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La chimica verde si basa su 12 principi sviluppati da Anastas e Warner [1] per valutare quanto è "green" una sostanza chimica, o una reazione o un processo.

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Introduzione

INTRODUZIONE

La “Green Chemistry” è un nuovo approccio tecnologico che applica principi innovativi nella progettazione di processi chimici industriali e che oggi costituisce uno strumento fondamentale per conseguire uno sviluppo industriale sostenibile, prevenendo e riducendo sostanzialmente l'inquinamento e l'impatto ambientale dell'industria. I criteri della “Green Chemistry” promuovono la progettazione, la fabbricazione e l'impiego di sostanze chimiche e processi che eliminano o riducono l'utilizzo o la generazione di sostanze nocive per l'ambiente o per la salute.

Solitamente i residui prodotti dalle industrie durante la fabbricazione di prodotti chimici vengono trattati con appositi sistemi, che hanno lo scopo di smaltire tali rifiuti e di eliminare l'impatto ambientale ad essi connesso, solo al termine dell'intero processo produttivo. L'avvento e la crescita dei requisiti normativi ambientali che regolamentano il trattamento dei rifiuti hanno fatto sì che i costi dei processi di smaltimento siano lievitati negli ultimi anni, rendendo così più costoso l'intero processo produttivo e soprattutto mettendo in crisi l'idea di raggiungere gli obiettivi richiesti dalle normative mediante azioni indirizzate esclusivamente alla parte finale dell'intero processo di produzione. La “Green Chemistry” si propone di fornire quegli strumenti che consentano di rispondere alle nuove esigenze ambientali in uno dei settori di maggior impatto, come quello dell'industria chimica.

La chimica verde si basa su 12 principi sviluppati da Anastas e Warner [1] per valutare quanto è "green" una sostanza chimica, o una reazione o un processo.

1. E' meglio prevenire la formazione di rifiuti che trattare o ripulire i rifiuti dopo che si sono formati.

2. I metodi di sintesi dovrebbero essere ideati per incorporare il più possibile nel prodotto finale tutti i materiali usati nel processo.

3. Se possibile, le metodologie di sintesi dovrebbero essere ideate per usare o generare sostanze poco o per nulla tossiche verso la salute umana e l' ambiente.

4. Dovrebbero essere ideati prodotti chimici che mantengano l' efficacia funzionale, riducendo la tossicità.

5. L'uso di sostanze ausiliarie (come solventi, agenti di separazione, etc.) dovrebbe essere reso non necessario se possibile e innocuo, se necessario.

6. I fabbisogni di energia dovrebbero essere valutati per il loro impatto ambientale ed economico e minimizzati. Le reazioni di sintesi dovrebbero essere condotte a temperatura e pressione ambiente.

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Introduzione

7. Una materia prima dovrebbe essere rinnovabile piuttosto che esauribile, quando ciò sia fattibile tecnicamente ed economicamente.

8. La formazione di derivati non necessari (blocking group, protezione/deprotezione, modifiche temporanee di processi fisico/chimici) dovrebbe essere evitata se possibile.

9. I reagenti catalitici sono superiori ai reagenti stechiometrici.

10. I prodotti chimici dovrebbero essere ideati in maniera tale che alla fine della loro funzione non persistano nell' ambiente e si degradino in prodotti innocui.

11. E' necessario sviluppare ulteriormente le tecnologie analitiche per permettere il monitoraggio in tempo reale durante i processi ed il controllo prima della formazione di sostanze pericolose.

12. Le sostanze usate in un processo chimico e la loro forma dovrebbero essere scelte in modo da minimizzare il potenziale per gli incidenti chimici (includendo emissioni, esplosioni ed incendi).

I “Green Polymers” prendono il nome proprio dal movimento della “Green Chemistry” e il loro scopo è quello di diminuire l’impatto delle plastiche nell’ambiente e di favorire lo sviluppo di materiali che, una volta terminata la loro funzione, degradino in prodotti innocui. E’ molto importante conoscere la differenza tra i vari polimeri che sono commercializzati come degradabili, biodegradabili e compostabili. È fondamentale che la terminologia sia: tecnicamente esatta in modo da evitare ambiguità e che le definizioni siano operative, cioè basate su misurazioni scientifiche, in modo da poter assegnare la plastica ad una categoria in base a considerazioni scientifiche, e non sulle basi delle dichiarazioni dei produttori.

Negli Stati Uniti l’ASTM (American Society for Testing and Materials) ha sviluppato definizioni sul comportamento a degradazione delle plastiche (ASTM, D 6002-96 [2], ASTM D 6400-99 [3]). Secondo la loro classificazione le plastiche degradabili sono quelle soggette a significativi cambiamenti nella sua struttura chimica sotto specifiche condizioni ambientali, come risulta dalla perdita di alcune proprietà che possono essere misurate tramite metodi di prova standard; le plastiche biodegradabili sono quelle in cui la scissione delle catene, che porta alla mineralizzazione, viene indotta da microbi, funghi ed alghe, per le quali sono richieste condizioni specifiche in termini di pH, umidità, ossigenazione e la presenza di alcuni metalli per assicurare la degradazione di tali polimeri. Le plastiche compostabili sono quelle che degradano tramite processi biologici durante il compostaggio rilasciando biossido di carbonio, acqua e composti inorganici ad una velocità paragonabile a quella di altri materiali compostabili e non lasciano residui visibili e tossici [3].

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Introduzione

L’idea alla base della realizzazione di polimeri compostabili prodotti da fonti rinnovabili ha origine dal ciclo della natura: nel mondo vengono generati più di 60 milioni di tonnellate di materiale organico tramite la fotosintesi, la maggior parte di queste viene convertita nei prodotti di partenza, biossido di carbonio e acqua dai microrganismi (Fig. I.1).

Fig. I.1 – Processo ciclico con cui si può ottenere un polimero biodegradabile a partire dalla fermentazione di prodotti agricoli [4].

Convenienza e sicurezza, basso costo e buone qualità estetiche sono i fattori più importanti per determinare una rapida crescita nell’uso delle materie plastiche nel settore dell’imballaggio. Recentemente, il 41% della produzione totale di plastica è usato nell’industria dell’imballaggio e di questo il 47% viene usato per il confezionamento di alimenti. Generalmente i materiali utilizzati sono le poliolefine (PE, PP, PS e PVC) che, prodotte principalmente a partire da combustibili fossili, consumate e scartate nell’ambiente, finiscono per costituire una fonte di rifiuti non degradabili. Questo comporta che circa il 40% dei rifiuti di imballaggio è praticamente eterno e la problematica di come smaltire questi rifiuti è diventata un problema ambientale di interesse globale.

Ci sono due metodi che possono essere utilizzati per mantenere l’ambiente libero dai rifiuti in plastica:

• Raccolta di rifiuti nelle discariche,

• Incenerimento e riciclaggio.

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Introduzione

Riguardo alle discariche bisogna considerare che a causa del notevole incremento dei consumi e della popolazione, siti per discariche soddisfacenti sono molto limitati.

Dall’altro lato seppellire la plastica nelle discariche è solo un modo per rimandare il problema alle generazione future.

Anche l’incenerimento di rifiuti plastici presenta molte problematiche in quanto produce sempre un gran quantità di biossido di carbonio, crea riscaldamento globale e spesso produce gas tossici che contribuiscono all’inquinamento. Dall’altro lato il riciclaggio in qualche maniera risolve il problema ma ha un peso notevole in termini economici ed energetici per la raccolta dei rifiuti, separazione secondo il tipo di materiale, lavaggio, asciugatura, grigliatura, e rilavorazione per ottenere un nuovo prodotto. Questo processo rende il materiale più costoso, inoltre la qualità della plastica riciclata è inferiore a quella del materiale vergine.

Sulla base di queste premesse si comprende l’interesse del mondo della ricerca e dell’industria verso un tempestivo sviluppo di polimeri verdi, la cui produzione non dovrebbe riguardare l’uso di componenti dannose o tossiche capaci di degradarsi in prodotti non dannosi per l’ambiente.

Una delle maggiori limitazioni all’utilizzo dei materiali biodegradabili consiste nella povertà delle proprietà meccaniche e nella limitata resistenza in ambienti umidi, gli studi di questi ultimi anni hanno avuto quindi come obiettivo fondamentale quello di tentare di migliorare le proprietà di questi materiali ecocompatibili tramite la formulazione di miscele o compositi usando cariche inorganiche o naturali. In particolare lo scopo di questa tesi è quello di studiare la tenacizzazione di una matrice polimerica, estremamente fragile, di PLA, prodotta a partire da amido di mais, tramite l’utilizzo di una gomma biodegradabile (Ecoflex), di origine poliolefinica. Per questo sono stati sottoposti a uno studio termo-meccanico e chimico-fisico vari campioni di materiale con diverse composizioni; il prodotto finale mantiene sempre caratteristiche di biodegradabilità e presenta delle proprietà migliori rispetto a quelle dei polimeri di partenza. I polimeri biodegradabili sono la prima classe di materiali nella storia dello sviluppo industriale ad essere stati creati per essere riciclati o eliminati, infatti in natura è molto più comune la decomposizione rispetto alla combustione come metodo per smaltire i rifiuti. Le plastiche verdi portano grandi speranze, ci si aspetta che svolgano la loro funzione come imballaggi, buste, o pellicole e poi, dopo un ragionevole lasso di tempo, scompaiano in prodotti di degradazione compatibili con l’ambiente.

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Introduzione

Sviluppi futuri

La produzione attuale di materiali biodegradabili si aggira intorno ai 3 milioni di tonnellate; la maggioranza degli impianti sono stati commissionati a partire dal 2000. La Nature Works con la produzione di 140 mila tonnellate ogni anno di PLA è il maggiore produttore mondiale di bioplastiche [5], altri produttori più piccoli vengono da paesi come Cina e Giappone. Seguendo le agevolazioni tecniche all’inizio degli anni ’90 e la successiva fase di crescita la produzione di biopolimeri ha raggiunto i livelli di una produzione in scala industriale come evidenziato in Fig.

I.2.

In un convegno svoltosi nell’Aprile 2004 a Firenze, l’European Bioplastics ha affermato che il futuro del mercato dei polimeri biodegradabili dipenderà sia dalle politiche di sviluppo che verranno attuate, sia dall’importanza che i consumatori daranno ai prodotti “ecocompatibili”. In tutto il mondo le aziende seguono con attenzione lo sviluppo di materiali prodotti da materie prime rinnovabili anziché fossili. Se finora le attività industriali si erano concentrate in prevalenza su Europa, Giappone e Stati Uniti, oggi troviamo numerose aziende attive nel settore anche in Australia, Brasile, Canada, Cina o Corea.

Fig. I.2 – Sviluppo della produzione globale di polimeri biodegradabili [6].

Recentemente nel settore dell’imballaggio (packaging), che come accennato in precedenza rappresenta il maggior settore di applicazione delle materie plastiche, è

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Introduzione

stata registrata una forte crescita di utilizzo delle bioplastiche. Il consumo europeo di bioplastiche è stimato tra le 40000 e 50000 tonnellate/annuali [7], cifra che supera notevolmente quelle passate e che è stata raggiunta nonostante l’assenza di operazioni di marketing, al di fuori di quelle specifiche avviate dai produttori stessi.

Nel frattempo in numerosi supermercati d’Europa hanno fatto la loro comparsa imballaggi biologici compostabili. Soprattutto in Francia, Germania, Italia e Paesi Bassi le catene commerciali principali sperimentano questi prodotti o li hanno già inseriti in alcuni segmenti della loro offerta. Una parte degli imballaggi viene sfruttata per derrate fresche come frutta e verdura, oppure per prodotti igienici.

Dato che le plastiche convenzionali hanno mostrato un grosso incremento di prezzo pari al 30-80% negli ultimi tempi, a causa del prezzo sempre crescente del petrolio, si giudicano positive le prospettive future degli imballaggi prodotti da materie prime rinnovabili. Nella maggior parte dei casi i nuovi materiali restano sempre più costosi di quelli basati sul petrolio, anche se la differenza di prezzo sta scendendo notevolmente (i prezzi variano dai 1,50 – 4,00 €/kg). I prodotti derivanti dall’agricoltura come l’amido o lo zucchero hanno un prezzo stabile e paragonabile a quello del petrolio (prezzi per tonnellata): amido 300 – 400 €, zucchero 220 – 300 € e petrolio greggio 400 € (basato sul prezzo di 70 $ al barile). Purtroppo la competitività economica delle bioplastiche è limitata dal costo molto alto dovuto allo sviluppo e alla mancanza di economie di scala che vengono con la produzione di massa, ma basandosi sulle previsioni dell’aumento di prezzo del greggio, l’uso di risorse rinnovabili diventerà sempre più economico nel futuro [8].

L’European Bioplastics ha stimato che circa il 10% delle applicazioni per la plastica potrebbero essere coperte dalle bioplastiche attuali, incluse applicazioni totalmente nuove, ma perché questo avvenga è necessario che si rendano disponibili circa 5 milioni di tonnellate di polimeri nella sola Europa.

Considerando la capacità produttiva totale odierna di bioplastiche a livello mondiale, la richiesta potrebbe essere soddisfatta solo con una cornice di sostegno (che coinvolga la classe politica, amministrazioni, organizzazioni) disposta ad investire in questo mercato in crescita e promettente.

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Capitolo 1 Polimeri biodegradabili

CAPITOLO 1

POLIMERI BIODEGRADABILI

1.1 Descrizione dei materiali

I materiali da imballaggio costituiscono una delle principali fonti di inquinamento soprattutto a causa del loro volume. La bioplastica sta diventando quindi una valida alternativa alla tradizionale plastica per la salvaguardia dell’ambiente, poiché deriva da fonti rinnovabili e può essere trasformata in compostato senza inquinare, evitando così la produzione di rifiuti semipermanenti. Ma non è solo l’ambiente a preferire la bioplastica, da un’indagine realizzata in Europa e in Nord America è emerso che una consistente fetta di consumatori è interessata all’acquisto di prodotti freschi confezionati con materiali naturali. Dallo stesso studio è risultato che i consumatori sono interessati ad acquistare prodotti con imballaggi naturali anche se più costosi. Le maggiori applicazioni delle bioplastiche riguardano i materiali da imballaggio, le stoviglie e gli utensili monouso, i contenitori alimentari usa e getta, i materiali per uso agricolo e quelli per uso biomedico [9]. Quello che differenzia le molecole di questi materiali bioplastici da quelli tradizionali è la struttura, che consente una degradazione completa nell’ambiente. La valutazione accurata della biodegradabilità e della biodeteriorabilità di un materiale è diventata, in tempi più recenti, un'esigenza importante soprattutto per poter confrontare, in termini oggettivi, l'ecocompatibilità dei differenti imballaggi. Esistono molte procedure differenti, alcune standardizzate in norme ufficiali [10], ma tutte afflitte da notevoli errori sperimentali e da un certo grado di empirismo [11].

Metodi ponderali - Viene valutata la diminuzione percentuale del peso di provini sottoposti all'azione di colture microbiche o, più semplicemente, dopo interramento (Burial test) o condizionamento in specifici ambienti. I risultati che si ottengono con questi sistemi sono difficilmente confrontabili per l'alta variabilità delle condizioni adottate.

Prove di crescita microbica - La degradabilità è misurata in termini di accrescimento di una coltura microbica cui viene fornito, come unica fonte di carbonio, il provino del materiale in esame.

Metodi di osservazione diretta - L'osservazione visiva, o quella microscopica, consente in queste procedure di evidenziare l'estensione e l'intensità dello sviluppo

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Capitolo 1 Polimeri biodegradabili

di muffe oppure il grado di deterioramento del materiale posto in condizioni standardizzate.

Metodi respirometrici - Sono diversi e numerosi e si basano sul fatto che se i microrganismi riescono ad utilizzare per il loro metabolismo il materiale da valutare, si possono registrare l'ossigeno consumato e/o l'anidride carbonica prodotta per esempio con metodi polarografici (BOD, biological oxygen demand) o manometrici (tecnica del respirometro di Warburg).

E’ stato sviluppato inoltre un metodo automatizzato, che è in grado di ovviare agli svantaggi del test di Sturm, per la misurazione della CO

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tramite spettroscopia a infrarosso ed ha il pregio di essere facilmente riproducible, economico e molto compatto [12].

L’Europa ha stabilito i propri standard per decidere se un prodotto può essere etichettato come compostabile (EN-13432 [13] che ha molti punti in comune con lo standard tedesco DIN-54900 [14], l’americano ASTM D-6400 [3] e l’internazionale ISO-14855 [15]). Prodotti che soddisfano questo standard, come confermato da test indipendenti, possono fregiarsi di un logo che garantisce che il prodotto certificato si biodegraderà completamente e in maniera sicura entro il tempo previsto dalla Normativa Europea EN-13432. Il logo e il numero di certificato stampato sul prodotto permettono di identificare il produttore e di dimostrare la conformità alla normativa. La certificazione dei prodotti biodegradabili avviene con una procedura in due passi: la varie prove per la certificazione della compostabilità dei materiali biodegradabili in accordo con i metodi di test riconosciuti (EN 13432) possono essere sostenute e documentate da laboratori qualificati [16]. Tutti i risultati delle prove e la documentazione devono essere presentati agli organi certificanti dai produttori delle resine, il prodotto verrà quindi incluso in una lista.

Se il prodotto è formato da materiali biodegradabili che sono già stati certificati non è necessario testarlo. Il prodotto viene certificato dagli esperti sulla base dei documenti conferiti che lo caratterizzano completamente. Sono previsti controlli per assicurare che il prodotto venduto sia conforme a quello presentato per la certificazione.

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Capitolo 1 Polimeri biodegradabili

Fig. 1.1 – Logo che certifica i prodotti compostabili [17].

Il programma di certificazione per i prodotti in plastica compostabile è stato curato da esperti sul riciclaggio e lo smaltimento dei rifiuti e sulla qualità del compostaggio. I membri principali sono i seguenti:

• Bundesgütegemeinschaft Kompost (Associazione tedesca per la qualità del compostaggio)

• Bundesverband der deutschen Entsorgungswirtschaft (Associazione delle industrie tedesche per la gestione dello smaltimento dei rifiuti)

• Deutscher Bauernverband (Associazione dei coltivatori tedeschi)

• Industrieverband Kunststoffverpackungen (Associazione per gli imballaggi in materiale plastico)

• European Bioplastics (in precedenza IBAW)

La composizione della commissione di certificazione assicura una ampia approvazione del metodo di certificazione, per questo motivo gode di grande prestigio anche negli altri paesi. I maggiori produttori di resine hanno aderito volontariamente alla certificazione dei prodotti. L’European Bioplastic sta promuovendo l’uso di una singola certificazione e di una etichetta in tutta Europa;

l’associazione inoltre collabora con organizzazioni affini in Asia e negli Stati Uniti, infatti sono stai siglati accordi con l’americana BPI (Biodegradabile Products Institute), la giapponese BPS (Biodegradable Plastics Society) e la cinese BMG (Biodegradabile Materials Group) per facilitare il commercio internazionale di prodotti di elevata qualità. Tali normative e accordi sono molto importanti per regolamentare un campo in cui nel passato sono stati proposti sul mercato materiali definiti erroneamente “biodegradabili”.

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Fig. 1.2 – Paesi in cui viene utilizzato il marchio di compostabilità [18].

Le prime plastiche messe in commercio come biodegradabili alla fine degli anni ’80 altro non erano che polietilene addizionato di amido (circa il 5%), di fatto di degradabile c’era solo la frazione amidacea, il materiale era solamente bio- deteriorabile. Negli anni ’90 diverse multinazionali hanno cercato di sviluppare plastiche biodegradabili, ottenute da amidi o prodotte da microrganismi, oggi si trovano sul mercato vari tipi di bioplastica, ottenute a partire dall’amido di mais, di patate o di grano.

1.2 Monomeri e polimeri

In generale le proprietà delle materie plastiche sono determinate dai polimeri che le costituiscono e dagli additivi introdotti per migliorare scarse proprietà fisiche e la processabilità. I materialisti devono essere in grado di fornire materiali plastici in grado rispondere a molteplici esigenze variando la natura chimica del polimero, la miscela di additivi e i metodi di lavorazione. Spesso rientrano nel quadro anche compromessi, come nel caso della raccolta dei sacchetti di materiale compostabile;

queste buste devono essere resistenti e durevoli abbastanza per il processo di raccolta, ma degradare velocemente durante il compostaggio. Queste plastiche a degradazione programmata sono salite al centro dell’attenzione solo recentemente;

in passato gli sforzi principali degli studiosi erano diretti alla produzione di materiali plastici stabili sotto tutte le condizioni.

Sebbene la velocità di degradazione sia legata all’ambiente in cui è posto il materiale, dipende soprattutto dalla natura chimica del polimero.

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Capitolo 1 Polimeri biodegradabili

1.2.1 Le poliolefine – Lo standard della stabilità

Le poliolefine sono in cima alla lista delle “commodities”, contando oltre il 90% di tutti i prodotti in plastica. Vengono prodotte a partire dal petrolio. Il polietilene (PE) viene polimerizzato a partire dall’etilene, e deve la sua eccezionale stabilità alla lunga catena ininterrotta di legami singoli carbonio-carbonio. Le poliolefine sono generalmente poco costose e le loro proprietà fisiche, come temperatura di fusione, resistenza e idrofobicità le rendono utili per svariate applicazioni, ma è il vantaggioso rapporto qualità-prezzo che le rende i leader in questo settore. Il polipropilene (PP) differisce dal polietilene solo perché ha come sostituente nella catena laterale un gruppo metilico che lo rende più flessibile, ma lo scheletro dei due polimeri è lo stesso.

Fig. 1.3 – Composizione chimica e struttura:

a )PE, b) PP.

PE e PP sono estremamente resistenti alla degradazione ambientale; anche in ambiente di compostaggio possono durare molti anni, degradano nell’ambiente per ossidazione. La luce naturale può accelerare l’ossidazione dando il via alla foto- ossidazione, i legami carbonio-carbonio vengono rotti e in breve tempo la plastica diventa fragile e si frammenta. La velocità in ogni caso è molto bassa (inoltre vengono aggiunti, al propilene e al polietilene, stabilizzanti anti-ossidazione per prolungare la vita utile del polimero). Probabilmente il più importante motivo dell’estrema stabilità delle poliolefine è che contengono solo atomi di carbonio nel loro scheletro ed ogni atomo di carbonio è legato ad altri quattro atomi. Vedremo che l’introduzione di un atomo diverso dal carbonio come l’ossigeno nello scheletro del polimero riduce significativamente la stabilità ambientale [19]. Le poliolefine

“attivate” sono poliolefine, di solito polietilene, che sono state modificate, o durante la fase iniziale di polimerizzazione o durante la lavorazione, per aumentare la velocità di degradazione ossidativa; i frammenti di catena e la plastica diventano una polvere friabile, alla fine, i frammenti di catena diventano così corti che possono essere convertiti dai microrganismi in CO

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e H

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O. Quello che non si conosce, ed è ancora oggetto di numerose ricerche, è l’esatto tempo per una completa conversione, inoltre si sa che i polimeri attivati non soddisfano le norme

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Capitolo 1 Polimeri biodegradabili

per il compostaggio. Alcuni pensano erroneamente che i polimeri sintetizzati a partire dal petrolio non siano biodegradabili, ma ci sono polimeri di origine fossile che non solo sono biodegradabili, ma anche compostabili. Un esempio è il poli(ε- caprolattone) o PCL che è un poliestere contenente il gruppo COO nella sua unità ripetitiva [19], viene preparato con la polimerizzazione per apertura dell’anello dell’ε-caprolattone con ottanoato stannoso come catalizzatore ed alcoli a basso peso molecolare come iniziatori, con il compito di controllare il peso molecolare. Il PCL ha una buona resistenza ad acqua, oli e solventi.

Fig. 1.4 - Composizione chimica e struttura del poli(ε-caprolattone).

La presenza di un atomo di ossigeno nella catena rende il polimero soggetto alla degradazione per idrolisi; il PLC è degradabile per l’azione di enzimi non specifici inclusi gli esterasi che si trovano abbondantemente nel terreno, la velocità di degradazione dipende dal peso molecolare e dal grado di cristallinità [4]. La bassa T

fus

del PLC (60°) limita le sue applicazioni, ma spesso viene usato in combinazione con altri polimeri, incluso l’amido.

Le proprietà di un polimero possono anche essere modificate usando più di un tipo di monomeri durante la polimerizzazione per produrre un copolimero. Una grande varietà di copoliesteri è stata prodotta a partire da monomeri ricavati dal petrolio, come l’Eastar Bio o l’Ecoflex formati da acido adipico, acido tereftalico e butandiolo.

I monomeri dai quali è prodotto il copoliestere Eastar Bio, della Eastman Chemical Company, sono butandiolo, acido adipico e acido tereftalico. I legami contenenti ossigeno sono responsabili della bioderagabilità del polimero come nel caso del PCL.

Gli elementi chimici aggiuntivi nella composizione del copoliestere portano proprietà molto interessanti durante la vita utile del materiale: ad esempio le componenti tereftalate aumentano la rigidezza della catena. L’Eastar Bio degrada all’80% in 150 giorni se posto in condizioni di compostaggio [19].

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Capitolo 1 Polimeri biodegradabili

Fig. 1.5 – Composizione chimica e struttura dell’Eastar Bio.

L’Ecoflex è un copoliestere alifatico-aromatico prodotto dalla BASF dal 1998, è completamente biodegradabile ed è basato sul monomero formato al 50% da 1,4 butandiolo, al 25% da acido adipico e 25 % da acido tereftalico e unità modulari.

Le proprietà del prodotto sono progettate per ottenere una ottima combinazione tra processabilità e biodegradabilità; questa viene raggiunta con la sintesi di strutture molecolari fatte su misura, ottenute attraverso unità modulari in cui le unità statistiche di copoliestere, che includono l’1,4 butandiolo e l’acido di carbonico, l’acido adipico e quello tereftalico, sono collegate. Il sistema modulare coinvolge l’incorporazione di componenti idrofile di monomeri con ramificazioni che portano ad un allungamento della catena e quindi aumentano il peso molecolare permettendo di ottenere vari prodotti con proprietà completamente differenti.

Fig. 1.6 – Composizione chimica e struttura dell’Ecoflex.

Materiali come l’Ecoflex sono completamente biodegradabili secondo la EN 13432 se almeno il 90% del carbonio organico nel materiale si è convertito durante un periodo di test che non deve superare i 180 giorni. La curva di degradazione mostra che il materiale converte più del 90% in meno di 80 giorni [20].

Fig. 1.7 - Curva di degradazione dell’Ecoflex [21].

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Capitolo 1 Polimeri biodegradabili

Altri importanti polimeri sono il polibutilensuccinato (PBS) ed il polibutilensuccinatoadipato (PBSA). Il PBS ha proprietà simili a quelle del PET, la sua cristallinità è del 35-45 %, le temperatura di transizione vetrosa è di -32 °C ed il suo punto di fusione è di 114-115 °C. Di solito è miscelato con altri composti, come amido o altri copolimeri adipati, appunto a formare PBSA. Il PBSA ha cristallinità compresa tra il 20 e 35 %, una temperatura di transizione vetrosa di - 45 °C ed un temperatura di fusione di 93-95 °C.

Fig. 1.8 – Composizione chimica e struttura del polibutilensuccinato.

I Bionolle, prodotti dalla Showa Denko, sono una famiglia di poliesteri alifatici sintetizzati dalla policondensazione di glicoli ed acidi di carbossilici, hanno una temperatura di fusione di circa 90-120°C e una temperatura di transizione vetrosa che va da -45°C a -10°C (tra il PE e il PP), una densità di circa 1,25 g/m

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(simile al PET). Esistono due serie: la serie 1000 con PBS ottenuto da 1,4-butandiolo ed acido succinico, e la serie 3000 consistente in un copolimero di PBSA con 1,4-butandiolo ed una miscela di acido succinico ed acido adipico. I Bionolle hanno une eccellente processabilità, da essi si possono ricavare filamenti, film e laminati, un tipo di Bionolle che ha lunghe catene laterali può essere utilizzato per la produzione di bottiglie tramite soffiatura. I Bionolle sono degradabili in ambiente di compostaggio, in acqua pura con fanghi attivi e in acqua marina [22].

1.2.2 Polimeri naturali

I polimeri di origine naturale possono essere divisi in tre categorie fondamentali basate sulla loro origine e produzione:

1. Polimeri ottenuti direttamente dalle biomasse: polisaccaridi come amido o cellulosa e proteine come la caseina o il glutine.

2. Polimeri prodotti per sintesi chimica a partire da monomeri rinnovabili prodotti per fermentazione di carboidrati. Un buon esempio è il PLA.

3. Polimeri prodotti da microrganismi o batteri geneticamente o non geneticamente modificati, come ad esempio i PHAs.

I polimeri naturali tendono ad essere degradabili perché gli organismi hanno evoluto enzimi per attaccarli. Questi materiali si sono rivelati interessanti come potenziali precursori per plastiche per compostaggio, inoltre hanno il vantaggio di

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Capitolo 1 Polimeri biodegradabili

essere sicuramente biodegradabili ed essendo prodotti da risorse rinnovabili non consumano quelle fossili.

Le tre categorie sono schematizzate in Fig. 1.9.

Fig. 1.9 – Rappresentazione schematica dei biopolimeri basata sulle loro origini e metodi di produzione [23].

Tra i biopolimeri il più utilizzato è l’amido, un carboidrato polisaccaride prodotto dal granturco, patate, frumento, riso e altre piante con una produzione mondiale di oltre 32 milioni di tonnellate. Approssimativamente metà del totale è prodotto negli stati uniti, principalmente dal granturco ma anche dalle patate, dal frumento e da altre fonti. Tra i materiali grezzi l’amido è il solo polimero competitivo con il PE in termini di prezzo. I polimeri principali che formano l’amido sono l’amilosio e l’amilopectina (Fig.1.10).

La biodegradabilità dell’amido risiede principalmente nell’atomo di ossigeno che connette strutture ad anello successive, l’amido interagisce fortemente con l’acqua e degrada per idrolisi. L’amido è un materiale termoplastico, può essere rammollito se riscaldato, stampato e estruso, può quindi essere lavorato con le tecniche classiche dell’industria della plastica. Uno svantaggio importante consiste nel fatto che le sue proprietà fisiche, fortemente dipendenti dall’umidità, non lo rendono adatto a molte applicazioni.

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Capitolo 1 Polimeri biodegradabili

Fig. 1.10 – Composizione chimica e struttura dell’amilosio(a) e dell’amilopectina(b) [24].

Ci sono molte strategie per sviluppare applicazioni pratiche per polimeri basati sull’amido, ma per adesso la migliore si basa sulla combinazione con un altro polimero compatibile e biodegradabile (di origine petrolchimica o naturale) per migliorarne le proprietà. Un esempio è il Mater-Bi che è un ibrido, nel senso che è formato sia da un componente rinnovabile e naturale (amido) e uno non rinnovabile e sintetico basato sul petrolio (PCL).

Sotto il marchio di Mater-Bi la Novamont oggi produce quattro classi di materiali biodegradabili, tutti basati sull’amido e diverse componenti sintetiche [25]:

• Classe Z: Biodegradabili e compostabili soprattutto per film e lastre.

Contengono amido e poli(ε-caprolattone) e sono stati introdotti nel mercato all’inizio del 1992. La microstruttura dei prodotti che appartengono a questa categoria può essere molto differente, variando dall’amido termoplastico disperso nel componente sintetico all’amido termoplastico che forma una fase continua.

• Classe V: Biodegradabile, compostabile e solubile creato per sostituire le schiume in PS per imballaggio. Hanno un contenuto di amido superiore all’85% e può essere definito un amido plasticizzato.

• Classe Y: Biodegradabile e compostabile per oggetti rigidi ottenuti per iniezione; può contenere materiali naturali come amido in forma dispersa e derivati della cellulosa. Le proprietà meccaniche e di formatura sono molto simili a quelle del PS.

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Capitolo 1 Polimeri biodegradabili

• Classe A: Materiali biodegradabili e non compostabili ( tempo di biodegradazione di 2 anni in ambiente liquido). Contengono amido termoplastico fortemente legato a copolimeri di alcol vinilico.

L’acido lattico è una delle più semplici molecole chirali e presenta 2 strereoisomeri, l’acido lattico-L e l’acido lattico-D. La forma L differisce da quella D nell’effetto alla luce polarizzata. Il PLA è un poliestere termoplastico alifatico lineare. La conversione dell’acido lattico in PLA ad elevato peso molecolare è ottenuta generalmente attraverso due metodi.

Fig. 1.11 – Struttura molecolare del polilattide.

Cargill-Dow utilizza un processo privo di solvente e un innovativo metodo di distillazione per produrre un’ampia gamma di polimeri. L’amido viene estratto dalla cariosside del granturco, dove è presente in concentrazione dell’ ordine del 60- 65%. Successivamente viene convertito a zucchero (destrosio) tramite un processo di idrolisi enzimatica. Nella fase successiva intervengono i batteri che fermentano il destrosio in acido lattico. La distillazione serve a separare l’acido lattico dai sottoprodotti di fermentazione. La novità essenziale di questo processo sta nell’abilità di andare dall’acido lattico ad un acido polilattico a basso peso molecolare, seguito da una depolimerizzazione controllata per produrre il dimero ciclico comunemente conosciuto come lattide, che viene matenuto in forma liquida e purificato per distillazione. La polimerizzazione catalitica per apertura dell’anello dell’intermedio (lattide) porta alla produzione di PLA con peso molecolare desiderato, il processo è continuo senza la necessità di separare l’intermedio [26].

Da 400 mila tonnellate di granoturco si ricavano circa 140 mila tonnellate di imballaggi in PLA.

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Fig. 1.12 – Processo di polimerizzazione del lattide, schematizzazione del processo di produzione del PLA a partire dal lattide [27].

L’intero processo di trasformazione utilizza dal 20 al 50% in meno di combustibili fossili rispetto alla produzione delle termoplastiche tradizionali. Il petrolio, infatti, non viene utilizzato come materia prima, ma solo sotto forma di combustibile fossile per produrre il calore e l’energia necessari per la produzione e il trasporto della resina.

Al contrario la Mitsui Chemicals utilizza un processo basato sul solvente, in cui PLA ad elevato peso molecolare viene prodotto per condensazione diretta usando una distillazione azeotropica per rimuovere continuamente l’acqua di condensazione [26].

Il PLA disponibile in commercio è un copolimero di poli(L-lattide) con meso-lattide o D-lattide, la quantità di enantiomeri di tipo D è nota per influenzare le caratteristiche del PLA come la temperatura di fusione, il grado di cristallinità. Il PLA

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ha buone proprietà meccaniche, è biocompatibile, facilmente producibile ed quindi un polimero promettente per svariate applicazioni.

Quando viene sottoposto a combustione, non produce ossidi d’azoto e solo un terzo del calore generato dalla combustione delle poliolefine, non danneggia l’inceneritore e permette un notevole risparmio di energia. Per quanto riguarda la compostabilità, i test eseguiti su campioni commerciali, quali vaschette, sacchetti o coppette, hanno dimostrato che il PLA viene ridotto a compost, cioè a fertilizzante naturale, in 47 giorni se il compostaggio avviene in un impianti dedicati che operano con temperature costanti superiori a 60 °C, grado di umidità del 90-95% e una carica batterica elevata [27].

La fermentazione è coinvolta anche nella produzione di poliidrossialcanoati (PHAs), una famiglia di poliesteri prodotti naturalmente dai microrganismi a partire da zuccheri. Il poliidrossibutirrato è per molti aspetti simile al polipropilene, ma a differenza di questo ha una temperatura di transizione vetrosa troppo elevata e una resistenza all’urto troppo bassa. Inoltre la temperatura di fusione è molto vicina a quella di degradazione, il che rende problematica, se non impossibile, la lavorazione con le tecniche convenzionali in uso per i polimeri termoplastici.

Fig. 1.13– Rappresentazione schematica del poli(idrossibutirrato-idrossivalerato) (PHVB).

Come mostra la tabella 1.1, il copolimero con il 20% di idrossivalerato possiede un insieme di proprietà che complessivamente consentono ancora di affiancarlo al polipropilene e nel contempo riducono il problema della fragilità e della lavorabilità.

La temperatura di degradazione termica dei copolimeri rimane, infatti, uguale a quella degli omopolimeri, mentre la temperatura di fusione diminuisce, senza peraltro scendere al disotto di valori che ne limitino significativamente gli impieghi.

Variando le percentuali molari di comonomero, è possibile modificare le proprietà in un campo abbastanza ampio [28]; ciò consente di mettere sul mercato prodotti adattati alle varie esigenze.

In accordo con le previsioni suggerite dalla biologia il PHB (così come il PHVB) è risultato essere un polimero altamente biodegradabile. Molti microrganismi (batteri, funghi) presenti nel terreno, negli scarichi urbani e industriali, negli estuari dei fiumi, possono degradare extracellularmente il PHB e i suoi copolimeri. Allo scopo sono provvisti di opportuni enzimi di secrezione (depolimerasi) che aderiscono alle

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particelle e ne catalizzano la demolizione a molecole semplici idrosolubili. A loro volta queste molecole sono utilizzate dai microrganismi stessi nel loro metabolismo.

I prodotti finali della demolizione biochimica sono risultati essere H

2

O e CO

2

in ambiente aerobico e CO

2

e CH

4

in ambiente anaerobico [28].

Tab. 1.1 – Proprietà fisico-meccaniche del PHB e del PHBV a confronto col PP (1=scarsa, 2=discreta, 3=buona, 4=ottima) [28].

Proprietà fisico-meccaniche

PHB

1

PHB/HV

20%2

PP

3

Densità (g/cm

3

) - 1,25 0,90

T

g4

(°C) +15 -1 -10

T

f5

(°C) 175 145 176

Cristallinità (%) 80 42 70

Resistenza a trazione (Mpa) 40 3’ 38

Allungamento a rottura (%) 8 50 40

Resistenza all’urto Izod-n. (J/m) 60 300 100

Costante dielettrica a 1 MHz 3 3 -

Resistività (ohm*cm) >10

16

>10

16

>10

16

Temperatura superiore di impiego (°C) 130 99 135 Resistenza chimica

Acidi 1 1 4

Alcali 1 1 4

Alcoli 2 2 4

Olii e grassi 3 3 2/3

Resistenza agli UV 2 2 1

1 polidrossibutirrato

2 copolimero polidrossibutirrato/idrossivalerato 3 polipropilene

4 temperatura di transizione vetrosa 5 temperatura di fusione

1.2.3 Proprietà e svantaggi dei polimeri biodegradabili

Molti polimeri biodegradabili hanno eccellenti proprietà paragonabili a quelle di molte plastiche ottenute dal petrolio e presto saranno competitive per la produzione

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di “commodities”. I polimeri biodegradabili hanno quindi un grande potenziale commerciale, ma alcune proprietà come la fragilità, scarsa resistenza al calore, alta permeabilità ai gas, bassa viscosità del fuso limita il loro utilizzo in molte applicazioni. La trasformazione di polimeri degradabili, attraverso tecnologie innovative e il rinforzo di matrici polimeriche per ottenere nanocompositi, ha già dimostrato di essere un’ottima via per migliorare queste proprietà.

La Tabelle 1.2 e 1.3 illustrano alcune delle caratteristiche delle plastiche descritte;

mostrano come sia i polimeri sintetici che quelli naturali possano essere degradabili e compostabili e che la degradazione di un polimero in un particolare ambiente non dipende solo dalla sua origine, ma dai trattamenti chimici subiti.

Molti stati interessati nell’aumentare la capacità di riciclaggio, hanno già iniziato a

migliorare le infrastrutture per la raccolta e il compostaggio di rifiuti organici

provenienti da fonti industriali e commerciali. Al giorno d’oggi l’ambito di principale

interesse è quello della produzione di buste destinate a raccogliere materiale per il

compostaggio; buste non degradabili aggiungono costi alla raccolta (devono essere

separate dai rifiuti per evitare la contaminazione e richiedono eliminazione

separata) [29]. Il costo è un fattore fondamentale; nessuna delle buste per

compostaggio in plastica verde batte il basso costo del PE, ma una volta tenuto

conto del costo ulteriore per lo svuotamento e separazione delle buste di PE, non

degradabili, si nota che le spese richieste sono paragonabili.

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Tab. 1.2 - Origine, degradabilità, e proprietà di alcuni film plastici [19].

Poly (Hydroxybutyrate-

co- Hydroxyvalerate) Poly

(ε-

caprolactone) Co-

Polyesters Starch Starch/Poly(ε-

caprolactone) Polylactic Polymer Polyethylene

“Activated”

Polyethylene Acid

Syntetic (polimerized from non renewable

monomer feedstocks) X X X X X

Syntetic (polimerized from renewable

monomer feedstocks) X

Naural (obtained direcly

from plants) X X

Natural (obtained by fermentation of renewable monomer feedstocks)

X

Nondegradable X

Degradable/not

compostable X

Degradable/compostable X X X X X X Favorable film properties

(strength, melting temperature, water resistance)

X X X X X X

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Tab. 1.3 – Proprietà di alcuni materiali biodegradabili a confronto con le poliolefine [4].

Property

PHB Biopol

PHB-V Biopol

PCL Tone

787

PLA Ecopia

PAS Bionolle

1000

PAS Bionolle

3000

PEA BAK 1095

Ecoflex Eastar Bio

Mater- Bi Y101U

Mater- Bi ZF 03U/A

Mater- Bi NF01U

PS LDPE

Melting point

(°C) 177 135 60 177-180 96 114 125 110-115 108 - 64 110 - - Tensile stress

at break (MPa)

40 25 4 45 40 60 25 36 22 26 31 25 - 8-10

Elongation at

break (%) 6 25 800-

1000 3 600 800 400 820 700 27 900 600 1-2,5 15-600 Tensile

modulus (MPa)

4000 1000 386 2800 300 500 180 80 100 1700 180 120 2800- 3500 -

Density

(g/cm

3

) 1,25 1,25 1,145 1,21 1,3 1,2 1,07 1,25 1,22 1,35 1,23 1,3 1,04- 1,09 -

.

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