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Capitolo 3

STRATEGIE ALTERNATIVE PER IL

CONTROLLO DELLA STRONGILOSI

GASTRO-INTESTINALE

3.1 UTILIZZO OTTIMALE DEI FARMACI ESISTENTI

Per un utilizzo ottimale di un farmaco antielmintico, bisogna innanzitutto accertarsi che la dose somministrata sia adeguata; infatti i sottodosaggi, oltre a risultare inefficaci, favoriscono anche l’instaurarsi di antielmintico resistenza poiché permettono la sopravvivenza di un gran numero di parassiti potenzialmente resistenti (eterozigoti per gli alleli della resistenza) che, riproducendosi fra loro, hanno la possibilità di dare origine ad una progenie resistente (omozigoti per gli alleli della resistenza) (Fleming et al., 2006).

Un esatto dosaggio è importante affinché si formi a livello ruminale un sito di riserva grazie a cui il farmaco viene poi rilasciato lentamente, in modo da prolungare la durata d’azione e così aumenta il tempo di contatto fra farmaco e parassita (Fleming et al., 2006).

Nel caso di molecole a breve durata d’azione, è consigliabile somministrare una seconda dose di farmaco dopo 12 ore per aumentarne l’efficacia (Prichard et al., 1978; Hass et al., 1982; Fleming et al., 2006). La presenza di cibo incide sulla disponibilità a livello ruminale del farmaco; infatti, lasciando a digiuno gli animali per 12 ore oppure

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limitando la somministrazione del cibo per le 24 ore precedenti il trattamento, è stata osservata una maggior efficacia per i benzimidazoli ma non per ivermectina e levamisolo (Ali e Hennessy, 1995; Escudero et al., 1997; Charlier et al., 1997).

Un altro importante fattore da considerare è il fatto che ai caprini non si deve somministrare lo stesso dosaggio indicato per gli ovini, infatti Chartier e Hoste (1997 a) riportano che nella capra vi è una maggiore rapidità di eliminazione del farmaco con conseguente ridotta biodisponibilità.

Per le capre, quindi, è necessaria una dose doppia di benzimidazoli e lattoni macrociclici ed una volta e mezzo la dose di levamisolo rispetto alle pecore (Silvestre et al., 2002; Genchi, 2006).

Barnes e coll. (1995) consigliano di utilizzare contemporaneamente farmaci antielmintici di classe diversa mentre sconsigliano la rotazione dei farmaci; ciò per evitare che nel giro di 15-20 anni si possa incorrere in episodi di antielmintico-resistenza di livello elevato verso tutti i principi utilizzati.

Risulta importante anche una corretta tecnica di somministrazione dei farmaci, specialmente quelli in soluzioni liquide somministrati per via orale, poiché una quantità eccessiva di liquido oppure una cattiva manualità di somministrazione può stimolare la chiusura della doccia esofagea e quindi può provocare il bypass del rumine con passaggio del farmaco direttamente in abomaso e riduzione dell’efficacia del prodotto (Hennessy, 1997 a,b).

Per ottimizzare l’efficacia dei farmaci antielmintici è consigliabile effettuare trattamenti solo quando la carica parassitaria rischia di

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compromettere la salute e la produttività dell’allevamento; per questo motivo si attuano dei programmi che prevedono la somministrazione dei farmaci nei momenti critici quali, ad esempio, una ventina di giorni dopo un’ingente pioggia dopo la stagione secca, in cui si ha una grande

presenza di larve infestanti sui pascoli (Barger, 1999) opppure dopo i parti primaverili, quando si ha un’aumentata carica infestante a seguito del “periparturient rise” (Ambrosi, 1995; Urquhart et al., 1998).

In Sud Africa è stato messo a punto un sistema detto FAMACHA© che serve per valutare il grado di anemia in cui si trovano gli ovicaprini parassitati da Haemonchus contortus osservando la mucosa congiuntivale; ciò permette di trattare solo gli animali che ne hanno necessità (Bath et al., 1996; van Wyk e Bath, 2002).

Fig. 3.1 Forte grado di anemia

in corso di emoncosi. (www.sheepandgoat.com)

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Fig. 3.2 Valutazione del

grado di anemia con il metodo FAMACHA©. (www.flickr.com)

Viene considerata un’ottima pratica il cercare di mantenere un adeguato numero di parassiti cosiddetti in “refugia”, cioè che non vengono a contatto con i farmaci (forme larvali a vita libera sui pascoli o adulti in animali non trattati), in modo da rallentare la selezione genetica per la antielmintico-resistenza (Van Wyk, 2001; Van Wyk et al., 2006).

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3.2 GESTIONE DEL PASCOLO

La strongilosi gastrointestinale è una parassitosi molto legata al pascolo, è quindi necessario porre particolare attenzione alla gestione del pascolo per cercare di mantenere più basso possibile il numero di larve infestanti sul terreno.

Le possibili strategie da adottare per avere una bassa carica di larve sui pascoli sono(Ambrosi, 1995; Wolstenholme et al., 2004; Fleming et al., 2006):

• prevedere la rotazione dei pascoli, cioè dividendo i terreni adibiti al pascolamento in più parcelle recintate su cui gli animali vengono spostati a rotazione lasciando trascorrere un po’ di tempo prima di permettere di nuovo il pascolo sul solito appezzamento in modo che le larve presenti muoiano;

• condurre sui pascoli “puliti” prima le rimonte svezzate ed in seguito gli adulti, riducendo così l’esposizione di animali suscettibili, quali sono i giovani, ad un elevato numero di larve infestanti rilasciate dagli adulti; • mantenere un adeguato carico di capi per superficie di terreno, in modo

da ridurre il numero di larve infestanti;

• lavorare e riseminare i pascoli molto infestati in modo da eliminare le larve che vengono sotterrate in seguito al rivoltamento delle zolle;

• utilizzare per il pascolo i prati dopo aver tagliato il fieno, in modo da ridurre la carica infestante;

• cercare di non avere una vegetazione troppo rigogliosa sui pascoli, per evitare la protezione delle larve che temono l’essicamento ed i raggi ultra-violetti;

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• cercare di impedire l’accesso ai pascoli ai ruminanti selvatici che possono introdurre larve infestanti;

• favorire la promiscuità di pascolamento con altri erbivori domestici di diversa specie, come ad esempio i bovini e gli equini, così da ottenere una diluizione delle larve, le quali, infatti, essendo ingerite da ospiti non propri non possono sopravvivere.

3.3 BIOSICUREZZA

Quando si introducono animali provenienti da altri allevamenti, prima di inserirli nel gregge è bene sottoporli a trattamento antielmintico, a cui deve seguire un periodo di quarantena, per evitare che possano introdurre ulteriori parassiti (Fleming et al., 2006).

3.4 MIGLIORAMENTO GENETICO

Vi sono individui che mostrano una certa resistenza genetica all’infestazione di nematodi e probabilmente la loro consistenza numerica è basata sull’ereditabilità di quei geni che giocano un ruolo importante nell’espressione dei meccanismi di questa immunità; perciò si può cercare di selezionare questi individui in modo da velocizzare il processo di acquisizione della resistenza (Gasbarre et al., 1999; Stear et al., 2001; Bisset et al., 2001).

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3.5 NUTRIZIONE

Le infestazioni da nematodi gastrointestinali sembrano essere correlate anche alla nutrizione, in quanto alcuni principi nutrizionali mostrano di aumentare la resistenza all’infestazione da parte dell’ospite. Pertanto, garantire un ottimale livello nutrizionale agli animali aiuta a limitare i danni causati da queste parassitosi.

Una dieta ad alto valore proteico sembra favorire lo sviluppo di immunità ed inoltre gli animali parassitati necessitano di una più alta ingestione di proteine poiché i vermi nutrendosi le sottraggono all’ospite. Supplementazioni di fosforo e rame hanno mostrato ridurre l’instaurarsi della parassitosi.

Deficit di cobalto provocano riduzione dell’immunità verso gli strongili. È stato dimostrato che addizioni di molibdeno permettono la riduzione della carica parassitaria negli agnelli, forse per un’azione sull’aumento di mastociti digiunali e di eosinofili ematici (Coop e Kyriazakis, 2001; Sykes e Coop, 2001; Fleming et al., 2006).

3.6 FUNGHI CHE INTRAPPOLANO I NEMATODI

Vi sono in tutto il mondo dei funghi che vivono a livello del suolo e della rizosfera che hanno la capacità di intrappolare con le ife, le quali crescendo formano una trappola vischiosa, le larve a vita libera degli strongili di cui si nutrono.

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Tra questi funghi, la specie Duddingtonia flagrans ha una spiccata capacità di sopravvivenza all’interno del tratto gastroenterico dei ruminanti e quindi può svolgere un ruolo molto importante nel controllo biologico di questa parassitosi. Infatti, le spore possono essere

somministrate assieme alla razione alimentare e, dopo aver percorso tutto il tratto digerente, esse germinano nell’ambiente e formano le ife che catturano le larve presenti nelle feci.

È stato sperimentato che somministrando spore di Duddingtonia flagrans nella razione giornaliera per almeno 60 giorni consecutivi si riesce ad ottenere una certa efficacia (Waller et al., 2001; Knox e Faedo, 2001; Terril et al., 2004; Fleming et al., 2006).

3.7 VACCINI

Il vaccino che ad oggi risulta più promettente nel controllo della strongilosi gastrointestinale dei piccoli ruminanti è composto da un antigene ricavato dalle cellule intestinali di Haemonchus contortus. In via sperimentale, gli animali a cui è stato somministrato tale vaccino hanno sviluppato anticorpi contro le cellule intestinali del parassita il quale, al momento del pasto, ingerisce assieme al sangue tali anticorpi che attaccando le cellule bersaglio impediscono al verme di nutrirsi e quindi di sopravvivere.

Un inconveniente di questo vaccino è dato dal fatto che l’antigene viene riconosciuto poco dal sistema immunitario degli ovini e quindi sono necessarie ripetute inoculazioni per ottenere un buon livello di immunità;

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inoltre per ottenere un limitato numero di antigeni, servono molti parassiti interi e quindi per produrre il vaccino bisogna ricorrere alle moderne tecniche ricombinanti per creare gli antigeni artificialmente. Questi inconvenienti, associati alla scarsità di efficacia riscontrata in sperimentazioni fatte in campo, non permettono l’utilizzo su larga scala di questa strategia.

Si stanno studiando anche vaccini per altri nematodi non ematofagi utilizzando antigeni ricavati da prodotti di escrezione e secrezione, ma anche per questi l’elevato costo di produzione e la discordanza dei risultati sull’efficacia non ne rendono conveniente l’impiego ( Smith et al., 2001; Knox et al., 2003; Kabagambe et al., 2004).

3.8 TERAPIE ALTERNATIVE 3.8. a) OMEOPATIA

L’omeopatia è un metodo terapeutico alternativo alla medicina tradizionale, i cui principi sono stati formulati dal medico tedesco Samuel Hahnemann alla fine del XVIII secolo.

Alla base di tale disciplina vi è il cosiddetto principio di similitudine del farmaco (similia similibus curantur), per cui il rimedio appropriato per una determinata malattia è dato da quella sostanza che in un animale sano induce sintomi simili a quelli osservati nel malato.

Una volta scelto il rimedio omeopatico da utilizzare il passo successivo è quello di decidere la “potenza” che per gli omeopati sta nella forte diluizione del principio di partenza, infatti è opinione di tali medici che

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diluizioni maggiori della stessa sostanza non provochino una riduzione dell’effetto farmacologico, bensì un suo potenziamento.

Dopo la diluizione si passa alla “dinamizzazione” che si realizza attraverso una serie di 100 succussioni.

Le sostanze di partenza utilizzate nella pratica omeopatica possono essere di origine vegetale, le piante o parti di esse vengono sottoposte ad estrazione alcoolica o glicerica ottenendo rispettivamente la tintura madre od il macerato glicerico, di origine animale, animali interi o segmentati, organi di animali superiori o secrezioni, oppure di origine minerale, dove questi minerali vengono finemente triturati in modo che diventino solubili in acqua.

Tuttora non è ancora chiaro il meccanismo con cui i rimedi possano agire, si pensa che questi sfruttino meccanismi di natura neuroendocrina. Nel caso dell’omeopatia la malattia è considerata come un’alterazione dell’energia vitale, ovvero come uno squilibrio tra l’animale e ciò che lo circonda; pertanto l’obbiettivo dei rimedi omeopatici è quello di dare al soggetto lo stimolo necessario per reagire positivamente nei confronti di una determinata malattia (Vaarst et al., 2004).

Nel caso specifico delle malattie parassitarie, il metodo omeopatico potrebbe contribuire a creare un equilibrio tra parassita ed ospite garantendo comunque all’ospite la capacità a crescere ed a produrre malgrado la presenza dei parassiti oppure di contribuire ad aumentare la resistenza immunitaria dell’ospite, cioè la capacità dell’ospite di ridurre il tasso di crescita, la fecondità e/o la persistenza di una popolazione parassitaria (Cabaret et al., 2002; Humann-Ziehank e Ganter, 2005; Vaarst, 2004).

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Nonostante l’ampia diffusione di questa disciplina, spesso mancano dei dati scientifici che attestino l’efficacia e l’assenza di effetti secondari dei rimedi omeopatici (Vaarst, 2004).

3.8.b) FITOTERAPIA

Con il termine Fitoterapia si indica un trattamento medico fondato su razionali basi allopatiche che impiega come medicamenti preparazioni vegetali come parti di piante, estratti, succhi o distillati; non appartengono alla categoria dei fitoterapici i medicamenti ottenuti con principi puri di origine vegetale e neppure i rimedi omeopatici di origine vegetale (Campanini, 2006).

L’utilizzo delle piante a scopi terapeutici ha una storia molto antica anche se con l’avvento dei moderni farmaci era caduto un po’ in disuso; in questo ultimo periodo, però, si sta diffondendo un interesse sempre maggiore verso queste piante ritenute curative , sia nei paesi industrializzati che in quelli in via di sviluppo (Abdu et al., 2000; Alawa et al., 2003; Assis et al., 2003).

Le piante che si ritiene abbiano un’azione antielmintica sono numerosissime anche se sono poche quelle per cui esiste un’evidenza scientifica riguardo a tale attività e per le quali sono stati effettuati adeguati test sia in vitro che in vivo per dimostrarne l’efficacia (Githtiori et al., 2006).

Tra le piante più diffuse per il trattamento delle parassitosi, senza che però se ne abbia la dimostrazione scientifica riguardo all’efficacia, si trovano: Allium sativum, Ginko biloba, Hypericum perforatum,

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Vaccinium macrocarpum, Echinacea purpurea, Echinacea agustifolia, Echinacea pallida, Urtica urens (Viegi et al., 2001).

Per quanto riguarda l’attività antielmintica, la Mentha piperita risulta molto efficace e ciò sembra debba essere attribuito al contenuto di betasitosterolo il quale ha dimostrato attività in vitro su Ascaris suum (Villasenor et al., 2002; Zaralli et al., 2004).

Anche ai semi di zucca è attribuita attività antielmintica, in particolare ascaricida, grazie al principio attivo cucurbitina, amminoacido pirrolozidinico, che paralizza i nematodi e ne provoca il distacco dalla parete intestinale (Campanini, 2006; Zaralli et al., 2004) ed è noto l’utilizzo in etnoveterinaria come antiparassitario per gli animali domestici (Viegi et al., 2001; Zaralli et al., 2004) sebbene non ne sia ancora dimostrata l’efficacia (Zaralli et al., 2004).

La letteratura riporta di studi effettuati sulla radice di Inula helenium in cui è stata testata l’attività antielmintica su Diphyllobotrium latum, (Zaralli et al., 2004) e su Ascaris lumbricoides (Garhy e Mahmoud, 2002; Zaralli et al., 2004).

Anche la cicoria (Cichorium intybus) sembra avere attività antielmintica(Marley et al., 2003; Marley et al., 2006; Tzamaloukas et al., 2005), ciò potrebbe essere dovuto alla presenza di lattoni sesquiterpenici, appartenenti alla categoria dei terpenoidi, che in vitro hanno dimostrato attività antielmintica (Waller e Thamsborg, 2004; Molan et al., 2000).

Recentemente l’attenzione dei ricercatori è stata rivolta verso alcuni principi attivi di origine vegetale dotati di attività antielmintica: si tratta dei tannini condensati.

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Vi sono dei tipi di piante foraggere come la sulla (Hedysarium

coronarium), il ginestrino(Lotus corniculatus) e la lupinella (Onobrychis viciifolia) che hanno un contenuto di tannini pari a circa il 5% che

sembrano avere una certa attività antielmintica ed a determinati stadi di maturazione agiscono come vermifughi (Niezen et al., 2002; Paolini et al., 2003)

Infatti, è stato osservato che l’introduzione di tannini condensati nella dieta degli ovini determina una riduzione nel numero delle uova degli strongili gastrointestinali nelle feci fino al 50%, per un’azione combinata di riduzione della fertilità dei parassiti, di eliminazione diretta del parassita e di riduzione dell’invasività delle larve (Waller e Thamsborg, 2004).

Il meccanismo d’azione dei tannini è pressoché sconosciuto.

E’ stato dimostrato che una percentuale inferiore al 10% di tannini condensati nella dieta degli ovini permette la protezione delle proteine dalla degradazione ruminale formando con esse dei composti insolubili che ne aumentano l’assorbimento intestinale (Waghorn et al., 1997; Waller 1999; Thamsborg et al., 2004).

Inoltre, sembra che l’efficacia antielmintica dei tannini sia esplicata maggiormente sui nematodi presenti nell’intestino tenue piuttosto che su quelli abomasali (Athanasiadou et al., 2001).

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3.9 ALTRI PRINCIPI ATTIVI DI ORIGINE NATURALE

Altri principi attivi di origine naturale possono avere attività antielmintica e l’esempio più esplicativo è quello dell’ossido di rame. È stato dimostrato che somministrando granuli di ossido di rame sottoforma di boli ai ruminanti si ottiene una riduzione notevole dei nematodi abomasali.

L’ossido di rame è stato utilizzato nel controllo dell’emoncosi in tutte le specie di ruminanti domestici anche se per quanto riguarda le pecore si può incorrere in fenomeni di intossicazione essendo questi animali molto sensibili ad accumulo epatico di tale minerale, mentre per i bovini ed i caprini questo può essere un valido metodo alternativo di lotta nei confronti di Haemonchus spp (Burke et al., 2004).

Figura

Fig. 3.1  Forte grado di anemia
Fig. 3.2  Valutazione del

Riferimenti

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