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La Ricerca in Italia

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Academic year: 2021

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(1)

La Ricerca in Italia

Variabilità glicemica nella gravidanza diabetica Dalfrà MG

1

, Sartore G

1

, Di Cianni G

2

, Mello G

3

, Lencioni C

2

, Ottanelli S

3

, Sposato J

4

, Valgimigli F

4

, Scuffi C

4

, Scalese M

5

, Lapolla A

1

1

Dipartimento Scienze Mediche e Chirurgiche, Università di Padova;

2

Dipartimento Endocrinologia e Malattie Metaboliche, Università di Pisa;

3

Dipartimento di Ginecologia Perinatologia e Riproduzione Umana, Università di Firenze;

4

A. Menarini Diagnostici-Firenze;

5

CNR Istituto di Fisiologia Clinica, Pisa

Diabetes Technol Ther 2011;13(8):853-9

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

Lo studio vuole analizzare l’importanza della variabilità glicemica sulla crescita feta- le essendo l’accelerata crescita fetale una delle complicanze più importanti delle gravidanze complicate da diabete gestazionale e pregestazionale.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

I dati della letteratura precedenti hanno valutato solo la glicemia media e l’emoglobina in relazione alla crescita fetale, la novità di questo lavoro è stata quel- la di analizzare la variabilità glicemica in relazione alla crescita fetale.

I dati pubblicati hanno mostrato una correlazione fra la glicemia e la crescita fetale, più contrastanti sono i dati relativi ai livelli di emoglobina glicata e crescita fetale.

Sintesi dei risultati ottenuti

Nelle gravidanze in donne con diabete di tipo 1 l’indice ponderale (g/cm

3

) correla con gli indici di iperglicemia (HBGI nel 1° trimestre), di variabilità glicemica (CONGA [conti- nuous overlapping net glycemic action] nel 2° trimestre e SD nel 3° trimestre) e con la glicemia media (IQR [interquartile range] nel 2° trimestre e mean glycemia nel 3° trime- stre); nelle gravidanze in donne con diabete gestazionale l’indice ponderale correla con gli indici di glicemia media (mean glycemia) e di iperglicemia (HBGI) del 2° trimestre.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscen- ze riguardo al problema iniziale?

Lo studio ha evidenziato che non solo la glicemia e l’emoglobina glicata sono impor- tanti nel predire un’accelerata crescita fetale, ma anche il grado di oscillazione delle glicemie valutabile anche attraverso parametri semplici quali la deviazione standard.

Nelle donne con diabete gestazionale si è evidenziato come sia importante il con- trollo glicemico nel 2° trimestre che si è dimostrato essere determinante per l’accelerazione della crescita fetale.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

I dati presentati possono essere implementati aumentando la casistica e valutan- do l’effetto di un trattamento precoce del diabete gestazionale che non solo nor- malizzi i valori glicemici, ma anche ne riduca la variabilità.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

L’importanza della variabilità glicemica sull’accelerazione della crescita fetale può indirizzare gli interventi terapeutici nel migliorare non solo la glicemia e l’emoglobina glicata ma anche nel ridurre la variabilità glicemica.

Per quanto concerne le donne con diabete gestazionale i dati confermano l’importanza di un trattamento il più precoce possibile in quanto il 2° trimestre sem- bra cruciale per indurre un’accelerazione della crescita del feto.

Exenatide migliora la variabilità glicemica valutata con

monitoraggio continuo della glicemia nei soggetti con diabete di tipo 2

Irace C, Fiorentino R, Carallo C, Scavelli F, Gnasso A

Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica, Università degli Studi Magna Græcia, Catanzaro Diabetes Technol Ther 2011;13:1261-3

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

Recenti evidenze sostengono il ruolo della variabilità glicemica nello sviluppo e pro- gressione delle complicanze croniche del diabete di tipo 2. La nostra ricerca ha avuto lo scopo di verificare se exenatide, un agonista del recettore per il GLP-1, paragonato a glimepiride riducesse la variabilità glicemica, valutata mediante moni- toraggio continuo della glicemia.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

Due lavori avevano descritto l’efficacia di exenatide nel ridurre l’esposizione giorna- liera all’iperglicemia valutata con l’automonitoraggio.

Sintesi dei risultati ottenuti

Al termine del periodo di osservazione HbA

1c

e glicemia basale si riducevano in

entrambi i gruppi. Exenatide mostrava tuttavia una maggiore efficacia nel modula-

re la variabilità glicemica giornaliera rispetto a glimepiride.

(2)

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscen- ze riguardo al problema iniziale?

Exenatide offre una possibilità in più nel compensare il paziente riducendo il tempo di esposizione all’iperglicemia e la frequenza dei picchi glicemici.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

La disponibilità di farmaci in grado di ridurre marcatamente la variabilità glicemica offre la possibilità di valutare il ruolo della variabilità stessa sullo sviluppo delle com- plicanze croniche del diabete.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

Caratterizzare meglio i pazienti i cui valori tradizionali di controllo metabolico con- trastano con il quadro clinico e verificare i vantaggi di un trattamento oltre il valore della HbA

1c

devono rappresentare obiettivi concreti nella pratica clinica quotidiana.

Il monitoraggio continuo della glicemia rappresenta in quest’ottica l’ulteriore perfe- zionamento dell’abito “su misura” per i pazienti diabetici.

Impatto della somministrazione di un’alta dose di atorvastatina sul danno renale acuto indotto da mezzo di contrasto

Quintavalle C

1

, Fiore D

1

, De Micco F

2

, Visconti G

2

, Focaccio A

2

, Golia B

2

, Ricciardelli B

2

, Donnarumma E

3

, Bianco A

4

, Zabatta MA

4

, Troncone G

4

, Colombo A

5

, Briguori C

2

, Condorelli G

1

1

Dipartimento di Biologia e Patologia Cellulare e Molecolare L. Califano, Università degli Studi di Napoli “Federico II” e IEOS CNR, Napoli;

2

Laboratorio di

Emodinamica e Cardiologia Interventistica, Clinica Mediterranea, Napoli;

3

Fondazione IRCCS-SDN, Napoli;

4

Dipartimento di Scienze Biomorfologiche e Funzionali, Università di Napoli “Federico II”, Napoli;

5

Laboratorio di Cardiologia Interventistica, Ospedale San Raffaele, Milano

Circulation 2012;126:3008-16

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

I pazienti che si sottopongono a procedure diagnostiche/interventistiche della malattia coronarica possono essere esposti al rischio di danno renale acuto da mezzo di contrasto iodato. Questo accade soprattutto in presenza di fattori di rischio (quali l’insufficienza renale cronica di base, il diabete mellito, età

> 75 anni). Il presente lavoro ha identificato una nuova strategia farmacologica basata sulla somministrazione di atorvastatina ad alte dosi per la prevenzione del danno renale.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

Il nostro gruppo aveva già dimostrato che alcuni composti ad attività antiossidan- te come l’N-acetilcisteina (NAC) e l’acido ascorbico sono in grado di prevenire il danno renale da mezzo di contrasto iodato attraverso l’inibizione dell’apoptosi a carico delle cellule epiteliali tubulari renali. Questo lavoro aggiunge il possibile utiliz- zo di un altro farmaco, la statina, che comunemente è somministrato ai pazienti cardiopatici per ridurre i livelli di colesterolo sierico.

Sintesi dei risultati ottenuti

Con il nostro lavoro abbiamo dimostrato che la somministrazione di una singola dose di 80 mg atorvastatina 24 ore prima dell’esposizione al mezzo di contrasto è in grado di ridurre significativamente il rischio di danno renale. Questo effetto si manifesta sia in pazienti diabetici sia in pazienti con un moderato danno renale pre- esistente. Inoltre, esperimenti in vitro su cellule renali e isolate da pazienti sottopo- sti a procedura angiografica ci hanno permesso di dimostrare che atorvastatina previene l’attivazione dei processi apoptotici e favorisce l’attivazione di pathway di sopravvivenza.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscen- ze riguardo al problema iniziale?

I nostri risultati hanno chiarito 1) il meccanismo fisiopatologico del danno renale da mezzo di contrasto, e 2) l’efficacia profilattica della somministrazione di atorvasta- tina ad alte dosi.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

1) Bisognerà chiarire se si tratta di un effetto esclusivo di atorvastatina oppure di tutte le statine (effetto di classe).

2) È possibile estendere l’utilizzo di questo farmaco anche ad altre situazioni clini- che che possono indurre danno renale come per esempio la chemioterapia.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

I risultati di questo studio potranno favorire l’introduzione della somministrazione di

atorvastatina ad alte dosi nei protocolli clinici per la prevenzione del danno renale

da mezzo di contrasto.

(3)

Monitoraggio continuo e non invasivo della glicemia:

miglioramento dell’accuratezza di stime puntuali e trend in un approccio multisensore Zanon M

1

, Sparacino G

1

, Facchinetti A

1

, Riz M

1

, Talary MS

2

, Suri RE

2

, Caduff A

2

, Cobelli C

1

1

Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione, Università degli Studi di Padova, Padova;

2

Biovotion AG, Zurich, Switzerland Med Biol Eng Comput

2012;50(10):1047-57

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

Il lavoro considera un approccio per il monitoraggio non invasivo della glicemia basato su un multisensore che integra sensori di diversa natura (principalmente dielettrici e ottici) con lo scopo di misurare sia segnali correlati con il glucosio (es.

impedenze) sia quei segnali, relativi a processi ambientali e fisiologici, che posso- no agire da fattori di disturbo (es. umidità legata a sudorazione). La glicemia è sti- mata tramite un modello matematico che combina opportunamente i canali misu- rati dal multisensore.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

Per stimare la glicemia dai canali del multisensore si usava un modello matemati- co lineare identificato con tecniche ai minimi quadrati. L’accuratezza del sistema complessivo risultava però lontana da quella dei sensori (minimamente invasivi) basati su ago.

Sintesi dei risultati ottenuti

Abbiamo migliorato i risultati sfruttando una tecnica di identificazione, nota come least absolute shrinkage and selection operator (LASSO), che realizza un compro- messo tra aderenza ai dati e complessità del modello.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscen- ze riguardo al problema iniziale?

Il metodo LASSO consente di rimuovere l’influenza sulla stima della glicemia ope- rata dai canali più sensibili a rumore occasionale, rendendo i profili stimati meno sensibili ad artefatti altrimenti presenti in condizioni di vita quotidiane.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Indagare ulteriori tecniche per identificare modelli sempre più accurati e migliorare la calibrazione del multisensore.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

Nonostante l’accuratezza puntuale delle letture di glicemia ottenute con multisen- sore sia ancora inferiore rispetto a quella dei sensori minimamente invasivi, con LASSO almeno i trend glicemici vengono stimati con accuratezza comparabile. Ciò rende potenzialmente il multisensore un valido complemento alle misure di glice- mia mediante fingerstick perché in grado di fornire, in modo non invasivo, informa- zioni affidabili sul trend glicemico.

Meccanismi patogenetici e rischio cardiovascolare:

differenze fra HbA

1c

e OGTT nella diagnosi di alterata regolazione glicemica Bianchi C

1

, Miccoli R

1

, Bonadonna RC

2

, Giorgino F

3

, Frontoni S

4

, Faloia E

5

, Marchesini G

6

, Dolci MA

7

, Cavalot F

8

, Cavallo G

9

, Leonetti F

10

, Del Prato S

1

a nome del Gruppo di Studio GENFIEV

1

Dipartimento di Endocrinologia e Metabolismo, Sezione di

Diabetologia e Malattie Metaboliche, Università di Pisa;

2

Dipartimento di Medicina, Divisione di Endocrinologia e Malattie del Metabolismo,

Università di Verona;

3

Dipartimento dell’Emergenza e dei Trapianti di Organi, Sezione di Medicina Interna, Endocrinologia, Andrologia e Malattie Metaboliche, Università di

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

Lo studio ha valutato in che misura l’impiego di HbA

1c

e OGTT per la diagnosi delle alterazioni della regolazione glicemica è in grado di identificare individui con altera- zioni patogenetiche e profilo di rischio cardiovascolare differenti.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

Studi precedenti hanno dimostrato che il rapporto tra funzione β-cellulare e HbA

1c

varia fra soggetti con iperglicemia a digiuno o con alterata tolleranza ai carboidra- ti, suggerendo che i soggetti con alterata regolazione glicemica, individuati median- te HbA

1c

o OGTT, possano differire anche nei meccanismi patogenetici alla base di tali alterazioni.

Sintesi dei risultati ottenuti

Gli individui con alterata regolazione glicemica o diabete di tipo 2 identificati mediante HbA

1c

sono una percentuale più bassa rispetto a quelli identificati con OGTT, ma non differiscono per insulino-resistenza, secrezione insulinica e profilo di rischio cardiovascolare. Tuttavia, i soggetti con alterata regolazione glicemica iden- tificati da entrambi i metodi sono caratterizzati da un profilo metabolico peggiore.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscen- ze riguardo al problema iniziale?

Seppur HbA

1c

risulti un metodo specifico ma meno sensibile per la diagnosi di pre-

(4)

Bari;

4

Dipartimento di Medicina Interna, Università di Roma Tor Vergata;

5

Clinica di Endocrinologia, Università Politecnica delle Marche;

6

Alma Mater Studiorum Università di Bologna;

7

Sezione di Diabetologia e Malattie Metaboliche, Ospedale SS.

Giacomo e Cristoforo di Massa;

8

Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche, Università di Torino;

9

Dipartimento di Terapia Medica, Università di Roma “Sapienza”;

10

Dipartimento di Scienze Cliniche, Università di Roma “Sapienza”

Diabetes Care 2012;35:2607-12

diabete rispetto all’OGTT, gli individui identificati con uno dei due metodi non diffe- riscono per funzione β-cellulare o insulino-sensibilità.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Valutare prospetticamente le variazioni della funzione β-cellulare e il profilo metabo- lico dei soggetti con prediabete identificati con metodi diagnostici differenti.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

L’impiego dell’OGTT o di HbA

1c

per la diagnosi di prediabete può identificare sog- getti diversi, ma con le medesime alterazioni della funzione β-cellulare e un sovrap- ponibile profilo di rischio. Tuttavia, coloro che rispondono a entrambi i criteri dia- gnostici mostrano un profilo metabolico peggiore e necessitano pertanto di mag- giore attenzione clinica.

Diarrea acquosa persistente e coma in una donna anziana Piccione A

1

, Petruzziello C

1

, Bertoli A

1

, Mazzarelli P

2

1

Dipartimento di Medicina Interna, Università degli Studi di Roma

“Tor Vergata”;

2

Dipartimento di Biopatologia, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”

Lancet 2012;380:1880

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

Il nostro articolo descrive il complesso iter diagnostico di una paziente, una donna di 75 anni, che era giunta alla nostra osservazione per uno squilibrio idro-elettroli- tico conseguenza di una diarrea acquosa, persistente da alcuni mesi, con associa- to quadro di malassorbimento, tanto da aver sviluppato nel corso del ricovero una sindrome di Wernicke. Le biopsie eseguite nel corso di esofagogastroduodeno- scopia e colonscopia con ileoscopia avevano indicato la presenza di una entero- colite collagenosica, apparentemente idiopatica ma che, alla fine degli approfondi- menti svolti, si è rivelata essere la complicanza di una celiachia misconosciuta.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

L’enterite collagenosica rientra nel gruppo delle enteriti microscopiche. Si tratta di una forma di enterite caratterizzata da un processo di fibrosi che coinvolge l’intestino tenue e che può estendersi anche al crasso. Alterando la normale strut- tura della parete intestinale, ne vengono compresse le funzioni assorbitive. Diverse sono le cause di un’enterite collagenosica: neoplasie solide ed ematologiche, in particolar modo le gammopatie monoclonali; patologie autoimmuni; la celiachia (nelle forme non trattate e/o complicate); diversi farmaci; infezioni intestinali.

Sintesi dei risultati ottenuti

La nostra conclusione è che la paziente fosse affetta da una forma di enterite col- lagenosica con associata colite collagenosica come possibile conseguenza di una celiachia misconosciuta e perciò mai trattata. I marker sierologici di celiachia (anti- corpi anti-gliadina, anti-endomisio, anti-trans-glutaminasi) erano risultati negativi in presenza di normali valori di IgA totali. Poiché la paziente soffriva di una tireopatia autoimmune e aveva un nipote affetto da celiachia, abbiamo deciso di completare le nostre indagini eseguendo anche lo studio genetico per gli aplotipi HLA DQ2 e DQ4, associati alla malattia celiaca, che ha dato esito positivo mostrando la pre- senza dell’eterodimero DQ2.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscen- ze riguardo al problema iniziale?

Il nostro caso ha confermato i pochi dati presenti in letteratura sulla possibile evo- luzione di una celiachia non trattata verso una forma di pan-enterite collagenosica.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Le prospettive di ricerca potrebbero essere rivolte al versante prognostico-terapeu- tico attraverso l’identificazione precoce dei pazienti che potrebbero trarre giova- mento dalle attuali terapie esistenti, che si basano sulla somministrazione di bude- sonide, un cortisonico per os, e sullo sviluppo di nuovi farmaci.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

I nostri risultati suggeriscono che nella pratica clinica sia necessario tenere sempre

in considerazione la celiachia nella diagnosi differenziale in pazienti di tutte le età.

(5)

Il cluster di microRNA C19MC è deregolato nei tumori paratiroidei

Vaira V

1

, Elli F

2

, Forno I

1,3

, Guarnieri V

4

, Verdelli C

5

, Ferrero S

1,6

, Scillitani A

7

, Vicentini L

8

, Cetani F

9

,

Mantovani G

2

, Spada A

2

, Bosari S

1,3

, Corbetta S

10

1

Divisione di Patologia, Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Milano;

2

UO Endocrinologia, Dipartimento di Scienze Cliniche e di Comunità, Università di Milano, Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Milano;

3

Dipartimento di Patofisiologia Clinica/Chirurgica e dei Trapianti d’Organo, Università di Milano, Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Milano;

4

Genetica Medica, IRCCS Ospedale Casa Sollievo della Sofferenza, San Giovanni Rotondo (FG);

5

Laboratorio di Biologia Molecolare, IRCCS Policlinico San Donato, San Donato Milanese (MI);

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

È stato valutato il pattern di espressione dei cluster di microRNA C19MC e MIR371-3 in adenomi e carcinomi paratiroidei provenienti da pazienti affetti da iper- paratiroidismo primitivo. I microRNA sono piccoli (19-23 nucleotidi) RNA non codi- ficanti proteine con un’attività inibitoria sulla trascrizione genica. La loro alterata espressione è in grado di indurre la tumorigenesi. I due cluster analizzati sono loca- lizzati sul cromosoma 19q13.4 e sono espressi durante l’embriogenesi. La loro riat- tivazione nelle cellule tumorali può avere un significato oncogenico.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

L’iperparatiroidismo primitivo è comune con una prevalenza del 2% nelle donne in post-menopausa ed è sostenuto da tumori delle ghiandole paratiroidee. Diversi oncogeni e oncosoppressori sono stati identificati nei tumori paratiroidei, in parti- colare CDC73/HRPT2 e MEN1. Tuttavia la comprensione della tumorigenesi para- tiroidea resta ancora ampiamente insufficiente, non è in grado di distinguere i diver- si comportamenti biologici nell’ambito dei tumori paratiroidei e di fornire terapie mirate alternative all’intervento chirurgico.

Sintesi dei risultati ottenuti

I microRNA dei cluster C19MC e MIR371-3 sono espressi prevalentemente nei carcinomi paratiroidei, in particolare MIR517C mostra la differenza più significativa tra adenomi e carcinomi e i livelli di espressione correlano positivamente con la cal- cemia, il PTH sierico e il peso dell’adenoma. L’amplificazione dei due cluster è pre- valentemente dovuta a un guadagno di numero di copie di DNA dei loci 19q13.4.

Frequente è anche l’ipometilazione della regione promoter del cluster C19MC soprattutto nei carcinomi paratiroidei.

Minimizzazione dell’effetto della variabilità del ritardo intercompartimentale sulla valutazione dell’accuratezza dei sistemi di monitoraggio in continuo della glicemia Scuffi C, Lucarelli F, Valgimigli F A. Menarini Diagnostics, Scientific & Technology Affairs, Firenze;

J Diabetes Sci Technol 2012;6(6):1383-91

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

Dato che gli attuali sistemi di monitoraggio in continuo della glicemia (CGM) effet- tuano la misura nel liquido interstiziale (sottocute), ma che la loro accuratezza è valutata rispetto a valori glicemici nel sangue, il ritardo esistente tra i due compar- ti (interstizio-sangue) è attualmente corretto considerandolo come costante, seb- bene questo ritardo sia noto essere variabile.

Lo scopo di questo lavoro è stato quello di quantificare l’effetto della variabilità del ritardo intercompartimentale nella valutazione dell’accuratezza dei sistemi CGM.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

Numerosi studi hanno dimostrato che il ritardo intercompartimentale tra liquido interstiziale e sangue è variabile sia tra paziente e paziente sia per lo stesso pazien- te. Tuttavia, nella valutazione dell’accuratezza dei sistemi CGM, le linee guida pre- vedono una correzione per il ritardo che lo considera come una costante.

Sintesi dei risultati ottenuti

Lo studio ha dimostrato che l’accuratezza percepita di un sistema CGM migliora notevolmente se si tiene in considerazione la variabilità del ritardo intercomparti- mentale.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscen- ze riguardo al problema iniziale?

L’idea che approssimare il ritardo intercompartimentale a una costante portasse a sottostimare l’accuratezza dei sistemi CGM era noto, ma in questo studio tale effetto è stato valutato in modo quantitativo.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Ulteriore miglioramento del modello di compensazione del ritardo intercomparti- mentale variabile.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

Il metodo che questo lavoro propone potrebbe migliorare il modo in cui è valutata

l’accuratezza dei sistemi CGM.

(6)

La terapia sostitutiva con GH migliora i parametri metabolici e la qualità di vita in pazienti acromegalici guariti affetti da deficit di GH (GHD)

Giavoli C

1,2

, Profka E

1,2

, Verrua E

1,2

, Ronchi CL

3

, Ferrante E

1,2

,

Bergamaschi S

1,2

, Sala E

1,2

, Malchiodi E

1,2

, Lania AG

1,4

,

Arosio M

1,5

, Ambrosi B

6

, Spada A

1,2

, Beck-Peccoz P

1,2

1

Dipartimento di Scienze Cliniche e delle Comunità, Università degli Studi di Milano;

2

Unità di Endocrinologia e Diabetologia, Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Milano;

3

Ospedale Universitario, Wuerzburg, Germania;

4

Unità di Endocrinologia, Istituto Clinico Humanitas, Rozzano, Milano;

5

Unità di Endocrinologia, Ospedale S.

Giuseppe Multimedica, Milano;

6

Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Università degli Studi di Milano, IRCCS Policlinico San Donato, San Donato Milanese (MI) J Clin Endocrinol Metab

2012;97:3983-8

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

È stato valutato l’effetto della terapia con GH ricombinante umano (rhGH) sulle principali alterazioni metaboliche tipiche della sindrome da deficit di GH dell’adulto in 10 pazienti con pregressa acromegalia e 20 pazienti con pregresso adenoma ipofisario non funzionante (NFPA). Sono inoltre stati seguiti 12 soggetti con pre- gressa acromegalia, non trattati con rhGH per mancata compliance alla terapia.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

L’effetto della terapia sostitutiva con rhGH in pazienti acromegalici guariti è stato poco studiato. Alcuni autori riportano un effetto positivo sulla composizione corporea, sul metabolismo lipidico e sulla qualità di vita, mentre uno studio riporta effetti molto più scar- si rispetto a quelli osservati in pazienti con GHD da altre patologie ipotalamo-ipofisarie.

Sintesi dei risultati ottenuti

Dopo 12 e 36 mesi di terapia è stata osservata una notevole riduzione della massa grassa, un miglioramento del profilo lipidico (riduzione del colesterolo totale e HDL) e della qualità di vita. Tali effetti sono stati simili nei due gruppi. Non si sono osser- vate alterazioni a carico del metabolismo dei carboidrati. Nel gruppo di ex acrome- galici non in terapia si è evidenziato nel lungo termine un peggioramento del profi- lo lipidico e una riduzione della qualità di vita, dati che confermano l’impatto nega- tivo del deficit di GH non trattato anche in questo particolare gruppo di pazienti.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscen- ze riguardo al problema iniziale?

Il confronto condotto tra pazienti con pregressa acromegalia e pregresso NFPA ha permesso di confermare efficacia e sicurezza della terapia con rhGH. I dati osser- vati nei pazienti non trattati sottolineano l’importanza di un corretto follow-up al fine di poter evidenziare alterazioni correggibili con un’adeguata terapia sostitutiva.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

La valutazione di un’ampia casistica, con un follow-up a lungo termine (> 5 anni) per esempio mediante studi multicentrici, è auspicabile per fornire un’ulteriore con- ferma dell’efficacia e della sicurezza di tale terapia.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

I risultati ottenuti indicano che la terapia sostitutiva con rhGH in pazienti affetti da pregressa acromegalia è in grado di correggere le principali alterazioni tipiche del deficit di GH nel paziente adulto, senza determinare importanti alterazioni a carico del metabolismo glucidico. Tale terapia va pertanto proposta in questi pazienti così come in pazienti affetti da GHD causato da altre patologie ipotalamo-ipofisarie.

6

Dipartimento di Scienze Biomediche, Chirurgiche e

Odontoiatriche, Università di Milano, Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Milano;

7

UO Endocrinologia, IRCCS Ospedale Casa Sollievo della Sofferenza, San Giovanni Rotondo (FG);

8

Endocrinochirurgia, Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Milano;

9

Dipartimento di Endocrinologia e Metabolismo, Università di Pisa, Pisa;

10

UO Endocrinologia e Diabetologia, Dipartimento di Scienze

Biomediche per la Salute, IRCCS Policlinico San Donato, Università di Milano, San Donato Milanese (MI) J Mol Endocrinol 2012;49:115-24

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscen- ze riguardo al problema iniziale?

I risultati ottenuti focalizzano l’attenzione sul ruolo dei microRNA nella tumorigene- si paratiroidea. Lo studio dei target genici di questi microRNA consentirà l’identificazione di nuovi oncosoppressori potenziali bersagli di terapie mirate, di cui si avverte la necessità, in quanto la sola terapia medica attualmente disponibile, il cinacalcet, è in grado di controllare i livelli calcemici ma non mostra gli attesi effet- ti antiproliferativi.

Vi sono ricadute di questi risultati sula pratica clinica quotidiana?

La riattivazione del MIR517C potrebbe offrire un nuovo potenziale biomarcatore

per la diagnosi differenziale tra adenomi e carcinomi paratiroidei che ancora rap-

presenta una sfida diagnostica.

(7)

La formazione sui temi geriatrici in medicina: un problema che non va sottovalutato

Bellelli G

1,2

, Trabucchi M

2,3

1

Dipartimento di Scienze della Salute, Università degli Studi Milano-Bicocca, Monza;

2

Gruppo di Ricerca Geriatrica, Brescia;

3

Dipartimento di Medicina, Università degli Studi di Roma

“Tor Vergata”, Roma

Ann Intern Med 2012;157:458

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

Nello scenario attuale, il numero dei medici che in Italia si specializza ogni anno in Gerontologia e Geriatria è insufficiente a fronteggiare il trend epidemiologico che prevede, nei prossimi anni, una crescita esponenziale del numero degli anziani e dei grandi anziani. Infatti, sulla base di stime mutuate dal mondo statunitense (che ha valutato in oltre 30.000 unità il fabbisogno di geriatri entro il 2030), in Italia servireb- bero circa 6500 nuovi specialisti, a fronte di un numero di circa 150 diplomati/anno.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

Il nostro lavoro prende spunto da due articoli del dott. Golden e del dott. Leipzig, pubblicati sulla stessa rivista e intitolati Is geriatric medicine a terminally ill? e Treating our societal scotoma: the case for investing in geriatrics, our nation’s futu- re, and our patients, che, polemicamente, denunciano l’incapacità delle società scientifiche e della politica sanitaria di pianificare correttamente i bisogni della popolazione che invecchia. Anche negli Stati Uniti, infatti, il problema della forma- zione geriatrica degli studenti in medicina e delle professioni sanitarie impegnate nella cura delle persone anziane con malattie croniche è molto sentito e giudicato una priorità dell’insegnamento accademico e della politica sanitaria.

Sintesi dei risultati ottenuti

Sono state prospettate alcune soluzioni che concernono prevalentemente l’area della formazione e del tirocinio dei giovani medici: la formazione dovrebbe riguar- Caratteristiche cardiovascolari

di soggetti con livelli crescenti di alterata regolazione glicemica: Strong Heart Study Capaldo B

1

, Di Bonito P

2

,

Iaccarino M

1

, Roman MJ

3

, Lee ET

4

, Devereux RB

3

, Riccardi G

1

, Howard BV

5

, de Simone G

1,3

1

Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università degli Studi di Napoli “Federico II”;

2

Dipartimento di Medicina Interna, Ospedale Pozzuoli, Napoli;

3

Department of Medicine, Weill Cornell Medical College, New York, USA;

4

Center for American Indian Health Research, University of Oklahoma, Oklahoma City, USA;

5

Medstar Health Research Institute, Washington, DC

Diabetes Care 2013;36:992-7

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

Lo studio confronta le caratteristiche metaboliche ed ecocardiografiche di individui con alterata glicemia a digiuno (impaired fasting glucose, IFG) o alterata glicemia a digiuno più alterata tolleranza glicidica (IFG + IGT [impaired glucose tolerance]) per verificare se il doppio difetto si associa ad anomalie più gravi della geometria e fun- zione del ventricolo sinistro (VS) rispetto alla IFG isolata.

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

I soggetti con IFG + IGT presentano alterazioni metaboliche più severe rispetto ai soggetti con IFG o IGT isolata. È plausibile, quindi, che anche il fenotipo cardiova- scolare (CV) possa peggiorare in relazione all’entità della disregolazione glicemica.

Sintesi dei risultati ottenuti

I livelli di indice di massa corporea, obesità centrale, insulino-resistenza (HOMA-IR), trigliceridi e parametri infiammatori aumentavano progressivamente in funzione del grado di alterazione glicemica; i soggetti con doppio difetto (IFG + IGT) mostrava- no un rischio CV maggiore rispetto all’IFG isolata. Entrambe le condizioni di predia- bete erano caratterizzate da un aumento della massa del VS rispetto ai soggetti normotolleranti (normal glucose tolerance, NGT); tuttavia, il rischio di ipertrofia del VS era aumentato di circa 10 volte nei soggetti con IFG + IGT e di circa 3 volte nei soggetti con IFG isolata rispetto ai soggetti NGT, indipendentemente dall’obesità centrale e dalla pressione arteriosa.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscen- ze riguardo al problema iniziale?

Il presente studio dimostra un aumentato rischio di ipertrofia del VS nei soggetti con alterazione della glicemia a digiuno e post-carico e mette in evidenza un’interessante associazione tra l’aumento della massa del VS e i parametri dell’in- fiammazione.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

Sono necessari ulteriori studi per chiarire il ruolo dell’infiammazione nella genesi sia del prediabete sia dell’ipertrofia del VS.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

Istituire nei soggetti con prediabete appropriate misure di prevenzione per ridurre il

rischio di ipertrofia del VS che è un potente predittore di eventi CV.

(8)

Anticorpi anti-tireoglobulina nei pazienti con carcinoma papillare della tiroide: confronto fra diversi metodi di dosaggio e valutazione delle cause delle discrepanze

Latrofa F

1

, Ricci D

1

, Montanelli L

1

, Rocchi R

1

, Piaggi P

1

, Sisti E

1

, Grasso L

1

, Basolo F

2

, Ugolini C

2

, Pinchera A

1

, Vitti P

1

1

Dipartimento di Endocrinologia, Centro di Collaborazione con l’OMS per la Diagnosi e il Trattamento del Carcinoma della Tiroide e altre Patologie Tiroidee, Centro

Eccellenza AmbiSEN;

2

Dipartimento di Oncologia, Terza Sezione di Patologia, Università di Pisa J Clin Endocrinol Metab 201;297:3974-82

A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?

La ricerca si è rivolta a chiarire le cause delle discrepanze dei risultati ottenuti con i diversi metodi di dosaggio degli anticorpi anti-tireoglobulina (AbTg), che vengono utilizzati come marker nel follow-up dei pazienti con carcinoma differenziato della tiroide, in sostituzione della tireoglobulina (Tg).

Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?

È noto che i risultati ottenuti con i diversi metodi di dosaggio degli AbTg sono spes- so discordanti.

Sintesi dei risultati ottenuti

Le correlazioni di sei metodi di dosaggio degli AbTg (tre IMA e tre RIA) erano estre- mamente variabili e risultavano più alte per i pazienti con carcinoma papillare della tiroide e tiroidite linfocitaria associata (PTC-T) che per quelli con carcinoma papil- lare della tiroide senza tiroidite linfocitaria (PTC). Due componenti non correlate, una che includeva i tre IMA e l’altra i tre RIA, spiegavano gran parte della varianza dei sei metodi. Il pattern degli epitopi degli AbTg era più omogeneo nei sieri con- cordanti (positivi in tutti i 6 metodi) che in quelli discordanti (positivi in 5 o meno metodi). I risultati della misurazione della preparazione di riferimento internazionale (IRP) degli AbTg risultava estremamente variabile nel 2009; i risultati del 2007 erano simili a quelli del 2007 per quattro dei sei metodi.

In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscen- ze riguardo al problema iniziale?

Questi risultati permettono di chiarire i fattori che determinano le differenze nei risul- tati del dosaggio degli AbTg.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

È necessario raggiungere una maggiore standardizzazione dei vari metodi di dosaggio degli AbTg per ridurre la discrepanza dei risultati nei pazienti con carci- noma differenziato della tiroide.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

Gli AbTg sono stati proposti come un marker in sostituzione della Tg nel follow-up dei pazienti con carcinoma differenziato della tiroide. È necessaria cautela nell’in- terpretazione clinica dei risultati degli stessi per evitare errori nel giudizio clinico.

dare i temi delle malattie croniche, della disabilità, del decadimento cognitivo e delle demenze e, in genere, delle sindromi geriatriche (il delirium, l’incontinenza uri- naria, la malnutrizione e le cadute), le più problematiche da trattare. Il futuro geria- tra dovrebbe concentrare il proprio interesse soprattutto sugli anziani più fragili, i cosiddetti oldest old e i frail elderly. La formazione dovrebbe riguardare anche le figure mediche e non mediche operanti all’interno delle residenze assistenziali (case di riposo) che sono molto sovente a contatto con gli anziani fragili.

Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?

La geriatria dovrebbe essere valorizzata come una disciplina medica dotata di una propria specificità, come la specialità che si deve occupare dei pazienti anziani

“complessi”.

Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?

Eventuali ricadute delle riflessioni espresse nel nostro lavoro potranno vedersi sol-

tanto nel corso degli anni. Ci auguriamo che la disciplina geriatrica possa afferma-

re la propria specificità culturale e trovare sempre più spazio nella formazione dei

futuri medici italiani.

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