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L ’insegnamento della storia fra specificità, trasversalità, interdisciplinarità e multimedialità

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Academic year: 2021

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Maurizio Gusso

’insegnamento della storia fra specificità, trasversalità,

interdisciplinarità e multimedialità

Mettiamo in agenda una nuova politica per la storia!

Riflessioni e proposte sul curricolo verticale Modena 6 novembre 2006

L

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SEMINARIO DI FORMAZIONE IRIS-LANDIS STORIA, EDUCAZIONI, INTERDISCIPLI- NARITÀ, MULTIMEDIALITÀ: DALLA RICERCA DIDATTICA ALL’INNOVAZIONE SOSTE- NIBILE (MILANO, 23.2.2006)

L’insegnamento della storia fra specificità, trasversalità, interdisciplinarità e multimedialità

Dalle esperienze di ricerca e sperimentazione didattica ai modelli sostenibili e trasferibili

Maurizio Gusso

Negli ultimi decenni, nelle scuole italiane di ogni ordine e grado c’è stata una certa diffusione di esperienze didattiche al confine fra storia, altre discipline, multimedialità e ‘nuove educazioni trasversali’ (educazione alla cittadinanza, all’interculturalità, alla pace, alle pari opportunità, al- lo sviluppo sostenibile, al patrimonio ecc.) (Gusso – Medi, 2005 a).

Dall’insieme delle esperienze emergono alcuni punti fermi, ma anche alcuni aspetti problema- tici, da approfondire, fra cui le due questioni fondamentali affrontate in questo Seminario.

I) Come è possibile trovare un equilibrio fra gli approcci prevalentemente predisciplinari e im- pressionistico-globali degli studenti, la trasversalità delle finalità delle ‘educazioni’, il carattere in sé interdisciplinare di molti temi di ricerca, le specificità disciplinari, la costruzione di un ap- proccio integrato e interdisciplinare, tenendo conto del fatto che un approccio interdisciplinare non può limitarsi a una sommatoria di approcci disciplinari, ma che non si può nemmeno at- tuare senza aver chiari i nuclei fondanti delle singole discipline?

II) Come è possibile ricavare da tante esperienze didattiche, spesso legate a contesti troppo specifici, dei modelli effettivamente sostenibili, flessibili e adattabili a contesti diversi, evitando che le sperimentazioni e i gruppi di ricerca didattica risultino soluzioni elitarie e scarsamente generalizzabili?

Il mio contributo è volto ad offrire un quadro di riferimento metodologico unitario sul passaggio graduale dal predisciplinare all’interdisciplinare e sull’equilibrio fra approcci disciplinari, inter- disciplinari e trasversali, a partire dall’esempio concreto del rapporto fra storia, arti ed educa- zione interculturale.

1. SPECIFICITÀ DISCIPLINARE, INTERDISCIPLINARITÀ E TRASVERSALITÀ. QUALI EQUILIBRI?

1.1 Un’ipotesi di convenzionamento del lessico di base: interdisciplinarità/trasver- salità

Dato che nel linguaggio pedagogico-didattico e in quello di senso comune il termine ‘inter-di- sciplinarità’ assume diversi significati, più o meno distinti da quelli di altri termini come ‘multi- disciplinarità’ e ‘pluridisciplinarità’, diventa necessario convenzionare, sia pure in modo non ri- gido, termini e concetti, riferendosi il più possibile a convenzioni scientifiche e istituzionali in- ternazionali.

Dal Colloquio dell’Unesco (Bucarest, novembre 1981) a proposito dell’insegnamento superiore è emersa un’utile distinzione fra “livelli di interdisciplinarità” (“distinzione tra i termini” con progressiva integrazione tra diverse discipline: ‘multidisciplinarità’, ‘pluridisciplinarità’; ‘crossdi- sciplinarità’; ‘interdisciplinarità’; ‘transdisciplinarità’) e “tipi di interdisciplinarità” (interdiscipli- narità di discipline vicine; interdisciplinarità dei problemi; interdisciplinarità dei metodi; inter- disciplinarità dei concetti) (Orefice, 1982; 1984: 9-15).

Fra gli aspetti da valorizzare nelle proposte emerse dal Colloquio di Bucarest, si segnala anzi-

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tutto l’approccio molto concreto e gradualista alla progressiva integrazione tra diverse disci- pline, vista come un graduale passaggio fra i livelli della multidisciplinarità, della pluridiscipli- narità, della crossdisciplinarità, dell’interdisciplinarità e della transdisciplinarità, e come un cre- scendo graduale del patrimonio di relazione messo in comune nei tipi dell’interdisciplinarità dei concetti, dei metodi, dei problemi e delle discipline vicine.

Un altro contributo da riprendere, sia pure con qualche eventuale semplificazione, è la distin- zione fra:

- multidisciplinarità, che “può essere definita come la semplice giustapposizione di discipline di- verse, senza rapporto apparente tra loro”; per esempio, il mero elenco delle materie di inse- gnamento in un dato grado e ordine di scuola in uno Stato, o la mera coesistenza di insegnanti di materie diverse in uno stesso consiglio di classe rappresentano delle potenzialità di pluridi- sciplinarità, crossdisciplinarità e interdisciplinarità, che, però, devono essere attuate;

- pluridisciplinarità, ossia “associazione di discipline che contribuiscono ad una realizzazione co- mune, ma senza che ciascuna disciplina o ciascuno specialista abbia a modificare sensibilmente la sua propria visione delle cose e i suoi metodi”: spesso è quello che succede con i ‘nuclei plu- ridisciplinari’ degli esami di stato, che rappresentano delle potenzialità di interdisciplinarità, che, tuttavia, devono essere messe in atto;

- crossdisciplinarità, ovvero “costellazione nella quale una disciplina maggiore fornisce il punto di partenza ed altre discipline non assumono che un ruolo secondario”; se, in una certa misura, è umano e difficilmente evitabile che ogni insegnante metta al centro la/e propria/e materia/e e utilizzi strumentalmente contributi delle altre, tuttavia, una rigida gerarchia fra materie di se- rie A, B, C, una mancanza di reciprocità e di ricerca comune alla pari ostacola il passaggio a forme di interdisciplinarità vere e proprie;

- interdisciplinarità: “suppone una certa integrazione dei saperi, delle procedure e dell’elabo- razione di un linguaggio comune, che permette gli scambi concettuali e metodologici”;

- transdisciplinarità, cioè “una forma di integrazione di diverse discipline ad un livello elevato”, da cui, nel mondo della ricerca, possono nascere addirittura nuove discipline (Zanelli, 1994:

39-40).

Si può introdurre un’ulteriore distinzione fra ‘interdisciplinarità’ e ‘trasversalità’: “Interdiscipli- narità indica una convergenza interattiva e consapevole di due o più discipline (con i propri lin- guaggi e metodi e con pari dignità) su un tema/problema per arrivare a comprenderlo, affron- tarlo e se possibile risolverlo.

Se la convergenza delle discipline avviene invece sul terreno degli obiettivi e/o delle strategie, è meglio parlare di trasversalità” (Gusso – Medi, 2005 b: 1).

1.2 Il percorso predisciplinare – disciplinare – interdisciplinare/trasversale

Soprattutto, però, è importante prevedere un percorso graduale che, partendo dall’approccio predisciplinare, tipico degli studenti, ma anche di molti adulti e del senso comune, ne valorizzi gli aspetti ‘sincretici’ o ‘impressionistico-globali’ facendo cogliere il carattere globale e, per dir così, ‘interdisciplinare in sé’, dei problemi indagati, per mobilitare le risorse e i linguaggi disci- plinari, distinti e intrecciati, che vanno fatti convergere sul tema di ricerca, tenendo conto delle finalità generali o ‘trasversali’, come quelle delle ‘educazioni trasversali’ (Gusso – Medi, 2005 a).

Questo approccio, largamente usato nel caso della ‘area formativo-didattica’ geo-storico-so- ciale (Gusso, 1994: 129-133; 2000; 2004 a: 48-55, 103-106 e 154-159; Medi, 2004 a, 2004 b), può essere applicato anche ad altre ‘aree’ e alle regioni di frontiera fra diverse ‘aree’ disci- plinari (per esempio, fra ‘area geostorico-sociale’ e ‘area dei linguaggi non verbali’ o delle arti).

1.3 Solidarietà reciproca fra storia ed ‘educazioni trasversali’ ‘vecchie’ e ‘nuove’

“Intendiamo con il termine Educazioni trasversali tutti quei complessi di finalità educative - che si costruiscono attorno ad una problematica giudicata cruciale per la convivenza civile e rispetto alla quale si percepisce in qualche modo un bisogno formativo: il bisogno di cono-

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scerne gli elementi e di sapersi orientare nei meccanismi di quella problematica e tra le diverse prese di posizione rispetto ad essa;

- e che, in funzione del bisogno formativo individuato, propongono a più discipline un com- plesso di finalità e obiettivi educativi e didattici, da perseguire selezionando concetti, tema- tizzazioni, contenuti, procedure e metodi congruenti.

Le Educazioni trasversali possono essere interpretate come organizzatori e selettori del cur- ricolo nel suo insieme, in quanto possono essere assunte come uno strumento fondamentale nella scelta consapevole e coerente tra finalità formative, contenuti e strategie didattiche.

Infatti esse

- si propongono di costruire nei giovani competenze e capacità per comprendere la società in cui vivono e per agire in essa come soggetti critici e responsabili;

- indicano priorità e rilevanze di temi/problemi e i nodi concettuali fondanti su cui realizzare i diversi percorsi disciplinari;

- suggeriscono possibili convergenze interdisciplinari, dato il loro caratteristico approccio alla complessità, e in questo modo permettono di andare oltre gli steccati ancora presenti nel no- stro sistema scolastico;

- invitano a superare il carattere solamente verbale della scuola utilizzando una didattica pro- gettuale e comunque strumenti di lavoro e strategie diverse (lavori di gruppo, giochi di ruolo, interviste, drammatizzazioni ecc.);

- propongono di rivedere le stesse relazioni interpersonali nelle classi;

- aprono la scuola al territorio non solo perché invitano ad osservare criticamente la realtà che ci circonda, ma anche perché sollecitano la collaborazione con enti, istituzioni e organizzazioni, governative e non, specializzati su questi temi.

Per superare il circolo vizioso tra moltiplicazione/frammentazione delle materie d’insegnamento e moltiplicazione/frammentazione delle educazioni, conviene imboccare la strada di una reciproca solidarietà fra educazioni trasversali e discipline/interdisciplinarità, accordando diritto di cittadinanza sia a chi si sente soprattutto ‘insegnante di materia’, sia a chi sente in primo luogo ‘educatore tout court’ o è particolarmente sensibile a una specifica educazione trasver- sale.

Chi si sente anzitutto ‘insegnante di materia’ può chiedersi che cosa, dal suo punto di vista, possano rappresentare le educazioni trasversali. La proposta è quella di considerarle come de- gli insiemi di finalità, temi e strategie didattiche (metodi, tecniche, strumenti ecc.) fra loro coe- renti, che agiscano come criteri espliciti di selezione, raggruppamento e angolazione dei con- tenuti. Alla luce di tali criteri si possono rileggere tutte le materie d’insegnamento, fondando su di essi forme di interdisciplinarità tra insegnamenti affini.

Chi si sente in primo luogo un ‘educatore tout court’ o è particolarmente sensibile a una speci- fica educazione trasversale può domandarsi che cosa, dal suo punto di vista, possano rappre- sentare le materie insegnate, o meglio le discipline di ricerca corrispondenti. La proposta è quella di considerare queste ultime, anziché delle rigide gabbie contenutistiche, come delle ri- sorse per quella specifica educazione trasversale, a cui offrono conoscenze, concetti, strumen- ti, tecniche, procedure, metodi, modelli e teorie di riferimento, paradigmi e valenze formative”

(Gusso – Medi, 2005 a: 1-2).

Cfr. Barra, 2000; Barra – Scognamiglio, 2000; Gruppo di ricerca didattica Iris, s.d.; Gusso, 1994: 157-159; 1998; 2004 a: 52 e 170-172).

2. ESPERIENZE DIDATTICHE E LORO MODELLIZZAZIONI: RICERCA DIDATTICA E INNOVAZIONE SOSTENIBILE

La ricerca didattica (e in particolare la ricerca storico-didattica) rappresenta il ‘sale’ dell’ap- prendimento e dell’insegnamento della storia, non solo nel senso che, se non si coltiva nel- l’insegnamento e nell’apprendimento una dimensione di ricerca analoga e distinta rispetto a

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quella della ricerca storica specialistica, risultano entrambi scipiti e poveri di significato, ma anche nel senso che non bisogna nemmeno eccedere nel ‘sale’ della ricerca storico-didattica per non fare fughe in avanti elitarie e insostenibili a lungo dai più (Brigadeci e altri, 2001; Clio

’92, 2000: 19 e 27-28; Deiana, 1997, 1999; Guarracino, 1987 a: 35-42; 1987 b; Gusso, 1994:

159-162; Mattozzi, 1992 b).

Per quanto riguarda le esperienze didattiche, è fondamentale partire dalle esperienze e dalla loro documentazione e comunicazione, per arrivare, però, attraverso una riflessione critica, a ricavarne dei modelli meno legati alla contestualità contingente della singola esperienza e più flessibili, sostenibili, adottabili/adattibili, trasferibili non meccanicamente e generalizzabili in modo non rigidamente standardizzato (Gusso, 1994: 159-162 e 402).

Per far ciò, tuttavia, bisogna uscire dall’ottica meramente sommativa di accumulare unità di apprendimento ed entrare nell’ottica di una progettazione curricolare storico-interdisciplinare flessibile, che rappresenta un passaggio obbligato anche per riconnettere innovazioni, speri- mentazioni e riforme (Gusso, 1986: 34-36; 1994: 140-145; 2004 a: 166-172; Medi, 2001, 2004 a, 2004 b, 2004 c).

3. UN ESEMPIO DI INTERDISCIPLINARITÀ: DIECI OPZIONI PER L’USO DIDATTICO DEI PRODOTTI ARTISTICI COME FONTI STORICHE

Ecco una serie di raccomandazioni e opzioni metodologiche interdisciplinari, riferibili, sia pure con alcune necessarie curvature specifiche a un approccio storico-interdisciplinare ai prodotti delle diverse arti (arti figurative, fotografia, cinema, musica, letteratura ecc.).

Una prima raccomandazione concerne la presa di coscienza del fatto che la complessità dei fenomeni artistici (testi, opere, generi, convenzioni e modalità rappresentative, tecniche, istituzioni, usi sociali ecc.) e il carattere specifico, ma ‘spurio’ e storico, della loro ‘artisticità’

danno luogo alla problematicità di una teoria dell’arte e a una pluralità di approcci possibili (semiotica, ermeneutica, critica d’arte, sociologia dell’arte, storia dell’arte ecc.).

Una seconda opzione è quella per un approccio alle opere d’arte ispirato non al ‘realismo in- genuo’ della ‘teoria del riflesso’ (l’arte come riproduzione fedele del reale, come imitazione, esclusiva o quasi, della natura o della società), né al ‘formalismo’ o ‘convenzionalismo assoluto’

(l’arte come imitazione, esclusiva o quasi, dell’arte), ma a forme di ‘convenzionalismo relativo’

o ‘realismo smaliziato’, ispirate alla teoria dell’arte come ‘rappresentazione’/interpreta- zione polisemica di aspetti di realtà (in tensione vitale sia con la natura, sia con la società, sia con le eredità artistiche e culturali) e convergenti con l’approccio ‘convenzionalista relativo’ ai

‘fatti storici’ (Gusso, 1987; 2004 a: 101-102; Modica, 1979; Topolski, 1997: 195-213).

Una terza opzione è quella per un approccio equilibrato ai prodotti artistici come fonti stori- che, attento alla loro complessità e alla problematicità del dibattito teorico e metodologico.

Da un lato, infatti, va tenuta presente la cautela di chi li considera prevalentemente (se non esclusivamente) come fonti ‘primarie’ o ‘dirette’ per la storia dell’immaginario e/o delle mentalità collettive e/o delle idee e/o dei modelli culturali (anzitutto quelli degli autori) (Vovelle, 1989: 37-80) e per la storia delle forme (incluse le storie non storicistiche delle spe- cifiche arti in questione: letteratura, cinema, musica, fotografia ecc.) e solo come fonti ‘secon- darie’ o ‘indirette’ per le altre storie (storia dell’ambiente, della cultura materiale, economica, sociale e politica) (Chevalier, 1983).

Dall’altro, però, vanno presi in considerazione due elementi ulteriori. La ‘rivoluzione documen- taria’ del XX secolo ha rimesso in discussione queste tradizionali classificazioni gerarchiche del- le fonti (De Luna, 2001: 103-153; Le Goff, 1978; Topolski, 1981: 37-62). Inoltre, alcune arti hanno un diverso rapporto con la cultura materiale e con la realtà fisica (si vedano, per esem- pio, le differenze, a questo proposito, fra la letteratura, la musica, il cinema, la fotografia e le arti figurative) e alcuni artisti hanno una particolare attenzione alla documentazione e conte-

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stualizzazione storica, per cui, per certi versi, alcuni prodotti artistici possono essere utilizzati pure come fonti per la storia dell’ambiente e della cultura materiale, se non anche per quella economica, sociale e politica, a cui in ogni caso molte opere d’arte magari obliquamente allu- dono, con rinvii non chiari a tutti i fruitori e che quindi andranno esplicitati nell’analisi dei testi, tanto più con gli studenti.

Sarà indispensabile, quindi, entrare nel merito della specificità delle fonti letterarie (Vovelle, 1989: 37-50), audiovisive (De Luna, 1993), musicali (Gervasoni, 2002: 1-60; Guanci, 2006;

Peroni, 2005), filmiche (Ferro, 1980; Gori, 1994; Ortoleva, 1985; 1991; Rondolino, 1983;

Sorlin, 1979; 1984), fotografiche (D’Autilia, 2001; Ortoleva, 1983; Sega, 1988 a), iconografi- che (Niccoli, 1983; Vovelle, 1989: 51-80) ecc..

Una quarta raccomandazione riguarda la presa di coscienza dei diversi usi didattici possi- bili dei prodotti artistici come fonti storiche.

Occorre, anzitutto, evitare gli usi scorretti (falsificanti, decontestualizzanti ecc.) o inefficaci (te- sti non completamente ‘leggibili’) dei prodotti artistici come fonti storiche e andar oltre il loro uso meramente esornativo-estetizzante, né correttamente illustrativo, né documentario (per esempio, le immagini inserite nei manuali di storia senza esplicitarne né i riferimenti agli altri testi, a partire dal testo-base espositivo, né le loro coordinate documentarie; la fonte audiovi- siva come una sorta di spot divertente che come un diversivo interrompe la noia di una tradi- zionale forma di comunicazione didattica prevalentemente espositiva e verbale, dalla lezione frontale al manuale).

Ecco un elenco di usi corretti ed efficaci delle fonti, graduati dal semplice al complesso.

In primo luogo, un uso soggettivo-proiettivo-esistenziale del testo/fonte come ‘pretesto’/

stimolo/’specchio’, per un primo livello di cattura dell’attenzione, motivazione e problematiz- zazione. Per esempio, si possono usare i prodotti artistici come icebreaker o ‘rompighiaccio’

evocativi, sintetici, problematizzanti e facilitatori, per far emergere negli studenti e/o negli in- segnanti le ‘preconoscenze’ - ‘evocati’, immagini e rappresentazioni mentali, concetti spon- tanei, orientamenti, valori ecc. - e le motivazioni e per far scattare le dissonanze cognitive e/o emozionali: dall’accorgersi di sapere e/o provare emozionalmente qualcosa al prender co- scienza che non se ne sa abbastanza e/o che le proprie emozioni possono essere meno super- ficiali, fino a mettersi in ricerca per provare a saperne e a capirne di più; il testo/fonte può es- sere utilizzato come ‘esempio’ suggestivo e problematizzante, purché sottoposto alle regole della comunicazione (es.: comunicazione delle impressioni di ‘lettura’).

In secondo luogo, un uso correttamente illustrativo della fonte, a illustrazione/conferma di informazioni, argomentazioni, interpretazioni, valutazioni contenute in altre fonti (testo-base espositivo del manuale, lezione-quadro dell’insegnante, saggistica, altre fonti privilegiate ecc.), considerate più importanti e magari inscritte in un altro linguaggio (es.: una fonte iconica introdotta a conferma di un testo-base espositivo di un manuale di storia o di un insegnante).

In terzo luogo, un uso correttamente illustrativo e almeno parzialmente documentario (dato che un uso compiutamente documentario non è sempre possibile), a parziale problema- tizzazione delle informazioni, argomentazioni ecc. contenute in altri testi.

Infine, un approccio che equilibri l’uso soggettivo-proiettivo-esistenziale, quello cor- rettamente illustrativo e quello parzialmente documentario: si tratta di un livello difficile da raggiungere integralmente e dunque di un ideale regolativo verso cui tendere asintotica- mente, più che di una meta effettivamente raggiungibile per intero da tutti, sempre e co- munque.

Una quinta opzione è quella per un triplice approccio interdisciplinare ai prodotti artistici, intesi sia come ‘specchi’, sia come testi, sia come fonti storiche (Gusso, 2006: 28-30).

L’uso dei prodotti artistici come ‘specchi’, su cui insegnanti e studenti proiettano i loro “oriz- zonti di attesa” (Jauss, 1989: 41-56; Marangi, 2004: 267-272), le loro domande di senso, esistenziali e soggettive, rientra nel campo dell’educazione alla ricezione e alla comunicazio- ne/espressione: si chiede di provare a fruire attentamente del prodotto artistico e a comu- nicare le impressioni di ricezione nel modo a un tempo più personale e più efficace comunica-

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tivamente. La loro analisi come testi, inscritti in una pluralità di codici specifici, da decodificare attentamente, pertiene all’ambito dell’educazione linguistica ed estetica. Il loro uso come fonti storiche rientra nel campo della formazione storica. Si tratta, ovviamente, di distinguere tre aspetti intrecciati e di intrecciare tre aspetti distinti, senza confonderli né separarli rigida- mente.

A questo approccio si potrebbe aggiungere, nel caso almeno delle fonti letterarie, musicali, filmiche e fotografiche, l’attenzione a tali fonti come ‘agenti di storia’ e come strumenti per narrare la storia, con una certa analogia con gli approcci al film come “agente di storia” e

“scrittura filmica della storia” (Ferro, 1980: 9-12 e 157-160; cfr. D’Autilia, 2001: 189-228;

Gervasoni, 2002: 30-55; Peroni, 2005: 37-84).

Questo approccio prevede un percorso testo/fonte – serie – contestualizzazione storica (Geymonat, 1985: 222-233; Gusso, 1985).

Il prodotto artistico va, anzitutto, inteso come uno ‘specchio’ espressivo e comunicativo in cui il fruitore può proiettare la propria immagine, i propri “orizzonti di attesa”: l’approccio pro- iettivo, soggettivo ed esistenziale viene considerato come un buon esempio di prima ‘lettura’

predisciplinare e ‘sincretica’ (ossia impressionistico-globale) del testo (piano della ‘intrate- stualità’), purché preveda una concentrazione sulla ricezione/‘lettura’/‘ascolto’ e la comuni- cazione delle impressioni di ‘lettura’.

Inoltre, le opere d’arte vanno considerate come testi linguistici, inscritti in codici e in generi specifici, e come fonti storiche, da sottoporre ad un’analisi sia tematica, sia linguistica e se- miotica, sia storica. Una prima ‘rilettura’ critica del testo, attenta alla sua alterità rispetto alla soggettività del ‘lettore’, per stimolare il passaggio dal precedente approccio predisciplinare a uno disciplinare e interdisciplinare, può utilizzare la ‘zona prossimale’ fra approccio prediscipli- nare e alcuni elementi fondamentali dei linguaggi disciplinari. Per esempio, dell’approccio se- miotico-ermeneutico si possono anticipare la distinzione fra ‘tema principale’ e ‘motivi secon- dari’ (Ceserani, 1999: 600-602; Grosser, 1985: 217; Tomaševskij, 1968) e l’analisi dell’am- bientazione spaziale (Carluccio, 1988; Grosser, 1985: 145-182), temporale (Carluccio, 1988;

Grosser, 1985: 183-236) e sociale e/o del sistema dei personaggi (Ceserani, 1999: 204-220 e 575-576; Grosser, 1985: 264-269; Tomasi, 1988: 87-115), mentre dell’approccio storiografico si può anticipare la costruzione di un ‘questionario’ (Bloch, 1978: 69-70), ossia di un elenco di domande/problemi significativi, in grado di favorire il “passaggio dalla struttura potenziale alla struttura effettiva” informativa delle fonti (Mattozzi, 1992 a: 53), ossia di ricavare dalla loro polisemia e dal loro potenziale informativo solo le informazioni pertinenti al tema di ricerca consapevolmente delimitato attraverso l’operazione della “tematizzazione” (Gusso, 2004 a:

104-106, 157-159 e 169). Altre riletture del testo possono approfondire le competenze disci- plinari linguistiche (es.: approccio semiotico ed ermeneutico) e storiche (es.: critica delle fonti).

Il passaggio dall’analisi per linee interne di un singolo testo/fonte alla costruzione di una serie di fonti coincide con il trasferimento dal piano della ‘intratestualità’ a quello della ‘interte- stualità’. In effetti, una fonte da sola è come la rondine del proverbio: non fa primavera, ossia non si sa se rappresenta la regola o l’eccezione o l’eccezione dell’eccezione, rispetto, per esem- pio, alle mentalità collettive o ai modelli culturali, e quindi si tratta di verificarne il grado di generalizzabilità, attraverso una comparazione fra diversi testi/una serie di fonti mediante il

‘metodo contrastivo’, ovvero la ricerca di analogie controllate e di differenze significative fra coppie e serie via via più ampie di testi/fonti, in base a griglie comuni di analisi.

In particolare, si ricorda l’importanza di un intreccio ben dosato di fonti diverse (es.: letteratu- ra, fonti orali, musica, cinema, fotografia, arti figurative).

Infine, per passare al piano della contestualizzazione storica, si segnalano in particolare quattro piste:

a) contestualizzazione biografica (individuazione di alcuni nessi fondamentali fra le opere d’arte e i loro autori, a partire dalle loro biografie);

b) scioglimento/esplicitazione dei riferimenti alla storia ambientale, della cultura materiale, so- cioeconomica e politica contenuti nel testo/fonte;

c) contestualizzazione nella storia dell’immaginario e/o delle mentalità collettive e/o delle idee e/o dei modelli culturali;

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d) contestualizzazione nella storia delle forme (arti, lingue / linguaggi, generi, modalità e con- venzioni rappresentative ecc.).

Una sesta opzione è quella per un insegnamento interdisciplinare/integrato (Gusso, 1994: 129-133; 2004 a: 48-55) di storia e arti: letteratura (Dalla Vedova – Gusso, 1996;

Gusso, 2002 a; 2002 b; 2005), arti figurative (Gusso, 1992 a. 1-11; Perillo – Santini, 2004), musica (Galli, 2001; Guanci, 2006; Gusso, 1992 b. 1-18; Maule, 1992; Rossi, 1999), cinema (Carlini e altri, 1998; Carlini – Gusso, 2002; Gusso, 2006: 26-31), fotografia (Sega, 1988 b) ecc..

Una settima opzione è quella per uno ‘sfondo integratore’ psicopedagogico e didattico (Gusso, 2006: 30-31), ossia un approccio storico-interdisciplinare, globale, integrato (cognitivo e socio-affettivo-relazionale), intersoggettivo, interculturale, attento alle differenze di genere e generazione e alle distinzioni e agli intrecci fra storia e memoria, incentrato sui bisogni forma- tivi degli studenti (con particolare attenzione al carattere sempre più multiculturale delle classi) e sulle mediazioni didattiche degli insegnanti, sui ‘nuclei fondanti’, sulle competenze e sugli operatori cognitivi, interattivo, ludico, plurilinguistico, aperto alla ricerca storico-didattica, alle pratiche laboratoriali e alle nuove tecnologie, caratterizzato da un percorso presente – passato – presente e dall’arricchimento delle ‘preconoscenze’ mediante nuovi metodi per elaborare nuove informazioni e forme di ‘educazione dell’immaginario’ (Armellini, 1987: 58-61; 1989).

Un’ottava opzione è quella per una solidarietà reciproca fra le discipline/aree disci- plinari di riferimento e le ‘educazioni trasversali’, sia quelle più consolidate da tempo (educazione linguistico-comunicativa, estetica, scientifico-tecnologica, storica ecc.), sia quelle più recenti, come l’educazione interculturale (Brusa e altri, 2000; Gusso e altri, 1995; Gusso, 1999 a; 2004 b; Invernizzi – Medi, 1999), alle pari opportunità/alla differenza di genere (Aa.Vv., 1993; Brigadeci, 2001; Delmonaco, 2000), alla pace (Zanelli – Persini, 1994), alla cittadinanza democratica (Cavalli – Deiana, 1999; Deiana, 2001; Gusso, 1999 b), ai diritti umani (Gusso, 1991), alla legalità (Criscione e altri, 1994; Deiana, 1997: 193-205), allo svi- luppo sostenibile e alla mondialità (Caglio e altri, 1990; Deiana, 1997: 99-117; Medi, 2003;

Scognamiglio, 1999) ecc..

Una nona opzione è quella per una progettazione curricolare, flessibile e modulare, per temi/problemi, tipologie/casi e blocchi/filoni ricorrenti di temi, finalità e strategie didattiche (metodi, procedure, tecniche, strumenti, forme di verifica e valutazione), fra loro coerenti (Gusso, 1994: 140-145 e 157-159; 1998; 2004 a: 166-172; Medi, 2001).

Una decima opzione è quella per una programmazione didattica ‘ad albero’, che prevede una parte comune a tutta la classe, con approfondimenti di gruppo e individuali (Gusso, 2002 b: 22-27), e la trasformazione graduale, nei limiti del possibile, della classe in una “comunità ermeneutica” e di ricerca storico-didattica, attenta al “conflitto delle interpretazioni” (Ceserani, 1999: 405-408; Luperini, 1998: 13-18 e 124-127) e alla critica delle fonti.

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