione per tutte le altre funzioni (Matoh et al., 1992).
In seguito si è visto che la percentuale di B legata alla parete cellulare è variabile (Hu e Brown, 1994; Hu et al., 1996; Kobayashi et al., 1997) nelle diverse specie ed è correlata al fabbisogno totale di B della pianta.
Fin dagli anni 50 del 1900 era stato ipotizzato che la funzione del B all’interno della parete fosse più strutturale che metabolica (Skok, 1957); al contrario, Teasdale e Richards (1990) hanno concluso, a seguito di esperimenti su colture di cellule di pino (Pinus spp.), che il B ha un ruolo primario nella biosintesi della parete cellulare.
Attualmente, comunque, non ci sono evidenze convincenti sul coinvolgimento diretto del B nella biosintesi dei componenti della parete cellulare, poichè, in condizioni di B-carenza, non si ha diminuzione nella produzione di sostanze peptiche o di precursori della parete cellulare (Kouchi e Kumazawa, 1976; Hu et al., 1996; Goldbach, 1997; Fleischer et al., 1999). Il B influenza però l’incorporazione di proteine, pectine e/o precursori nella parete cellulare esistente e nelle parti in formazione (Torssell, 1956; Spurr, 1957).
Nel 1992 Loomis e Durst ipotizzarono per primi che il composto con cui il B forma esteri fosse l’apiosio, uno zucchero che compone in minima parte la parete cellulare. Alcuni anni più tardi, nel 1996, sia Kobayashi et al. che O’Neil et al. identificarono il ramnogalatturonano-II (RG-II), una pectina dalla struttura notevolmente complessa, come sito esclusivo del legame tra il B e la parete cellulare. Infatti nella parete cellulare il RG-II è presente soprattutto sotto forma di dimero, dove le due catene monomeriche di RG-II (mRG-II) sono legate tramite esteri borati con due dei quattro residui apiosici delle catene
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(Ishii e Matsunaga, 1996; O’Neill et al., 1996; Pellerin et al., 1996; Kaneko et al., 1997), per cui nei complessi B-RG-II il B risulta legato all’apiosio. Si è visto inoltre che questi legami sono stabilizzati dalla presenza dello ione Ca2+. In sostanza il B, quindi, contribuirebbe a dare, nella parete cellulare, una struttura reticolare alle catene pectiche.
In relazione a questo, alla fine del secolo scorso, Fleischer et al. (1998-1999) proposero una nuova funzione del B nella parete cellulare: il B sarebbe infatti capace di determinare la dimensione dei pori, in quanto questi risulterebbero più larghi in condizioni di B-carenza proprio in correlazione alla mancanza di dimeri B-RG-II. Per cui, in condizioni di inadeguato apporto di B, la dimensione dei pori aumenta e i processi di deposizione della parete e la crescita sono distrutti. Inoltre in tali condizioni l’estensibilità della parete subisce un iniziale incremento per poi diminuire (Findeklee e Goldbach, 1996) e sfociare in una parete rigida e spessa, tipico sintomo per molte specie della mancanza di B (Loomis e Durst, 1992).
È stato largamente studiato anche il fatto che la deficienza di B provochi danni a livello riproduttivo, anche quando non si hanno sintomi durante la fase vegetativa (Brown et al., 2002), questo forse in relazione al fatto che in molte specie un più alto contenuto in B è richiesto dai tessuti fiorali, particolarmente per lo sviluppo e la crescita del polline, rispetto a quello dei tessuti vegetativi (Peter e Stanley, 1974; Stanley e Linskens, 1974; Hanson et al., 1985; Dell e Huang, 1997); comunque non tutte le fasi dello sviluppo riproduttivo mostrano lo stesso grado di sensibilità al B (Rawson, 1996; Huang et al., 2000); in particolare i due processi più colpiti risultano l’allungamento del tubetto pollinico e lo sviluppo delle antere (Loomis e Durst, 1992; Rawson, 1996).
Già dagli anni 30 del ‘900 era stato visto che il B aveva effetti stimolanti sulla germinazione e la crescita del tubetto pollinico (Schmucker, 1933; 1934); 50 anni dopo Lovatt e Dugger (1984) ribadirono che la carenza di B era associata a un ridotto numero di granuli pollinici germinati, a tubetti pollinici corti e deformi e a una alta percentuale di tubetti pollinici scoppiati. Questo dovuto probabilmente alla debolezza meccanica della parete cellulare (Vasil, 1963).
Il tubetto pollinico si accresce per successive apposizioni di vescicole alla sua estremità terminale, dove queste si fondono con la membrana plasmatica e rilasciano il loro contenuto. Il B potrebbe controllare queste attività secretorie
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(Jackson, 1989), influenzando la mobilizzazione del materiale della parete dal reticolo endoplasmatico e dai corpi del Golgi, oppure l’inserzione di questo materiale all’estremità del tubetto (Brown et al., 2002). L’insufficienza di B risulta, infatti, in un’irregolare deposizione delle vescicole, in un ispessimento della parete, nella senescenza dei mitocondri o nella presenza in questi ultimi di creste gonfie o nella perdita dell’integrità di membrana (Kouchi e Kumazawa, 1976).
Il B è anche indispensabile per la sintesi di uracile, un precursore della famiglia delle uridina-difosfato-glucosio (UDPG), essenziale per la produzione di saccarosio, che ha un ruolo importante per la traslocazione dei carboidrati.
L’inibizione della sintesi di saccarosio può perciò forse ridurre la traslocazione di tali composti (Van de Venter e Currier, 1977).
2.5 - Carenza di B
Tra tutti i micronutrienti il B è quello la cui carenza è maggiormente diffusa nel mondo e colpisce molte colture (Gupta, 1993a; Blevins e Lukaszewski, 1998), incidendo in maniera più significativa durante la fase riproduttiva piuttosto che in quella vegetativa (Sommer e Lipman, 1926).
I sintomi legati alla deficienza di B sono essenzialmente dovuti al suo ruolo strutturale nella crescita della parete cellulare (Matoh et al., 1992; Hu e Brown, 1994; Findeklee e Goldbach, 1996; Ishii e Matsunaga, 1996; Kobayashi et al., 1996; O’Neill et al., 1996) e alla sua limitata mobilità (Brown e Shelp, 1997;
Hu et al., 1997).
Nella fase vegetativa la carenza provoca inibizione della crescita e dello sviluppo dei fasci vascolari, morte dei meristemi e riduzione della fotosintesi (Goldbach, 1997; Brown et al., 2002). Durante la fase riproduttiva la pianta subisce, invece, inibizione dello sviluppo fiorale, riduzione dei frutti e dei semi, sterilità maschile, danni durante l’embriogenesi, aborto di semi o formazione di embrioni danneggiati e frutti malformati (Dell e Huang, 1997).
Sintomi anatomici ben visibili sono quindi: l’inibizione della crescita apicale, la necrosi delle gemme terminali, la rottura di steli e piccioli, l’aborto dei primordi fiorali e la caduta dei frutti (Goldbach, 1997).
A livello fisiologico e biochimico la mancanza di B è in grado di indurre cambiamenti quali l’alterazione della struttura e della elasticità della parete
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cellulare, dell’integrità e della funzionalità di membrana, cambiamenti nelle attività di enzimi come la PAL (fenilalanina ammonio liasi), la PPO (polifenolossidasi) e la POD (perossidasi) e cambiamenti in molti metaboliti come per esempio i fenoli, l’ascorbato e il glutatione (Goldbach, 1997).
L’aumento nella produzione di fenoli riscontrata in queste condizioni è stata correlata allo stress ossidativo sia da Shkol’nik et al. nel 1981 che da Cakmak e Römheld nel 1997.
I complessi tra il B e alcuni zuccheri e fenoli spostano gli equilibri biochimici portando a una maggiore sintesi di fenoli (Dugger, 1983). Questo accumulo può attivare enzimi che usano i fenoli come substrato, quali la PPO, che ossidandoli porta alla produzione di chinoni, composti altamente tossici e responsabili della produzione di ROS (Reactive Oxigen Species). La polimerizzazzione dei chinoni produce pigmenti marroni che spiegherebbero l’imbrunimento dei tessuti fogliari a seguito di carenza di B (Cakmak e Römheld, 1997). Inoltre, durante questo stress si ha una riduzione di acido ascorbico (diminuisce la biosintesi e aumenta il suo consumo, ovvero la sua ossidazione) e di composti SH-non proteici (tioli), soprattutto glutatione.
Questi composti sono capaci di bloccare sia l’ossidazione dei fenoli a chinoni sia la polimerizzazione di questi in pigmenti, per cui la loro diminuzione si riflette sullo stress ossidativo. Inoltre la diminuzione di acido ascorbico influisce negativamente anche sull’attività delle nitrogenasi nei legumi (Dalton et al., 1986).
Il B gioca un ruolo importante sia strutturalmente che funzionalmente per l’integrità delle membrane e soprattutto per il plasmalemma. Per questa ragione la deficienza di B si associa a una rapida e sostanziale alterazione nel flusso ionico, così che per esempio si ha una diminuzione nell’assorbimento di fosfati. Interferendo pure sull’assunzione di potassio (K+) si ha anche una ripercussione sull’apertura stomatica come osservato da Roth-Bejerano e Itai (1981) in Commellina communis.
Inoltre il B incide sulla estrusione di H+ e quindi sulla creazione di un gradiente di potenziale elettrico transmembrana, anche grazie alla sua capacità di catturare elettroni (e-) dai componenti della membrana, influendo così più o meno direttamente sulle pompe ATPasiche presenti sulle membrane stesse.
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La carenza di B diminuisce la formazione di O2 e l’assimilazione di CO2
durante la fotosintesi, dovuta anche a una diminuzione nella conduttanza stomatica. La B-carenza influisce su questo processo in maniera indiretta anche tramite la riduzione dell’area fotosintetizzante e l’alterazione dei costituenti fogliari (Dell e Huang, 1997) e inoltre diminuisce il contenuto di clorofille e proteine solubili che interferiscono sull’attività della reazione di Hill e sulla fotosintesi netta (Sharma e Ramchandra, 1990).
Si ha poi una diminuzione di traslocazione di saccarosio dalle foglie (sources) alle zone di riserva (sinks) dovuta a una mancanza di attività di queste ultime nei vari apici (Marschner, 1995).
Un’alta intensità luminosa aumenta la sensibilità della pianta alla carenza di B, probabilmente perchè in queste condizioni si ha un aumento del tasso di crescita e quindi una maggiore richiesta di B (Cakmak e Röhmeld, 1997);
inoltre, aumentando l’intensità luminosa si incrementa la biosintesi dei fenoli e dei carboidrati nella parete cellulare, portando ad un’immobilizzazione del B.
Per di più anche le specie reattive dell’O2 (ROS) possono aumentare durante l’esposizione a intensità luminose elevate.
Dell e Huang, ancora nel 1997, hanno studiato le risposte delle piante alla B- carenza con riguardo alle due diverse fasi, vegetativa e riproduttiva, del ciclo vitale dei vegetali. Nelle piante superiori la risposta più rapida all’insufficienza di B è l’inibizione e la cessazione dell’allungamento radicale sia nelle radici principali sia in quelle secondarie: il B svolge un ruolo primario nell’allungamento e uno secondario nella divisione cellulare.
L’incapacità di espandersi delle cellule in accrescimento è causata dalla malformazione della struttura della parete cellulare e dalla perdita di elasticità.
Lewis (1980) propose che il B svolgesse un ruolo sostanziale nella biosintesi della lignina e nella differenziazione dello xilema, ma per quanto riguarda la differenziazione dei tessuti vascolari si hanno risultati contrastanti.
La crescita fogliare è limitata dalla carenza di B sia per quanto riguarda l’espansione che l’allungamento, così che si hanno foglie piccole e di color verde scuro; se lo stress persiste i sintomi diventano più severi: le foglie si presentano deformate, con un’espansione della lamina diseguale e curvatura verso il basso, diventano porpora e, a seguire, necrotiche fino ad una senescenza precoce.
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Infine la crescita radicale è più sensibile di quella dei germogli così che risulta in una diversa ripartizione degli assimilati e in una maggiore suscettibilità ad altre condizioni ambientali avverse.
Come si è già detto più volte, la fase più sensibile alla carenza di B è quella riproduttiva anche perchè:
- la fioritura è un processo delicato che in generale è più sensibile agli stress esterni,
- lo sviluppo fiorale avviene spesso in un lasso di tempo molto breve per cui la pianta non ha il tempo di adattarsi a un eventuale stress,
- alcune strutture riproduttive non entrano direttamente in contatto con il sistema vascolare.
Le specie che presentano un’infiorescenza compatta all’apice del fusto subiscono un maggiore impatto nella riproduzione a seguito di un basso apporto di B perchè hanno minori capacità di modulare la riproduzione rispetto alle piante con infiorescenze ascellari e crescita indeterminata.
Uno scarso apporto di B può anche danneggiare le funzioni del tappeto dell’antera, mettendo a rischio la maturazione del polline, attraverso due vie:
l’apporto di carboidrati e il metabolismo fenolico.
Lo sviluppo degli ovuli è meno compromesso rispetto alla gametogenesi maschile in carenza di B, soprattutto nei cereali (Rerkasem e Loneragan, 1994).
Anche lo sviluppo dei semi e dei frutti è influenzato dalla deficienza di B, ma in maniera contrastante tra le diverse specie. Inoltre anche quando i semi prodotti non sembrano avere alcuna anomalia possono presentare alterazioni fisiologiche.
Recentemente è stato anche visto, su colture cellulari di rosa (Dordas e Brown, 2005), che la carenza di B causa la morte cellulare (anche se non si sa ancora in che modo) e questa risulta in una perdita attraverso la membrana di fenoli, ioni e zuccheri. Tale perdita di vitalità da parte delle cellule avviene rapidamente e fa supporre che la deficienza di B causi necrosi e apoptosi, tipica risposta indotta dallo stress ossidativo in piante ipersensibili a seguito di un attacco patogeno (Buchanan et al., 2002).
Fleischer et al. nel 1998 proposero, come spiegazione per la necrosi, che le cellule sottoposte a B-carenza continuino ad espandersi fino a che la morte non sopraggiunge a seguito della rottura della parete.
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Come già riportato da Shkol’nik et al. nel 1981 e più tardi da Cakmak e Römheld (1997), questi studi hanno evidenziato che lo stress ossidativo è probabilmente solo un effetto secondario della carenza di B. Infatti, Dordas e Brown osservarono che nelle cellule sottoposte alla carenza di B non c’erano cambiamenti sostanziali nel contenuto di H2O2 se non un leggero aumento al terzo giorno. Questo fa pensare che il B potrebbe interagire con alcuni enzimi a livello della parete cellulare e soprattutto con le perossidasi in quanto questa famiglia di enzimi è composta da glicoproteine, composti che facilmente possono legare il B determinando così una variazione nell’attività dell’enzima stesso (Brown et al., 2002).
Il leggero aumento di H2O2 può essere dovuto all’incremento della lisciviazione di fenoli, come proposto in precedenza da Shkol’nik et al. (1981) e da Cakmak et al. (1995), o può essere una conseguenza della diminuzione di ascorbato e glutatione (Lukaszewski e Blevins, 1996; Blevins e Lukaszewski, 1998). Questa diminuzione è dovuta sicuramente all’inibizione di ascorbato perossidasi (APX) e glutatione riduttasi (GR) (Lukaszewski e Blevins, 1996;
Cakmak e Römheld 1997; Liu et al., 2001) ma come e a quale livello il B agisca nel ciclo di rigenerazione ascorbato/glutatione non è ancora stato scoperto.
Il significativo incremento di fenoli potrebbe essere spiegato come un effetto secondario in seguito alla distruzione del metabolismo del carbonio (C), legato al ruolo strutturale del B nella parete.
L’aspetto più macroscopico è che in carenza di B si ha anche un’inibizione dell’aumento di biomassa.
Dordas e Brown (2005) conclusero perciò che l’aumento dei fenoli e la diminuzione di ascorbato e glutatione sono probabilmente effetti secondari e terziari come conseguenza della morte cellulare.
2.6
-
Eccesso di BLe piante presentano un’ampia gamma di risposte verso l’eccesso di B, a seconda della specie e della cultivar.
In relazione alle risposte all’eccesso di B le specie si possono dividere in sensibili, tolleranti e resistenti, con le relative categorie intermedie (Tab. 3).
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Le piante sensibili sono quelle che mostrano chiari sintomi in relazione alla presenza di B; le tolleranti non presentano sintomi significativi ma non esplicano a pieno le loro potenzialità. Le piante resistenti sono, invece, quelle piante che non hanno problemi anche in presenza di concentrazioni di B relativamente alte.
Tab. 3 - Specie sensibili, semi-tolleranti e tolleranti all’eccesso di B.
2.6.1 - Sintomi di tossicità
Al contrario della carenza, l’eccesso di questo elemento si verifica raramente e, per cause naturali, solo in poche aree. Comunque esso provoca uno stress che può limitare in modo significativo la crescita e la produzione delle piante (Papadakis et al., 2004), soprattutto nelle regioni aride e semi-aride.
Inoltre è importante ricordare che i livelli tossici di B sono solo di poco superiori ai livelli minimi, al di sotto dei quali si sfocia nella carenza.
I sintomi visibili più comuni di tossicità sono una riduzione nel vigore vegetativo accompagnato da un ritardo nello sviluppo, la comparsa di aree clorotiche e poi necrotiche, diminuzioni nel numero, nella dimensione e nel peso dei frutti (Paull et al., 1992; Nable et al., 1997).
I sintomi possono essere diversi a seconda che si tratti di specie in cui il B è o meno floema-mobile. Nelle specie in cui il B è pressoché immobile le aree necrotiche appaiono soprattutto nelle foglie più vecchie, ai margini e/o all’apice dove appunto l’elemento tende ad accumularsi (Oertli e Roth, 1969;
Specie sensibili Semi-tolleranti tolleranti
Avocado (Persea americana) x
Mela (Malus domestica) x
Fagiolo (Phaseulus vulgaris) x
Arancia (Citrus sinensis) x
Cotone (Gossypium spp) x
Barbabietola da zucchero (Beta vulgaris
var. saccharifera) x X
Avena (Avena sativa) x
Mais (Zea mays) x
Patata (Solanum tuberosum) x
Carota (Dacaus carota) X
Erba medica (Medicago sativa) X
Pomodoro (S. Lycopersicon) X
Orzo (Hordeum vulgaris) X
Grano (Triticum spp) X
Prunus X
Atriplex X
Astragalus X
Brassica juncea X
Festuca arundinacea X
Girasole (Heliantus annuus) X
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Nable et al., 1997) portando a un’inibizione della crescita radicale (Keles et al., 2004).
Nelle specie “floema-mobili” i sintomi si hanno sugli apici dei germogli, come il seccume apicale (Brown e Shelp, 1997), sui frutti che presentano noccioli gommosi e necrosi interne, oltre ad avere necrosi della corteccia che sembrano dovute alla morte del tessuto cambiale (Brown e Hu, 1996); inoltre in queste specie lo sviluppo radicale non mostra variazioni.
In alcune specie un sintomo tipico è anche la rottura trasversale delle foglie dovuta probabilmente all’inibizione dell’espansione della parete cellulare (Loomis e Durst, 1992).
È stato visto che questi sintomi a volte sono esacerbati in presenza di altri stress ambientali, quali ad esempio la presenza di salinità, la carenza idrica, alte intensità luminose e alte temperature, anche perchè questi fattori insieme all’effetto tossico di vari elementi, tra cui il B, portano alla formazione di più elevate concentrazioni di ROS (Mittler, 2002; Keles et al., 2004).
Per quanto l’eccesso di B abbia una notevole importanza a livello agronomico non è stato ancora studiato in modo completo ed esauriente, anche se negli ultimi decenni sono iniziate delle ricerche su diverse specie vegetali, volte a investigare vari aspetti di questo stress.
Come già accennato sopra, uno dei sintomi maggiormente riscontrato è la perdita di biomassa. La riduzione della crescita potrebbe essere legata a un disturbo del metabolismo citoplasmatico – il B in eccesso sembra riversarsi nel citoplasma a seguito del suo accumulo nella parete cellulare (Matoh, 1997) - o a una minore efficienza del processo fotosintetico. Questa può derivare da una diminuzione nel tasso fotosintetico (Lovatt e Bates, 1984), da un aumento della resistenza stomatica con conseguente minor assunzione di CO2 (Papadakis et al., 2003; Gunes et al., 2006), oppure da una diminuzione nel contenuto di clorofilla, soprattutto del tipo b (Cakmak e Römheld, 1997); se il B è associato a stress salino sembra esserci un’interferenza nella biosintesi dei pigmenti (Karabal et al., 2003; Sairam et al., 2005).
Il ridotto sviluppo può poi facilmente portare a una produzione minore e a volte di minor pregio (Alpaslan e Gunes, 2001; Gunes et al., 2007; Bragg et al., 2008).
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Sintomi più “nascosti” sono invece le variazioni nelle concentrazioni e nelle attività dei vari composti cellulari; tali variazioni non hanno un andamento univoco, anzi spesso sono opposte a seconda della specie esaminata.
Dato che la tossicità di vari elementi, soprattutto se associata a fattori ambientali avversi, porta alla formazione delle ROS è stata studiata la relazione tra B e composti antiossidanti sia enzimatici che non.
Per quanto riguarda gli antiossidanti non enzimatici è stato riportato che l’AsA raddoppia in foglie di Cytrus sinensis mentre i carotenoidi (in particolare β- carotene e xantofille) rimangono invariati (Keles et al., 2004); i fenoli aumentano (Ruiz et al., 1997; Keles et al., 2004) e l’α-tocoferolo diminuisce (Cakmak e Römheld, 1997; Keles et al., 2004).
Anche l’attività degli enzimi antiossidanti presenta dei “contrasti”. Per esempio, l’attività delle CAT aumenta in foglie di vite (Gunes et al., 2006) e in piantine di patata (Rahnama e Ebrahimzadeh, 2005), ma diminuisce in foglie di Cytrus (Keles et al., 2004) e di melo innestato su EM9 (Molassiotis et al., 2006).
L’attività delle SOD è scarsamente influenzata in Cytrus (Keles et al., 2004) mentre aumenta in patata, vite e melo (Rahnama e Ebrahimzadeh, 2005; Gunes et al., 2006; Molassiotis et al., 2006).
Interessanti sono i risultati riportati per la prolina libera che risulta diminuire a seguito di apporti eccessivi di B (Keles et al., 2004; Gunes et al., 2006) o al limite rimanere invariata (Molassiotis et al., 2006); se ciò è associato all’aumento della concentrazione di H2O2 (Gunes et al., 2006; Molassiotis et al., 2006) dimostra che la tossicità del B non è accompagnata da uno stress osmotico, ma allo stesso tempo il suo decremento può essere in parte indirettamente responsabile della perossidazione della membrana (Gunes et al., 2006). Infatti la prolina è capace di detossificare le ROS, tramite la formazione di complessi stabili e perciò inibisce il processo di perossidazione (Xiong e Zhu, 2002).
Ciò però contrasta con i risultati ottenuti da Karabal et al. nel 2003: il contenuto di H2O2 in cvs di orzo diminuiva per cui i danni alla membrana rilevati non erano causati dalle ROS. Gli enzimi antiossidanti non svolgono quindi nessun ruolo nei meccanismi di tolleranza all’eccesso di B per quanto riguarda questa specie.
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Quindi, nonostante variazioni nella permeabilità di membrana siano stati riscontrate in varie specie vegetali a seguito di apporti eccessivi di B, la spiegazione di tale fenomeno non è univoca. Addirittura per la lattuga (Eraslan et al., 2007) l’eccesso di B sembra non interferire significativamente sulla permeabilità di membrana e se, associato a uno stress salino, sembra proteggere parzialmente le membrane probabilmente grazie al suo ruolo nella loro struttura (Marschner, 1997).
Nelle foglie di melo è stata anche rilevata l’espressione di un’isoforma di RNAasi (Molassiotis et al., 2006); l’induzione di questa isoforma può far parte di un processo programmato di disintegrazione cellulare in quanto l’aumento dell’attività RNAasica è una caratteristica peculiare sia della senescenza che della morte cellulare programmata (Booker, 2004). Lo stress ossidativo può anche funzionare da segnale per la produzione di RNAasi e DNAasi (LeBrasseur et al., 2002), che a turno, selettivamente, degradano i prodotti di RNA e DNA danneggiati dallo stress ossidativo (Cadenas e Davies, 2000).
Non è neppure da escludere l’ipotesi che il B agisca direttamente sull’attività nucleotidica legandosi al ribosio dell’RNA (Molassiotis et al., 2006)
L’eccesso di B è spesso studiato in relazione alla salinità, in quanto è frequente in natura trovarli associati.
È stato dimostrato che la salinità insieme al B influisce sulle funzioni della membrana, sulla fotosintesi aumentando la resistenza stomatica, quindi diminuendo l’assunzione di CO2 e disturbando la biosintesi dei pigmenti fotosintetici (Karabal et al., 2003; Sairam et al., 2005), oltre a limitare la crescita, la quantità e la qualità del raccolto di grano (Grieve e Poss, 2000), di pomodoro (Alpaslan e Gunes, 2001; Gunes et al., 2007), di cetriolo (Alpaslan e Gunes, 2001) e di spinacio (Gunes et al., 2007).
É stato anche osservato che la salinità, in certi casi, può ridurre la severità dei danni da eccesso di B, diminuendone l’accumulo in germogli e fusti in portainnesti di Prunus, nel sorgo e in foglie di lattuga (El-Motaium et al., 1994; Ismail, 2004; Eraslan et al., 2007).
2.6.2 - Tolleranza
La tolleranza all’eccesso di B può essere diversa in relazione alle diverse specie ma anche tra gli individui di una stessa specie. Se una data popolazione,
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per esempio, si trova a vivere in una regione dove è presente questa condizione probabilmente subirà una pressione selettiva che potrà mettere in risalto le sue capacità di tolleranza, rispetto a una popolazione delle stessa specie che vive in un ambiente non stressato.
A livello genetico la tolleranza sembra controllata da geni parzialmente dominanti, indipendenti ma con effetto additivo, almeno per quanto riguarda il grano tenero (Paull et al., 1991a), il grano duro (Jamjod, 1996), l’orzo (Jenkin, 1993) e il pisello (Bagherri et al., 1996).
Dal punto di vista fisiologico la tolleranza sembra che possa agire a due diversi livelli: a livello radicale con l’esclusione o nella parte aerea con meccanismi interni.
Solitamente il contenuto di B in foglie e germogli non è strettamente correlato alla tolleranza, ma esistono alcune specie in cui i genotipi suscettibili mostrano concentrazioni più alte rispetto ai genotipi tolleranti come, per esempio, grano e orzo (Nable, 1988), pisello e erba medica (Paull et al., 1992a).
Genotipi diversi sono capaci di accumulare passivamente il B in modi diversi;
questa differenza sembra essere costitutiva e non indotta dall’eccesso dell’elemento.
Meccanismi interni di tolleranza possono essere dovuti a una diversa distribuzione: dato che la maggior parte delle specie floema-mobili sono sensibili alla B tossicità, l’immobilità floematica può essere vista come un meccanismo di tolleranza interna. Inoltre la pianta può regolare l’accumulo di B tramite vari modi:
1. secrezione di composti chelanti il B nella rizosfera, forse associati alla mucillagine,
2. inattivazione all’interno delle pareti cellulari o nel citoplasma delle cellule radicali,
3. variazioni nella capacità delle molecole di ripartirsi nel doppio strato lipidico,
4. differenze nel tasso traspiratorio e nel trasporto nello xilema (Nable et al., 1997)
Studi precedenti avevano ipotizzato che, probabilmente, il principale meccanismo di tolleranza all’eccesso di B è, in colture di grano e orzo, l’esclusione dell’elemento da parte delle radici e la sua ridotta traslocazione
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(Mahboobi et al., 2001; Mahboobi et al., 2002). Karabal et al. nel 2003 studiarono la differenza nella risposta alla tossicità del B degli antiossidanti in cvs tollerante (Anadolu) e sensibile (Hamidiye) di orzo. I risultati di queste ricerche sembrano indicare che, come nel caso contrario di B-carenza, la tossicità causi danni alla membrana non dovuti, però, alla presenza dei radicali liberi dell’O2, e che apparentemente gli enzimi antiossidanti non svolga alcuna funzione nel meccanismo di tolleranza a questo stress. L’attività dei vari enzimi (CAT, SOD, APX), infatti, rimane pressoché invariata anche in caso di eccesso di B sia nella cv. tollerante che in quella sensibile.
Da questi risultati, come già ipotizzato in precedenza, si può dedurre che un possibile meccanismo di tolleranza può essere quello dell’esclusione dell’elemento, meccanismo svolto dalla membrana che, per attuarlo, deve essere integra e funzionale.
Sempre in relazione alla resistenza all’eccesso di B è stato osservato (Ruiz et al., 2003) in girasole che alte concentrazioni di questo elemento (500 µM) non influenzano minimamente gli enzimi responsabili della formazione della cisteina (Cys) (SAT, serina acetil-transferasi e OAS-TL, o- acetilserina(tiol)liasi), ma inibiscono la conversione di questa in GSH, probabilmente inibendo l’attività di γ-ECS (γ-glutamil-cisteina sintetasi). Allo stesso tempo questo elemento è essenziale per la sintesi del GSH, forma ridotta del glutatione, infatti l’applicazione di B nel range ottimale per il girasole (50-100 µM H3BO3) ne stimolava la sintesi (Ruiz et al., 2003).
Confrontando questi due risultati si può dedurre un ruolo diretto del B su tale metabolismo.
L’aumento di ROS, soprattutto H2O2,e la diminuzione di GSH a seguito di apporti eccessivi di B danno luogo a chiari sintomi di fitotossicità, rendendo palese il ruolo essenziale che svolge il GSH nella resistenza alla tossicità del B, considerando anche il fatto che applicazioni esterne di GSH riducono significativamente tali sintomi.