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Capitolo 1: Velimir Chlebnikov (1885/1922)

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Academic year: 2021

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Capitolo 1: Velimir Chlebnikov (1885/1922)

Nato ad Astrachan’ il 28 ottobre 1885 secondo alcuni studiosi (cfr. Cooke 1987, Ripellino 1968), nato il 10 ottobre 1885 nel villaggio di Tundutovo (nella regione di Astrachan’) secondo altri (cfr. Markov 1962), Viktor Vladimirovič Chlebnikov è il figlio di un insegnante appassionato di scienze naturali, che trasmette ai figli un forte amore per la natura e la passione per l’ornitologia. Nel 1891 la famiglia si trasferisce in Volinia, poi nel 1897 si trasferisce a Simbirsk e si stabilisce poi definitivamente ad Astrachan’. Nel 1898 il giovane Viktor comincia i suoi studi ginnasiali nella città di Kazan’. Si iscrive poi (nel 1903) alla facoltà di matematica, dove si appassiona alle dottrine del matematico Nikolaj Ivanovič Lobačevskij. Nello stesso anno prende parte a una spedizione geologica in Daghestan e in seguito partecipa con il fratello Aleksandr ad alcune spedizioni negli Urali: insieme ai viaggi effettuati dalla sua famiglia in giovane età, tutto questo avrà una profonda influenza sul suo modo di rapportarsi con la natura e in particolare con la zona del Caucaso. Iniziano però anche alcuni problemi con le autorità: a dicembre viene arrestato per aver preso parte a una manifestazione studentesca (cfr. Cooke 1987, pag. 5). Inizia anche a scrivere i suoi primi racconti, che decide di sottoporre all’attenzione di Maksim Gorkij. Il giudizio di questi non sarà positivo (cfr.ibidem)

Nel 1908 si trasferisce a San Pietroburgo, dove lascia gli studi di matematica per dedicarsi prima alla biologia, poi allo studio del sanscrito e poi infine alla slavistica. Conosce il filosofo Vjačeslav Ivanovič Ivanov, cui sarà legato per tutta la vita da un profondo rapporto di amicizia. Ivanov, inoltre, ribattezza Chlebnikov con il nome più “slavo” di Velimir (cfr Vitale 1979, pag. XX). All’arrivo a San Pietroburgo non fa troppo mistero delle

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sue idee panslaviste: pubblica in forma anonima un pamphlet piuttosto feroce sulla rivista “Večer”, in cui critica aspramente il non intervento della Russia nell’annessione della Bosnia-Erzegovina da parte dell’Austria. Pubblica inoltre alcuni testi sulla rivista “Vesna”, il cui direttore era al tempo Vasilij Vasilevič Kamenskij, futuro sodale futurista di Chlebnikov. Profondamente colpito dai suoi versi, Kamenskij presenta il giovane Chlebnikov a due sue cari amici, Nikolaj Matjušin e sua moglie Elena Guro (cfr.ibidem).

Fondamentale per la sua produzione poetica (e anche per la storia della poesia russa) è la collaborazione di Chlebnikov alla miscellanea “Lo studio degli impressionisti” (Studija Impressionistov), pubblicata nel marzo 1910 grazie al mecenate e artista Nikolaj Kulbin. La poesia pubblicata è Esorcismo col riso (Zakljatie smechom) in cui Chlebnikov porta agli estremi la possibilità della lingua russa di modificare con suffissi e prefissi i morfemi e i lessemi, inventando un nuovo linguaggio poetico. Lo stesso anno partecipa alla raccolta “Il vivaio dei giudici” (Sadok Sudej) e passa l’estate dai fratelli Burljuk a Černjanka, vicino a Cherson, dove in seguito fa anche la conoscenza di Benedikt Livšic. Inizia a formarsi così il gruppo “Gileja” (antico nome della zona), che si distingue per il forte primitivismo, il desiderio di un ritorno alle origini della cultura russa e per un amore incondizionato verso la natura e la semplicità. Definitesi in seguito “Cubofuturisti”, saranno profondamente influenzati anche dalla scomposizione cubista della realtà, che tenteranno di applicare sia alle opere pittoriche che alle opere poetiche. Il gruppo, formatosi ufficialmente nel 1911, avrà tra le sue file Vladimir Majakovskij e Aleksej Kručёnych: quest’ultimo diventa uno dei più stretti collaboratori di Chlebnikov e scrive assieme a lui alcune opere poetiche e saggi, tra cui Gioco all’inferno (Igra v adu) e La parola in quanto tale (Slovo kak takovoe) nel quale definisce con precisione la sua stilistica e la sua poetica. Nel 1912 il gruppo pubblica

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“Schiaffo al gusto corrente” (Poščečina obščestvennomu vkusu), a cui partecipa anche Vasilij Kandiskij. La raccolta divenne il manifesto di tutto il gruppo ed ebbe vasta risonanza sia per i toni polemici e aspri contro la tradizione poetica precedente («Gettare Puškin, Dostoevskij, Tolstoj ecc. ecc. dal vapore della Modernità», in ivi, pag. 26), sia per la volontà di ridare alla lingua russa una nuova dignità e identità.

Dopo essere stato espulso dall’università per non aver pagato la retta, Chlebnikov inizia a collaborare sempre più assiduamente con i compagni cubofuturisti, anche se la sua poetica sarà sempre autonoma e indipendente rispetto a quella del gruppo. Profondamente affascinato, fin dalla sua infanzia, dalle rovine scite e dal folklore slavo, Chlebnikov si sentì però subito a suo agio nel gruppo: tramite lo studio dei lubok, dei giocattoli e delle tradizioni orali russe, la ricerca del gruppo si orientava verso un’esaltazione di un passato mitico in cui l’uomo e la natura erano una cosa sola, in perfetta armonia l’uno con l’altro. Inizia anche a collaborare con il giornale slavofilo “Slavjanin”. Non partecipa nel 1913, al tour futurista di Majakovskij, David Burljuk e Kamenskij: a causa della timidezza e della riservatezza che lo contraddistingueranno sempre, preferisce tornare ad Astrachan’. Partecipa, anche se indirettamente, alla messa in scena al Luna Park di San Pietroburgo dell’opera La Vittoria sul sole (Pobeda nad solcem) di Kručёnych, scrivendone il prologo. Primo avvicinamento di Chlebnikov al mondo teatrale, nel testo insiste con forza sulla liberazione della parola dalle catene dell’abitudine e fornisce alcuni esempi di neologismi basati sulla grammatica russa per sostituire parole straniere. Dopo alcuni screzi con quelli che si autodefinivano suoi allievi (Chlebnikov riteneva che copiassero i suoi versi), il poeta si distaccò definitivamente dal gruppo nel 1914, dopo la visita di Filippo Tommaso Marinetti in Russia. Profondamente turbato dalla accondiscendenza con cui i colleghi avevano accolto il poeta italiano, che lui riteneva essere un invasore occidentale e un

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artista mediocre (cfr Markov 1968, pag. 147), Chlebnikov si allontana da loro, dirigendosi Astrachan’, per tornare a Mosca solo nel 1915.

L’anno dopo un evento turba la sensibile psiche del poeta: viene arruolato come riserva in un gruppo di fanteria prima a Volgograd e poi a Saratov. Viene poi congedato per cinque mesi a causa delle sue condizioni psichiche instabili. Per il suo pacifismo e la sua discrezione, la partecipazione (seppur esigua) alla guerra lascia un segno indelebile nella mente di Chlebnikov, che insiste poi con ancora più forza nella sua opera poetica sulla necessità della pace come mezzo per terminare i conflitti. Nel 1917 si stabilisce a Pietrogrado (assistendo alla Rivoluzione d’Ottobre), per poi iniziare una lunga serie di viaggi, testimonianza di un animo profondamente inquieto: visita tutta la Russia e non solo. Dopo aver vissuto a Mosca e Nižnij Novgorod, nel 1918 si stabilisce nuovamente ad Astrachan’, dove inizia a lavorare per la rivista bolscevica “Krasnij Voin”. L’anno dopo inizia a lavorare per la sezione politica dell’Armata Rossa, ma anche questo impiego non dura a lungo. Si trasferisce, dopo aver soggiornato di nuovo a Mosca, a Charkov, poi conquistata dall’Armata Bianca, comandata dal generale Anton Ivanovič Denikin.

Sottoposto ad alcuni test psicologici per verificare se fosse un adeguato “volontario” per l’esercito dei Bianchi, viene esonerato quasi immediatamente, sia per problemi fisici (di salute cagionevole, contrae in quei mesi il tifo), sia per motivi psicologici (lo psicologo che si occupò del suo caso preferì tenere lontano dalla battaglia un animo, a suo parere, delicato e profondamente diverso da quello dei soldati, cfr Vroon 1983, pp. 3-4). Visita comunque il Caucaso, da sempre per lui fonte d’ispirazione. Dopo un altro anno di pellegrinaggio per la Russia, Chlebnikov parte nel 1921 alla volta dell’Iran, dove passa quattro mesi, come accompagnatore dell’Armata Rossa. I quattro mesi passati a contatto con la natura persiana saranno fonte d’ispirazione per le ultime opere del poeta. Visita poi Baku,

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Železnovodsk e Pjatigorsk, dove viene assunto alla ROSTA. Lasciato anche questo lavoro, torna a Mosca, nel tentativo di far pubblicare alcuni suoi versi (senza però riuscirci). Su invito dell’amico Pёtr Vasil’evič Miturič (pittore e marito della sorella del poeta), parte alla volta del villaggio di Santalovo, dove in seguito a una forte malattia (o colera o malaria) e alle sue pessime condizioni fisiche perde l’uso delle gambe. Velimir Chlebnikov muore, assistito dall’amico Miturič, il 28 giugno 1922.

Alla costante ricerca di nuovi metodi espressivi, Velimir Chlebnikov affronta, nella sua ricerca poetica, anche temi apparentemente in contrasto tra loro. Nonostante la sua volontà di tornare alle origini e alle basi della cultura popolare russa, definirà se stesso budetljanin, neologismo traducibile come “futuriano”, fatto che non sarà in contraddizione con la sua idealizzazione e costruzione di un mondo silvano e selvatico: «Negli scritti di Chlebnikov l’avvenire e il passato coincidono. […] Assumendo una dimensione aoristica, il futuro diventa esperienza anteriore. Quel che sarà è già stato. […] Ciò che più conta […] è ritrovare nell’avvenire l’incolumità dei primordi, una silvestre innocenza. »(da Ripellino 1968, pag. XLII).

Questa appassionata ricerca di un utopico, futuro mondo silvestre non limita le innovazioni e la sua curiosità verbale. Nella poesia Esorcismo col riso il poeta userà solo la parola smech (riso), di volta in volta ampliata di significato tramite suffissi e prefissi. Il risultato è una raffinata logopoiesi (slovotvorčestvo, da Vitale 1979, pag. XXXIV), una esemplificazione delle molteplici possibilità concesse alla grammatica russa per la formazione di nuove parole che evidenzino in modo palese il proprio significato originario e la propria costruzione. Gli studi grammaticali, filologici e semantici di Chlebnikov raggiungeranno l’apice nella creazione della lingua zaum’, la lingua transmentale, ossia un linguaggio che oltrepassa le barriere razionali

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della mente per riuscire a parlare direttamente all’istinto e al cuore della persona, del popolo che ascolta.

Chlebnikov based his conception of a universal language on the idea that the separate sounds which exist in language could be connected ‘naturally’ with units of thought. To the ‘alphabet’ of sounds corresponds the ‘alphabet of the mind (azbuka uma). The motivated connection between the sound and its meaning (which esiste in the earliest stages of the language) had been lost during the mankind […], but could be re-created. (Weststeijn 1983, pag. 23)

Se all’inizio l’utilizzo di questo linguaggio e la sua invenzione saranno strettamente legati anche al nome di Aleksej Kručёnych, con cui Chlebnikov pubblica nel 1913 la dichiarazione Slovo kak takovoe (La parola in quanto tale), ben presto le ricerche dei due poeti divergeranno: da una parte la nuova logica semiotica di Chlebnikov e dall’altra parte le frammentazioni sillabiche e consonantiche di Kručёnych.

Non imprese di demolizione sono gli esperimenti di Chlebnikov, non scoppi di nichilismi (come in Kručёnych), ma piuttosto ricupero (sic) e commistione di varie falde della conoscenza. Accostando in correlazioni abusive i termini più eterogenei e distanti, senza frontiere di spazio e di tempo, egli si industria di cogliere l’obliterata unità dei fenomeni, l’identità tra il passato e il futuro, l’ontologia libro-creazione. (Ripellino 1978, pag. 153)

Anche se all’apparenza possono sembrare prive di senso, le poesie di Chlebnikov e i suoi poemi sono in realtà costituiti da una logica diversa da quella usata quotidianamente. Non sono costruzioni illogiche, in quanto il modo preciso e usuale con cui osserviamo il mondo viene messo in discussione tramite una diversa rappresentazione del mondo, che segua una logica diversa attribuita dal poeta. Ricostruendo da capo la realtà che conosciamo, Chlebnikov crea un mondo nuovo, che sottostà a leggi fisiche

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e logiche diverse dal mondo precedente, senza però mai recidere totalmente il legame con esso.

Chlebnikov non scopre i piccoli difetti dei vecchi sistemi, ma, partendo da casuali spostamenti, scopre una nuova struttura. La nuova visione del mondo, quasi intima, quasi infantile (la “farfalla”, si è rivelata una nuova struttura delle parole e delle cose. Poiché essa è stata definita transmentale, ci si è sforzati di semplificare la sua teoria della lingua e ci si è accontentati di dire che Chlebnikov ha creato un “discorso sonoro privo di senso. È falso. Tutta l’essenza della sua teoria sta nell’aver spostato, in poesia, il centro di gravità delle questioni di sonorità alle questioni del significato. (Tynjanov 1928, cit. in Vitale 1979, pag. XL-XLI)

Questa mitopoiesi attraverso il linguaggio è alla base di tutte le opere del poeta.

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