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So quel che tu provi e non solo: studio pilota di social cognition e mci disesecutivo

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Academic year: 2021

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Indice Abstract

Capitolo Uno Ricostruzione storica del Concetto di Social Cognition 1.1 Psicopatologia Interpretativa

1.1.1 Lettura Psicoanalitica 1.1.2 Lettura Comportamentista 1.2 Psicopatologia Descrittiva

1.3 Verso una Prospettiva Neuropsicologica Capitolo Due La Cognizione Sociale

2.1 Teoria della Mente

2.1.1 Posizioni Teoriche riguardo la Teoria della Mente 2.1.2 Precursori della Teoria della Mente

2.1.3 Attenzione Condivisa 2.1.4 Imitazione

2.1.5 Gioco di Finzione

2.1.6 Correlati Neuroanatomici della Teoria della Mente 2.1.7 Scoperta dei Neuroni Specchio

2.1.8 Basi Neurochimiche della Teoria della Mente 2.1.9 Strumenti di Valutazione della Teoria della Mente 2.1.10 Teoria della Mente e Disturbi Neuropatologici 2.1.11 Demenza di Alzheimer

2.1.12 Demenza Fronto-Temporale con Variante

Comportamentale

2.1.13 Demenza Semantica

2.1.14 Sclerosi Laterale Amiotrofica 2.1.15 Malattia di Parkinson

2.1.16 Malattia di Huntington 2.2 Emozioni

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2.2.2. Teorie Fisiologiche delle Emozioni 2.2.3 Aspetti Socio-Cognitivi delle Emozioni 2.2.4 Teorie dell’Interruzione

2.2.5 Teorie della Corrispondenza 2.2.6 Teorie degli Esiti

2.2.7 Teorie della Gestione degli Obiettivi 2.2.8 Altre Teorie Contemporanee

2.2.9 Teorie dell’Appraisal 2.2.10 Teorie Evoluzioniste

2.2.11 Teorie del Marcatore Somatico 2.2.12 Basi Neurali delle Emozioni 2.2.13 Amigdala

2.2.14 Corteccia dell’Insula Anteriore 2.2.15 Corteccia Orbito Frontale 2.2.16 Corteccia del Cingolo Anteriore

2.2.17 Corteccia Prefrontale Dorsolaterale, Corteccia

Prefrontale Ventromediale, Lobo Temporale Mediale e Corteccia Retrospinale/Corteccia del Cingolo Posteriore

2.3 Comportamenti Adeguati e Violazione di Regole

2.3.1 Basi Neuroanatomiche dell’Appropriatezza dei

Comportamenti Sociali

2.4 Regole Sociali e Morali

2.4.1 Sviluppo della Morale in Età Adulta 2.4.2 Disimpegno Morale in Età Adulta 2.4.3 De-Umanizzazione

2.4.4 Il Censore

2.4.5 Dove è nel Cervello la Morale?

2.4.6 Cervelletto: Nuovo Nodo per la Cognizione Sociale? Capitolo Tre: Mild Cognitive Impairment (MCI)

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3.1 Invecchiamento

3.2 Declino delle Funzioni Cognitive 3.3 Declino della Memoria

3.4 Teoria della Mente nell’Anziano 3.5 Mild Cognitive Impairment

3.6 Correlazione tra Funzioni Cognitive e Teorie della Mente nella

Patologia Neurodegenerativa

3.7 Mild Cognitive Impairment e Social Cognition 3.8 Verso Nuove Prospettive Future

Parte Sperimentale

Introduzione Metodi

Partecipanti Strumenti

Brief Cognitive Status Exam (BCSE) Batteria di Intelligenza Sociale Reading the Mind in the Eyes Risultati Dati Descrittivi Dati Inferenziali Discussione Conclusioni Limiti Appendice Bibliografia Ringraziamenti

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Abstract

L’invecchiamento comporta una condizione di mutamenti che conducono il soggetto ad un aumentato rischio di malattia e di morte. La vita media delle persone negli anni è in aumento e comporta, di conseguenza, una maggiore probabilità di rischio di patologie neurodegenerative: le demenze. La condizione di demenza è caratterizzata dalla perdita di abilità che sono state apprese nel tempo. Il DSM-V schematizza i domini chiave che risultano essere compromessi nelle patologie dementigene. Oltre alle abilità cognitive più famose (attenzione, funzioni esecutive, memoria, linguaggio, abilità percettivo-motorie) viene riportata anche la Social Cognition (APA, 2014). La capacità di mentalizzazione, il riconoscimento delle emozioni e la scelta del comportamento corretto in un certo contesto risultano essere compromesse nel demente comportando delle difficoltà nella capacità di relazionarsi con l’altro. Dagli anni ‘80 è stata osservata da numerosi clinici una condizione precedente allo stato dementigeno definita Mild Cognitive Impairment, che risulta essere un descrittore del decadimento cognitivo a cui un anziano può andare incontro. Il lavoro vuole ipotizzare come soggetti con diagnosi di Mild Cognitive Impairment (MCI) con compromissione delle funzioni esecutive (EF) fredde, possano presentare un indebolimento delle EF calde. Come sostengono Metcalfe e Mischel (1999) il cool cognitive system e l’hot emotional system risultano interagenti fra di loro. Ai soggetti diagnosticati MCI disesecutivi, infatti, durante l’esame neuropsicologico sono valutate le EF fredde che permettono di stimare la pianificazione, la memoria di lavoro, la flessibilità cognitiva e il controllo inibitorio. Le EF calde risultano essere meno investigate ai fini diagnostici.

La domanda che il lavoro si pone è la seguente: vi è una differenza tra i soggetti MCI disesecutivi e i soggetti di controllo a livello delle abilità di Cognizione Sociale? E se si quali sono gli aspetti screziati?

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CAPITOLO UNO: RICOSTRUZIONE STORICA DEL CONCETTO SOCIAL COGNITION

“Un uccello chiuso in gabbia sa perfettamente che c’è qualcosa per cui egli è adatto sa benissimo che c’è qualcosa da fare, ma che non può fare; che cosa è? Non se lo ricorda bene, ha delle idee vaghe e dice a se stesso: ‹Gli altri fanno il nido e i loro piccoli e allevano la covata› e batte la testa contro le sbarre della gabbia. E la gabbia rimane chiusa e lui è pazzo di dolore.”

(V. Van Gogh, 2013)

L’uomo è un “animale sociale”, che fin dalla nascita, interagisce con chi e cosa lo circonda attraverso relazioni di diversa natura: familiare, lavorativa, amicale… Grazie a queste reti sociali gli uomini cooperano, si scambiano informazioni, acquisiscono nuove competenze osservando ed imitando gli altri (M. Adenzato e I. Enrici, 2006). Questa vita di gruppo è possibile perché gli uomini, sotto la spinta delle pressioni ambientali, hanno sviluppato abilità specifiche basate sulla comprensione degli stati mentali e sull’adozione di comportamenti socialmente accettati. Questi schemi comportamentali possono essere elicitati da stimoli verbali e non. Sono gli stimoli sociali, come le espressioni facciali, la postura, la prosodia, i gesti della mano o la direzione dello sguardo, che gli permettono di ottenere delle informazioni sugli stati mentali altrui. Secondo l’ipotesi del cervello sociale di Dunbar, l’ambiente permette la formazione e lo sviluppo di meccanismi neurocognitivi selezionati per svolgere i compiti citati (M. Adenzato e I. Enrici, 2006).

Le abilità specifiche di cui prima, appartenenti alla Cognizione Sociale, sono state d’interesse filosofico per poi passare ad un ambito naturalistico e psicologico con i primi studi di Gall. Tra il XVIII e il XIX secolo, il famoso frenologo si propone di studiare le abilità della mente e i rapporti tra il cervello e la forma del cranio. Per lo studioso le abilità intellettuali e, anche, quelle morali risultano essere innate. Le abilità dell’individuo dipendono dalla morfologia del cervello: il cranio è la sua impronta. Infatti, l’encefalo modella la conformazione del cranio rendendo possibile la valutazione delle inclinazioni e delle facoltà del soggetto (D. Verardi, 2010).

Nel corso degli anni e dei secoli, l’ambito della Social Cognition è diventato oggetto di interesse del settore sanitario. Alcuni disturbi dello sviluppo, parte di quelli psichiatrici e di quelli neurodegenerativi o i danni acuti cerebrali, compromettono il funzionamento delle capacità sociali rendendo

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l’essere umano poco adattabile alla società in cui vive. Tali disturbi mentali e le patologie ad esse connesse, sono studiate dalla psicopatologia. Sims e Oyebode (2010) suggeriscono che tale materia di studio possa essere d’impronta (Fig.1.1):

● interpretativa: permette di illustrare un comportamento patologico e non, basandosi su un corpo teorico (ad esempio la lettura psicoanalitica, la lettura comportamentista);

● descrittiva: si basa sulla descrizione e sulla categorizzazione delle esperienze patologiche “così come sono riferite dal paziente e osservate nel suo comportamento” (A. Sims e F. Oyebode, 2008, pag.4)

Fig. 1.1 Le Psicopatologie. Immagine tratta dal libro di Sims e Oyerbode dal titolo Introduzione alla Psicopatologia descrittiva

1.1 Psicopatologia Interpretativa 1.1.1 Lettura Psicoanalitica

Seppure l’uomo nel corso del tempo, si è evoluto diventando moderno, possiamo ritrovare in esso, nella società in cui vive e nei suoi usi e costumi, tracce appartenenti all’uomo primitivo (S. Freud, 1913). La società umana ha dovuto fin da subito arginare gli eccessi emotivi tramite l’utilizzo di regole. Freud riflette sull’origine della coscienza morale e del senso di colpa che sono presenti in una società. Il tabù è un comandamento della coscienza morale e “la sua violazione fa sorgere un tremendo senso di colpa che tanto è ovvio, quanto ignota è la sua origine” (S. Freud, 1913, pp. 75). L’aborigeno, come l’ossessivo, rispetta i divieti che gli impone la società e per entrambi la loro origine risulta essere misteriosa.

Freud riporta che le popolazioni aborigene dell’Australia, le più vicine alle popolazioni primitive e civilmente arretrate, evitano scrupolosamente i

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rapporti sessuali incestuosi (S. Freud, 1913). Questi rapporti sono evitati anche nelle civiltà più evolute. Come è possibile? Tutto questo avviene grazie al totem, prima forma di religione. Gli individui delle tribù aborigene con gli stessi simboli non possono contrarre matrimonio fra loro pena la vita. Il totem si trasforma nel fondamento di tutti gli obblighi sociali e delle restrizioni morali della tribù (S. Freud, 1913). Violare l’obbligo del totem, permette sì l’espressione libera delle proprie pulsioni, ma queste devono essere governate. Nell’uomo ciò avviene grazie alla mediazione dell’Io e del Super-Io.

Il Super-Io, istanza psichica appartenente all’Io, deriva dall’interiorizzazione delle forze inibenti del mondo esterno; infatti, prosegue le funzioni dei genitori senza modificarle (S. Freud, 1938a; S. Freud, 1938b) avendo così un ruolo nel processo di rinuncia o di soddisfacimento pulsionale, nel controllo e nella modifica degli istinti antisociali derivanti dall’Es (A. Lis, S. Stella e G. C. Zavattini, 2008). Terminato il Complesso di Edipo, l’istanza dell’Io prima di soddisfare una pulsione, dovrà tenere in considerazione quanto riferisce il Super-Io (S. Freud, 1938a).

1.1.2 Lettura Comportamentista

Negli anni la lettura psicoanalitica è stata criticata da una concezione che comincia a diffondersi dalla prima metà del Novecento. Con le parole di Salter del 1952 il comportamentismo vuole “cercare la verità delle affermazioni attraverso il ricorso a gruppi numerosi di persone, differenziandosi in questo dalla verbosità, che è la via metafisica seguita da Freud” (A. Galeazzi, B. Bauer e P. Mazzini, 2004, pp.21). Questa lettura ha portato prove e metodi scientifici delle proprie ipotesi. Partendo dal mondo dei riflessi condizionati di Pavlov si è giunti con Watson a definire fondamentale l’importanza dell’ambiente e dell’apprendimento a discapito della mente che non può essere compresa. La mente è una black box come sostiene Watson. Il malato, secondo questa visione, è colui che ha appreso dei comportamenti che vengono criticati dai mores della società.

Il comportamento deviante (e di stigmatizzazione) è qualcosa di appreso, ma che dipende dalle norme sociali di un certo ambiente. Ecco che patologie come le fobie cominciano ad essere spiegate e descritte in altro modo. La nevrosi non è più legata ad un conflitto intrapsichico non risolto e dall’attivazione di meccanismi di difesa come lo spostamento, la conversione e l’isolamento (A. Lis, S. Stella e G. C. Zavattini, 2008). La patologia fobica viene, invece, spiegata con la teoria bifattoriale di Mowrer che descrive il processo di genesi e di mantenimento delle paure, delle fobie e delle ossessioni e poggia su due concetti cari al comportamentismo (A. Galeazzi, B. Bauer e P. Mazzini, 2004):

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1. Condizionamento Classico: tipo di apprendimento in cui uno stimolo neutro finisce per causare una risposta dopo che è stato abbinato a uno stimolo che causa normalmente quella risposta (R. S. Fedelman, 2008). Nel caso delle fobie si produce uno stato d’ansia di fronte a situazioni non ansiogene. Questo meccanismo è centrale per lo sviluppo della coscienza. L’adozione di un certo comportamento viene spiegato con la teoria della punizione di Eysenck (1964) e Trasler (1978). Di fronte a un comportamento che reca danno agli altri, il rimorso risulta essere dettato da un processo di Condizionamento Classico dove la violazione di regole determina una conseguenza punitiva che causa uno stato di ansia (R.J.R. Blair, 1995);

2. Condizionamento Operante: forma di apprendimento in cui una risposta volontaria viene rinforzata o indebolita a seconda che le sue conseguenze siano favorevoli o sfavorevoli (R. S. Fedelman, 2008). In questo caso la risposta di evitamento, di fronte allo stimolo ansiogeno, funge da rinforzo negativo e si ripresenta ogni qualvolta vi sia lo stimolo condizionato.

1.2 Psicopatologica Descrittiva

La psicopatologia descrittiva consente di definire quadri sindromici e di analizzare gli stessi fenomeni indipendentemente dal quadro morboso del quale fanno parte. Tutto ciò è stato possibile, all’inizio del XX secolo, grazie ad autori come Gruhle, Minkowki e Jaspers (P. Sarteschi e C. Maggini, 1989). Infatti la psicopatologia descrittiva non si limita solo a raccontare il comportamento dell’individuo tramite aspetti oggettivi (l’osservazione accurata e la descrizione dei comportamenti) ma anche utilizzando aspetti di natura soggettiva (la fenomenologia) (A. Sims e F. Oyebode, 2008). Infatti essa implica lo sforzo di immedesimazione, intuizione e di partecipazione alle esperienze dell’altro per comprendere i suoi accadimenti psichici e per capire quali siano i suoi vissuti (P. Sarteschi e C. Maggini, 1989; A. Ales Bello, 2010).

1.3 Verso una Prospettiva Neuropsicologica

Ancora prima di una psicopatologia cognitiva, diversi autori si sono interessati allo studio del comportamento dell’individuo cercando di spiegarlo. Tale interesse deriva dalla filosofia ed è passata alla psicologia solamente dall’inizio del XX secolo.

Con il passare degli anni il comportamento normale e deviante è stato spiegato o secondo una visione fideistica della teoria di riferimento o secondo lavori di ricerca anatomo-funzionali. Questi ultimi si focalizzano principalmente su due argomenti (A. Bianchi e al, 2015):

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1. l’analogia tra la fenomenica dei quadri psicopatologici e le espressioni comportamentali di alcune cerebrolesioni;

2. le concomitanze tra l’attività cerebrale e le prestazioni rilevate per mezzo di tecniche di esplorazione funzionale del cervello e della neuroimmaging.

Grazie proprio a queste metodiche di esplorazione funzionale si è visto come regioni cerebrali presenti a livello frontale e prefrontale giocano un ruolo importante per la spiegazione delle vecchie patologie nevrotiche e psicotiche. Di fronte a ciò si è passati dalla valutazione della circonferenza della teca cranica alla valutazione del metabolismo di una certa area cerebrale. Queste ricerche, che hanno trovato nel funzionamento frontale la causa dell’alterazione comportamentale e non, peccano di “una pecca concettuale, che possiamo sintetizzare nei termini di riduzionismo ingenuo” (A. Bianchi, 2015 pp. 251). Questo costrutto metodologico, infatti, stabilisce la presenza di un rapporto unico e diretto tra il comportamento e l’attività cerebrale di una certa area implicando una conseguenza “logica” opinabile. Attraverso questa lettura il comportamento deviante deriva dalla sola lesione delle aree frontali. Si potrebbe perciò ipotizzare che dallo studio della circonferenza della teca cranica si è passati allo studio del metabolismo di una certa regione, ovvero ad una frenologia high-tech (D. Salottolo, 2011). A questo filone di ricerca, che è stato fondamentale per la comprensione di una certa patologia a livello localizzatorio dell’encefalo, si è affiancato il filone cognitivo (A. Bianchi e al., 2015). Questa collaborazione ha permesso di poter aggiungere un certo grado di complessità nel lavoro del ricercatore e del clinico. Le ricerche cognitive, così, sono riuscite a portare un punto di vista importante spiegando la disfunzione a livello comportamentale usando il concetto di Cognizione Sociale, che contiene al proprio interno il famoso costrutto della Teoria della Mente. La Social Cognitive Neuroscience (SCN) negli ultimi anni è in continuo sviluppo sotto ogni aspetto.

Di fronte al costrutto multifattoriale della Cognizione Sociale Lieberman (2012) descrive come storicamente gli autori europei si sono interessati maggiormente alla lettura della mente, all’empatia o ai neuroni specchio. Il filone americano ha posto la propria attenzione sui processi comportamentali, di regolazione emotiva e di self-knowledge. Comunque aspetti come la mentalizzazione e i neuroni specchio, seppur secondari, sono stati ugualmente studiati tramite ricerche di risonanza magnetica funzionale (fMRI).

Dai vari lavori emerge come nelle scelte del comportamento corretto da attuare, centrale è il ruolo delle emozioni. Processi di decision-making e di valutazione delle opportunità di agire conducono al coinvolgimento delle

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funzioni esecutive calde rispetto alle funzioni esecutive fredde1. Antonio

Damasio con la sua teoria dei markers somatici2, sostiene che il cervello

dell’essere umano ha la capacità di imparare da marcatori e l’individuo si comporta agendo di conseguenza. Le emozioni sono, quindi, abilità che permettono di informare il soggetto e di poterlo guidare verso la risoluzione di un compito. Definizione questa data da Goleman (2010) all’Intelligenza Emotiva.

1 Tale distinzione è stata effettuata da Metcalfe e Mischel (1999). Le funzioni fredde

sono conosciute come funzioni cognitive, mentre le funzioni calde sono postulate come funzioni emozionali.

2 Con la teoria dei markers somatici l’autore fa riferimento a una serie di reazioni

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CAPITOLO DUE: LA COGNIZIONE SOCIALE

La storia della Social Cognitive Neuroscience (SCN) potrebbe essere rintracciata nel caso di Phineas Cage o nella pubblicazione di Floyd Allport, Social Psychology (1924). Questi iniziali studi sono stati seguiti da altre pubblicazioni con l’avvento delle tecniche di neuroimmaging. Lieberman (2012) fissa nel 1985 la data moderna di avvio della SCN, con l’uscita dell’opera The Social Brain di Michael Gazzaniga. L’autore si concentra sulla differenziazione dei due emisferi ed effettua il primo grande tentativo per spiegare il fenomeno delle conoscenze e delle abilità sociali ed emotive (D. Lieberman, 2012). La Cognizione Sociale è definita come “un dominio cognitivo che comprende l’insieme delle conoscenze e delle abilità di tipo sociale ed emozionale che maturano nel corso dello sviluppo e che consentono ad un individuo di mantenere un comportamento socialmente adeguato in vari contesti” (M. Prior e al., 2003, pp 9). E’ una funzione adattativa che gli consente di essere flessibile al contesto, permettendogli di poter conoscere e interagire con il mondo sociale (D. Gil e al., 2012); include le operazioni mentali che sono fondamentali per le interazioni sociali, compresa l’abilità tipicamente umana di comprendere le intenzioni e le disposizioni degli altri. Si può, così, sostenere come in tale costrutto sia coinvolto quello meno recente della Teoria della Mente, definito da Premarck (1978). Una compromissione della Cognizione Sociale si presenta nei soggetti con disturbi del comportamento3. Le descrizioni di numerosi pazienti con queste

difficoltà come Phineas Cage, Joe A, JP, KM, DT e EVR hanno suscitato l’interesse di molti clinici.

Dopo la pubblicazione di Gazzaniga è stato elaborato un numero modesto di studi di ricerca sulla SCN, limitato a pochi laboratori interessati ai pazienti sopra menzionati. Tra questi si può citare il lavoro di Perrett e colleghi (1989) che scoprono nei primati dei neuroni, presenti nel Solco Temporale Superiore, che rispondono a movimenti biologici come la direzione dello sguardo. Contemporaneamente Brothers (1990) per primo descrive l’esistenza di un circuito cerebrale predisposto alla Cognizione Sociale. Lui identifica tre grandi aree cerebrali:

● Amigdala, coinvolta nel processo di riconoscimento emotivo, nell’elaborazione di altre informazioni emotive e nella risposta agli stimoli sociali.

● Solco Temporale Superiore, coinvolto nella percezione di volti appartenenti alla stessa specie, in particolare l’espressione facciale e la direzione dello sguardo. Questi sono importanti cues sociali.

3 Soggetti con sociopatia acquisita presentano alterazione del comportamento sociale,

difficoltà nella capacità di pianificazione, di giudizio e di decision-making a seguito di una lesione della regione ventromediana del lobo frontale.

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● Corteccia Orbito Frontale, permette la modulazione dei comportamenti durante le interazioni sociali.

Dopo queste ricerche, le pubblicazioni, seppur numericamente poco rilevanti, risultano di notevole importanza scientifica. Dunbar (1992), con la teoria del cervello sociale, sostiene come gli uomini hanno sviluppato un cervello più grande rispetto a quello degli altri animali, per svolgere compiti più complessi e per vivere insieme. L’importanza di un cervello sociale, conduce Metcalfe e Mischel (1999) a descrivere e a proporre un modello costituito da due sistemi interagenti fra loro: cool cognitive system e hot emotional system. Il sistema cognitivo freddo è definito come apparato contemplativo, flessibile, integrato, connesso alle conoscenze episodiche e spazio-temporali e alle conoscenze emotivamente neutrali. Sono coinvolte in questo sistema le numerose funzioni esecutive che permettono di raggiungere un determinato obiettivo. Il sistema cognitivo caldo è coinvolto nei processi emotivi e viene definito come il sistema di azione o emotional go system (J. Metcalfe e W. Mischel, 1999). Questa teorizzazione ha permesso di spiegare la capacità di disciplinare i processi di autoregolazione del comportamento umano permettendo un suo adattamento a livello sociale e cognitivo. Alla fine del XX secolo, la SCN si identifica con la psicologia della salute ovvero lo studio di come i fattori sociali influenzano i sistemi autonomici, neuroendocrini e immunitari (D. Lieberman, 2012). Gli anni 2000, sono un momento cruciale per il concetto della SCN, che si sovrappone al concetto di Cognizione Sociale. Fondamentale risulta essere l’elaborazione del modello di Blair e Cipollotti (2000) che rappresenta la Cognizione Sociale come un costrutto multifattoriale costituito da (M. Prior e al, 2003; A. Bianchi e al, 2015):

● Capacità di processare gli stati mentali altrui detta Teoria della Mente o mentalizzazione.

● Abilità di attribuire specifici stati emotivi a protagonisti di storie o scene emotigene, molto importante in ambito sociale in quanto consente di modulare i comportamenti sulla base delle reazioni emotive che queste suscitano.

● Capacità di giudicare determinati comportamenti come adeguati o come violazioni sociali.

● Capacità di distinzione tra regole sociali (convenzionali) e regole morali, importante per la regolazione del comportamento. Infatti il giudizio convenzionale implica l’adesione a delle norme non universalmente valide, ma relative al contesto e all’autorità.

La Social Cognition, per gli autori, risulta essere quadrifattoriale4. Questo è

supportato dalle conoscenze secondo cui, ad esempio, soggetti con autismo

4 Il modello è stato elaborato per la prima volta per descrivere un soggetto con

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o con psicosi presentano un indebolimento selettivo della Cognizione Sociale (J. Moll e al., 2002).

Di seguito una breve trattazione sulle precitate quattro abilità, che risultano essere connesse fra loro.

2.1 Teoria della Mente

Il termine Teoria della Mente (ToM) si riferisce all’abilità di attribuire stati mentali agli altri e di predire, descrivere e spiegare i comportamenti sulla base degli stati mentali altrui (D.G. Premarck e G. Woodruff, 1978; M. Poletti, I. Enrici e M. Adenzato, 2012). La psicologia dello sviluppo definisce la ToM come la capacità di sapersi mettere nei panni degli altri (put oneself into other’ shoes). Secondo Camaioni, si parla di teoria perché nel ragionare e parlare di sé stessi e degli altri, l’individuo si riferisce a stati mentali come desideri, emozioni, intenzioni e credenze che non si possono osservare direttamente se non tramite i comportamenti (L. Camaioni, 2003; C. S. Chooug e G. A. Doody, 2013) o tramite la simulazione di una particolare credenza, desiderio o intenzione e azione (A.G. Mainieri, 2013). Negli anni l’interesse per questo argomento è aumentato. L’abilità di riconoscere, di manipolare e di comportarsi seguendo informazioni di rilevanza sociale comporta l’elaborazione della percezione dei segnali sociali grazie a sistemi neurali, che collegano tale sensazione alla motivazione, all’emozione e al comportamento adattivo (M. Poletti, I. Enrici e M. Adenzato, 2012). Gli studi di neuroimmaging hanno mostrato l’esistenza di un network neuronale che comprende l’attivazione del solco temporale superiore posteriore (pSTS), della giunzione temporo-parietale (TPJ), del precuneo e della corteccia prefrontale (PFC) che giocano un ruolo nell’assigning agency degli stati mentali (M. Poletti, I. Enrici e M. Adenzato, 2012). Shamay-Tsoory e colleghi (2009) hanno proposto un modello di Theory of Minf costituito da due sistemi separati:

● la cognitive Tom è coinvolta nel processo di inferenza delle credenze e delle intenzioni altrui;

● l’affective ToM è coinvolta nel processo di inferenza delle emozioni. La Theory of Mind risulta essere multidimensionale e le due sottocomponenti coinvolgono due aree cerebrali diverse (Fig. 2.1). Questa teoria si può sovrapporre a quella che Metcalfe e Mischel elaborano nel 1999. La ToM cognitiva equivale e si sovrappone al sistema delle funzioni esecutive fredde; invece, la ToM affettiva si sovrappone al sistema delle funzioni esecutive calde. Tale overlap è possibile a livello delle aree cerebrali coinvolte e a livello funzionale.

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Fig. 2.1 Modello con sistemi cerebrali coinvolti e componenti affettiva e cognitiva della ToM. Tratto dall’articolo di M. Poletti, I. Enrici e M. Adenzato dal titolo Cognitive and

affective Theory of Mind in neurodegenerative diseases: Neuropsychological, neuroanatomical and neurochemical levels

Tramite alcune ricerche e numerosi casi clinici è stato dimostrato che soggetti con lesioni a livello dell’area ventromediale risultano avere delle performance indebolite nella affective ToM (Shamay-Tsoory e al., 2005). Kalbe e colleghi (2010) prevedono il coinvolgimento della corteccia prefrontale, nella sua componente dorsolaterale, per compiti della ToM cognitiva. Gli studi, riguardo il substrato neuronale della cognitive ToM, presentano al contrario minor evidenze.

2.1.1 Posizioni Teoriche riguardo la Teoria della Mente

Sono state identificate tre posizioni teoriche riguardo la relazione fra alcune abilità cognitive dell’infanzia e il successivo sviluppo della Teoria della Mente:

● La Teoria Costruttivista che sottolinea l’importanza del contesto di crescita per la maturazione della capacità di mentalizzazione. Di conseguenza lo sviluppo della ToM è da intendersi come un processo sociale e non intraindividuale. L’individuo è il protagonista nel processo di costruzione del significato del mondo circostante. Questa teoria è sostenuta da una stretta relazione fra l’acquisizione della ToM e la qualità della relazione di attaccamento del bambino con il caregiver primario. La formazione della ToM avviene

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attraverso i feedback provenienti dal mondo sociale e tramite le intuizioni e i tentativi del bimbo;

● La Teoria Modularista che evidenzia la presenza di moduli, geneticamente determinati e non soggetti a modifiche legate all’esperienza. Tali moduli, innati, si attivano secondo tempi e modalità indipendenti dall’esperienza del bambino e dell’adulto. Tra i tanti troviamo anche il modulo della ToM che, secondo questo punto di vista, sarebbe una conquista dell’evoluzione della specie umana. Leslie (1994) ipotizza l’esistenza di tre moduli nel dominio della comprensione sociale:

a. ToBy (Theory of body mechanism) che si attiva a 3-4 mesi e permette di identificare se l’oggetto che si muove è il risultato di forze interne o esterne;

b. ToMM1 (Theory of mind mechanism) che si attiva a 6-8 mesi e consente di identificare le azioni compiute da agenti su oggetti;

c. ToMM2 che codifica le relazioni mentali tra agenti e proposizioni

Altro modello modulare è quello di Baron-Cohen e Swettenham (1996) che evidenzia l’importanza di leggere la direzione dello sguardo come base per comprendere le intenzioni. La regione degli occhi infatti risulta essere centrale per poter comprendere l’espressione emotiva dei volti (B. Bediou e al., 2009). Gli autori postulano l’esistenza di altri tre moduli che si presentano prima della comparsa del modulo della ToM:

1. ID (Intentionality Detector) per rilevare l’intenzionalità;

2. EDD (Eye Director Detector) per rilevare la direzione dello sguardo;

3. SAM (Shared Attention Mechanism) ovvero il meccanismo dell’attenzione condivisa.

Le due teorie condividono l’idea secondo cui il bambino possiederebbe fin dalla nascita tutte le abilità che, grazie al suo percorso di crescita, imparerà a utilizzare;

● La Teoria dell’Imitazione che rimarca il ruolo dell’imitazione nello sviluppo dell’intersoggettività come capacità di rappresentare gli stati mentali altrui. Tale capacità, che risulta essere innata nei neonati e permette loro di poter stabilire una relazione con gli altri, trova conferma nel campo delle neuroscienze con la scoperta dei neuroni specchio di Rizzolati e colleghi (1996).

2.1.2 Precursori della Teoria della Mente

Nei bambini dell’età di due anni sono stati ritrovati i precursori della Teoria della Mente che, come confermano la ricerca e la clinica, sono l’attenzione

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condivisa (S. Baron-Cohen, 1989), l’imitazione facciale (A.N. Meltzoff, 2002) e il gioco di finzione (P.B. Baltes e al., 1980).

2.1.3 Attenzione condivisa

L’attenzione condivisa, o joint attention, è la capacità di condividere con altri l’attenzione su oggetti ed eventi del mondo. La condivisione di un comune focus attentivo è da molti considerata una tappa fondamentale dello sviluppo infantile. Infatti l’attenzione condivisa è il fondamento sociocognitivo delle prime fasi di acquisizione del linguaggio e della comprensione delle intenzioni comunicative, regola l’uso dei gesti utili per la comunicazione (gesti indicativi) e permette l’apprendimento della comprensione delle rappresentazioni mentali degli altri (S. Lecce, E. Cavallini e A. Pagnin, 2010).

Nella relazione tra attenzione condivisa e Theory of Mind è fondamentale distinguere l’indicare richiestivo dall’indicare dichiarativo (pointing). L’indicare richiestivo è caratterizzato dall’ottenere dall’adulto un oggetto o un’azione. Questo tipo di comunicazione risulta essere strumentale in quanto l’intento del bambino è l’oggetto richiesto e l’adulto è il mezzo per raggiungere la propria meta. Un esempio dell’indicare richiestivo è dato dal bambino che punta con l’indice il carillon che ha appena smesso di suonare sollecitando il genitore a rimetterlo in funzione. L’indicare dichiarativo permette di prendere in considerazione gli stati mentali degli altri e risulta essere una modalità di interazione più tardiva. Ad esempio il bambino di dodici mesi può informare un adulto su qualunque tipo di situazione di cui l’adulto stesso non ha consapevolezza. L’indicare dichiarativo risulta essere indebolito nei bimbi con autismo a discapito di quello richiestivo (S. Baron-Cohen, 1991; M. Tomasello e L. Camaioni, 1997)

2.1.4 Imitazione

L’imitazione consiste nella ripetizione di azioni eseguite da altri. Per Piaget è una prima forma di rappresentazione mentale. L’imitazione è la prima modalità che permette ai bambini di relazionare la realtà visibile con i propri stati interni, imparando in tal modo a conoscere le persone e a distinguerle dalle cose (L. Barone, 2016). L’imitazione, nelle sue diverse forme facciale, vocale e motoria, è fondamentale per lo sviluppo sociocognitivo. La capacità di imitazione facciale è precoce ed è uno strumento che permette al piccolo di conoscere gli altri individui attraverso l’imitazione dei loro gesti. A nove mesi è possibile osservare l’imitazione differita che consiste nel riprodurre un certo comportamento qualche tempo dopo averlo recepito. L’imitazione sia di movimenti semplici che di quelli complessi trova nei neuroni specchio il proprio substrato neuronale. L’imitazione è fondamentale per lo sviluppo sociale, per la formazione della Teoria della Mente e per il nascere delle

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relazioni. Una irregolare scarica dei neuroni specchio può determinare deficit nell’imitazione come accade nei bambini autistici (G. Hickok, 2015).

2.1.5 Gioco di finzione

Intorno ai due anni di età si verifica uno straordinario incremento dell’attività simbolica. Il bambino mostra la capacità di comprendere il mondo tramite simboli e comincia a usare l’immaginazione durante l’attività ludica. In queste forme di gioco il bambino mette in mostra straordinarie capacità di mentalizzazione. Il suo far finta si trasforma in una modalità precisa, consapevole e volontaria di agire sulle rappresentazioni mentali. Durante il gioco di finzione l’oggetto impiegato rappresenta qualcosa di differente, ha proprietà diverse da quelle che presenta realmente. Ad esempio per il bambino una penna può trasformarsi in un missile. Il gioco di finzione diventa un modo per creare delle metarappresentazioni, passando da una rappresentazione primaria (la penna) ad una rappresentazione secondaria (la penna viene immaginata e trasformata in un missile). I bambini autistici presentano difficoltà nel gioco di finzione (L. Camaioni, 2003).

2.1.6 Correlati Neuroanatomici della Teoria della Mente

La ricerca ha permesso di identificare i correlati neuroanatomici della ToM. Tali studi sono stati realizzati su soggetti sani e su soggetti con lesioni specifiche tramite strumenti di neuroimmagine. I loro dati e risultati finali hanno permesso di identificare le aree cerebrali che risultano essere irrorate in maniera maggior o in maniera minore di sangue.

I nodes identificati tramite immagini funzionali e strutturali appartenenti alla circuiteria della Teoria della Mente sono: insula, amigdala, giunzione temporoparietale e corteccia frontale mediale.

L’insula è una struttura coinvolta nel dolore vissuto in prima persona e non solo. Si attiva quando il soggetto prova emozioni per sé e quando è empatico nei confronti delle emozioni altrui.

L’amigdala è una struttura importante per la regolazione del comportamento sociale, per il riconoscimento delle espressioni emotive sui volti e per l’elaborazione delle risposte di fronte agli stimoli sociali (L. Brothers, 1990). L’amigdala contribuisce alla percezione sociale e alla comprensione dei contenuti mentali ed emotivi dell’altro. Lesioni bilaterali compromettono la capacità di leggere lo sguardo dell’altro e di utilizzare tale canale nella valutazione delle emozioni del prossimo (R. Adolphs e al. 2005).

La giunzione temporoparietale (TPJ) è coinvolta in compiti specifici della ToM, che richiedono di ragionare sulle intenzioni e sulle credenze degli altri cambiando il proprio punto di vista, in sinergia con l’attivazione della

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corteccia mediale prefrontale. La TPJ è una regione che si colloca approssimativamente dove l’Inferior Parietal Lobule (IPL) si connette con il solco temporale superiore (STS). L’IPL è una delle strutture cerebrali meno comprese e risulta essere maggiormente sviluppata negli uomini rispetto che negli animali e nei primati. Si sviluppa tardivamente nell’essere umano. La IPL/TPJ, termine molto frequente in letteratura, partecipa in numerose funzioni cognitive come l’attenzione, la memoria episodica e la cognizione sociale (K.M, Igelstrom e S.A.M., Graziano, 2017). A livello attentivo la IPL/TPJ è implicata nel riorientamento dell’attenzione guidata da stimoli (stimulus-driven), soprattutto quando lo stimolo risulta essere inaspettato e rilevante per il comportamento attuale. Tale struttura rientra in un network connesso all’attenzione di tipo ventrale che prevede il coinvolgimento del giro frontale inferiore (IFG)5 e dell’insula anteriore come riportato nel

modello di Corbetta e Shulman del 20026. Per quanto riguarda la memoria

episodica si è potuto notare che la IPL/TPJ si attiva maggiormente in situazioni di recollection piuttosto che di familiarity di fronte a stimoli new or old7. Per quanto riguarda la mentalizzazione, la IPL/TPJ si attiva durante

compiti di false-credenze con un’attivazione selettiva a seconda del compito svolto. Infatti i compiti di falsa credenza attivano la giunzione temporoparietale di destra, mentre i compiti di falsa credenza e la presenza di falsi segnali attivano la giunzione temporoparietale di sinistra (S. Lecce, E. Cavallini e A. Pagnin, 2010). Da una meta-analisi riportata da Igelstrom e Graziano (2017) risulta essere presente un’attivazione bilaterale della IPL/TPJ durante compiti di empatia e di humor.

La corteccia prefrontale mediale (mPFC) si attiva quando il soggetto pensa agli stati interni di un’altra persona o propri. Questa è una regione ampia che può essere distinta in tre aree:

● La prima, la più dorsale delle tre, permette l’esecuzione di compiti cognitivi e il monitoraggio dell’azione;

● La seconda, che coincide con la regione orbitale, è connessa alla punizione e alla ricompensa8;

● La terza, che è la parte più anteriore delle tre regioni, si attiva nei compiti sociocognitivi, di mentalizzazione e di metacognizione.

5 L’IFG di destra è coinvolta nelle rappresentazioni delle intenzioni del parlante e

integra le informazioni riguardo le sue attitudini, le sue intenzioni e le sue emozioni. L’IFG di sinistra si lega alla ToM e alla processazione linguistica

6 Secondo Corbetta e Shulman (2002), oltre a un sistema neuronale ventrale, è

presente un sistema neuronale dorsale dove lo stimolo viene selezionato sulla base del tipo di compito (goal-directed)

7 La somministrazione di stimoli Old e New è un paradigma per la valutazione della

memoria episodica.

8 E’ stato osservato come la capacità di auto-regolazione sia centrale per lo sviluppo

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Individui con lesioni a livello della mPFC presentano cambiamenti di personalità e difficoltà nella componente affettiva della ToM con deficit nel riconoscimento emotivo, ma non nel riconoscimento delle credenze (S. Shamay-Tsoory e al., 2009). Damasio ha ipotizzato che le difficoltà comportamentali, a seguito di un danno di questa regione, sono dovute ad un’attivazione deficitaria dei markers somatici (M. Prior e al, 2003; G. Vallar e C. Papagno, 2011).

Sato e colleghi (2016) esplorano i pattern di attivazione del cervello in soggetti asiatici mentre svolgono un compito di Reading the Mind in the Eyes Test (RMET). Gli studi indicano che la corteccia prefrontale dorsomediale (dmPFC) e la giunzione temporale (TPJ) assieme all’amigdala, il giro frontale inferiore (IGF) e il precuneo, sono attivate durante lo svolgimento del compito. Gli autori osservano tramite i dati ottenuti dalla risonanza magnetica (MRI) la presenza di una correlazione tra il punteggio ottenuto nel test degli occhi e il volume di materia grigia nella dmPFC, il lobulo parietale inferiore e il precuneo nell’emisfero di sinistra (Fig.2.2).

Fig.2.2 Regioni del cervello che mostrano un’associazione positiva tra i punteggi ottenuti al Test degli Occhi e il volume di materia grigia. Tratto dall’articolo di Sato e colleghi dal titolo

Structural Neural Substrates of Reading the Mind in the Eyes

I risultati mostrano come i punteggi del Test degli Occhi sono positivamente associati con il volume della materia bianca della dmPFC e del lobulo parietale inferiore dell’emisfero di sinistra. Gli stessi punteggi sono correlati negativamente con il volume di materia bianca del IFG dell’emisfero di sinistra (W. Sato e al., 2016). I risultati confermano la presenza di un circuito vasto nell’abilità di lettura della mente negli occhi (Fig.2.3).

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Fig.2.3 Regioni del cervello che mostrano un’associazione positiva tra i punteggi ottenuti al Test degli Occhi e il volume di materia grigia. Tratto dall’articolo di Sato e colleghi dal titolo Structural Neural Substrates of Reading the Mind in the Eyes

2.1.7 Scoperta dei Neuroni Specchio

Uno studio degli anni ‘90 è divenuto celebre grazie ad un episodio di serendipità. Università di Parma. Giacomo Rizzolati, Luciano Fadiga, Leonardo Fogassi e Vittorio Gallese stanno svolgendo degli studi sui neuroni motori. Cavie dei loro esperimenti sono le scimmie che a seguito di un compito eseguito correttamente vengono ricompensate con delle noccioline americane. Casualmente un ricercatore prende un’arachide e comincia a mangiarla di fronte ad una scimmia ferma e immobile con degli elettrodi posizionati sul capo. Nel momento in cui lo sperimentatore porta alla bocca la nocciolina, si registra un’attività di scarica dei neuroni della scimmia. In questo modo si scoprono dei neuroni della corteccia premotoria che si attivano sia quando il macaco esegue un gesto (portare una nocciolina alla bocca) sia quando vede un soggetto compiere un movimento motorio (portare alla propria bocca un’altra arachide). Queste cellule neuronali sono chiamate neuroni specchio (mirror neurons) e fin da subito suscitano l’interesse di molti neuroscienziati. Tali neuroni sono stati fondamentali nel corso dell’evoluzione della specie umana per l’antenato dell’uomo e per la sua sopravvivenza.

Da studi tramite la tomografia a emissione di positroni (PET) si è potuto osservare che, negli uomini, vi sono aree della corteccia motoria che si attivano durante l’osservazione di gesti della mano: STS, IPL, il giro frontale inferiore (IGF) e l’Area di Broca corrispondenti a regioni cerebrali della scimmia in cui si trovano i neuroni specchio (S. Lecce, E. Cavallini e A. Pagnin, 2010; G. Rizzolati e L. Vozza, 2012). Si è confermata così la presenza di un sistema specchio nell’uomo. I neuroni specchio si attivano

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sia con azioni in presenza dell’oggetto (azioni transitive) sia con azioni senza l’oggetto presente dette simboliche (azioni intransitive). L’attivazione dei neuroni specchio di fronte ad azioni intransitive è presente solamente nell’essere umano ed è indipendente dalla presenza dello stimolo. Risulta fondamentale per una loro scarica che il soggetto comprenda lo scopo dell’azione indipendentemente dal canale con il quale percepisce l’azione stessa. Ad esempio l’attivazione dei mirror neurons si presenta non solo quando compiamo l’azione o la vediamo eseguire da altri, ma anche quando leggiamo le istruzioni per eseguire il gesto o sentiamo parlare di quel movimento.

L’uomo è un animale sociale e la sua sopravvivenza deriva dalla comprensione dei movimenti altrui. La capacità di comprendere le azioni e di imitare i gesti delle altre persone sono due componenti centrali per il comportamento sociale e per il suo apprendimento. Come scrivono Mainieri e colleghi (2013) nei compiti di imitazione di un gesto si attivano aree connesse al sistema dei neuroni specchio come l’IPL, il giro frontale inferiore (IFG), il solco temporale superiore (STS) e la corteccia del cingolo. L’attivazione di questo sistema ha la funzione di estrarre le intenzioni motorie del gesto o di comprendere il significato motorio di un’azione di fronte a chiare intenzioni comunicative del soggetto. Tutto questo permette il processo di mentalizzazione. Il coinvolgimento dell’IPL risulta essere fondamentale, soprattutto, in presenza di gesti con significato emotivo. L’IPL di destra ha la funzione di riconoscere gesti con intenzioni comunicative sociali dalle altre azioni (A.G. Mainieri e al, 2013). La sopravvivenza della specie umana è dipesa anche dalla sua capacità di leggere le emozioni sul volto di coloro che appartengono allo stesso gruppo sociale. Questa capacità di attribuire le emozioni permette di comprendere, generare e regolare i comportamenti sociali (F. Hoche e al, 2016). Tale abilità, detta empatia, è una componente essenziale nel processo sociale. Infatti di fronte a una reazione di sgradevolezza (emozione di imbarazzo o di disgusto) si attivano le stesse regioni cerebrali sia vedendo le espressioni sui volti di altre persone sia provando queste emozioni in prima persona. Il sistema specchio di natura emotiva coinvolge, però anche, altre regioni cerebrali. Ad esempio, di fronte ad una situazione che causa un sentimento di umiliazione si attivano anche le aree connesse al dolore. Esiste, così, un legame fra i mirror neurons e la ToM che trova conferma in tre tipi diverse di evidenze scientifiche (S. Lecce, E. Cavallini e A. Pagnin, 2010):

● Le aree coinvolte nella risoluzione di compiti di Teoria della Mente sono sede dei neuroni specchio;

● Il sistema dei neuroni specchio è coinvolto nella comprensione delle intenzioni e delle azioni altrui;

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● L’attività dei neuroni specchio sembra presentare delle anomalie in popolazioni con deficit nella Teoria della Mente.

Soprattutto l’ultimo punto dagli anni ‘90 è divenuto centrale per spiegare numerose patologie (schizofrenia, balbuzie, autismo9 ...).

2.1.8 Basi Neurochimiche della Teoria della Mente

Soggetti con disfunzioni della ToM presentano delle anormalità neurobiologiche. Per poter spiegare la capacità di mentalizzazione è stata ipotizzata una teoria neuroanatomica neurochimica che sostiene il coinvolgimento della dopamina (DA) e della serotonina (5HT), che costituiscono il sistema dopaminergico-serotoninergico (sistema DS). L’ipotetico ruolo del DS system ha trovato conferma nelle seguenti osservazioni (A. Abu-Akel e S. Shamay-Tsoory, 2011):

● Soggetti autistici e schizofrenici presentano alterazioni del sistema DS con disfunzioni della ToM;

● Il sistema DS innerva la PFC, la TPJ e la ACC regioni coinvolte nella mentalizzazione.

E’ stato, infatti, riferito che individui con Sindrome di Asperger hanno una significativa riduzione dei recettori 5HT-2A bilateralmente a livello frontale e temporale superiore e all’emisfero di sinistra a livello parietale (Murphy e al, 2006). In un gruppo di autistici, Nakamura e colleghi (2010), hanno identificato bassi livelli dei trasportatori della DA e alti livelli dei trasportatori della 5HT nella regione orbito frontale. Il sistema DS integro, invece, comporta un’integrità della capacità di mentalizzazione. E’ stato suggerito un coinvolgimento nelle abilità della ToM di altri neurotrasmettitori come il GABA, l’acetilcolina, il glutammato e di un neurormone come l’ossitocina. Queste teorie rafforzano l’ipotesi di un costrutto psicologico determinato biologicamente.

2.1.9 Strumenti di valutazione della Teoria della Mente

L’elaborazione testistica è precedente a quella teorica di Shamay-Tsoory e colleghi (2009) e ha permesso di sviluppare test sulla componente affettiva e cognitiva della ToM. Gli strumenti per la valutazione sono numerosi e possono essere divisi a seconda del periodo del ciclo di vita del soggetto. Di seguito vengono descritti alcuni strumenti usati nell’ambito clinico e di ricerca per la valutazione della capacità di mentalizzazione:

9 L’autismo è stata la patologia che negli anni è stata spiegata con la teoria dello

specchio rotto. Questa teoria ha influenzato numerosi clinici ed è stata criticata da altrettanti autori (G. Hickok, 2015)

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● Penny Hiding Game. È un compito di produzione di inganno, che consente di valutare la capacità dei bambini di età scolare di manipolare lo stato cognitivo dell’altro creando in lui una falsa credenza. Questo compito è la versione controllata e sperimentale di un gioco tipico di questa fase di vita, che consiste nel nascondere una moneta in una mano e nel chiedere all’altro di indovinare in quale delle due mani essa si trovi. Dopo che lo sperimentatore mostra al bambino come funziona il gioco, sarà quest’ultimo a doverlo riprodurre. Seppure dotato di un punteggio quantitativo che va da 0 a 12, lo sperimentatore deve valutare alcuni aspetti qualitativi ad esempio (S. Baron-Cohen, 1992; C. Hughes, S. Lecce e A. Wilson, 2007):

- la moneta è nascosta dietro la schiena in modo che non sia visibile allo sperimentatore?

- vengono mostrate entrambe le mani allo sperimentatore? ● Produzione del Gioco di Finzione. Il compito consiste nel

presentare al bambino del materiale ludico più o meno realistico e nel valutare se sia in grado di creare un gioco di finzione. Al bambino sono consegnati due oggetti realistici e due meno realistici. Il bambino è valutato in tre condizioni (G. Fein, 1975; T. Charman e S. Baron-Cohen, 1997):

- una in cui ha a disposizione entrambi i giocattoli realistici;

- una seconda in cui ha a disposizione un oggetto realistico e uno meno realistico;

- una terza in cui ha a disposizione due oggetti meno realistici. ● Compiti di falsa credenza. I compiti di falsa credenza possono essere

di primo e di secondo ordine e permettono di valutare la parte cognitiva della ToM. I primi grandi studi sulla ToM sono stati svolti grazie ai compiti di primo ordine. Questo compito può essere riassunto con la frase “Io penso che tu pensi”. La prova Gold Standard dei compiti di falsa credenza di primo ordine è quella di Sally e Andy elaborata da Wimmer e Hartl nel 1991 (Fig. 2.4). Il test recita così (S. Lecce, E. Cavallini e A. Pagnin, 2010 pp.60-61): “Questa è Andy. Andy mette la sua mela nella borsa e poi se ne va. Mentre Andy è fuori Sally tira fuori la mela dalla borsa, la mette nel suo cestino e se ne va fuori a giocare. Ora Andy ritorna poiché vuole un po’ di mela”.

- Domanda di falsa credenza di primo ordine: Andy dove cercherà la sua mela?

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La prova è superata se e solo se il soggetto, in questo caso il bambino, risponde in maniera corretta ad entrambe le domande

Fig. 2.4 Test di Falsa credenza di primo ordine Tratto da M. Barone dal titolo Manuale di Psicologia dello Sviluppo

I compiti di secondo ordine consistono nella valutazione della capacità del soggetto di inferire quello che qualcuno potrebbe pensare sullo stato mentale di un altro soggetto. Questo viene valutato attraverso l’uso di storie e l’uso di domande di falsa credenza di primo e di secondo ordine e domande di controllo. Un esempio (S. Lecce, E. Cavallini e A. Pagnin, 2010, pp.86-87): Oggi è il compleanno di Paolo e la sua mamma ha deciso di fargli una sorpresa e regalargli un pupazzo. La mamma di Paolo ha nascosto il regalo fuori in garage. Paolo dice alla sua mamma: “Spero davvero che tu mi abbia regalato un pupazzo per il mio compleanno”. Ma ricordati che la mamma vuole fare una sorpresa a Paolo. Così invece di dirgli che gli ha comprato un pupazzo gli dice: “Mi dispiace Paolo, non ti ho regalato un pupazzo, ti ho regalato un gioco”.

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- Domanda di falsa credenza di primo ordine Cosa pensa Paolo di ricevere per il suo compleanno?

- Domanda di realtà relativa alla credenza di primo ordine Cosa gli darà la sua mamma per davvero?

Ora Paolo decide di andare in giardino a giocare. Decide di andare in garage a prendere la sua bici, e trova il pupazzo per il suo compleanno! Paolo dice tra sé: “Wow! La mamma non mi ha comprato un gioco, ma mi ha comprato un pupazzo per il mio compleanno!” La mamma non ha visto Paolo andare in garage e non sa che Paolo ha trovato il pupazzo. In casa squilla il telefono. È la nonna di Paolo che chiama per sapere a che ora è la festa. La nonna chiede alla mamma: “Paolo cosa pensa che tu gli abbia regalato?” - Domanda di falsa credenza di secondo ordine: Cosa risponde la

mamma?

- Domanda di controllo La mamma ha visto Paolo nel garage? - Domanda di controllo Cosa ha comprato per davvero la mamma

per il compleanno di Paolo?

● La Comprensione dell’Ironia. Questo compito permette di rilevare il possesso di forme avanzate di ToM. Il riconoscimento di un colloquio non sincero e volontario10 è un’essenziale abilità cognitiva

sociale e il suo indebolimento compromette la comunicazione. Comprendere l’ironia significa riconoscere il contrasto fra due intenzioni riferite verbalmente, dove la prima frase viene contraddetta dalla seconda. Il sarcasmo è un meccanismo sociale che permette di criticare indirettamente una persona o di ricoprirla di imbarazzo in modo drammatico o divertente in maniera più educata e meno aggressiva (T. Shany-ur e al, 2012). I cues sociali e contestuali sono fondamentali per comprendere l’ironia e elaborare delle credenze11. Ecco di seguito un esempio (S. Lecce, E. Cavallini e A.

Pagnin, 2010, pp 118).

10 Altra forma di comunicazione volontaria e non sincera sono le bugie. Questo è un

atto comunicativo diverso dall’ironia, basato sull’omissione di alcuni pa rticolari al fine di poter proteggere sé stesso o gli altri. Il substrato neuroanatomico che si attiva per la comprensione di una bugia prevede il coinvolgimento delle aree temporali e del giro frontale inferiore, la corteccia prefrontale rostromediale, la giunzione temporo-parietale bilaterale, il solco temporale superiore di destra a la corteccia prefrontale dorsolaterale di sinistra

11 Il subtrato neuroanatomico della comprensione del sarcasmo include le regioni

ventrali e dorsali della corteccia prefrontale mediale (includendo il giro frontale superiore e quello inferiore), il polo temporale, le regioni paraippocampali posteriori

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La mamma ha passato un sacco di tempo a cucinare il piatto preferito di Anna: le lasagne. Ma quando ne porta ad Anna un bel piatto fumante, lei sta guardando la TV e non guarda neppure la mamma né le dice grazie. La mamma è arrabbiata e dice: “Molto carino, no? È ciò che si chiama gentilezza!”

- Domanda di comprensione: È vero quello che dice la mamma? - Domanda di giustificazione Perché lo dice?

● Ekman 60 Faces Test (EK-60F). E’ stato elaborato da Ekman e Friesen. Il compito permette di valutare il riconoscimento delle sei emozioni di base (rabbia, disgusto, paura, felicità, tristezza e sorpresa) in 60 differenti immagini. Ciascuna fotografia è mostrata per cinque secondi e ritrae il volto di un attore e sotto l’immagine sono posizionate le parole che permettono di investigare le sei emozioni di base. Il soggetto deve scegliere e riferire l’etichetta corretta che meglio descrive l’espressione facciale dell’attore. Ad ogni espressione corretta viene attribuito 1 punto e il punteggio totale è pari a 60. Per ogni emozione di base è possibile raggiungere un punteggio massimo di 10 (A. Dodich e al., 2014).

● The Penn Emotion Recognition Test. Durante il test vengono mostrate 96 fotografie colorate di espressioni facciali che evocano delle emozioni (felicità, rabbia, tristezza, disgusto, paura) e altre che invece risultano essere neutrali/non emotive. Per ciascuna emozione sono presentate 16 fotografie di cui 8 esprimono quell’emozione con un’intensità bassa mentre le altre 8 esprimono la stessa emozione con un’intensità alta. I volti neutrali emotivamente non presentano alcun livello di intensità. Dal test è possibile identificare il punteggio di riconoscimento di ciascuna emozione, il punteggio di riconoscimento emotivo totale, il punteggio di riconoscimento emotivo di bassa intensità e il riconoscimento emotivo di alta intensità (R.C Gur e al., 2002).

● Reading the Mind in the Eyes Test (RMET). È considerato il compito ideale per la valutazione della componente affettiva della ToM. È un test elaborato da Baron-Cohen, che si basa sulla presentazione di 37 fotografie di volti in cui è visibile solo la regione oculare. Al soggetto si chiede di indicare l’aggettivo fra i quattro disposti agli angoli della (per la salienza sociale del messaggio), il STS (coinvolta nella ToM e nella processazione semantica) e l’amigdala

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figura che meglio descrive la parte del volto presentata. Il compito coinvolge alcuni processi come l’associazione tra lo stato mentale del soggetto e il volto, il riconoscimento delle emozioni e la percezione del volto (S. Baron-Cohen e al., 1997). Negli anni recenti si sostiene come questo compito di attribuzione delle emozioni complesse possa richiedere, inoltre, la collaborazione di altre funzioni cognitive come le funzioni esecutive, l’attenzione, la memoria di lavoro o il linguaggio (F. Hoche e al., 2016). Come riferito il soggetto di fronte all’immagine dovrà associare una parola che descrive lo stato mentale della persona. Gli stati mentali possono essere di base (ansioso, contento) e complessi (arrogante, impressionato…) (S. Baron-Cohen e al, 1997) (Fig. 2.3).

Fig. 2.3 Item del RMET elaborato da Baron-Cohen

● The Faux Pas Recognition (FPR) è stato elaborato da Stone, Baron-Cohen e Knight nel 1998 e permette di valutare sia la componente affettiva sia quella cognitiva della Teoria della Mente. Misura la capacità di comprendere la gaffe, di considerare la differenza fra lo stato di conoscenza di chi parla e quello di chi ascolta e di stimare l’impatto emotivo della frase sull’ascoltatore. Nel FPR i partecipanti ascoltano 10 storie contenenti un faux pas e 10 storie di controllo che riportano un minore conflitto ma nel quale non si presenta alcun faux pas. Al termine della lettura vengono poste sei domande riguardanti la comprensione delle gaffes e gli stati emotivi dei personaggi della storia. Tra queste domande vengono poste due di controllo in cui il soggetto deve dimostrare di aver compreso la trama della storia.

Un esempio (S. Lecce, E. Cavallini e A. Pagnin, 2010, pp.149-150): “Il marito di Elena stava organizzando una festa a sorpresa per il

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compleanno della moglie. Egli aveva invitato Sara, un’amica di Elena, e le disse: “Non dirlo a nessuno, specialmente a Elena”. Il giorno prima della festa, Elena era a casa dell’amica e Sara versò un po’ di caffè sopra un vestito nuovo che era posato sopra la sedia “Oh” disse Sara “Avevo intenzione di mettermelo alla tua festa!” “Quale festa?”, disse Elena. “Andiamo”, disse Sara, “Vediamo se riusciamo a togliere la macchia”.

- Qualcuno ha detto qualcosa che non andava?

- Chi ha detto qualcosa che non avrebbe dovuto dire o qualcosa di inopportuno?

- Perché lui/lei non lo avrebbe dovuto dire o perché stato inopportuno?

- Perché pensi che lui/lei l’abbia detto? - Sara si ricordava che la festa era a sorpresa? - Come pensi che sia sentita Elena?

● Compito di Yoni. Viene mostrato un volto denominato Yoni, al centro di uno schermo del pc, con quattro immagini colorate agli angoli del display (facce o categorie semantiche). I partecipanti devono valutare quale delle quattro immagini corrisponde a una frase detta da Yoni. Gli item possono essere suddivisi in tre categorie: cognitivo, affettivo e controllo

● Strange Stories Task. Lo strumento è stato elaborato nel 1998 da Happè e misura le abilità di comprensione di reali intenzioni sottostanti le espressioni dei personaggi delle storie. Lo strumento presenta 24 brevi storie in cui un personaggio dice qualcosa che in realtà non ritiene vero. Il compito può essere somministrato in due modalità: con o senza carico mnestico. Una prestazione di successo richiede l’attribuzione di stati mentali come credenze, desideri o intenzioni. Seppure può sembrare un compito di tipo cognitivo, in realtà risulta essere un compito per valutare la componente affettiva della ToM. Al termine della somministrazione della storia, il soggetto deve rispondere a delle domande.

Un esempio di storia (S. Lecce, E. Cavallini e A. Pagnin, 2010, pp. 148): Martina vuole comprare un gattino e va a trovare la signora Verri che ha molti gattini da vendere. La signora ama i suoi gattini e non vuole che accada loro niente di male, anche se non può tenerli con sé. Quando Martina va a farle visita, non è sicura di volere uno dei cuccioli della signora perché sono tutti maschi e lei desidera una femmina, ma la signora dice: “Se nessuno li comprerà dovrò annegarli”.

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- Domanda È vero ciò che dice la Signora Verri? - Perché lo dice?

● Batteria di Intelligenza Sociale12. Elaborata da Prior e colleghi nel

2003 valuta i quattro fattori della Cognizione Sociale secondo il modello di Blair e Cipollotti (2000) tramite un Test della Teoria della Mente, un Test di attribuzione delle emozioni, un Test delle situazioni sociali e un Test di distinzione morale/convenzionale. In tutte e quattro le prove sono utilizzati degli stimoli uditivo-verbali e non visivi. Il test della Teoria della Mente si basa sulla presentazione di 13 brevi storie che descrivono situazioni sociali e familiari. Al soggetto viene chiesto di spiegare il perché di un comportamento dei protagonisti presentati. Queste storie permettono di valutare degli aspetti della ToM come la comprensione dell’ironia o le false credenze di primo ordine. Il test delle attribuzioni delle emozioni valuta l’abilità di attribuire emozioni e stati affettivi ad altre persone. Si leggono 58 brevi racconti che descrivono situazioni emotigene che si presentano in diversi contesti sociali. Il soggetto deve attribuire ai protagonisti emozioni quali: tristezza, paura, imbarazzo, disgusto, felicità, rabbia e invidia. Il test delle situazioni sociali valuta la capacità di giudicare l’appropriatezza di alcuni comportamenti sociali presentati distinguendo i comportamenti normativi dalle violazioni delle comuni norme sociali. Le violazioni delle norme sociali o rule-based vengono giudicate in base alla loro gravità. Il soggetto deve analizzare i comportamenti dei protagonisti delle 25 storie. Il test di distinzione Morale/Convenzionale valuta la consapevolezza delle regole sociali e delle regole morali, presentando al soggetto 12 situazioni che si svolgono all’interno di un contesto scolastico.

2.1.10 Teoria della Mente e disturbi neuropatologici

La capacità di mentalizzazione è stata valutata in diverse patologie di natura psichiatrica come la schizofrenia, l’autismo, l’anoressia nervosa, la depressione e il disturbo di personalità borderline. Nelle patologie neurodegenerative è stato osservata la ToM in soggetti con diagnosi di demenza di Alzheimer (AD), demenze fronto-temporali (FTD), Malattia di Parkinson (PD), Malattia di Huntington (HD) e Sclerosi Amiotrofica Laterale (ASL).

2.1.11 Demenza di Alzheimer

12 Tale batteria è descritta tutta nonostante la Teoria della Mente sia solamente un

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Nella AD, oltre a un indebolimento cognitivo, sono presenti sintomi comportamentali e psichiatrici. E’ stato ipotizzato che l’indebolimento comportamentale sia dovuto a un impairment nella processazione emotiva, in particolare della percezione e del riconoscimento dello stato affettivo negli altri (M. Waanders-Oude Elferink e al., 2015). Numerose ricerche sostengono un indebolimento nel riconoscimento delle emozioni che causa difficoltà nel soggetto a livello del funzionamento interpersonale e della qualità di vita (I. Spoletini e al, 2008; McLellan e al., 2008; M. Waanders-Oude Elferink e al., 2015). Nella ricerca di Cuerva e colleghi (2001) i pazienti con la patologia di Alzheimer ottengono prestazioni peggiori rispetto ai soggetti sani in compiti di falsa credenza di secondo ordine. Questa difficoltà trova conferma in un successivo studio di Gregory e colleghi del 2002. Valutando la ToM attraverso cartoon task, Verdon nel 2007, ha identificato un indebolimento nei pazienti con AD nella comprensione di cause psicologiche di eventi, con risparmiata comprensione delle cause fisiche. Castelli in uno studio del 2011 ha evidenziato che le performance nei compiti verbali della ToM nei malati di AD correlano con i punteggi ottenuti nelle prove che valutano le funzioni esecutive (EF) e la memoria episodica verbale. Inoltre lo stesso autore evidenzia che le performance nei compiti della ToM supportati dai cartoni animati correlano con le abilità visuo-spaziali.

2.1.12 Demenza fronto-temporale con variante comportamentale

Studi su pazienti con demenza fronto-temporale con variante comportamentale (bvFTD) hanno mostrato deficit nella componente cognitiva e affettiva della Teoria della Mente. Dal 2001 Loungh ed altri clinici hanno iniziato a studiare la ToM in soggetti con la bvFTD. Inizialmente è stato sostenuto il solo indebolimento della componente cognitiva, nel tempo è stato osservato ed aggiunto il deficit nella componente affettiva della ToM (P.J. Eslinger e al, 2007). Nel 2012 Shany-ur e colleghi hanno osservato un indebolimento della comprensione del sarcasmo e delle bugie, dovuto a una difettosità nelle rappresentazioni delle altre opinioni, intenzioni ed emozioni. Il paziente con bvFTD inizialmente può presentare alterazioni sia a livello testistico sia a livello comportamentale della Cognizione Sociale, all’interno di un quadro di indebolimento cognitivo assente. Queste difficoltà predementigene comportamentali e relazionali vengono definite Mild Behavioral Impairment (MBI) (P. Desmarais e al., 2017).

2.1.13 Demenza Semantica

È stato dimostrato come pazienti con demenza semantica mostrano un indebolimento nella componente sia affettiva che cognitiva della ToM. Duval e colleghi (2012) nel loro studio valutano il grado di consapevolezza

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delle proprie difficoltà di mentalizzazione grazie all’utilizzo di un test soggettivo. La presenza di questo test ha permesso di poter loro sostenere la presenza di una perdita della consapevolezza della componente cognitiva della ToM. Inoltre è stato osservato come l’atrofia dei lobi temporali anteriori comportano delle difficoltà nella percezione delle emozioni e dell’empatia (K.A. Lindsquit e al., 2012).

2.1.14 Sclerosi Laterale Amiotrofica

In questi soggetti è stata valutata la capacità di mentalizing. Gibbons (2007) ha usato cartoons e storie che richiedono ai pazienti di attribuire uno stato mentale ai protagonisti. Le analisi dei risultati rivelano un eterogeneo range di performance. È stato, anche, notato come i punteggi nella ToM sono correlati con le misure delle EF fredde, a conferma di quanto sostenevano Metcalfe e Mischel (1999). Da uno studio di Cavallo (2011) e collaboratori è stato mostrato che, a differenza dei soggetti sani, i soggetti con ALS hanno peggiori performance nella comprensione del contesto sociale che del contesto non sociale. Questo indebolimento confermerebbe le difficoltà dei soggetti con ALS di comprendere le intenzioni altrui.

2.1.15 Malattia di Parkinson

È stata valutata la componente cognitiva della ToM nelle fasi precoci e iniziali del PD, trovando un suo indebolimento in compiti di falsa credenza e Strange Stories (M. Poletti, I. Enrici e M. Adenzato, 2012). Nelle prove dei Faux Pas secondo Péron e colleghi (2009) i soggetti con PD presentano risultati deficitari. Inoltre, gli autori trovano una correlazione significativa fra i compiti di inibizione e il compito di Theory of Mind. Pochi studi hanno rivolto la loro attenzione sulla componente affettiva. Alcune di queste ricerche valutano la affective ToM con il RMET ottenendo dati contrastanti. Da una ricerca di Nobis e colleghi (2017) è stato riportato come nel soggetto con PD la componente affettiva della ToM sia inversamente correlata con la gravità dei sintomi cognitivi. Per il futuro, a causa però del numero esiguo di ricerche attuali, sarà fondamentale che, nel futuro, vi possa essere un crescente interesse riguardo la ToM e il PD (M. Poletti, I. Enrici e M. Adenzato, 2012).

2.1.16 Malattia di Huntington

Snowden nel 2003 ha investigato l’abilità di interpretare le situazioni sociali e di attribuire gli stati mentali ai pazienti con demenza fronto-temporale con variante comportamentale e malattia di Huntington. I soggetti con HD ottengono performance inferiori rispetto ai soggetti di controllo e maggiori rispetto ai pazienti con bvFTD. E’ stato riportato come i punteggi dei soggetti con HD ottenuti nelle prove della ToM correlano con i punteggi ottenuti nelle prove delle EF fredde.

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