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RUOLO DEL DISTURBO AFFETTIVO STAGIONALE NEI PROCESSI DI MEMORIA

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Academic year: 2022

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DELL’AQUILA

Dipartimento di Scienze Cliniche Applicate e Biotecnologiche

Corso di Laurea Magistrale in Psicologia Applicata, Clinica e della Salute

RUOLO DEL DISTURBO AFFETTIVO STAGIONALE NEI PROCESSI DI

MEMORIA

Relatrice:

Prof. Assunta Pompili

Laureanda:

Miriana Del Vecchio Matricola 247581

Anno Accademico 2019/2020

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1

Indice

Introduzione... 2

1. Il Disturbo Affettivo Stagionale ... 5

1.1. Descrizione ... 5

1.2. Prevalenza ... 6

1.3. Forme cliniche e sintomatologia ... 7

1.4. Eziopatogenesi ... 9

1.5. Approccio terapeutico ... 11

2. La memoria ... 16

2.1. Gli stadi della memoria ... 16

2.2. Modello multi-magazzino di Atkinson e Shiffrin ... 18

2.3. La Working Memory di Baddeley ... 21

2.4. Componenti della Memoria a Lungo Termine ... 23

2.5. Memoria prospettica ... 26

2.6. Strutture cerebrali della memoria... 27

3. SAD e Funzioni Cognitive ... 31

3.1. O’Brien, Sahakian e Checkley: SAD e compromissione cognitiva ... 31

3.2. Sullivan e Payne: i fallimenti cognitivi ... 34

3.3. Morales-Muñoz, Koskinen e Partonen: caratteristiche cliniche e cognitive ... 36

3.4. Morales-Muñoz, Koskinen e Partonen: abuso di alcol ... 39

3.5. Hjordt et al.: working memory e velocità di elaborazione ... 41

3.6. Dalgleish et al.: la memoria autobiografica ... 44

4. Fase sperimentale ... 47

4.1. Premesse e scopo dello studio ... 47

4.2. Materiali e metodi ... 49

4.3. Procedura sperimentale ... 56

4.4. Risultati ... 61

Conclusioni ... 65

Bibliografia ... 68

Ringraziamenti ... 77

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2

Introduzione

Il presente lavoro di tesi è basato su un progetto sperimentale, al quale ho collaborato in qualità di studentessa tirocinante e tesista, della Prof.ssa Pompili nel periodo compreso tra luglio 2019 e febbraio 2020, presso i laboratori del Dipartimento di Scienze Cliniche Applicate e Biotecnologiche dell’Università degli Studi di L’Aquila.

Lo studio in oggetto si poneva come obiettivo quello di analizzare l’interazione tra le componenti affettive e cognitive, in particolare relative ai processi di memorizzazione, in un campione non clinico di giovani donne con Disturbo Affettivo Stagionale (SAD). La scelta di questo specifico ambito di ricerca è stata dettata dalla scarsità di letteratura scientifica riguardante il SAD e il suo legame con le funzioni cognitive. È ben documentata l’influenza del disturbo depressivo maggiore sulle performance cognitive123, e sono stati ampiamente documentati deficit in capacità come la fluidità verbale4, l’attenzione visiva5 , la velocità psicomotoria6, l’attenzione7 e la working memory8. Lo stesso non si può dire per la depressione stagionale, i cui, già di per sé pochi, studi in merito hanno riguardato soprattutto la sua relazione con le componenti affettive. Data quindi l’abbondanza di evidenze sperimentali riguardanti la cognizione e la depressione non stagionale, e data la comprovata

1 Rock et al., 2014

2 Perini et al., 2019

3 Scult et al., 2017

4 Fossati et al., 2003; Videbech et al., 2003, cit in Sullivan e Payne, 2007

5 Hammar et al., 2003, cit in Sullivan e Payne, 2007

6 Portella et al., 2003, cit in Sullivan e Payne, 2007

7 Gallassi et al., 2001, cit in Sullivan e Payne, 2007

8 Lawrie et al., 2000; Elderkin-Thompson et al., 2003, cit in Sullivan e Payne, 2007

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3 relazione delle componenti affettive nella memorizzazione, si è pensato di verificare se questa compromissione nelle capacità cognitive sia presente anche nel SAD, e in che misura sia legata alle componenti cognitive. In questo specifico studio la capacità cognitiva presa in considerazione riguarda la funzionalità della Memoria a Lungo Termine.

Prima di entrare nei dettagli che riguardano l’esperimento svolto, questa tesi si sofferma a definire dettagliatamente la materia oggetto di studio: il SAD. Il capitolo ad esso dedicato approfondisce in modo dettagliato la clinica e la sintomatologia del disturbo, la stagionalità nella comparsa e nella remissione dei sintomi e le peculiarità che rendono il SAD distinguibile dalla depressione non stagionale. Indaga anche le possibili origini della stagionalità, che si ritiene possano essere ricercate nella diversa quantità di luce diurna a cui il paziente è esposto nel corso delle stagioni, tanto che uno dei vari fattori che incidono maggiormente sulla prevalenza del disturbo è la latitudine di residenza del soggetto. Il capitolo si conclude con una rassegna delle terapie più utilizzate nel trattamento del SAD e nell’efficacia dei diversi trattamenti sulla remissione e la prevenzione dei sintomi stagionali.

Poiché lo studio discusso in questa tesi riguarda gli effetti del SAD sulla Memoria a Lungo Termine, si è poi passati a definire meglio il concetto di memoria, con una rassegna delle teorie riguardanti la memorizzazione e l’immagazzinamento dei ricordi che attualmente vengono riconosciute come valide, oltre a una definizione teorica delle possibili divisioni dei diversi tipi di ricordi permanenti. Infine, una panoramica sulle principali strutture cerebrali coinvolte nei processi di memoria, descritta tramite un excursus sulla storia dei principali casi classici nel campo delle amnesie.

La scrittura è poi proseguita con una sintetica rassegna di alcuni tra i pochi studi che si sono precedentemente approcciati alla ricerca di eventuali compromissioni cognitive correlate alla presenza di SAD. Dai primi esperimenti del team di O’Brien (1993) fino a studi più

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4 recenti, diversi laboratori negli anni hanno provato ad approfondire la portata di eventuali deficit associati alla stagionalità, anche tramite studi comparativi con altri tipi di disturbo depressivo. La memoria si è dimostrata il campo meno approfondito all’interno della letteratura scientifica sul SAD, con focus prevalente sulla working memory o sulla memoria autobiografica.

Infine, viene descritta la parte sperimentale della tesi, che consiste nella somminisrazione di due task di memoria a lungo termine ad un campione di 50 giovani donne, 25 appartenenti al gruppo SAD e 25 di controllo. Entrambe le prove sono state realizzate con immagini tratte dall’International Affective Picture System (IAPS) e somministrate tramite software SuperLab 5.

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1. Il Disturbo Affettivo Stagionale

1.1. Descrizione

Il Disturbo Affettivo Stagionale (Seasonal Affective Disorder, SAD) è un tipo di disturbo depressivo caratterizzato da un esordio e una remissione dei sintomi rispettivamente nello stesso periodo dell’anno. Storicamente era già stata notata una certa ciclicità nei sintomi depressivi di alcuni pazienti, ma il disturbo in sé fu formalmente identificato e definito dal Dr. Norman Rosenthal nel 1984, all’interno di un articolo che descrive la sindrome e illustra gli effetti di un primo approccio terapeutico con la fototerapia.9

Ad oggi è classificato all’interno del DSM - 5 (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Health Disorders, Fifth Edition) tra i disturbi depressivi, nello specifico come una tipologia ricorrente di depressione maggiore con andamento stagionale.10

È possibile fare diagnosi di SAD quando, in relazione ai sintomi del disturbo depressivo, si applicano le seguenti condizioni:

o vi è stata una relazione temporale regolare tra l’esordio degli episodi depressivi maggiori nel disturbo depressivo maggiore e un particolare periodo dell’anno;

o anche le remissioni complete dei sintomi si verificano in un caratteristico periodo dell’anno;

9 Rosenthal et al.,1984

10 Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali - Quinta Edizione, 2014

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6 o negli ultimi 2 anni, si sono verificati due episodi depressivi maggiori che hanno dimostrato la relazione temporale stagionale di esordio e remissione definita dalle precedenti condizioni;

o gli episodi depressivi maggiori stagionali superano numericamente in modo sostanziale gli episodi depressivi maggiori non stagionali che possono essersi verificati durante l’arco di vita dell’individuo.10

1.2. Prevalenza

Studi epidemiologici mostrano che la prevalenza del SAD si attesta tra 1% e 10% della popolazione generale. Le donne sembrano essere maggiormente a rischio, in rapporto 4:1 rispetto agli uomini.11 L’età di esordio è stimata tra i 18 e i 30 anni, sebbene possa manifestarsi tipicamente anche in adolescenza o in età adulta. Inoltre,

all’aumentare della latitudine geografica si osserva un aumento della percentuale di persone affette dalla forma invernale, oltre che un maggior rischio per le persone più giovani.12

11 Meesters e Gordijn, 2016

12 Rosen et al.,1990, cit in Melrose, 2015

Fig. 1.1. La percentuale di soggetti affetti da SAD e S-SAD in 6 località (Rosenthal’s personal website) .

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7

1.3. Forme cliniche e sintomatologia

Come già accennato, la forma prevalente in cui si presenta è quella invernale conosciuta come Winter-SAD9: la sintomatologia inizia tipicamente tra Ottobre e Dicembre, per terminare generalmente a Marzo. Alcuni pazienti iniziano a provare ansia anticipatoria già da Luglio o Agosto. I sintomi depressivi permangono in media 3.9 mesi.9 Esiste però anche una forma estiva in cui l’episodio depressivo si manifesta in primavera per risolversi all’inizio dell’autunno, il Summer-SAD13, tuttavia non è stata ancora sufficientemente studiata per poter essere considerata una variante a sé stante.14

Il SAD può inoltre variare per gravità di sintomi: alcuni individui risultano incapaci di mantenere un comportamento funzionale, altri sviluppano una forma più leggera o subsindromica (S-SAD), nota anche come Winter blues. Nella sua sintomatologia più attenuata è la più frequente e non soddisfa i criteri per poter diagnosticare un episodio depressivo maggiore.15

Essendo un sottotipo di depressione maggiore, il SAD presenta tipicamente sintomi associati a questo disturbo:

o umore depresso;

o marcata diminuzione di interesse o piacere per tutte o quasi tutte le attività;

o agitazione o rallentamento psicomotorio;

o sentimenti di autosvalutazione o colpa eccessivi o inappropriati;

o ridotta capacità di pensare o di concentrarsi, o indecisione;

o pensieri ricorrenti di morte o ricorrente ideazione suicidaria.10

13 Wehr et al., 1991

14 Rosenthal, 2009

15 Lam et al., 2001, cit in Melrose, 2015

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8 Oltre che per l’andamento stagionale, il SAD si distingue anche per alcuni sintomi tipici.

A differenza della depressione endogena, in cui sono presenti anche insonnia, anoressia e perdita di peso, il SAD è caratterizzato da:

o ipersonnia;

o iperfagia;

o aumento ponderale.9

È stato anche evidenziato che i sintomi caratteristici della forma invernale siano: tristezza, ipersonnia, stanchezza e un forte desiderio di carboidrati. Al contrario, nella forma estiva si osservano più frequentemente: inappetenza, insonnia, agitazione, ansia e irritabilità.16

Poiché il SAD è associato a disregolazione serotoninergica, può essere confuso con disturbi che condividono meccanismi simili, tra cui: disturbo d’ansia generalizzato, disturbo di panico, bulimia nervosa, disturbo disforico premestruale, sindrome da fatica cronica, disturbo da deficit di attenzione/iperattività (ADHD).17

Sembra che un pattern stagionale di abuso di alcolici possa essere associato al SAD per diverse ragioni: alcuni pazienti utilizzano l’alcol come auto-medicazione per la depressione, altri manifestano un ciclo stagionale di depressione indotta dall’alcol.18

Infine, in soggetti con ridotta funzionalità tiroidea i sintomi del SAD possono essere nascosti da quelli dell’ipotiroidismo.19

16 Oren, 2014, cit in Melrose, 2015

17 Partonen et al., 2001, cit in Lurie et al., 2006

18 Sher, 2004, cit in Lurie et al., 2006

19 Sher et al., 1999, cit in Melrose, 2015

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9

1.4. Eziopatogenesi

Non è ancora stata individuata una causa esatta ed univoca per l’insorgenza del SAD. Si ritiene tuttavia che possa essere correlata alla scarsa esposizione alla luce solare. Già dai primi studi infatti si proponevano come possibili variabili patogeniche la durata del giorno, le ore giornaliere di sole e la temperatura.9

o Esperimenti più recenti hanno indicato una ridotta sensibilità della retina nei pazienti SAD. Questa riduzione compromette il percorso di segnalazione della melanopsina, che si occupa di trasmettere i cambiamenti di luce al Nucleo Soprachiasmatico (NSC) per regolare i ritmi circadiani endogeni. Una segnalazione alterata può influenzare la regolazione dell’orologio circadiano e il rilascio della melatonina.20 A questo proposito, Lewy ha formulato un’ipotesi, detta “dello spostamento di fase”, secondo cui la causa del SAD va ricercata in una desincronizzazione tra il ritmo sonno-veglia e l’orologio biologico circadiano. Coerentemente con queste teorie, sono stati individuati alti livelli di melatonina in pazienti con SAD invernale.21

o È stata evidenziata inoltre nei soggetti SAD una difficoltà nella regolazione della serotonina, un neurotrasmettitore implicato nel controllo dell’umore. In uno studio in particolare è stata trovata una percentuale maggiore di SERT nei soggetti affetti da SAD invernale. Il SERT è una proteina legata alla trasmissione sinaptica della serotonina, responsabile della ricaptazione della serotonina dalla fessura sinaptica;

alti livelli di SERT portano ad una minore attività serotoninergica, da cui derivano i sintomi depressivi. L’abbondante luce solare estiva regola naturalmente i livelli di

20 Roecklein et al., 2013

21 Lewy et al., 2005

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10 SERT, mentre in inverno una luminosità più scarsa ne induce un aumento con conseguente riduzione nei livelli di serotonina.22

o In correlazione con la ridotta esposizione solare, è stato osservato che i soggetti con SAD producono minori quantità di vitamina D, necessaria ad una corretta azione della serotonina. Una sua carenza è perciò correlata alla presenza di sintomi depressivi.23

Le alterazioni nei meccanismi di azione di serotonina, vitamina D, melatonina e ritmi circadiani sono quindi state correlate alla presenza di sintomi tipicamente associati al SAD, tuttavia non sono ancora stati trovati nessi che possano determinare una eventuale correlazione causale tra due o più di queste diverse condizioni.24 Esiste poi un certo grado di familiarità per il disturbo, dimostrata fin dai primi approcci: Rosenthal nel suo studio preliminare riporta che il 69% dei suoi pazienti ha almeno un parente di primo grado con una diagnosi di SAD o di altri disturbi dell’umore.9 Ricerche su diverse popolazioni hanno inoltre portato a ipotizzare l’esistenza di uno o più fattori genetici che potrebbero rendere vulnerabili o resistenti al SAD. Tra i tanti si può citare lo studio di Magnusson, che confrontando l’incidenza del disturbo tra islandesi e abitanti della costa est degli USA osservò che i primi mostrano un’incidenza del disturbo molto più bassa, nonostante vivano a latitudini più settentrionali: da questo si può supporre un qualche tipo di protezione al SAD nel genotipo della discendenza islandese.25

22 McMahon et al., 2014, cit in Melrose, 2015

23 Penckofer et al.,2010, cit in Melrose, 2015

24 Melrose, 2015

25 Magnússon e Stefánsson, 1993

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1.5. Approccio terapeutico

Sebbene i sintomi tendano a migliorare spontaneamente con il cambio di stagione, negli anni sono stati studiati diversi trattamenti che possono risolverli in minor tempo e più efficacemente, oltre a evitarne la ricomparsa, per poter ridurre al minimo la compromissione nella qualità della vita che i pazienti affetti da SAD esperiscono ogni anno.

Fototerapia

La fototerapia è una delle terapie più utilizzate nella cura del SAD. Le linee guida del trattamento sono state standardizzate a seguito di numerose verifiche empiriche:

o i pazienti devono posizionarsi a 30/45 cm da una fonte di luce da 10.000 lux, che deve essere bianca, fluorescente e senza ultravioletti;

o la terapia dovrebbe durare per 30 minuti al giorno, al mattino presto;

o gli occhi devono essere aperti, ma non è necessario fissare la luce.26

La terapia dura generalmente una o due settimane. Evidenze empiriche hanno dimostrato che non ci sono differenze nella remissione dei sintomi al termine di entrambi i periodi di terapia, quanto piuttosto nella rapidità della remissione.

I soggetti trattati per una settimana mostrano un miglioramento più veloce rispetto a quelli trattati per due settimane. La differenza è probabilmente derivata, oltre che da fattori ignoti, dalle aspettative dei soggetti: il primo gruppo si aspetta che i sintomi si attenuino dopo una sola settimana, mentre il secondo pensa di dover attendere ancora.

26 Lam e Lewitt, 1999, cit in Kurlansik e Ibay, 2012

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12 Ulteriori analisi mostrano che le aspettative mostrano una relazione con la risposta alla terapia solo nelle donne.27

È stato dimostrato che la fototerapia al mattino ha effetti maggiori rispetto ad altri periodi del giorno28 mentre esistono studi che supportano una uguale efficacia del trattamento nel pomeriggio, ma non superiore. Perciò è diventata pratica clinica comune eseguire i trattamenti di fototerapia al mattino.11 Il momento più adatto per produrre i massimi risultati differisce però a seconda dei cronotipi dei pazienti, ossia l’effettivo tempismo soggettivo di sonno e veglia. Un dato fondamentale per la regolazione del periodo di fototerapia è la correlazione emersa tra il cronotipo e il ciclo della melatonina, che subisce uno sfasamento più o meno importante a seconda che sia mattutino o serale.29 Lo strumento maggiormente utilizzato per indagare il cronotipo è il test Morningness Eveningness Questionnaire (MEQ).

È un questionario autosomministrato che si compone di 19 domande a risposta multipla, ognuna con quattro o cinque opzioni di scelta. Ad ogni risposta viene assegnato un punteggio

27 Knapen et al., 2014

28 Sack et al., 1990, cit in Meesters e Gordijn, 2016

29 Terman et al., 2001, cit in Meesters e Gordijn, 2016 Fig. 1.2. Pattern dei livelli di depressione nel tempo, relativi a una o due settimane di trattamento.

(S.E. Knapen et al., 2014)

Fig. 1.3. Differenze nelle aspettative e nel risultato della terapia in uomini e donne. Per rendere il grafico più comprensibile i punteggi di aspettativa sono stati divisi in gruppi, dove 4-6 è il più basso e 13-15 il più alto.

(S.E. Knapen et al., 2014)

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13 in un range compreso tra 16 e 86: un risultato inferiore a 41 indica un cronotipo “serotino”, uno superiore al 59 individua un cronotipo “mattutino”.30

È stato proposto un modo alternativo per la somministrazione della fototerapia, una cosiddetta “simulazione di alba”. Questo trattamento prevede l’esposizione ad una luce che aumenta gradualmente la sua intensità (da 0 a 300 lux in 30 minuti) appena prima di svegliarsi. I vantaggi sono il risparmio di tempo e gli effetti positivi sul risveglio, riducendo l’inerzia del primo risveglio.31 In uno studio con solo soggetti SAD ipersonni, l’esposizione alla simulazione di alba ha mostrato effetti superiori rispetto all’esposizione alla tradizionale luce bianca.32

Dopo la remissione, i pazienti possono proseguire il trattamento da soli, anche riducendo la quantità di esposizione, finché riescono a mantenere il controllo dei sintomi.33

Psicoterapia Cognitivo Comportamentale (CBT)

Anche la psicoterapia si è rivelata una soluzione empiricamente valida nel trattamento del SAD. In particolare, ha dimostrato la sua efficacia la CBT-SAD, ossia un adattamento della tradizionale psicoterapia cognitivo-comportamentale (Cognitive-Behavioural Therapy - CBT) indirizzato specificamente sul SAD. La CBT-SAD utilizza l'attivazione comportamentale e la ristrutturazione cognitiva per migliorare le strategie di coping necessarie a fronteggiare l'inverno, alleviando così i sintomi depressivi e favorendo la

30 Horne e Ostberg, 1976

31 Leppämäki et al., 2003, cit in Meesters e Gordijn, 2016

32 Avery et al., 2001, cit in Meesters e Gordijn, 2016

33 Kurlansik e Ibay, 2012

Fig. 1.2. I cronotipi associati al relativo punteggio ottenuto al test MEQ (Morningness Eveningness Questionnaire - MEQ)

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14 resistenza contro ricadute e recidive. Le strategie utilizzate includono l’identificazione di eventi piacevoli da utilizzare per contrastare l’anedonia invernale e la ristrutturazione cognitiva di pensieri negativi relativi alla stagione invernale. A differenza delle terapie cognitive standard per la depressione maggiore, il SAD necessita di un programma di sedute condensato, in modo da concludere la terapia in breve tempo, prima della primavera.34 Farmacoterapia

Il SAD, come altri disturbi depressivi, è associato a disfunzioni nell’attività serotoninergica, perciò risponde efficacemente alla stessa tipologia di terapia farmacologica. Diversi esperimenti hanno dimostrato l’efficacia degli Inibitori Selettivi del Reuptake di Serotonina (SSRI), in particolare della sertralina (Zoloft), della fluoxetina (Prozac)35 e del bupropione (Wellbutrin).36

Vitamina D

La carenza di Vitamina D osservata nei soggetti SAD ha portato alla formulazione di un’altra possibile terapia, che sembra aver avuto un riscontro positivo nella pratica clinica: è stato osservato infatti che l’assunzione di 100.000 IU giornaliere di Vitamina D migliora significativamente i sintomi depressivi.37

Melatonina

Tra i vari approcci terapeutici possibili è stata avanzata anche la proposta di ripristinare un corretto ritmo circadiano tramite assunzione di melatonina. Evidenze empiriche ne hanno effettivamente mostrato i benefici nel trattamento dei sintomi depressivi, in particolare se

34 Rohan et al., 2015

35 Moscovitch et al., 2004, Lam et al., 1995, cit in Lurie et al., 2006

36 Modell et al., 2005, cit in Melrose, 2015

37 Gloth et al., 1999, cit in Melrose, 2015

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15 assunta nel pomeriggio. Tuttavia la sua efficacia è inferiore a quella dei trattamenti standard.21

Prevenzione

Oltre ad attenuare i sintomi associati al SAD, l’ideale auspicato per la terapia è quello di impedire ai sintomi di ripresentarsi e consentire al soggetto un corretto funzionamento in ogni periodo dell’anno. Per questo scopo, si è cercato di verificare la validità dei trattamenti sopra menzionati anche in termini di prevenzione, con effetti generalmente positivi:

o trattamenti di fototerapia alla prima comparsa dei sintomi depressivi prevengono lo sviluppo di un episodio depressivo completo nella restante parte della stagione;38 o gli effetti della CBT sono pari a quelli della fototerapia nell’immediato, e superiori

nei due inverni consecutivi, dimostrando una maggiore durata nel trattamento del SAD e una minore tendenza alle ricadute;34

o l’efficacia farmacologica nella prevenzione del SAD è stata dimostrata, in particolare per il bupropione;36

o l’integrazione preventiva di Vitamina D prima dell’inizio dei mesi più bui sembra aiutare a prevenire la comparsa dei sintomi depressivi.39

Oltre a questi approcci, definibili più terapeutici, alcuni esperti raccomandano alcuni accorgimenti nel proprio stile di vita per contribuire a prevenire la comparsa dei sintomi:

esercitarsi spesso, aumentare la luce nelle stanze della casa, praticare tecniche di rilassamento e di gestione dello stress, passare più tempo all’aperto, visitare luoghi dal clima più caldo.40

38 Meesters et al., 1993, cit in Meesters e Gordijn, 2016

39 Kerr et al., 2015, cit in Melrose, 2015

40 Mayo Clinic, 2012, cit in Kurlansik e Ibay, 2012

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2. La memoria

La memoria è una funzione cerebrale che permette di assimilare e conservare nel tempo informazioni relative alla propria esperienza e alle conoscenze acquisite. Tali informazioni restano immagazzinate affinché possano essere recuperate in un momento successivo in cui si rendono necessarie.

Perché possa esistere un ricordo, il sistema deve essere in grado di assimilare informazioni, di mantenerle in memoria e di richiamarle alla coscienza all’occorrenza. È una funzione che comprende 3 tipi di processi cognitivi.

2.1. Gli stadi della memoria

o Fase di acquisizione e codifica: il momento in cui la nuova informazione viene inserita all’interno di una rete di dati precedentemente appresi. È un processo attivo che trasforma l’informazione in entrata (ciò che percepiamo, pensiamo o sentiamo) in memoria persistente.41 Sulla codifica, Craik e Lockhart (1972) hanno formulato una teoria, detta “teoria dei livelli di elaborazione”, secondo cui ogni stimolo può essere sottoposto a più livelli di codifica, che differiscono per profondità e complessità. Inoltre, dal livello di codifica dipende la durata della traccia mnestica. I livelli di codifica sono tre:

41 Tulving, 1983

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17 o codifica strutturale, il ricordo delle caratteristiche visive e strutturali dello

stimolo. È un livello di codifica superficiale;

o codifica fonemica, il ricordo delle caratteristiche fonologiche dello stimolo.

È un livello di codifica intermedio;

o codifica semantica, il ricordo del significato semantico dello stimolo. È un livello di codifica profondo.42

o Fase di ritenzione e immagazzinamento: l’insieme dei processi che determinano una buona riuscita dell’immagazzinamento. Esistono diverse strategie per trattenere delle memorie: la più comune e, generalmente, la più efficace è la reiterazione.

Tuttavia, anche una prolungata ripetizione delle informazioni non sempre assicura una corretta memorizzazione o un corretto recupero, che è influenzato anche da fattori come il contesto del recupero e la natura dei suggerimenti nell’ambiente.

o Fase di recupero: è un processo attivo in cui le informazioni memorizzate vengono richiamate per disporne all’occorrenza. Ciò che può essere recuperato dipende da quello che è sopravvissuto all’oblio e rimasto in memoria. Secondo il principio di specificità della codifica, per poter essere richiamato, un ricordo ha bisogno di un suggerimento che riattivi gli elementi principali dell’informazione. Perciò non sono le caratteristiche della traccia mnestica a determinarne il ricordo, ma piuttosto la compatibilità tra la traccia e le caratteristiche delle informazioni fornite al momento del recupero. Questa compatibilità può essere di tipo associativo, di similitudine, o di sovrapposizione.

42 Craik e Lockhart, 1972

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18 La qualità di un ricordo dunque dipende dal modo in cui l’informazione è stata codificata, dalla forza della traccia e dalla presenza di indizi di recupero adeguati.43

2.2. Modello multi-magazzino di Atkinson e Shiffrin

Anche la definizione dei sistemi di immagazzinamento è stata a lungo discussa, fino ad arrivare ai modelli teorici attualmente riconosciuti. Uno dei contributi di maggior rilievo è stato quello di Atkinson e Shiffrin (1971): il loro modello a tre magazzini fornisce una spiegazione dell’intero processo di elaborazione delle informazioni, dallo stimolo esterno alla memorizzazione permanente, ed è stato la base per molte ipotesi successive riguardo la struttura della memoria.

La struttura della memoria viene teorizzata come divisa in tre diverse componenti:

o il Sistema Sensoriale;

o la Memoria a Breve Termine (MBT);

o la Memoria a Lungo Termine (MLT).

Nel momento in cui uno stimolo viene presentato, il Sistema Sensoriale provvede a registrarlo attraverso il canale di senso appropriato e a trattenerlo. Questo magazzino ha un’ampia capacità ma un rapido decadimento, nell’ordine di pochi secondi, e codifica l’informazione nella stessa forma dello stimolo originario. Perciò, a seconda del tipo di stimolo, la ritenzione può assumere la forma di memoria iconica (per gli stimoli visivi, circa 1 secondo), ecoica (per gli stimoli uditivi, dai 4 ai 20 secondi), olfattiva, aptica (tattile) o gustativa. Gli stimoli considerati salienti passano alla MBT per essere analizzati.44

43 Brandimonte, 2007

44 Atkinson e Shiffrir, 1968

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19 Per la comprensione di questo tipo

di memoria sono stati fondamentali gli studi di Sperling, che nel 1960 fu il primo ad analizzare le modalità di funzionamento, nello specifico, della memoria iconica.

Per farlo si servì di un tachistoscopio, uno strumento in grado di presentare stimoli visivi per alcuni millisecondi. Il materiale di stimolo era una serie di matrici letterali 3x3, che veniva presentato per 50 ms. Lo studio si componeva di due fasi;

inizialmente ai soggetti venne richiesto di nominare tutte le lettere che ricordavano (con un risultato medio di 4-5 lettere su 9), in un secondo tempo si chiese di ricordare solo una delle tre righe, stabilita da un segnale acustico dopo la sparizione della matrice. I risultati non mostrarono significative differenze nel numero di errori tra il resoconto parziale e quello totale, lasciando supporre che i soggetti memorizzassero l’intera matrice in entrambi i casi.

Aumentando il tempo tra la scomparsa della matrice e l’emissione del suono, Sperling notò che la capacità di riferire le lettere peggiorava drasticamente, fino a scomparire dopo 1-2 secondi, segno di un rapido decadimento della memoria iconica acquisita.45

45 Sperling, 1960

Fig. 2.1. La rappresentazione grafica del modello multi- magazzino di Atkinson e Shiffrin (Atkinson e Shiffrin, 1968)

(21)

20 Il secondo magazzino, la Memoria a Breve Termine, ha una capienza più limitata rispetto al precedente, ma riesce a trattenere le informazioni per circa 30/60 secondi. Agli albori della ricerca sui processi di elaborazione della memoria, Miller (1956) ha condotto uno studio con lo scopo di chiarire i limiti della capacità della MBT di processare le informazioni. Ai soggetti sperimentali veniva presentato un numero di stimoli n, a cui dover rispondere con una tra n risposte precedentemente apprese. La performance risultava essenzialmente perfetta fino a 5-6 stimoli, per poi declinare rapidamente ad una ulteriore crescita di n. Fu introdotto il concetto di memory span, per intendere la più lunga lista di oggetti (numeri, lettere, parole, …) che una persona può ricordare nel giusto ordine. Questi oggetti vennero denominati chunk, e costituivano la più grande unità significativa che la persona riconosce, dipendenti quindi dalla conoscenza individuale dei singoli soggetti. Dallo studio risultò infine che in media le persone riescono a ricordare una sequenza di 7±2 chunk, e questo portò Miller a definire la sua teoria “il magico numero sette”.46 Ulteriori studi hanno contribuito all’approfondimento di questa teoria. Tra tutti, Orsini (1987) ha analizzato i dati raccolti su quasi 2500 soggetti, e ha portato nuove considerazioni riguardanti lo span di memoria immediata verbale e spaziale: lo span è influenzato dal livello di scolarità, aumenta con l’età e declina nettamente dopo i 65 anni, gli uomini mostrano una prestazione migliore delle donne nello span spaziale.47

I contenuti passano dalla MBT alla MLT se vengono reiterati, ossia sottoposti a ripetizione.

In caso contrario, non vengono conservati. La MBT permette inoltre di recuperare informazioni dalla MLT per ricordare eventi passati o per integrare le nuove informazioni a materiale già acquisito.44

46 Miller, 1956

47 Orsini et al., 1987

(22)

21 Il terzo magazzino è la Memoria a Lungo Termine, con capienza e durata potenzialmente illimitate. Da qui infatti difficilmente le tracce mnestiche possono scomparire, diventano solo più ardue da recuperare poiché soggette a oblio o interferenze. Le informazioni immagazzinate in questa memoria possono riguardare diversi aspetti, dalle conoscenze personali alle capacità apprese, e vengono perciò divise in diverse tipologie di memoria (episodica, semantica, procedurale…).44

2.3. La Working Memory di Baddeley

Con il progredire delle ricerche sulla memoria, sono apparsi evidenti i limiti del sistema di Atkinson e Shiffrin, soprattutto in riferimento alla MBT. Baddeley (1993) in particolare sviluppa un modello di memoria integrativo, denominato Working Memory (WM), che è ancora oggi il più ampiamente accettato.

Mentre la MBT può soltanto trattenere le informazioni, la WM è anche in grado di processarle e integrarle tra loro. Inoltre, la MBT è concepita come un sistema unitario privo di sottosistemi, mentre la WM è un sistema multi-componente e diviso in sottosistemi:

o Esecutivo Centrale;

o Taccuino Visuospaziale;

o Loop Fonologico;48 o Buffer Episodico.49

L’Esecutivo Centrale regola il funzionamento generale. Ha il compito di assegnare i dati sensoriali ai legittimi sottosistemi e di operare cognitivamente sui dati (in compiti come

48 Baddeley e Hitch, 1974

49 Baddeley, 2000

(23)

22 quelli matematici o di problem-solving). Inoltre è il sistema che si occupa di focalizzare l’attenzione, dando priorità a determinate attività e ignorandone altre.48

Il Taccuino Visuospaziale è la componente adibita al processamento delle informazioni di tipo visivo e spaziale, ed è ciò che ci permette di renderci conto di com’è fatto l’ambiente e di interagire con esso anche in termini di navigazione spaziale. È responsabile anche della capacità di visualizzare e manipolare informazioni visuospaziali immagazzinate nella MLT.48

Il Loop Fonologico consente alla WM di occuparsi di informazioni linguistiche, sia scritte che parlate. Si compone a sua volta di due parti. La prima è il Magazzino Fonologico, legato alla percezione del

discorso, che trattiene in memoria le informazioni, in forma verbale, per 1-2 secondi; le parole ascoltate entrano direttamente, quelle scritte devono prima essere convertite in un codice parlato. La seconda componente è il Processo di Controllo Articolatorio, legato alla produzione del discorso, che permette il mantenimento della traccia mnestica nel Magazzino Fonologico grazie ad una continua ripetizione sub-vocalica. Ha anche il compito di convertire il materiale scritto in parlato affinchè possa entrare nel Magazzino Fonologico.48

Il modello originale prevedeva solo questi tre sistemi, ma negli anni Baddeley ha ritenuto necessario aggiungere un ulteriore componente, che inizialmente era stato pensato come una parte dell’Esecutivo Centrale: il Buffer Episodico. Il suo compito è quello di fungere da

Fig. 2.2. La rappresentazione grafica del modello aggiornato della Working Memory di Baddeley (Baddeley, 2000)

(24)

23 intermediario tra le informazioni provenienti dai diversi sistemi, per poi combinarle in rappresentazioni indipendenti dal codice specifico di ogni canale sensoriale. Può inoltre accedere alle informazioni della MLT, per recuperarle o integrarle alle conoscenze appena acquisite.49

2.4. Componenti della Memoria a Lungo Termine

Come già detto, la MLT immagazzina informazioni di diverso tipo che necessitano di specifici sistemi di memorizzazione. Sono stati suggeriti diverse possibilità di suddivisione, quella comunemente più accettata prevede una differenziazione in esplicita (o dichiarativa) e implicita.

Memoria dichiarativa

La memoria dichiarativa è quella legata all’esperienza personale, che permette di ricordare eventi vissuti o cose, persone e luoghi conosciuti. È detta esplicita perché le informazioni al suo interno possono essere rievocate volontariamente e descritte in maniera consapevole.

Secondo Tulving questa memoria può essere suddivisa ulteriormente in due sottomagazzini:

o Memoria episodica, che raccoglie le rappresentazioni relative a specifici eventi di cui si può fare esperienza. Possiede informazioni di tipo spaziale e temporale sugli accadimenti, che definiscono dove e quando l’informazione è stata appresa. Una peculiarità di questa memoria è che si basa sulla soggettività della persona che ricorda, ogni ricordo non è necessariamente la testimonianza oggettiva di ciò che è accaduto, ma tiene conto dell’esperienza personale di chi ricorda.43 Include anche

(25)

24 una componente autobiografica, che raccoglie specifici ricordi del passato di un individuo.50

o La memoria autobiografica si riferisce a ricordi di informazioni specificamente legate al sé, che assumono la forma di un complesso mosaico composto da esperienze e dalle loro ricostruzioni. I ricercatori hanno individuato tre livelli di struttura della memoria autobiografica, organizzati gerarchicamente. Questi livelli si riferiscono rispettivamente a: periodi estesi della vita (che incorpora persone significative, stati d’animo, scopi), eventi generali (episodi della durata di giorni o settimane) e eventi specifici (conoscenza percettiva e sensoriale, di durata variabile da alcuni secondi ad alcune ore)43

o Memoria semantica, che raccoglie tutte le conoscenze enciclopediche e fattuali che sono state acquisite nel corso della vita. È la memoria adibita alla cultura sul mondo, al sapere puro e semplice. Le nozioni qui contenute hanno come caratteristica l’essere stabili, con definizioni che vengono apprese una volta e rimangono fisse in memoria.

Trascende dunque le condizioni in cui la traccia è stata memorizzata, è sganciata dal suo contesto di apprendimento e non ne ha bisogno per richiamare informazioni alla mente.50

La distinzione tra memoria episodica e semantica non riguarda solo il diverso tipo di contenuto, ma coinvolge anche un differente tipo di meccanismi di organizzazione delle informazioni: la memoria episodica organizza i dati al suo interno secondo un ordine cronologico, mentre quella semantica suddivide le informazioni secondo modalità tassonomiche e associative.43

50 Tulving, 1972

(26)

25 Memoria non dichiarativa

La memoria procedurale è la sezione più rilevante della memoria implicita, che riguarda quel tipo di informazioni che non presuppone la ricerca consapevole delle tracce mnestiche e include processi come il priming e il condizionamento. Questo sottomagazzino comprende i processi e le abilità che vengono coinvolte nella performance e nelle attività di routine. È una memoria basata sulla ripetizione delle azioni, che gradualmente e inconsapevolmente trattiene le informazioni necessarie su come effettuare efficacemente una routine. Ogni volta che sarà necessario svolgere un’attività, le informazioni sulle azioni da compiere verranno recuperate in maniera automatica. Questa memoria non riguarda solo il comportamento motorio, ma anche abitudini, schemi di comportamento e algoritmi procedurali.51 Questa è una memoria strettamente legata alla reale attuazione del compito, valutabile solo attraverso l’esecuzione dell’azione. Non c’ altro modo di dimostrare di saper fare, se non fare.43

51 Schacter, 1987

Fig. 2.3. La struttura della memoria (Brandimonte, 2007)

(27)

26

2.5. Memoria prospettica

Il termine “ricordare” viene generalmente utilizzato per indicare tutto ciò che abbiamo già compiuto e vissuto, che appartiene agli episodi del nostro passato. Tutto ciò viene definito memoria retrospettiva, e si contrappone a tutto ciò che è relativo al ricordare i piani, le intenzioni, le azioni da svolgere in futuro, che costituisce la memoria prospettica. Questa forma di memoria permette l’intenzione di compiere una data azione in un futuro non necessariamente immediato.

Sono state descritte cinque fasi che sembrano caratterizzare il processo che porta al ricordo di un’intenzione:

o Formazione e codifica di un’intenzione e dell’azione ad essa associata. Fa riferimento al ricordo del contenuto di un’azione futura, al ricordo dell’intenzione e al contesto di recupero. Contiene una componente retrospettiva, in quanto il contenuto dell’azione presuppone il suo precedente immagazzinamento.

o Intervallo di ritenzione. Riguarda l’intervallo tra il momento della codifica dell’intenzione e l’inizio dell’intervallo potenziale di prestazione. Può variare notevolmente nella durata, tanto da potersi riferire alla memoria prospettica a breve o a lungo termine.

o Intervallo della prestazione. È il periodo di tempo durante il quale l’intenzione deve essere recuperata. Per far sì che l’azione venga ricordata è necessaria una corrispondenza tra un cotesto di recupero già codificato e la situazione attuale (matching).

o Inizio ed esecuzione dell’azione che si ha intenzione di compiere. Si verifica nel momento in cui si inizia a eseguire l’azione. Appartiene a questa fase la compliance, cioè una serie di fattori che permettono di portare a compimento un’azione nel modo

(28)

27 in cui è stata pensata (se la persona ricorda che qualcosa va fatto in un preciso momento, cosa deve fare e se decide volontariamente di eseguire l’azione). Se uno solo di questi manca, il compito non verrà svolto.

o Valutazione del risultato. È il momento in cui si mette a confronto il contenuto retrospettivo dell’azione futura e gli effetti dell’azione eseguita. In questa fase viene verificato se lo scopo dell’azione è stato raggiunto, almeno parzialmente, oppure no.

Il processo di recupero delle intenzioni si conclude con una fase di cancellazione, detta di output-monitoring, in cui l’azione effettuata viene registrata. Un fallimento in questa fase comporta una anomalia nel comportamento, in cui l’azione può non venir eseguita perché si pensa di averla già conclusa, o viceversa viene svolta di nuovo perché non si ha memoria di averla compiuta.43

2.6. Strutture cerebrali della memoria

Le prime evidenze sulle strutture cerebrali implicate nella memoria vengono da studi effettuati su soggetti che, per diverse ragioni, avevano iniziato a manifestare varie forme di amnesia.

Le amnesie sopraggiungono in seguito ad una lesione cerebrale e si dividono generalmente in due tipologie:

o amnesia anterograda, che riguarda l’incapacità di apprendere nuove informazioni e ricordare eventi dal momento del danno cerebrale in poi. Le abilità di base dell’apprendimento percettivo, stimolo-risposta e motorio rimangono intatte;

(29)

28 o amnesia retrograda, che fa riferimento all’incapacità di rievocare eventi che sono

accaduti prima del danno cerebrale.52

Già nel 1889 Korsakoff descrisse per primo un grave deficit di memoria causato da un danno cerebrale. Il sintomo principale del disturbo che poi prese il suo nome era una grave amnesia anterograda. Oltre a questo, i pazienti mostravano una ricorrente confabulazione: quando si chiedeva loro di riferire un evento recente, questi raccontavano invece un evento fittizio piuttosto che ammettere di non ricordare. Tuttavia lo scopo di queste invenzioni non è ingannare l’interlocutore, in quanto i pazienti sembrano essere davvero convinti della veridicità delle loro affermazioni. Queste confabulazioni possono sia contenere un misto di eventi reali e immaginari, sia essere del tutto inventate. La sindrome di Korsakoff deriva solitamente dall’abuso di alcol, che causa un danno concentrato principalmente nei corpi mammillari dell’ipotalamo posteriore.53

Nel 1957, Scoville e Milner pubblicarono uno studio in cui riportavano che la rimozione bilaterale del lobo temporale mediale produce un deficit di memoria apparentemente identico a quello riscontrato nella sindrome di Korsakoff. Il paziente descritto era H.M., che fu sottoposto ad un intervento di ablazione chirurgica nel tentativo di curare una grave forma di epilessia farmaco-resistente, causata da un trauma cranico subito da bambino.

L’intervento trattò efficacemente i sintomi epilettici, ma causò anche gravi danni alla memoria.54

Studi successivi rivelarono che il danno che aveva causato l’amnesia si trovava nell’ippocampo, il che portò a concludere che questa area non è il sito della MLT o della MBT, e non è necessaria per il loro recupero. Piuttosto, la funzione in cui è implicata

52 Carlson, 2008

53 Korsakoff, 1889, cit in Carlson, 2008

54 Scoville e Milner, 1957, cit in Carlson, 2008

(30)

29 riguarda specificamente il consolidamento dei ricordi e il loro passaggio nella MLT.

L’ippocampo riceve informazioni dall’ambiente esterno tramite la corteccia associativa e motoria e tramite aree sottocorticali come i gangli della base e l’amigdala. Dopo aver elaborato le informazioni, attraverso le connessioni efferenti con queste stesse regioni, modifica le connessioni tra le memorie integrando le nuove tracce tra quelle vecchie.52

All’amnesia anterograda spesso si accompagna anche una forma più o meno severa di amnesia retrograda. La sua durata sembra essere correlata all’entità del danneggiamento del lobo temporale mediale. Pazienti con lesioni limitate alla formazione ippocampale hanno un grado di amnesia retrograda minimo, che si limita al massimo al decennio precedente al danno. In caso di ulteriori lesioni alla corteccia limbica del lobo temporale mediale l’amnesia si estende per diversi

decenni.55 Il fatto che anche con la sola lesione ippocampale sia presente una limitata amnesia retrograda suggerisce l’esistenza di un processo che trasforma gradualmente la MLT, trasferendola alle strutture corticali e rendendola

progressivamente indipendente dall’ippocampo.52

La distinzione tra memoria dichiarativa e procedurale trova conferma anche negli studi condotti in ambito neuroscientifico, grazie ai quali è stato osservato che i due sistemi di

55 Reed e Squire, 1998, cit in Carlson, 2008

Fig. 2.4. Rappresentazione delle strutture cerebrali coinvolte nei processi mnemonici (Schacter, 2001)

(31)

30 memoria dipendono da circuiti neuronali anatomicamente distinti. Lesioni alle regioni medio-temporali e diencefaliche portano ad una amnesia selettiva della memoria dichiarativa, che infatti lascia la working memory, le abilità motorie e percettive, il condizionamento, l’apprendimento non associativo e categoriale. I pazienti con questo tipo di amnesia non riescono quindi ad apprendere nuove informazioni, ma sono in grado di memorizzare nuove procedure. Inoltre, un danno specificamente localizzato a sinistra produce un deficit nella memoria dichiarativa verbale, mentre a destra compromette la memoria dichiarativa non verbale. La memoria procedurale viene invece danneggiata da lesioni localizzate nei gangli della base e nel cervelletto.43

(32)

31

3. SAD e Funzioni Cognitive

Il DSM-5 indica tra i sintomi associati ai disturbi depressivi anche una compromissione delle funzioni cognitive, descritta dalla semplice dicitura “ridotta capacità di pensare o di concentrarsi”.10 In realtà, i deficit sono molto più pronunciati e ad ampio raggio rispetto a quanto fa intuire questa descrizione. Sono stati effettuati numerosi studi su una possibile correlazione tra depressione e indebolimento cognitivo, che hanno riscontrato un deterioramento di diverse funzioni, tra cui principalmente la fluidità verbale4, l’attenzione visiva5 , la velocità psicomotoria6, l’attenzione7 e la working memory.8

Gli studi che hanno esaminato la cognizione in riferimento alla depressione di tipo stagionale sono molto meno numerosi, e in gran parte sono stati indirizzati verso due principali questioni:

o le differenze tra SAD e disturbo depressivo maggiore (MDD);

o la diversa gravità del deficit cognitivo nelle diverse stagioni.

3.1. O’Brien, Sahakian e Checkley: SAD e compromissione cognitiva

Tra i primi studi che hanno tentato un approccio diretto al SAD si può trovare quello del team di O’Brien, del 1993. Data la precedente letteratura scientifica che aveva già dimostrato la presenza di compromissioni di attenzione, apprendimento e memoria nel MDD, il suo

(33)

32 scopo era di indagare se si verificassero anche nel SAD e, in caso affermativo, se tali deficit fossero reversibili in seguito alla riduzione dei sintomi depressivi.

Il gruppo oggetto di studio era composto da 11 donne con diagnosi depressiva a pattern stagionale, secondo i criteri del DSM-III-R. Le pazienti non avevano assunto farmaci per curare i sintomi depressivi né erano state sottoposte a fototerapia.

La severità dei sintomi depressivi è stata valutata tramite i test:

o Hamilton Depression Rating Scale (HDRS);56

o Montgomery and Åsberg Depression Rating Scale (MADRS).57

I punteggi in queste scale sono stati utilizzati anche per verificare l’avvenuto miglioramento dei sintomi nel follow-up durante la stagione estiva.

Tutti i soggetti della ricerca, incluso il gruppo di controllo, vennero sottoposti a test per misurare le diverse abilità cognitive:

o test di riconoscimento dei pattern, per la valutazione dell’apprendimento automatico;

o test di riconoscimento spaziale, per la valutazione della memoria spaziale;

o test di abbinamento al campione, simultaneo (SMTS) e ritardato (DMTS), per la valutazione dell’attenzione visiva, rispettivamente con o senza coinvolgimento della MBT visiva;

o test di apprendimento delle coppie associate, per la valutazione dell’apprendimento visivo.

56 Hamilton, 1967, cit in O’Brien, Sahakian e Checkley, 1993

57 Montgomery e Åsberg, 1979, cit in O’Brien, Sahakian e Checkley, 1993

(34)

33 I test sui soggetti SAD sono stati effettuati sia in inverno che in estate, dopo la remissione dei sintomi depressivi.58

Risultati

Questo studio è stato il primo a riportare la presenza di compromissioni cognitive in pazienti affetti da SAD. In particolare, sono stati individuati dei deficit nelle capacità di ricognizione spaziale, recupero della memoria visiva e apprendimento visivo. I pazienti mostravano anche rallentamento psicomotorio, dedotto dal significativo aumento nella latenza di risposta.58 Questi risultati sono in accordo con studi precedenti che evidenziavano deficit di memoria sia nel riconoscimento59 che nel richiamo.60

Nella fase di riduzione dei sintomi sono emersi significativi miglioramenti nella performance in test di apprendimento e nella latenza di risposta, con l’eccezione dei compiti di riconoscimento spaziale che non mostrano miglioramenti nella velocità di risposta.58 Questi dati riflettono le discrepanze presenti nella letteratura scientifica: alcune ricerche mostrano miglioramenti cognitivi nel periodo di attenuazione dei sintomi,61 altre segnalano una continuità nelle compromissioni,62 probabilmente dipendenti dalla natura della specifica funzione cognitiva oggetto di test. Le performance nella fase di recupero sembrano correlare con la quantità residua di sintomi depressivi, valutata dai risultati del test MADRS. La correlazione tra il punteggio del test e la compromissione delle capacità cognitive è stata verificata anche da altri studi.63

58 O’Brien, Sahakian e Checkley, 1993

59 Richards e Ruff, 1989, cit in O’Brien, Sahakian e Checkley, 1993

60 Calev et al., 1986, cit in O’Brien, Sahakian e Checkley, 1993

61 Stromgren, 1977; Kerry et al., 1983; Calev et al., 1986, cit in O’Brien, Sahakian e Checkley, 1993

62 Whitehead, 1973; Savard et al., 1980; Jacoby et al, 1981; Abas et al., 1990, cit in O’Brien, Sahakian e Checkley, 1993

63 Abas et al., 1990, cit in O’Brien, Sahakian e Checkley, 1993

(35)

34 Questo studio ha evidenziato un

significativo rallentamento delle risposte nel test DMTS, ma non nel test SMTS. Dato che le capacità di codifica e di decision making richieste erano le stesse per entrambe i test, il rallentamento è derivato dall’aggiunta delle componenti di acquisizione e recupero che ricadono sulla MBT.58

3.2. Sullivan e Payne: i fallimenti cognitivi

Partendo dai risultati di O’Brien e da pochi altri studi successivi, Sullivan e Payne nel 2007 hanno cercato di colmare la scarsità di ricerche sul SAD con uno studio mirato a comprendere meglio differenze e similitudini tra le funzioni cognitive nella depressione maggiore e nel suo corrispettivo stagionale. L’approccio scelto prevede di indagare quei processi che vengono coinvolti nelle attività quotidiane, i cui deficit appaiono perciò evidenti nella vita di ogni giorno: i cosiddetti fallimenti cognitivi.64 In questo gruppo di attività rientrano diversi e comuni piccoli sbagli, come il dimenticare quello che si stava andando a comprare al negozio o saltare un appuntamento.65

Il gruppo dei partecipanti allo studio era composto da 93 volontari, studenti universitari tra i 18 e i 22 anni, dei quali: 59 come gruppo di controllo, 26 come soggetti del gruppo SAD e

64 Sullivan e Payne, 2007

65 Broadbent et al., 1982, cit in Sullivan e Payne, 2007

Fig.3.1. Latenza delle risposte corrette per SMTS e DMTS ad ogni ripetizione, e retest a 0 secondi di delay.

(O’Brien et al., 1993)

(36)

35 8 appartenenti al gruppo MDD. La sessione di testing si è svolta a novembre, durante il periodo di presenza dei sintomi depressivi stagionali.64

I test utilizzati nel corso dello studio sono:

o Beck Depression Inventory II (BDI-II) per individuare la presenza di MDD;66

o Seasonal Pattern Assessment Questionnaire (SPAQ) per determinare la presenza di SAD;67

o Cognitive Failures Questionnaire (CFQ) come strumento autosomministrato di individuazione dei fallimenti cognitivi.65

Risultati

Come ci si aspettava, i punteggi del CFQ correlavano significativamente con i punteggi di entrambe i test dell’umore. I tre gruppi mostravano punteggi diversi tra loro: il gruppo dei non depressi riportava un numero

medio di fallimenti cognitivi molto minore degli altri due gruppi, mentre non si evidenziavano differenze rilevanti nei punteggi medi tra il gruppo MDD e il gruppo SAD.64

I risultati evidenziavano quindi non solo la presenza di compromissione cognitiva nei soggetti SAD, ma soprattutto il suo impatto sulla vita

quotidiana e la sua severità, equiparabile a quella presente nel MDD.64 Questi risultati sono

66 Beck et al., 1996

67 Rosenthal et al., 1984, cit in Melrose, 2015

Fig. 3.2. Risultati del Cognitive Failures Questionnaire (CFQ) in soggetti con Disturbo Depressivo Maggiore,

Disturbo Affettivo Stagionale e soggetti non depressi.

(Sullivan e Payne, 2007)

(37)

36 coerenti con i dati sull’argomento già precedentemente raccolti da ricercatori come Rosenthal9 e O’Brien.58

Oltre a questo, lo studio confermava anche la già nota differenza di genere nella prevalenza del SAD (più presente nelle donne) e suggeriva una maggiore preponderanza nella presenza del SAD rispetto al MDD, almeno nell’ambito universitario da cui proveniva il campione.64

3.3. Morales-Muñoz, Koskinen e Partonen: caratteristiche cliniche e cognitive

Più recente e approfondito è lo studio del team di Morales-Muñoz (2017) che, in mancanza di una letteratura scientifica esaustiva riguardante il fenomeno depressivo stagionale, si propose di caratterizzarne le specifiche differenze cognitive e cliniche differenziandole da altri due tipi di disturbo depressivo molto comuni: la depressione maggiore e, per la prima volta in uno studio comparativo sul SAD, la distimia.

Il campione iniziale era composto da 4554 soggetti, selezionati attraverso un’indagine condotta dal National Institute for Health and Welfare (THL) in Finlandia. Da questo numero sono stati selezionati 408 soggetti per comporre i gruppi con sintomi depressivi (171 per il SAD, 153 per il MDD e 84 per la distimia), e 816 partecipanti per il gruppo di controllo.

Gli strumenti utilizzati per la valutazione dei soggetti sono:

o il Composite International Diagnostic Interview, Munich version (M-CIDI) del World Health Organization, un’intervista computerizzata, strutturata e comprensiva per la valutazione dei disturbi mentali;68

68 Lachner et al., 1998, cit in Morales-Muñoz, Koskinen e Partonen I, 2017

(38)

37 o il test SPAQ, come strumento di selezione per il SAD;67

o il test BDI, per misurare atteggiamenti e sintomi associabili alla depressione, proposto nella sua forma breve a 13 item (BDI-13);66

o il General Health Questionnaire (GHQ), per individuare disturbi psichiatrici minori, proposto nella sua forma breve a 12 item;69

o il Mini-Mental State Examination (MMSE), usato in ambito clinico e di ricerca per misurare l’indebolimento cognitivo, proposto nella sua forma breve a 16 item;70 o il Category Verbal Fluency Test – Animals, per l’analisi della fluenza verbale

associata a una categoria semantica. In questo studio è stata scelta la categoria semantica “animali”;71

o il Consortium to Establish a Registry for Alzheimer’s Disease (CERAD) 10-word list (CWL), uno dei test più sensibili per individuare una compromissione cognitiva lieve;72

o vari elementi estrapolati dall’indagine sulla salute del 2011, condotta dal THL, relativi alle funzioni cognitive dei partecipanti.73

Risultati

I punteggi dei vari test mostravano nel SAD un profilo clinico e cognitivo diverso rispetto agli altri disturbi correlati a sintomi depressivi.

69 Goldberg e Hillier, 1979, cit in Morales-Muñoz, Koskinen e Partonen I, 2017

70 Folstein et al., 1975, cit in Morales-Muñoz, Koskinen e Partonen I, 2017

71 Lezak et al., 2012, cit in Morales-Muñoz, Koskinen e Partonen I, 2017

72 Larumbe, 1997 cit in Morales-Muñoz, Koskinen e Partonen I, 2017

73 Morales-Muñoz, Koskinen e Partonen I, 2017

(39)

38 I disturbi correlati all’abuso di alcol sono stati riportati più frequentemente nella distimia, seguiti da MDD e in ultimo il SAD. Problemi di ansia, panico e agorafobia sono stati riscontrati in distimia e nel MDD, ma non nel SAD, in cui apparivano solo forme di disturbo d’ansia meno severe come la fobia sociale o il disturbo d’ansia generalizzato. I punteggi del BDI-13 mostravano una maggiore presenza di sintomi depressivi e disagio psicologico nella distimia, seguita dal MDD e in ultimo dal SAD. Il SAD era l’unico tra i tre disturbi a non annoverare tra i propri sintomi l’ideazione suicidaria.73

Riguardo gli aspetti cognitivi, il gruppo SAD mostrava una compromissione in fluenza e apprendimento verbale, peggiore di quella riscontrata nel gruppo MMD. SAD e MDD riportavano un deterioramento della memoria rispetto ai controlli, che tuttavia era minore rispetto a quello osservato nella distimia. Sono emersi anche punteggi diversi a sostegno della presenza di fallimenti cognitivi, che supportavano una compromissione significativamente maggiore nel SAD.73 Questi risultati sono in contrasto con quanto riscontrato da Sullivan e Payne, che invece hanno riportato una compromissione simile in SAD e MDD per quanto riguarda i fallimenti cognitivi.64

Fig. 3.3. Differenze tra SAD, MDD, distimia e controlli nelle funzioni cognitive. In figura, le performance che hanno mostrato valori significativi per il SAD: Category Verbal Fluency Test (sinistra) e CERAD 10-word list (destra) (Morales-Muñoz, Koskinen e Partonen I, 2017)

(40)

39

3.4. Morales-Muñoz, Koskinen e Partonen: abuso di alcol

Nello stesso anno, il team di Morales-Muñoz si è occupato anche di lavorare su uno studio che ricercava collegamenti tra la compromissione delle funzioni cognitive presenti nel SAD e l’abuso di alcol (AUD). Come già detto in precedenza, il SAD è stato frequentemente associato ad un pattern stagionale di AUD.18 Essendo ben noti gli effetti di un prolungato abuso di alcol sulle funzioni cognitive, in particolare sulle funzioni esecutive, la memoria episodica e le capacità visuospaziali,74 è risultato interessante vagliare il tema per poter meglio approfondire tutte le possibili cause delle compromissioni cognitive del SAD.

L’AUD è stato descritto come un pattern problematico di utilizzo dell’alcol che ha come risultato un disagio nella routine quotidiana e una evidente sofferenza clinicamente significativa. I criteri per una diagnosi di disturbo dovuto all’alcol prevedono la presenza di almeno due dei seguenti sintomi, che si verificano entro un periodo di 12 mesi:

o l’alcol è assunto in quantitativi maggiori o più a lungo di quanto fosse nelle intenzioni;

o desiderio persistente o sforzi infruttuosi di ridurre o controllare l’uso di alcol;

o impiego di una gran parte di tempo a procurarsi l’alcol, usarlo o recuperare dai suoi effetti;

o craving, o forte desiderio o spinta all’uso dell’alcol;

o uso ricorrente di alcol, che causa un fallimento nell’adempimento dei principali obblighi;

o uso continuato di alcol nonostante la presenza di persistenti o ricorrenti problemi sociali o interpersonali causati o esacerbati dagli effetti dell’alcol;

74 Bernardin et al., 2014, cit in Morales-Muñoz, Koskinen e Partonen II, 2017

(41)

40 o abbandono o riduzione di attività sociali, lavorative o ricreative a causa dell’uso

dell’alcol;

o uso ricorrente di alcol in situazioni nelle quali è fisicamente pericoloso;

o uso continuato di alcol nonostante la consapevolezza di un problema persistente o ricorrente, fisico o psicologico, che è stato probabilmente causato o esacerbato dall’alcol;

o tolleranza (bisogno di quantità marcatamente aumentate di alcol per ottenere l’effetto desiderato e una marcata diminuzione dell’effetto con l’uso della stessa quantità di alcol);

o astinenza, manifestata da sintomi specifici e da assunzione di alcol per attenuarne i sintomi.10

Questo studio si propone di esaminare la relazione esistente tra SAD e AUD, e come le funzioni cognitive correlano con l’una o l’altra variabile,75 basando le proprie osservazioni sul presupposto che le ricerche precedenti non hanno comunque evidenziato una maggiore severità delle disfunzioni cognitive nei pazienti SAD con AUD in comorbilità.76

I test utilizzati nel corso dello studio sono vari:

o il test M-CIDI, considerato unicamente nella sua sezione relativa all’abuso di alcol;68 o il test SPAQ, come strumento di selezione per il SAD;67

o il test MMSE, per misurare l’indebolimento cognitivo;70

o il Category Verbal Fluency Test – Animals, per l’analisi della fluenza verbale;71

75 Morales-Muñoz, Koskinen e Partonen II, 2017

76 Lee et al., 2015, cit in Morales-Muñoz, Koskinen e Partonen II, 2017

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