A n n o X V I I - 1 9 4 1 - X I X F a s c ic o lo I - G e n n a io -M a r z o
GIORNALE STORICO E LETTERARIO DELLA LIGURIA
D i r e t t o r e : ARTURO CODIGNOLA
C o m i t a t o d i r e d a z i o n e : CARLO BORNATE - PIETRO NURRA - VITO A. VITALE
D I “ MARFISA D’ESTE CJBO„
E DI UNA SUA GITA A VENEZIA
F ra le figu re d i donne che nel secolo XVI hanno brillato nelle corti m archionali ed hanno contribuito a creare le più fantasiose leggende attorno a i tu r r it i ca stelli del medio evo, quella di Marfisa d’Este non è certo d elle secondarie.
La sua v ita s i svolse in Ferrara presso la corte dei Duchi D ’Este (]), suoi co n g iu n ti, ed in questo ambiente essa venne presto ad assu
mere un ru olo prem inente per le sue doti di rara bellezza che riu
scirono a crea re attorn o a questa strana figura muliebre un alone di fascino ta le da fa r la signoreggiare su molti uomini, non comuni, del suo tem po.
A nche M arfisa, come tu tte le grandi bellezze potentate, ha una sua leggenda (2) ; leggenda fatta di romantici amori e di fantastiche crudeltà, m a la storia non si può occupare di certe vociferazioni che, specie nel c a so d i Marfisa D ’E ste, appaiono senza fondamento.
Marfisa era figlia di Francesco D ’Este, Marchese di Massa Lom
barda, figlio d i A lfon so I e di Lucrezia Borgia e fratello di. Ercole II.
E ssa era b astard a ma, col crescere degli anni, veniva però le
g ittim ata d al pontefice Gregorio X III, il 28 giugno 1573, e dal Duca A lfonso I I , D ’E s te , il 3 febbraio 1576, presso il quale ultimo ve
niva ra ccolta ed educata· alla morte del padre suo.
Q uesti, n el su o testam ento, disponeva un lascito dotale di ot
tan tam ila scu d i a lla figlia che affidava alle cure di Eleonora D'E-
i1) Gli E ste p ro v en g o n o da antich issim a fam iglia italiana da cui si pro
pag aro n o le g r a n d i casate dei Malaspina e dei Pallavicino. Essi erano l’u
n ica c a sa r e g n a n te , veram ente italia n a, governante nella penisola.
C f r . : Mu r a t o r i, A ntichità Estensi.
Cfr. : Li t t à, F a m ig lie celebri italiane. P arte l a.
(2) Ezio Fl o r i, Leggenda di Marfisa d'Este, in « Emporium », maggio 1923, vol. LVII, n. 341, p a g . 291 e seg.
9 A D O L F O C A L E O
ste (3) investendola, oltreché della m ansione d i c o n s ig lie r a , della facoltà di disporre circa il m atrim onio d ella co n g iu n ta .
Infatti per volere di Eleonora e del padre a d o ttiv o , A lfo n so II, Marfisa andò in sposa al loro cugino A lfonsino D ’E s t e prim ogenito del principe Don Alfonso, Marchese di M ontecchio, lo r o zio.
Le nozze ebbero luogo il 5 m aggio 1578 ma non fu ro n o d elle più felici per la brevissima vita avuta dal coniuge c h e v e n iv a a m an
care appena tre mesi dopo il m atrim onio.
Circa l ’immatura morte di A lfon sin o il M u ratori scriv e che « vi
vendo voluto godere con in tem peran za del suo m a tr im o n io » (4) egli morì nel dì 1 settembre dello stesso anno la scia n d o v ed o v a Marfisa.
La quasi fulm ineità di questa scom parsa la s c ia p erò dubbiosi sull’assunto del dotto Muratori, il quale può a v ere err a to , e si è portati a credere che tale morte fosse p iu ttosto il p r o d o tto di qual
che malattia addominale acuta, come ad es. un a c c e sso di p eriton ite.
Donne della vitalità e del fascino di Marfisa rim a n g o n o ben poco in stato di vedovanza. Fu presto circuita da a m m ir a to r i e le prof
ferte di matrimonio nè si fecero attendere m olto, n è sca rseggiaron o.
Già sulla fine del 1579 si parlava delle secon d e n ozze che dove
vano poi unirla con Alderano Cjbo, prim ogenito d i A lb erico .1 e di Elisabetta Della Rovere (5) marchesi di Massa d i L u n ig ia n a , nozze che per poco non andarono in fum o perchè il D u c a d i F errara vo
leva che Marfisa scegliesse per nuovo m arito il sig n o r Cesare Trotto (6).
Ma Alderano, nato il 19 dicembre 1552 ed e d u c a to a lla C orte di Urbino presso lo zio Duca. Guido TJbaldo, non era d el t u t t o ig n o to ed estraneo presso la Corte degli E ste e finì col c a t t iv a r s i la sim patia di Eleonora, la quale così scriveva di lu i, il 9 a p r ile 1580, a lla v i
gilia delle nozze, al cardinale L uigi : « Ieri sera g iu n s e lo sp oso della signora Donna Marfisa il quale fu v isto e a c c e tta to con m olta sod
disfazione da tu tti ».
Scrive lo Sforza (7) che « a dì 22 marzo 1580 il sig n o r M archese
(3) Eleonora D'Este, sorella di Alfonso II e figlia d i E rc o le II; d o n n a di gran bellezza anch’essa. Le sue g razie fecero si che il g r a n d e p o e ta Tor
quato Tasso, autore della « G erusalem m e L ib era ta », se n e in v a g h is s e per
dutamente fino a perdere il controllo di sè stesso col d a r le u n b a c io in p re
senza di persone convenute a corte. Alfonso II, in c o n s e g u e n z a di questo gesto di passione incontenuta, fece re le g a re il T asso in u n a « c a s a d ei pazzi » ove rimase alcuni anni. P er Eleonora D’Este v ed a si: Vita d i T o r q u a to Tasso di A. Solerti, vol. I.
(4) Muratori, opera cit., II, p . 339.
(5) Sorella del Duca di Urbino.
(6) R. Arch. di Stato di A puania M assa; L ettera d i P e rs e o C a tta n e o ad Alberico I, in data 22 dicembre 1579.
(7) Cfr. : Sforza G., Cronache di Massa di L u n i g i a n a , e d i t e e d i l l u s t r a t e
da G. Sforza. Lucca, Tip. Rocchi, 1882, pag. 62.
D I « M A R F IS A D ’E S T E C JB O » E D I U N A SUA GITA A V EN EZIA 3
Ill.m o andò a C astelnuovo di Garfagnana per passare a Ferrara e sposare la E cc.m a sign.ra Marfisa da Este sua consorte; et per
chè in quel tem p o Massa si trovava bandita per sospetto di peste, convenne ch e a d ettto Castelnuovo facesse otto giorni di quaran
tina, con t u t t a la sua corte.
« Menò in su a compagnia 30 cavalli con cariaggi, et non ne po
tette m en ar d i p iù rispetto a quel sospetto ditto di sopra.
« N o stro S ig n o re Iddio gli dia buon viaggio e felicissimo ri
torno ».
I l m a trim o n io d i Alderano con Marfisa si celebrò il giorno 10 aprile 1580 e fu festeggiato « con spari, feste e giostre e altri ba
gordi p u b b lici » secondo i costumi del tempo.
E sso fu c o n c lu so da Perseo Cattaneo (8) ; nei capitoli figurano la dote d e lla sp o sa , ascendente a 80 mila scudi d’oro, e l ’assegno annuo fa tto a l m archese Alderano dal padre Alberico I di 5000 scudi d’oro.
A n teced en tem en te al matrimonio Perseo Cattaneo era stato an
che in ca r ica to d a Alberano d ell’acquisto di una filza di perle, va
levole più di 2600 scudi, da regalare a Marfisa, perle « che le plac
cherò a ssa i » (9).
Che M arfisa fo sse incline a i divertimenti, alla vita spensierata ed ai p ia ceri lo spiega oltre che il suo temperamento, che la tra
sporta a porre in evidenza le sue non comuni doti esteriori, un docum ento in e d ito , circa una sua gita a Venezia effettuata, dietro suo d esid erio espresso al novello sposo, poco tempo dopo l ’unione con A ld eran o.
Lo diam o qui in nota (Nota « B »), nel suo testo integrale, ri
tenendolo in te r e ssa n te per la cronaca del tempo; si tratta di una lettera che un gen tiluom o del seguito scrive ad Alberico I in Massa per in form arlo m inutam ente sulla gita.
* * *
Come è sp e sso nelle umane cose, dopo un primo periodo di gioie e di v ita co n cord e, non mancarono di profilarsi delle nubi sull’oriz
zonte fa m ig lia re ta n to che, sulla scorta dei dati pervenutici, si può dire che an ch e q u esto matrimonio non fu troppo felice.
A lle prim e prem ure di Alderano subentrarono delle frequenti as
senze, m en tre a lt r i divertivansi ad accendere la fantasia di Mar
fisa p arlan d ole d i a ltri amori del marito.
(8) Perseo Cattaneo, figlio dello scultore-poeta Danese, fu giureconsulto e il più fidato d e g li a g e n ti del P rincipe Alberico 1 che lo adoperò in nume
rosi « n e g o z ia ti e t am bascerie ».
(9) Vedi le tte r a del 13 dicem bre 1597, nel R. Arch. di Stato di Apuania Massa; A rch. D u c ale, B usta 305, Carteggio Perseo Cattaneo.
4 A D O L P O C A L E O
Xel giugno 1580. il marchese A lderano col p r e t e s t o d i u n a v i
sita doverosa al Duca di Urbino e al G randuca d i T o s c a n a , « d i
sgustati con lui per il suo m atrim on io E sten se ». p a r t ì ila Ferrara e stette assente più di sei mesi, tra tten en d osi p a r e c c h io tem p o a Massa, presso i genitori, lasciando sola la sp o sa .
Pare questo il punto cruciale della vita di M a rfisa : c o r te g g ia ta assiduamente da principi e n ob ili cavalieri, a d u la t a , c ir c u ita da uno sciame di ammiratori, non c'è da m era v ig lia rsi s e l a b e lla p rin cipessa ebbe qualche momento di debolezza (10f).
Oltre a questa specie di vicissitu d in i co n iu g a li s i e b b ero a n ch e ra
gioni di dissenso di altra natura.
I capitoli matrimoniali, so tto scritti il 30 g e n n a io 1 580. o ltr e a varie cose di secondaria im portanza, sta b iliv an o , co m e d e t t o in n a n zi. la dote di Marfisa in ottantam ila scudi d 'oro, d a c o n s e g n a r s i in tanti beni stabili.
II principe Alberico promise d 'in stitu ir e il fig lio A ld e r a n o erede dei suoi feudi (ir) e dei beni da lu i possed u ti in P i s a . R o m a . F er
rara, Bologna. Genova, etc*., e di sborsare ai c o n iu g i l'a n n u a p en sione di cinquemila scudi d'oro, o ltre i fr u tti d e lla d o t e c h e si do
vevano liberamente ritirare dai m edesim i.
Ma siccome il Principe non fu esa tto nel p a g a m e n to d e lla su d detta partita, così, per ordine del D uca A lfo n so d i F e r r a r a , g li fu mossa lite in Firenze, nel 1586, la quale lite p erò fu s u b ito term i
nata. con amichevole accordo, il dì 23 dicem bre d e ll'a n n o iste sso , con cui Alberico cedette agli sp osi ta n ti beni d a i q u a li s i p o tesse ritirare Pentrata dei cinquemila scudi d'oro p r o m e s s i ( L->.
A testimoniare della bellezza di Marfisa ci s o n o tr a m a n d a t i due ritratti : uno delPetà infantile, e T altro d ell'a n n o 1 5 8 3 q u a n d o essa aveva 29 anni, quindi nel pieno della sua florid ezza.
Tale ritratto, eseguito dal p itto re F ilip p o P a l a d i n i, era a n d a to perduto e venne rinvenuto nel 1937 in o cca sio n e d e lla M o s tr a Ic o nografica Gonzagliesca nel Palazzo D ucale di M a n to v a , m a n o n sem bra che sia del tu tto a mano del P ala d in i p o ich é v i s i n o ta n o r i
tocchi e influssi fiamminghi.
Su questa faccenda dell'effige di Marfisa si in n e s t a u n a in te r e s santissima gara poetica fra il poeta Torquato T a sso e d u n p o eta d oz
zinale delFepoca a nome Giulio X u ti.
10; In « Emporium », loco citato, il Fiori narra di a v e r e o sse r v a to in una mostra d’arte un fantasioso quadro raffigurante M arfisa s u u n c o c c h io trai
nato da cavalli bianchi attorniato dagli scheletri dei p r e s u n ti s u o i amanti, eliminati dopo averli posseduti. Ma, aggiunge egli s te ss o , s i tr a tta di pura leggenda senza fondamento.
11 Essendo Alderano premorto al padre, ereditò in v e c e sua il feudo di Massa e Carrara il figlio di lui Carlo I.
12 R. Arch. di Stato di Apuania M assa: < Ricordi d e lla f a m ig lia Cjbo ».
D I « M A R F I S A D ’E S T E C JB O » E D I UNA SUA GITA A V EN EZIA 5
D e i d u e s o n e tti del Tasso, scritti a questo soggetto, il primo è il seg u en te :
S aggio pittore, hai colorita in parte l a beltà che non h a form a e misura, m iracolo del cielo e di natura
c h ’adu na in Lei ciò che fra mille ei parte;
E perde la tu a m ano ardita e l’arte d a così vaga angelica figura;
m a quel ch’ella si adom bra e quasi oscura a v a n z a il bel de le più dorate carte.
E m aggior pregio il tuo felice stile h a qui perdendo che vincendo altrove, p erch è il seren delle stellanti ciglia e del bel volto sol l ’a ria gentile tu tte l’opere può, tutte le prove e sup erar ogni a ltra meraviglia.
ìson v o g lia m o guastare, con dei commenti inadeguati, tale me
ravigliosa v is io n e poetica e diamo senz’altro l ’altro sonetto che ci appare an ch e p iù interessante e che fa risaltare in modo ancor più b rillan te la fig u ra di Marfisa :
Q uesta leggiadra e gloriosa donna d i nome altero e di pensier non crudo, n o n h a per arm e g ià lancia nè scudo, m a trio n fa e com batte in treccia e in gonna;
e im periosa d ’ogni cor s’indonna c o n la m an bella e col bel capo ignudo d el caro velo, onde tra me conchiudo c h ’ella sia di valor salda colonna.
P u r inerm e non è, m a ’l casto petto, lo qual si prende il vano amore a scherno, c o p re d ’un lucidissim o diamante.
O r chi r itra r lo puote a l’occhio interno?
Q u a l fabbro a divin opra eletto
s ’asso m ig liar il ver fìa che si vante? (13)
È certo g ra n ventura — anche per una donna della levatura di M arfisa — T esser e cantata da poeta di tanta grandezza !
(13) Cfr. S o n e t t i d e l Signor Torquato Tasso sopra un ritratto dell'illustris
sim a e E c c e l l e n t i s s i m a Signora Donna Marfisa D'Este Cibo Marchesa di Mas
sa, etc. In F io r e n z a , MDLXXXIII, appresso Giorgio Marescotti. Di questa ra
ra p u b b lic a z io n e si conoscono sole tre copie. L’esemplare da noi consultato, grazie a lla s q u is it a gentilezza d ell’egregio Dott. Pappaianni del R. Arch. dì S tato di A p u a n ia , è custodito presso la R. Biblioteca Palatina di Firenze
6 » A D O L F O C A L E O
Alla cacciata degli Estensi, nel 1598, Marfisa r im a s e in Ferrara dove il 11 novembre 1606 le morì il m arito che la la s c iò su a erede universale, con testam ento del 1° di quel m ese r o g a to da* G iacom o Botta.
Marfisa D ’Este Cjbo fu donna a ssa i prolifica a v e n d o a v u to ben otto tìgli.
Essi sono:
Carlo, primogenito, n. a Ferrara il 18 nov. 1581. E b b e per com pare Massimiliano, Arciduca d ’A u stria e g li v en n e im p o s to il n o me di Carlo Francesco. Salì sul trono d i M assa e C a rra ra il 18 gen naio 1623.
Fin dal 22 febbraio 1605 aveva sposata B r ig id a d i G ia n n e ttin o Spinola, genovese, che gli portò in dote 120 m ila s c u d i e lo rese p a
dre di 11 figliuoli : otto maschi e sei fem m ine.
Il 7 febbraio del 1625 ebbe il tito lo d ’illu s t r is s im o da F e r d i
nando II per -sé e i suoi discendenti.
Ferdinando : nel 1590 fu tenuto a battesim o da F e r d in a n d o I de Medici, Granduca di Toscana.
Si fece ordinare sacerdote e fu C avaliere d e ll’o r d in e d i M a lta.
Morì il 28 febbraio 1635 e venne sepolto nel c o r o d e lla d is tr u tta chiesa di San Pietro, presso il ricco ciborio in m a r m o da lu i fa tto scolpire con grande spesa (14).
Altri figli furono:
Francesco, n. 1584 + 1616.
Odoardo, n. 1585 + 1612.
Cesare, n. 1587 + 16....
Alessandro, n. 1594 + 1639.
Delle femmine una morì in fa sc e ; l ’altra . V it t o r ia (n . a F errara nel 1588 + a Massa il 10 ottobre 1635} andò in s p o sa a l C o n te E r cole Pepoli di Bologna che il principe A lfonso D ’E s t e fe c e a ssas- sinare a Ferrara- nel dicembre del 1617.
Marfisa esalò l ’ultimo respiro il 16 A gosto 1608 _e v en n e sep o lta in Ferrara nella chiesa di S. Maria della C o n so la zio n e.
Sulla sua tomba fu posta un’epigrafe aleatoria e i l C a r d in a le A l
derano Cjbo, al tempo della sua legazione in F e r r a r a la fe c e s o s t i
tuire dalla seguente:
D. O. M. — D . D .
Marphisae E sten si Cjbo — qua e — ex aureo D u c u m F e r r a n e s t e rriate edita gemma — quam a m aioribus a u sera t lu c e m a u s i t m o rib u s
(u ) Matteoni, Guida alle Chiese di Massa Lunese. M a s s a Carrara, Tip. Ca-
gliari, 1880, pag. 38.
D I « M A R F I S A D ’E S T E C JB O » E D I U N A SU A G ITA A V EN EZIA 7
— foem in a in g e n ii viribus exim iis praestans viris — eque — aucto
r ita t i n a ta co n g e n ita p ie ta ti — heroina — in ter vwos degens hos m ira n te s c o n s t i t u i t — & vivis decedens mentes d estitu it — lapidem e x u lta n t,i n u n c m a tri doloris — primogenitus filius — Car olus M assae P r in c e p s —
p.
m. — Anno M DG XIII.Che D on n a M arfisa non lasciasse proprio quella cattiva fama che a ltri le h a v o lu to attribuire lo si arguisce anche da quanto a di lei p rop osito s c r is s e i l Canonico M. A. Guarini (15).
( 15) Marco An t o n i o Gu a r i n i, Diario di tutte le cose accadute in Ferrara etc.
Vol. II, p a g . 291. M anoscritto n ella Biblioteca Estense di Modena.
Nota A) L a m a g g io r parte delle notizie del presente scritto sono state at
tin te p re sso il R. A rch. di Stato di A puania Massa, Archivio Ducale, Sala G.
Vedi : C a rte g g io d i Alberico Cjbo, b u sta 229; Carteggio di Perseo Cattaneo, b u sta 305; C o p ia le tte re di Alberico I Cjbo M., registro n. 274; Notizie sto
rich e e g e n e a lo g ic h e della fam ig lia Cjbo, Sec. XIV-XVIII.
Nota B) L e tte r a d i Cesare P alm a ad Alberico Cjbo:
Ill.m o e t ecc.m o Signor m io oss.mo,
R a g io n a n d o a lc u n e sere in palazzo di S. A. di F errara di Venezia et delle sue v a g h e e t r a r e q u a lità in presenza della signora Duchessa Eleonora et d ella S ig n o r a D o n n a Marfisa essendovi anco il Marchese godendo sì bella c o n v e rsa tio n e fu p re g a to d alla S ign ora sua consorte che gli dovesse conce
dere q u esto fa v o re d i m en arla in detta città il giorno della Ascensione ove sì p e r il poco c a m m in o come anche p er la gran comodità di barche per il Po si sa re b b e c o n g ra n piacere andato; et così astretto il Signor Marchese d a lla S ig n o r a p r e d e tta in presenza di u n a tal Duchessa gli concesse et pro
m isse m e n a r la n o n solo a Venezia m a anco dove altro luogo havesse saputo n o m in are.
A Ili 9 di m a g g io si partirono d a F errara detti Signori con cento et tre boche f r a g e n tilh u o m in i et servitori d ’a ltra qualità; quando si partirono fu il lu n e d ì do p o d e s in a r e accom pagnati da molti cavalieri ferraresi princi
pali et in p a r ti c u la r e il Signor Don Alfonso D’Este et Don Cesare suo figliolo stre ttissim i p a r e n t i d e l’un et de l’altro fin al Po in luogo lontan di Ferrara q u atro m ig lia d o v e li burchi di S. A. aspettavano et così si imbarcorno et la p rim a s e r a s ’a n d ò ad alloggiare in un luogo lontan venti miglia da Fer
r a r a c h ia m a to C re sp in o del Conte Alfonso Turcho il qual conte si fè trovare in detto lu o g o co n u n apparecchio g rand e et con tan ti suoni et balli che con la q u a n tità d i D a m e di d etta S igno ra et i gentiluomini si fè festa grandissima.
Le D am e d i dette. S ignora erano otto et i gentiluom ini di tavola sei et al
tri d ’a ltr a ta v o la v e n tu n o senza altri servitori bassi i quali ascendevano alla som a d i c e n to e t tre .
La m a ttin a d e l m a rte d ì a otto hore si partim o per Venetia et tutto il dì in g iu o ch i e t c a n ti d en tro di d etta b a rc a senza sm ontare in terra s’andò via di longo. A 23 h o r e e mezzo del predetto giorno si gionse in Venetia, è ben vero che p r im a c h e si giùngesse a sei m iglia dentro della città il Signor F ran
cesco P a lla v ic in o il quale era and ato da prim a perchè la barcha gli dava troppo n o ia v e n n e a d in co n trarci con quatro gondole di gentilhuomini geno
vesi q u a li ci a c c o m p a g n o rn o fin in C analgrande in casa del Signor Duca Se
re n issim o d i F e r r a r a il quale ci h av ev a già prestato il suo palazzo et così in c o g n ita m e n te s te tte ro detti S ignori fin alla mattina.
V enendo p o i l a m a ttin a il signor Perseo Cattaneo gentilhuomo del Sign.
8 A D O L F O C A L E O
(( Partì da questa vita Donna M arfisa D ’E ste C jbo co n d isp ia cere di tutta la città, della quale n ’era gran p ro tettrice e t a v o c a ta , ta n to che s'avrebbe potuto con giusto tito lo chiam ar M a d re d e lla P a tr ia ,
Principe uscendo fu o ra a vedere alcun i suoi am ici et p a r t i t o s i d e s tra m e n te diede nova del arivo di detti Signori p er il che si v id e s u b ito l a c a s a di detti signori visitata da otto o dieci g e n tilh u o m in i v e n e tia n i d i m o lta Qua
lità, fra i quali'vi era il Signor F rancesco Moro, il S ig n o r P a o l o L ip o m a n i, il Signor Andrea Trono, il Signor L eonardo Z ani, il s ig n o r A n d r e a et P ie tro Querini, il Signor Alvis delli Angeli i q u ali p e r o rd in a rio d a l p rim o fin a l ultimo cortegiorno sempre tanto di se ra com e di m a ttin o e t a lc u n e v o lte re stavano a desinare et anco a cena con detto Signore.
Si stette insoma nove giorni in d e tta stu p e n d a città i q u a l i f u m o sem p re dispensati di andar vedendo diversam ente le m a ra v ig lio se c o s e c h e v i e ra n o .
Il primo dì si cominciò ad andare vedendo la ch iesa d i S. M a rc o c o sa a s s a i di importanza sì per la chiesa come a n c o in quel dì si v id e il D uce S e re n is simo con tutto il Senato star al vespero d ella solenne g i o r n a t a d e lla A sce n sa dentro di detta Chiesa e detti signori hebbero luogo d iffe re n te d a t u t t i l ’a ltri gentilhuomini et gentildonne o rdinarie il quale fu u n a l o g g i a a p r e s o u n o dei duoi organi di dove si vedeva assai com o dam en te et a n c o c o n p iù r e p u ta tione all’espedir di detto vespre si vede q ui nel a ita r m a g g io r e u n m o n d o di reliquie et anco u n a g ran parte del teso ro ove an c o vi in c lu d e u n a c a ra f ìn a con molte goccie di sangue di N.S. lesu C hristo.
Usciti di chiesa s’andò vedendo et c a m in a n d o un p e z z o p e r l a fie ra la quale infinita et di diversità di robbe et di gente e ra a s s a i p ie n a . Il g io rn o del venerdì poi s’andò a vedere le sale de la rm e rie che s o n o d i s o p r a d e n tro il palazzo di S. Marco dove con m o lta co rte sia di q u ei s i g n o r i D e p u ta ti ci
fu mostrato ogni cosa. -
L’altra giornata venendo fu d isp en sata in u n festino d o v e v i fu r ilo c e n to quaranta gentildonne et si baiò con d e tta S ig n o ra la q u a le d a t u t t i q u e i s i
gnori Venetiani fu giudicata la più b e lla et sen za artifìcio i l c h e fu co n g r a n dissimo gusto indifferentem ente da tu tti visto.
S’andò poi il giorno appresso che credo fusse la D o m e n ic a a m e s s a in San Marco e il signor Perseo andò di so p ra a fa r in te n d e r e a S u a S e re n ità che senza im portunarlo s’havesse possu to v isita re che il S ig n o r M arch ese desiderava andarci et così ottenendosi venero g iù doi C la r is s im i d e lli s a v i de dieci che fu il signor Trepoli (Tiepolo) et un a ltro s ig n o r C o n ta r m i a ric e vere il signor Marchese e condurlo su fin d a S. A. il q u a l e a s p e tta v a con 20 o 25 clarissimi in un salotto assiso p on tificalm ente e s u b ito in e n t r a r d e tto signor Marchese di poi fa tta la sua re v e re n tia il Duce S e r.m o s ’a lz ò e t la- braciò da luna e laltra parte del viso e così subito lo fe c e s e d e r e a p re s o la sua persona in m an iera che precedeva a tu tti li a ltri S e n a t o r i e c o n fa c ia molto allegra il fè coprire e discorsero insiem e u n g r a n p e z z o d a n d o g li ra - guaglio del suo viaggio per Venetia e come p a r tic u la rm e n te d e s id e r a v a es
servi per godere così gran favore d a S u a S ig n o ria et d a t u t t i q u e i a l t r i S i
gnori clarissimi, e così stettero in ra g io n a m e n ti u n q u a r to d h o r a e fo rsi duoi il che finito il detto signor M archese p rese licen z a e se n e t o r n a r n o a casa acompagnati fin alla porta di palazzo d a p iù di q u a t t r o o c in q u e g e n tilhuomini principali e poi a casa con la s u a c o n p a g n ia o r d i n a r i a c h e e ra n o più di trenta gentilhuom ini di qualità e con sei g o n d o le s i t o r n ò a c a s a a desinare.
Il giorno il detto signor Marchese an dò in u n a c a m e ra d i S e c r e t a r i a e si volse far conoscere per gentilhuom o v en etiano com ’in e ffe tto è e co si si
D I « M A R F I S A D ’E S T E C JB O » E D I U N A SUA G ITA A V EN EZIA 9
poiché sicom o ella, era rimasta sola reliqua della nobilissima Casa E stense in d e tta città, si poteva anche dire che in lei si fussero ri
dotte tu tte le nobilissim e maniere, la magnificenza e grandezza e
trovò in q u in te rn o d ella nobiltà e giurò con doi testimoni degni di fede lui esser Don A ld e ra n o Cjbo Marchese di C arrara e figliolo di Alberico Cjbo, e di Ia se b e tta D e lla Rovere Prìncipe di Massa, talché quando si andò la do
m enica su b ito d i p o i desinare in Consiglio vi andò anco il detto Signore e quando e n trò in P allazzo fu ricevuto nel modo predetto da duoi gentilhuo
m ini c la ris s im i e t m enato su con g ran quantità di gentilhuomini et entrò in C onsiglio co n l a sp ad a alato cosa che non tutti i Principi sogliono otte
nere e b alo ttò a n c o S. E. come gli «altri e diede il suo voto e finito il Consi
glio a 22 h o re s ’a n d ò in u n a festa a ballare.
L’a ltr a g io r n a ta poi la S ignora Donna Marfisa fu visitata da otto o dieci g en tild o n n e v e n e tia n e principale e fu m enata in gondola a spasso per il C anal g ra n d e dove p er la curiosità di veder i forastieri et anco per esservi inesser G iulio d a Im ola can tante perfetissim o con un leuto in mano cantò tan to ben e che si tir a v a appresso più di cento gondole.
Così si p a s sò t u t ta la giornata.
Il dì a p re ss o s ’a n d ò poi a vedere il stupendo arsenale di Venetia con tutti i suoi a p p a re c c h i e sale de arm erie e guidati dai predetti gentilhuomini ci fu m o stra to c o sa p e r cosa tutto quanto v’era et Sua Serenità se fè trovare in u n a s a la una, co llatio n e assai delicata di cose dolce et Malvesia di Candia.
S ’an d ò v e d e n d o tu tto non vi restò cosa da vedere per secreta che fusse sta ta vista.
Se g li m o strò a n c o un altro dì il tesoro di S. Marco e si vide il dì della Ascensa in g a l e r a tu tto quell’atto che fece il Duce Serenissimo in Bucintoro con tu tti i s ig n o ri Cl«arissimi.
E vide a n c o la c a s a m eravigliosa di Monsignor Rev.mo P atriarca Grimani dove si vid e u n apparecchio di statue e de delicature esquisite, vi si vidde anco u n fu rto d i G anim ede d a Giove in statua di marmo, cosa meravigliosa.
E si vide u n lib ro di c a rta bergam ina di mille e cento carte di menia- tu ra s u p e rb a in q u a rto foglio de tu tta la vita della gloriosa vergine e. del Signore N ostro Ie s u Christo fa tta p er m ano de huom ini ra ri nella pitura con suoi co lo ri c h e q u a s i che le figure m ostravano di parlare.
S ’an d ò a n c o v edendo un m ondo di cose particulari et de giardini deli
cati se m p re in c o m p a g n ia di gentildonne e gentilhuom ini venetiani.
Si p a r tì p o i u n giorno l’ottava della Ascensa e si andò in barca cinque m ig lia e s m o n ta n d o in te rr a ferm a si trovorno cinque carozze delle quali u n a e r a d el S ig n o r Pio Enea degli Obizi generale di Colaseralle e luogo te
nuto d a lla m ilitia d ella S ignoria di Venetia in Padoa, il quale aveva m an
dato a ric e v e re d e tti Signori per alloggiarli in Padoa duoi o tre giorni come fè e così a n d a m o in carozza a P ado a dove il detto signore ci alloggiò prin
cip alm en te e la s ig n o ra Leonora M artinenga sua consorte fece 'fare un fe
stino ad i n s ta n z a d i detti signori et finito il festino si andò giù in bellissimo g ia rd in o d o v e s ’h e b b e u n a collatione assai suontuosa, e poi fatta la colla
tione si u sc ì f u o r a del giardino dove si videro alcuni gentilhuomini maneg
g ia r c a v a lli a s s a i g arb atam en te fra quali ci fu un gentilhuomo che fè andar un ca v allo le a r d o a s sa i bene.
Il d ì a p p r e s s o si vide il Santo e la chiesa di S. Giustina con assai et belli et in f e n iti c o rp i santi; si andò poi il dì seguente via alla volta di Fer
r a r a et il d e tto s ig n o r Pio Enea diede anco da desinare la m attina nei Ca- taio luogo su o s e tte m iglia lontano d a P adoa dove ci andamo per barca et lì
A D O L F O C A L E O
sopratutto quella naturai inclinazione ed a m o rev o lezza v erso d ella città che fu sempre proprio dei suoi Serenissim i P r o g e n it o r i, poscia che tutti aiutava e favoriva, fusse pur di che q u a lità e g ra d o si v o lesse che ella alla sua protettione si raccom andasse ».
Ad o l f o Caleo
si vide un stupendo pailazzo fatto so p ra u n a te r r a di d e tto S ig n o r e co n d i
versi giardini et pitture vaghe.
La sera si andò a Rovigo dove si trov ò u n vescovo d i m o l ta q u a l i t à gen- tilhuomo ferrarese il quale ci alloggiò a ssa i co m o d am e n te e t i l d i a p p re s s o poi si andò in F e rra ra ove essendo questo p e r altro p e r n o n p iù in f a s ti
dirla facendoli riverenza fò fine. i1).
In Ferrara alli 20 di Maggio 1580.
di V. E. S e r v ito r e o b b lig a tis s im o
MARCO A N TO NIO PA LM A
t1) R. Arch. di Stato di Massa Ap. « C opialettere di A lb e ric o I » (1579-1583).
FIBRE DI 0 A MUTO
E CERIMONIALE SECENTESCO
( C ontin . e fine) XIII.
Il m a ttin o seguente il corriere potè essere inviato con due lettere per i S er.m i S ign ori. Una del Fereto e del D ’Oria informava come il G aufrido a v e s s e poi comunicato al Cancelliere di aver parlato del
la su p p lica d e lla Contrattazione con il Duca, il quale aveva risposto che il G overn atore, in seguito alla rimozione del Console e Consi
gliere, si era proposto di assistere alla Fiera perchè non accadessero d isordini ; ch e se però ciò non era di gradimento dei Trattanti, « es
sendo v en u ti liberam ente potevano con Pistessa libertà anelarsene a finir la fiera a ltro v e ». Al che il Cancelliere aveva replicato atten
dersi g li o r d in i d ella Repubblica, ma che appunto riteneva già de
ciso il tr a sferim e n to della Contrattazione in altro luogo. E i due G entilu om in i conferm avano per proprio conto come effettivamente fosse orm ai im p ossib ile concludere la Fiera a Piacenza ; essi atten
devano ad o g n i modo ordini al riguardo, « massime che — aggiun
gevano — son o in questi T rattanti va-rj pareri, però tutti dovranno senza r ep lic a quietarsi, et prontamente ». Parole ohe attestano la dipendenza a s so lu ta .delle Fiere dal Governo genovese, il quale sem
pre affermava, energicam ente la sua padronanza su di esse.
L ’a ltr a le tte r a era di Gio. Domenico Castello che, come Cancel
liere, era te n u to per dovere del suo ufficio a riferire al Senato. Egli ripeteva il co n ten u to del suo colloquio col Gaufrido aggiungendo che, sebbene qualcheduno dei Trattanti avesse avanzato la propo sta di la s c ia r e se n z ’altro Piacenza, si era ritenuto obbligo di atten
dere prim a le disposizioni di Loro Signorie Ser.me. Faceva inoltre presente che, scadendo in quel dì (9 maggio) l ’ottavo e ultimo giorno regolam en tare d elle Fiere, era necessario che il Senato concedesse una proroga per quel tempo che ritenesse opportuno.
La d u ra ta norm ale delle Fiere era infatti di otto giorni, come già si d isse, ed i tem pi per esse fissati erano di regola improrogabili.
Secondo il p rim o dei Capitoli approvati nel 1595, solo con il con
corso di tr e q u a rti dei T rattanti, ossia di coloro che avevano auto
rità di « m ettere il conto » in Fiera, si poteva chiedere al Senato
1 2 O N O R A TO P À S T I N E
una proroga ai lavori. E se nel 1632 ven iva d elib e ra to c h e, m en tre le Fiere si tenevano nel Dominio d ella R epubblica, p o te s s e r o esse prolungarsi, senza previo consenso del Senato, per d u e g io r n i, nel 1635 si restringeva tale facoltà ad un giorno soltanto* e p e r c ir c o s ta n ze eccezionali ben determinate. E sclu sivam en te a l S e n a t o era p oi riservato il diritto di concedere proroghe u lteriori.
Il Castello osservava inoltre n e lla sua le tte ra c h e o c c o r r e v a a n che confermare per il luogo dove si sarebbe tr a s fe r ita la F ie r a la validità delle procure (45) già riconosciute per P ia c e n z a .
Quanto alla nuova località da d esign arsi, questa s i sa r e b b e d o v u ta trovare nel territorio della Repubblica, perchè, data, la r is tr e tte z z a del tempo, non sarebbe stato possibile chiedere ed o t t e n e r e d a a ltr o Stato il privilegio di esercitare guirisdizione e rogare g l i a t t i d a p a rte del Cancelliere. Certo Novi era il luogo più in d ic a to ; p erò in v ita v a a, considerare se non fosse stato opportuno sceg liere S e s t r i P o n e n te , dovè i Signori Genovesi con i forestieri avrebbero p o t u t o ad a g io stabilire la sede definitiva delle F iere per F avven ire. S u g g e r iv a a n cora di rinnovare l ’elezione dei M .ci F ereto e D ’O r ia a C o n so le e Consigliere.
Da ultimo informava che i S ign ori M ilanesi t r a t t a n t i in F ie r a avevano qualche preoccupazione per il trasp orto d i v e n t im ila scu d i in contanti che recavano seco, e per quanto non v i f o s s e v ero p e r i
colo, dato che il viaggio dovevano com pierlo t u t t i in s ie m e , i due Gentiluomini del Magistrato l ’avevano in ca ricato di p r e g a r e i S e r .m i Signori, affinchè volessero dare le necessarie d is p o s iz io n i a l G o v er
natore di Novi per l'invio al contine di un certo n u m e r o d i s o ld a ti còrsi che servissero loro di scorta.
I Collegi il 10 maggio deliberavano subito una p r o r o g a d i c in que giorni per condurre a termine la F iera , la q u a le d o v e v a im m e diatamente trasferirsi a N ovi; concedevano in oltre q u a n to era s ta to richiesto per le procure e la scorta di Còrsi ; non r ite n e v a n o in v ec e necessario di rinnovare l ’elezione del M agistrato, d a l m o m e n to che già con altro decreto ne avevano co n ferito l ’a u to r ità a lla C o n tr a t
tazione stessa, autorità che era conferm ata per N o v i.
Ordinavano infine di far sapere ai Signori F io r e n tin i p a r te c ip a n ti alla- Fiera, che, volendo essi passare per Genova, sa reb b e s t a t a m essa a loro disposizione una galera per essere tra sp o rta ti a V ia r e g g io o dove meglio gradissero.
(45) « Le procure, che si fanno per li Negozj delle Fiere, a l c u n e s o n o à scuo- dere con limitazione, o senza quitar, e p ro te sta re , «altre a n c o r a a d a r B ila n c i.
Altre a spender il nome. Altre a p igliar a cam bio so m m a l i m i t a t a , e f a r n e la dichiarazione negli atti del Cancelliere d ella F ie ra d a chi si è p r e s o il d a n a r o . Altre danno facoltà di dare o non d a r B ilancio, e fa r t r a p a s s a r i n a l t r i le Partite, conforme comoda al P rocu ratore ». (Peri, IV, 39-40).
F I E R E D I CAM BIO ECC. 1 3
XIV.
Il t u t t o fu esegu ito secondo le decisioni del Senato genovese, ed ebbe in t a l m odo termine la piccola questione di cerimoniale fra la R epubblica e il D uca, questione che ebbe tuttavia la non lieve con
seguenza, d e ll’abbandono definitivo della Piazza d.i Piacenza per parte d elle F ie r e « di Besanzone ». Le quali continuarono ancora ad essere c o s ì chiam ate, sebbene d’ora in avanti si usasse per esse freq u en tem en te la denominazione di « Fiere di Nove », da quella che rim ase per lu n g h i anni la loro sede pressoché costante.
E a N o v i e s s e ebbero ancora momenti di grande attività e flo
ridezza per la r g o movimento d’affari e concorso di numerosi banchieri.
In to r n o a l 1647 il Peri poteva ancora domandarsi : « Non è sti
m ata q u esta (Genova) fra tu tte la pià ricca d’oro e d’argento? Se regn a n ti v o g lin o proveder a ’ loro bisogni, fondar monti, concluder a sse n ti, fa r q u a l si voglia provigioni de Danari non se ne fanno i
tr a tta ti in G enova, o con Genovesi?» (46).
Siam o a l tem p o dell’accennata polemica con il Merenda, la quale rien trava n e lle vivaci e secolari discussioni sulla legittimità dei cam bi ; m a n o n s i vedeva ora la ragione per cui « tutta la borrasca.
(*16) Op. cit., II, 79. Si riassum ono alcuni dati relativi ai due secoli presi in esam e. N e lla m a s s a delle gabelle e dei diritti passati con il 1539 alla ge
stio n e del B an co d i S Giorgio e d a questo concessi sistematicamente in ap
palto, r i e n t r a a n c h e Yintroitus cambiorum (detto sino a lla fine del cinque
ce n to : « in tr o itu s u su ra ru m et cam biorum »). La tassa del mezzo oer cento co lp iv a c itta d in i e forestieri, non compresi dapprim a i catalani, per i cambi o m u tu i c o n t r a tta ti o p agati in Genova. Dati statistici al riguardo furono rac
colti d a Ra f f a e l e Di Tu c c i {Le imposte nel commercio genovese durante la gestione del B a n c o di S. Giorgio, in « Giorn. St. lett. della Lig. », 1929, IV, 1930, I-IV) p e r i p e rio d i dal 1567 al 1586, dal 1597 al 1607 e per gli a. 1665, 1666.
T enuto c o n to c h e eran o esclusi d a lla tassazione gli asientos, specie di titoli del d eb ito p u b b lic o spagnuolo, m a soggetti a negoziazione come lettere di cam
bio; e che i d a ti in parola si riferiscono all’importo dell’appalto, il quale do
vev a la s c ia re u n adeg u ato m argine di utile per spese, rischi, quota-parte di ta s s a s p e tta n te a l Banco (« m asseria duganae »), le cifre riportate danno una id e a so lta n to r e la tiv a dell’ingente valore delle contrattazioni stipulate nella città. Al 1567 l ’a p p a lto della gabella sui cambi è di lire 36109; fra il 1597 e il 1600 esso ra g g iu n g e il punto più alto con lire 121229, essendo superato — su 47 voci — s o lta n to dai carati del mare e diritti incorp. (441008), Riva grossa (170718 m a s s .), v i n o (138160), grani (125203 mass.). Uno sbalzo sensibile si re
g is tra f r a il 1586 (lire 49242) e il 1597 (1. 121229); ma già nel 1590 si afferma che l a g a b e lla d e i cam bi « g u ad a g n a grosso » (H. Sie v e k in g, Siitdio sulle fi
n a n ze g e n o v e s i n e l Medio Evo, in « Atti Soc. Lig. S . P. », XXXV, 1906). Mentre poi nel 1607 l ’a p p a lto è an co ra di lire 113506, nel 1665 — periodo già di deca
d e n z a — è sce so a lire 3600.
Il m a n c a to p a g a m e n to degli asientos nel 1575 si ripercuote invece sull’ap
p alto d e lV i n t r o it u s censerie negli an n i 1577, 1578, in cui è ridotto a metà circa del g e ttito c o n s u e to , per rieq u ilib rarsi nel 1679, l’anno del trasferimento delle F iere a P ia c e n z a .
F in d a l ’300 l ’a p p a lta to re avea p ure diritto di aprire la posta privata.
1 4 O N O R A TO P A S T I N E
d’alcuni scrittori » venisse « scaricata sopra le iìere d i N o v e , il f r u t to de quali è il più tenue, il più in certo, e forse il p iù g iu s t o d elle altre forme che rendono frutto » (47). T ale in te r e ss e o s c illa v a in fatti, in mezzo a rischi continui, fra il 4 e il 5 % ; m e n tr e a llo r a in altre parti erano riconosciuti legalm ente fr u tti ben s u p e r io r i. C osì quelli dei pubblici depositi in Germ ania (dal 6 a ll’8 % ), in F r a n c ia e Spagna· (8 %), e quelli dei cambi del Regno di N a p o li (d a l 10 a l 12 %) e in Sicilia (12 % e più).
Legittima era la mercanzia — lo scudo di m arche — d e i c o n tr a tti stipulati nelle Fiere di cambio, e le funzioni di q u e s te era n o u tili e necessarie all’economia generale. In verità gli s te s s i a t t a c c h i m ossi contro le nostre Fiere sono sicuro in d ice del loro fe c o n d o v igore.
Esse cambiavano allora per le P iazze di Genova, M ila n o , F ir e n z e , Venezia, Roma, N apoli, Palermo, M essina, Lucca, B o lo g n a , B e r g a mo, Lecce, Bari, Ancona, Siviglia, V alenza, A n v e r sa , B a r c e llo n a , Saragozza, Amsterdam, Norimberga·, V ienna, A u g u s t a , C o lo n ia , Amburgo, Londra, Parigi, Sangallo, e per le F ie r e d i M ed in a del Campo, Lione, Francoforte, Bolzano.
Intorno al 1651 i frutti delle F iere di N ovi era n o ridotti* in m e
dia all’l % ; ma questa « Dieta in trod otta per g io v a r e e fa c ilit a r e il commercio di tu tto l’Universo » era sem pre fio ren te, d a n d o ad e s sa ordini « le piazze più famose d’Europa, come a p p a r e d a lla lista delle piazze che cambiano con le fiere di Nove » (48), ch e era n o a n cora presso a poco quelle stesse sopra cita te.
XV.
Si può pensare che i Farnesi e più d irettam en te i lo r o s u d d iti piacentini, che, come vedemmo, avevano fa tto a lt r e v o lt e « p o n ti d’oro » ai banchieri e mercanti genovesi e delle a lt r e c i t t à , n o n f o s sero per nulla lieti di aver perduto un così co sp icu o m e r c a to del denaro. Abbiamo, è vero, udito parole altezzose d a p a r t e d el D u ca Odoardo; tuttavia il suo tem peram ento e il suo o r g o g lio , p er cu i egli anteponeva· il proprio punto anche a ll’interesse p e r s o n a le e d e llo Stato, come ci a ttesta la politica troppo spesso a v v e n ta ta d a lu i s e guita, ci spiegano a sufficienza il suo atteggiam en to q u a s i sp r e z z a n te .
Ma sotto il successore Ranuccio I I , essendo m in is tr o il m a rch ese Pietro Giorgio Lampugnani dopo la tragica fine d e l l ’o n n ip o te n te Gaufrido, caduto vittima della sp in osa questione d i C a s tr o e d e l
l ’odio pontificio, si pensò certamente ancora alle v e c c h ie F ie r e di cambio di Piacenza.
Nel 1651 del loro auspicato ristab ilim en to nella c i t t à p a d a n a si (47) Otj cit IT 90
(“ ) lbid., IH (i frutti di Albaro), 112.
F I E R E D I CAM BIO ECC. 1 5
occupava in G en ova un agente del Farnese, mentre era intento alla tra tta zio n e d i a ltr e questioni con la Repubblica (19), sulle quali lo stesso L a m p u g n a n i scriveva, proprio a quel Lazzaro Maria D ’Oria, che tro v a m m o C onsigliere della Fiera nel 1641 a Piacenza. Detto A gen te, B a r to lo m e o Cassinelli, riferendosi alla pratica della tentata m ed iazion e fr a Genova e Venezia, aggiungeva al marchese Lampu
gnani : « L ’in te r e ss e delle fere, come detto a V. S. Ill.ma resta già a g g iu sta to in questo negozio, s ’anderà poi adosso all’altro parti
colare, et o ltr e a l splendor che n ’acquisterà S. A. le conseguenze a suo fa vo re son b elle, con un caos d ’emergenti » (7 gennaio).
A lc u n i m e si p iù tardi (6 maggio) per sollecitale e concludere le diverse p r a tic h e che andavano languendo, il Cassinelli suggeriva l ’in vio di u n a le tte r a al Doge di Genova da parte del Segretario del Farn ese, in c u i, per quanto riguardava la questione delle Fiere, si in form asse ch e erano in corso trattative per riunirle di nuovo in P ia cen za ; ch e la, nazione veneziana «con molto gusto» vi concor
reva; e ch e S u a Altezza avrebbe veduto molto volentieri un tale effetto, « q u a n d o se ne soddisfacessero Sue Signorie Ser.me; et alla n ation G en o v ese sarian concessi tu tti quelli privilegi et honori che godeva p er il p a ssa to ». Se pertanto la cosa fosse di gradimento del G overno gen ovese, si dava ordine al Cassinelli di presentare le n ecessarie is ta n z e a chi di dovere (so). Come si vede, si parlava an
cora d eg li « a n t ic h i onori » : segno che anche il famigerato problema d ell’onore « d el cappello » era ormai cosa superata nellai mente ducale (51).
C om unque i l ten ta tiv o a nulla approdò e i banchieri liguri non uscirono p er le loro contrattazioni dal territorio della Repubblica.
XVI.
Ma. non ta rd a ro n o a segnalarsi sintomi di decadenza. Il Peri in
fa tti verso il 1665, parlando delle « nostre fiere di Bisenzone che (49) O. Pa s t i n e, U na questione della politica italiana del seicento in Rivi- sta S torica I t a l i a n a , 1939, I.
(50) A r c h iv io d i Stato in Parma, Carteggio farnesiano, Genova, busta 9 (51) U n co lp o d i m an o contro le Fiere di Novi tentò più tardi, còme narra il Be n a s s i (o p . cit., pp. 68-70), lo stesso Ranuccio II, quando, dopo più de
cenni d ’in te r r u z io n e , credette di poter approfittare dello scompiglio deter
m in ato in G e n o v a d a l recente e terrib ile bombardamento subito da parte d ella flo tta d i L u ig i XIV (1684) per fa r risorgere le Fiere di Piacenza (1685), in d u cen d o p u re i M ilanesi a non inviare più a Novi il proprio consigliere!
Ma a n c h e q u e sto te n ta tiv o falisce completamente e si esaurisce pochi anni dopo (1692.) co n lo scioglim ento della stessa società di affari a cui parteci
p a v a il F a rn e s e .
Q uesta b re v e r ip r e s a delle Fiere piacentine non h a però nulla a che ve
dere con 1 is titu z io n e della Repubblica, che continuò, se non a prosperare alm eno a v iv e re , spin g en d o la p ro p ria attività nel pieno settecento^
1 6 O N O R A TO P À S T I N E
hora si celebrano a Nove », lam entava il d irad arsi d e lle c a s e di n e
gozio per i numerosi fallim enti (s2) e la « fred d ezza d e lla n eg o zia zione », riconoscendone la causa principale, più c h e n e lle guerre rovinose, nella mancanza del credito per colpa di c h i p o s se d e v a g la n di capitali lasciandoli inoperosi. 'Un tem po — s c r iv e v a — « g u a d a gnava chi fidava il suo Danaro; guadagnava, con la p r o p r ia in d u str ia quello al quale era fidato, e l ’uno e l’altro si lo c u p le ta v a ·: H o r a a ninno si fida, ed il Danaro si va consum ando ; ne p o s s o n o a sp e tta r si solo ruine, alle quali è necessario riparare, e per il p r iv a to , e per il pubblico bene ; Ogn’uno lia da pensarvi, e p a r tic o la r m e n te que 1, ch’anno le sostanze, e desiderano di conservarle ». ^
E le rovine non erano portate da m ancanza d i s o s t a n z e b en sì di credito. Molti, anche ricchi, « p er aver gli effetti s p a r s i , e non p o tergli restringere nel breve term ine, che passa d a u n a n era a ll a l
tra », mancando loro il credito, erano co stretti « a fa r p u n to ».
Egli, il Peri, aveva sempre difeso e lodato le F ie r e ed 1 « ani >1
e gli scudi di marche, ma ora aggiungeva che s e le co se
continuate « sotto le forme p resen ti », sarebbe s t a t o _ c o s tr e tto a «m utar registro», non già perchè potesse v a r i a r e o p in io n e su quanto era di assoluta giustizia, m a « p e r d e te s ta r la s tir a te z z a
presente del n egoziare»; della qual cosa a v r e b b e a n z i v o u o « s’impiegassero le penne de’ T eo lo g i» , come di c iò c ìe riusciva. 1
detrimento a tu tti, non senza colpa dei resp on sab ili, c a d e n d o qum il fatto anche sotto la sanzione m orale.
Per vero la navigazione con il Levante avrebbe c o s t it u it o una più sana forma di profitto, ma ad essa non si a t t e n d e v a ch e coai scarso entusiasmo ; i Governi forestieri ricorrevano sem p re e fr e quentemente al capitale genovese per i loro b is o g n i; m a e i a ques ormai un impiego poco redditizio e non troppo s ic u r o . O n d e U 1 t u consigliava di non « seppellir più danari n e’ S t a t i d e 1 ren ce p i fo rastieri, che non corrispondono, e t a prezzi b a s siss im i, co m e ' a r guendo, contentandosi di farli girare sopra le F ie r e ch e g li a rro c
cheranno utile maggiore, et il danaro per li b iso g n i, ch e p o sso n o sue-
cedere, sarâ, sempre pronto » (5**). .
Peraltro, non ostante questi lam enti, è da n o t a r s i ch e proprio in quell’istesso tempo Genova si sforzava di s c u o te r s i e d i tro v a re nuove fonti di vita: così nel 1665 si riusciva a r ia c c e n d e r e i traffici
con l ’Oriente ottomano. ,
Le Fiere di cambio liguri continuarono poi a s v o lg e r e a n co ra un’attività secolare, sia pure attraverso le a ltern e v ic e n d e p o litic h e della Repubblica e l ’affievolirsi d ella sua p o te n z ia lità eco n o m ic a .
~ ((«) Molti fallim enti si ebbero pure al p rincip io del 1668 P e r le f o r t i per- dite subite da mercanti genovesi nel 1667 a c a u sa delle Piraterie d e i c o r s a r i (De Mailly, Histoire de la République de Genes, P a ris, 174-^j.
(53) p ERI, op. cit., IV, Prefaz. e pp. 19-20.
F I E R E D I CAM BIO E C C .
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A lu n g o e s s e rimasero a N ovi; ma n e l 1708, dopo una sosta a
« e s tr i L ev a n te, furono fissate dal Senato a S. Margherita, (love du
rarono fino a lla seconda metà del secolo. E non deve stupire se non vennero add irittu ra: stabilite in Genova, quando >si ricordi che la C hiesa v ie ta v a le cambiali che non fossero emesse per u n 1u o<>o di
verso da q u ello dove risiedeva l ’emittente.
La v it a lit à d i queste Fiere era sempre relativamente notevole e tu ttora c o s titu iv a n o esse un centro ed una forza attiva, per l ’econo
m ia s ta ta le , sebbene una supplica del 1711, con la solita esagera
zione di t u t t i i documenti del genere, affermi che la negoziazione fosse « r id o tta orm ai nella miseria più estrema » (54).
Q uando n el 1722 si presentò la necessità di riattare le strade acciocché ch i d ovea a quelle presiedere potesse nel giorno precisò rag giu n gere p er terra — in caso vi fosse stato impedimento per via di m are — il lu o g o della Fiera, il Magistrato di questa, sollecitando i lavori, r ile v a v a che la mancata puntualità nell’apertura della ne
g oziazion e a vreb b e cagionato ritardo e confusione « e per conse
guenza n o ta b il pregiudizio al commercio publico » (55).
A g g iu n g erem o infine che neppure le discussioni sul diritto cre
d itizio e b a n ca rio erano cessate. Esse si agitarono nella seconda me
ta del se ic e n to , divenendo vivaci in Germania durante la. crisi in
tern a seguita· a lla pace di V estfalia, e continuarono ancora nel se colo X V I I I .
In I ta lia sc r itto r i vari, teologi, moralisti, la Sacra Rota cardi
n ali e v esco v i n ei loro ed itti sinodali vi parteciparono attivamente.
Ma la q u e stio n e si era andata meglio definendo e fissando se
condo u n a d is tin z io n e precisa fra cambi legittimi e cambi illegittimi o p a llia ti. N el .1750 un teologo anonimo, da più parti sollecitato pubblicava a R o m a un libretto su ll’argoménto (5e), co] quale ren deva a lto o m a g g io a Papa, Benedetto XIV, che aveva promulgato di recente u n a n u o v a e severa bolla sulla spinosa questione Questo scritto , di c a r a tte r e generale e teorico, in cui troviamo soltanto un
(54) Cit. d a A. F erretto , I banchi di cambio a S; Margherita Ligure in II Mare, n. 271, 1913: breve articolo con notizie fram m entarie e non semn.e esatte. Q u a n to a ll accennato dubbio sullo stabilimento dei banchi di cambio a P isa, n o n si t r a t t a di un proposito del Senato genovese, ma piuttosto del tim ore che c o là in ten d essero riu n irsi i Trattanti toscani, che convenivano di solito n e lle F ie re lig u ri.
(55) A . R. Sc a r s e l l a, Annali di S. Margherita Ligure, I, 207.
C om unque — rip e tia m o — la decisa decadenza di questo’ istituto risale alla seconda m e ta d el sec. XVII. Galeazzo Gualdo Priorato (Relatione della Città di Genova e s u o D o m in io , ( olonia, De la Place, 1668), mentre per le Fiere di Novi (e p e rc iò d o p o il 162-1) p a rla di un giro di denaro fino a 20 milioni di scudi, lo d ice p o i rid o tto verso il 1668 ad appena 4 milioni.
(56) Il c a m b io m o d e r n o esaminato nel foro della coscienza. Onera di un teo logo a m a n t e d el disinganno. Roma, 1750.
1 8 O N O R A T O P À S T I N E
accenno concreto — e presentato con m olto rig u a r d o a d un caso sottoposto dalla Repubblica di Genova a lla C o n g r e g a z i o n e n o m i n a t a da Urbano V i l i nel 1626, d istin g u e appunto n e t t a m e n t e 1 cam bi leciti e reali che nelle Fiere avevano il loro corso n o r m a le , e 1 ca m bi secchi o mutui sim ulati ed usurai, nonché i co sì d e t t i « o b liq u i », fittizi essi stessi, come quelli allora in v a lsi e c o n d a n n a t i sen z a ltro da scrittori e autorità ecclesiastiche. Ecco come il n o s tr o ig n o t o te o logo riassume la questione : « Il cam bio è tìnto, e s e c c o , q u a n d o c ι riceve il danaro a cambio per la ta l fiera, o per le t a l p ia z z e d i C am bio, esibisce, e Consegna lettere di cam bio d ir e tte a q u a lch e fiera, o piazza, le quali poi o non si m andano a ’ lu o g h i s t a b i lit i , oppure se si mandano, non hanno effetto, non hanno e s e c u z io n e ; e com e dunque non sarà molto più secco, e m olto più tìn to u n ( a m b io , m cui nè si fanno lettere di Cambio, nè si m andano a lle b e r e , e piazze di cambio, ma unicamente si presenta u n ’Apoca· [c a r t a a p p u n to in quel tempo frequentemente in uso] che finge u n a p r o m e s s a d i f a r
cambiare nelle fiere, e nelle piazze la somma ricev u ta p er m e z z o d un pubblico banchiere, alla quale, come si sa, in ni un lu o g o , m nin n a piazza, e da niun Banchiere si darà m ai esecuzione.'' ».
Evidentemente con sim ili rilievi non si voleva a f f a t t o co n d a n n a re l ’attività propria e legale delle F iere d i cam bio. A l c o n t r a r io si v e
niva con ciò implicitamente a riconoscere l ’u t ili t à d e lle lo ro fu n zioni; le quali, decadute e scom parse le Fiere s t e s s e , v e r r a n n o a s sunte da altri più perfetti is titu ti (57)·
O n o r a t o Pa s t i n e
(” ) Si veda, ad esempio, la qu estio n e d ella d e riv a z io n e d a lle F ie re di cambio delle attuali Clearing houses secondo la d o ttr in a d e l M acleo d, riamente valutata.
SPU N TI DI LEGISLAZIONE IGIENICO SANITARIA NEGLI STATUTI GENOVESI
D EI PADRI DEL COMUNE
C o ll’in s ta u r a r s i dall’autonomia popolare, in seguito alla caduta del d om in io fe u d a le creato dalla dominazione carolingia, si perviene in G enova a lla costituzione delle Compagne, associazioni di citta
dini re tte in m u tu a assistenza co ll’intento di difendersi dai soprusi e d a lle v e s s a z io n i del nemico.
T a li C o m p a g n e ? che sorsero capitanate da Consoli, nei vari quar
tieri c itta d in i, tiorirono numerose e godettero di perfetta autonomia ùno al 1217 a n n o in cui si giunse alla elezione del Podestà, cui se
guirono i C a p ita n i del Popolo (1257), poi i Dogi a vita (1339, e final
m ente, d opo la. riform a di Andrea Doria del 1528, i Dogi biennali clie g iu n sero fino al 1797.
L ’a m m in istra zio n e era in un primo tempo tenuta dai Consoli del
le C o m p a g n e p o i, colla creazione di una vera gerarchia preposta al governo d e lla Repubblica, sorse la necessità di formare, per ogni branca, d e ll’am m inistrazione, un apposito ufficio ossia Magistrato che p ro vved esse d i competenza (*).
T a le è a p p u n to l ’origine dei vari Magistrati: quello dei Padri del C om une, originariam ente dei Salvatores Portus et moduli so- p ra in ten d ev a d ’ordinario alla sorveglianza del porto, alla manuten
zione e r e sta u r i d e ll’acquedotto cittadino e delle cisterne, delle stra
de, si in c a r ic a v a di tutelare le Corporazioni d’arti e mestieri della c ittà e c o n tr o lla v a le proprietà della Repubblica sparse in tutto il d om in io (2).
S o tto m o lti p u n ti di vista, gran parte dell’attività di questo Ma
g is tr a to aveva, stretta attinenza con l’igiene e la polizia e ben a ragione s i p u ò pensare che, col M agistrato di Sanità, esso sia stato l ’a n te n a to d e g li a ttu a li uffici comunali d’igiene. Dapprima due, poi
(!) P e r q u a n to si riferisce alle trasform azioni avvenute nella compagine am
m in is tra tiv a d e l governo della Repubblica di Genova, si veda quanto espone il Pa l l a v i c i n o n e lla Descrizione di Getwva c del Genoves.ato; si consulti inol
t r e : Do n a v e r, S to ì'ia della Repubblica di Genova, ed A. Bo sca ssi, Il Magi
strato dei P a d r i del Cornuti# Conservatori del porto e dei moli.
( 2) V . B o s c a s s i , op. cit.