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Alterazioni degenerative del rachide nell’anziano C 23

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Academic year: 2022

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Alterazioni degenerative del rachide nell’anziano

Antonio Leone

L’invecchiamento umano contempla la progressiva comparsa di alterazioni degenera- tive in tutte le strutture ossee, legamentose e muscolari che compongono il rachide, ma sono le connessioni intervertebrali a essere coinvolte precocemente e in maniera più cospicua. L’involuzione degenerativa del rachide, che può essere motivo di grave inva- lidità e di elevato costo economico e sociale, è di agevole individuazione e valutazione radiologica; purtroppo, vi è spesso una scarsa correlazione tra i reperti radiologici e la sintomatologia clinica. Non è raro, infatti, il riscontro di pazienti con avanzate alterazioni degenerative del rachide e assenza di sintomatologia e, viceversa, pazienti con sinto- matologia imponente e scarsi segni radiologici.

Scopo di questo rapporto è prendere in considerazione le alterazioni degenerative del rachide nell’anziano, puntando l’attenzione sulla spondilolistesi degenerativa e le ste- nosi del canale rachideo.

Alterazioni degenerative discali e vertebrali

Il rachide possiede una peculiare struttura plurisegmentaria la cui unità di base è rap- presentata dall’unità funzionale rachidea, costituita da due vertebre contigue, dal cor- rispondente disco intervertebrale e dalle strutture legamentose d’interconnessione.

Il corpo vertebrale e il disco intervertebrale costituiscono di fatto un’entità unica, in quanto le fibre collagene del disco intervertebrale si continuano direttamente con il periostio dei due piatti vertebrali adiacenti. Le articolazioni interapofisarie sono arti- colazioni sinoviali le cui superfici sono rivestite da cartilagine ialina, mentre la loro cap- sula è parte integrante dei legamenti gialli. Il legamento longitudinale posteriore, a livel- lo discale, è incorporato nelle fibre collagene più esterne dell’annulus fibrosus, ma non è strettamente connesso alla porzione centrale del corpo vertebrale, posteriormente [1].

Il disco intervertebrale è costituito dal nucleo polposo, a maggior contenuto idrico e di proteoglicani, e dall’annulus fibrosus, a maggior contenuto di collagene [2].

A partire dall’adolescenza, non è più rilevabile un sistema di vascolarizzazione dis- cale e l’apporto nutritivo ai dischi è garantito mediante processi di osmosi che hanno origine, soprattutto, dalla cartilagine dei piatti vertebrali. Il nucleo, per il suo elevato contenuto idrico, ha proprietà idrostatiche, agisce da fulcro per i movimenti vertebra- li e provvede a trasmettere e a distribuire radialmente le forze di carico perpendicola- ri alla superficie discale [3].

Le alterazioni degenerative del rachide, legate all’involuzione senile, hanno general-

mente inizio nel disco, dove avvengono delle modificazioni strutturali e biochimiche che

alterano le sue proprietà fisiche di elasticità e resistenza meccanica [4]. Queste modi-

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ficazioni strutturali intervengono relativamente presto nella vita a causa della mancan- za di un sistema di vascolarizzazione discale e del costante stress cui i dischi sono soggetti.

Dalla nascita in poi, il contenuto idrico discale diminuisce progressivamente, il collagene precipita nel nucleo e forma fibrille, mentre le lamine dell’annulus tendono a frammen- tarsi. Con il tempo, i depositi di collagene nel nucleo vanno incontro a organizzazione, il nucleo diviene progressivamente sempre più fibroso e le forze che agiscono in senso cra- nio-caudale, perpendicolarmente alla superficie discale, non possono più a lungo essere distribuite radialmente sul piano assiale senza la comparsa di alterazioni strutturali dis- cali. È così che, a partire dalla terza-quarta decade di vita, non è più possibile differenziare il nucleo dall’annulus, e più del 50% dei dischi mostra fissurazioni periferiche dell’an- nulus [5]. Le fissurazioni dell’annulus sono state classificate da Yu e coll. [6] in tre tipi. Il tipo I, di aspetto a semiluna, è riconoscibile solo nelle sezioni anatomiche, ma non alla riso- nanza magnetica (RM). Il tipo II è rappresentato da fissurazioni più grandi, generalmente posteriori ed evidenti alla RM (Fig. 1). Le fissurazioni del tipo III si localizzano tra le fibre di Sharpey, ma sono di difficile individuazione alla RM.

Fissurazioni dell’annulus sono state riportate in oltre l’80% dei casi di bulging disk e presentano enhancement dopo contrasto, probabilmente per la presenza di tessuto di granulazione e cicatrice [7]. Nel contesto di queste fissurazioni, a causa dell’instaurar- si di una pressione negativa, accentuata dai movimenti in estensione del rachide, si può avere l’accumulo di azoto interstiziale divenuto gas [8]. È questo uno dei due aspetti del cosiddetto vacuum phenomenon. L’altro aspetto, più tipico, è il cosiddetto vacuum

phenomenon centrale rappresentato da una raccolta gassosa nel contesto di una relati-

vamente ampia neocavità discale che occupa sia il nucleo sia l’annulus, e che è espres- sione di un’avanzata degenerazione discale (Fig. 2).

Il processo degenerativo del disco può esitare nella distruzione dell’annulus poste- riore con erniazione di materiale nucleare ed eventuali compressioni mielo-radicolari.

Fig. 1. Fissurazione discale. L’immagine di riso- nanza magnetica (RM) sagittale T2-dipendente mostra una piccola area d’iperintensità di seg- nale nel contesto del bulging disk, a livello L4-L5

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In ogni caso, la progressiva disidratazione e la fibrosi discale (condrosi) portano a una riduzione in altezza del disco che protrude al di là del suo normale perimetro. La pro- trusione discale posteriore, non solo riduce le dimensioni del canale rachideo centra- le e dei canali radicolari, ma determina uno stiramento del periostio dei corpi vertebrali da parte delle fibre di Sharpey con proliferazione ossea e conseguente formazione di osteofiti (spondilosi). Inoltre, i piatti vertebrali adiacenti al disco degenerato possono pre- sentare tre tipi di alterazioni descritti da Modic e coll. [9] e ben evidenti all’esame RM.

Il tipo I, dovuto a edema, si caratterizza per ipointensità del segnale nelle immagini T1-dipendenti e iperintensità in quelle T2-dipendenti. Il tipo II, dovuto a degenera- zione adiposa, si caratterizza per iperintensità del segnale sia nelle immagini T1-dipen- denti sia in quelle T2-dipendenti (Fig. 3).

Fig. 2. Esteso fenomeno ex-vacuo discale. La scansione tomografica computerizzata (TC), passante per lo spazio intervertebrale L4-L5, mostra estesa raccolta gassosa discale e stenosi del canale rachideo centrale e dei recessi later- ali di L5, conseguente all’ipertrofia degenerati- va delle masse articolari

Fig. 3. Modificazioni degenerative del piatti vertebrali. a L’immagine RM sagittale T1-dipendente mostra iperintensità di segnale in corrispondenza dei piatti vertebrali contrapposti di L5 e S1. b La corrispondente immagine fast spin echo (FSE) T2-dipendente mostra, nelle stesse sedi, un reperto simile. Tali alterazioni di segnale corrispondono al tipo II di Modic

a b

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Infine il tipo III, dovuto a sclerosi, si manifesta con riduzione dell’intensità del segna- le nelle immagini T1 e T2-dipendenti.

A livello cervicale, la riduzione in altezza del disco e, quindi, dello spazio inter- vertebrale fanno sì che i processi uncinati vengano a contatto con il corpo vertebra- le soprastante e quindi si deformino con comparsa di osteosclerosi e produzione di osteofiti. Questi ultimi possono dirigersi all’indietro, verso il canale rachideo, o late- ralmente, verso i canali radicolari; in entrambe le circostanze si possono avere com- pressioni mielo-radicolari.

In tutto il rachide, la riduzione in altezza dello spazio intersomatico causa l’accor- ciamento e l’ispessimento dei legamenti intervertebrali, come i legamenti gialli e il longitudinale posteriore, con possibili impronte sul sacco durale. Ma, soprattutto, tale riduzione consente alle due vertebre adiacenti di poter scorrere una sull’altra in avan- ti e all’indietro; ne consegue: lassità legamentosa, sublussazione cranio-caudale delle corrispondenti faccette articolari e, quindi, artrosi interapofisaria (Fig. 4). Quest’ulti- ma, che può sussistere indipendentemente dalla degenerazione discale, è caratteriz- zata da assottigliamento della cartilagine, infiammazione sinoviale, lassità dei lega- menti capsulari, sclerosi e geodi dell’osso subcondrale, e formazione di osteofiti con ipertrofia delle masse articolari [10]. La conseguenza di queste alterazioni degenera- tive è l’ulteriore riduzione delle dimensioni del canale rachideo centrale, dei recessi laterali e/o dei canali radicolari sino ad arrivare, nelle forme più severe, alla spondi- lolistesi e alla stenosi serrata del canale rachideo (Fig. 4) [11].

Fig. 4. Stenosi del canale rachideo. Spondilolistesi degenerativa di L4 su L5 in una donna di 72 anni. a La scansione TC passante per le articolazioni interapofisarie L4-L5 mostra sublussazione delle faccette articolari di destra. b La scansione caudale alla precedente mostra il segno del

“doppio arco”, espressione di spondilolistesi, l’ipertrofia degenerativa delle masse articolari e calcificazioni focali dei legamenti gialli con conseguente stenosi del canale rachideo centrale e dei recessi laterali di L5

a b

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Processi degenerativi delle strutture legamentose

Con l’invecchiamento, tutte le strutture legamentose vertebrali possono andare incon- tro alla precipitazione di sali di calcio e alla comparsa di neoformazione ossea. Queste manifestazioni degenerative, che compromettono la tonicità e l’elasticità legamentosa, sono soprattutto evidenti in corrispondenza dei legamenti gialli e dei legamenti longi- tudinali anteriore (Fig. 5) e posteriore (Fig. 6). Questi ultimi, sono tipicamente coinvol- ti nella cosiddetta iperostosi scheletrica idiopatica diffusa che è un’affezione a eziologia sconosciuta, tipica dell’età avanzata e caratterizzata da neoformazione ossea in corri- spondenza dell’inserzione dei tendini e dei legamenti. In particolare, l’ossificazione del legamento longitudinale posteriore, di cui esistono tre sottotipi (segmentaria, continua e mista), è più frequente nel tratto rachideo cervico-dorsale e comporta un’elevata inci- denza di mielopatia o mielo-radicolopatia. La diagnosi è appannaggio dell’esame radio- grafico, ma la reale estensione dell’affezione e l’eventuale conseguente stenosi del cana- le rachideo sono meglio valutate alla tomografia computerizzata (TC) (Fig. 6).

Fig. 5. Ossificazione del legamento longitudi- nale anteriore in un uomo di 76 anni. La ricostruzione TC sagittale del rachide cervicale mostra ossificazione continua del legamento longitudinale anteriore nel tratto C2-C5

Fig. 6. Ossificazione del legamento longitudi- nale posteriore, in un uomo di 67 anni. La ricostruzione TC sagittale del rachide cervicale mostra estese ossificazioni del legamento lon- gitudinale posteriore nel tratto C5-C7, associ- ate a osteofitosi somatica posteriore e con- seguente stenosi del canale rachideo. Si noti, a livello C6-C7, un’ossificazione segmentaria del legamento longitudinale anteriore

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Spondilolistesi degenerativa e stenosi del canale rachideo

L’unità funzionale rachidea può essere considerata la più piccola unità lavorativa del rachide. È viscoelastica, assorbe energia e può andare incontro a sei tipi di movimento (tre traslazioni e tre rotazioni) lungo e/o attorno gli assi cartesiani X,Y, Z proposti da White e Panjabi [12]. In genere, si ha l’accoppiamento di due dei sei possibili movimenti; per esempio, durante i normali movimenti di flesso-estensione del rachide lombare si pos- sono osservare: 1) una rotazione vertebrale sul piano sagittale, dimostrata da una varia- zione dell’angolo formato dai due piatti vertebrali contrapposti e, sempre lungo il piano sagittale, 2) un movimento di traslazione della vertebra soprastante sulla sottostante.

Con il termine spondilolistesi (Fig. 7) si intende lo scivolamento anteriore lungo il piano sagittale (qualunque sia la causa) di una vertebra sulla sottostante. Junghanns [13], nel 1930, fu il primo a osservare, su cadaveri, questo tipo di scivolamento non associato a spondilolisi e lo definì pseudospondilolistesi. Successivamente, Newman [14] propose il termine di spondilolistesi degenerativa, essendo presente essenzialmente in individui anziani. Essa è conseguenza dei rimaneggiamenti strutturali degenerativi delle faccet- te articolari e della lassità delle strutture capsulo-legamentose di interconnessione ver- tebrale, dovute alle alterazioni degenerative delle articolazioni intervertebrali. Lo sci- volamento posteriore, lungo il piano sagittale, di una vertebra sulla sottostante è comu- nemente indicato come retrospondilolistesi.

L’artrosi delle faccette articolari svolge un ruolo di primo piano nella genesi della spon- dilolistesi degenerativa [15]. Erosioni ossee subcondrali sono quasi sempre presenti nelle spondilolistesi degenerative. Inoltre, a livello della spondilolistesi, le faccette arti-

Fig. 7. Stenosi del canale rachideo lombare e spondilolistesi degenerativa di L3 e L4, in una donna di 69 anni. L’immagine RM sagittale T2- dipendente mostra la spondilolistesi dege- nerativa di grado 1, di L3 su L4 e di L4 su L5, ma soprattutto,la compressione del sacco durale tra gli archi posteriori di L3 e L4 e la limitante supe- riore di L5 (meccanismo “a baionetta”)

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colari hanno usualmente un orientamento secondo il piano sagittale che facilita lo sci- volamento vertebrale [16]. Ciò spiega anche la maggior incidenza della spondilolistesi degenerativa a livello L4-L5 rispetto, per esempio, a L5-S1, dove le faccette articolari hanno un orientamento coronale obliquo che previene lo scivolamento [16].

Kirkaldy-Willis e Farfan [17] hanno suggerito l’esistenza di una relazione tra spon- dilolistesi degenerativa e instabilità vertebrale proponendo le tre fasi cliniche delle alte- razioni degenerative vertebrali: 1) disfunzione temporanea; 2) fase dell’instabilità; 3) stabilizzazione. La prima fase si caratterizza per modeste alterazioni reversibili, men- tre la seconda fase è quella dell’instabilità e si caratterizza per riduzione in altezza del disco intervertebrale, lassità capsulo-legamentosa, artrosi interapofisaria e conseguente abnorme motilità dell’unità funzionale rachidea ed eventuale spondilolistesi. Nella terza fase, la comparsa di osteofiti e un’ulteriore riduzione in ampiezza del disco interverte- brale portano a una nuova stabilità. Pertanto, il riconoscimento di una spondilolistesi degenerativa non significa presenza certa di instabilità vertebrale, poiché la fase della stabilizzazione potrebbe essersi già instaurata.

La spondilolistesi degenerativa è sempre associata a stenosi, più o meno serrata, del canale rachideo e a compressione del sacco durale e delle radici nervose in corrispondenza dei recessi laterali, tra l’arco posteriore della vertebra soprastante che scivola in avanti e la limitante superiore della vertebra sottostante (meccanismo “a baionetta”, Fig. 7). In caso di retrospondilolistesi, l’entità dello scivolamento posteriore in genere è minore e la stenosi del canale rachideo è meno frequente.

La TC, che valuta molto bene lo stato di tutto l’astuccio osteo-disco-legamentoso, identifica agevolmente l’artrosi interapofisaria con la sublussazione delle faccette articolari (Fig. 4a), il segno del “doppio arco” (Fig. 4b), l’entità e l’estensione (uni- o plurisegmentaria) della stenosi del canale rachideo centrale, dei recessi laterali, dei canali radicolari e, nelle ricostruzioni multiplanari sagittali, la deformazione “a baio- netta” del sacco durale. Soltanto la RM, però, dimostra in maniera ottimale i fenomeni compressivi sul midollo spinale (sequenze “mielografiche”, mielo RM), la loro esten- sione (visione panoramica sagittale diretta) e, soprattutto, l’effetto sulle strutture nervose e l’eventuale sofferenza di queste ultime (edema, gliosi e mielomalacia midol- lari) (Fig. 7).

Bibliografia

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