• Non ci sono risultati.

NOZIONI DI ANATOMIA DELL APPARATO RESPIRATORIO.

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2022

Condividi "NOZIONI DI ANATOMIA DELL APPARATO RESPIRATORIO."

Copied!
64
0
0

Testo completo

(1)

LEZIONE 3

INSUFFICIENZA RESPIRATORIA ACUTA

NOZIONI DI ANATOMIA DELL’APPARATO RESPIRATORIO.

L’apparato respiratorio, o sistema respiratorio, è l'insieme di organi e tessuti deputati all'importante processo di respirazione.

La respirazione consiste nell'assimilazione dell'ossigeno inspirato con l'aria e nella contemporanea espulsione dell'anidride carbonica, generata dall'attività cellulare e rappresentante un prodotto di scarto.

Gli elementi anatomici principali dell'apparato respiratorio sono: il naso con le sue cavità, la bocca, la faringe, la rinofaringe, la laringe, la trachea, i bronchi, i bronchioli, i polmoni e i muscoli della respirazione diaframma ed intercostali.

L'apparato respiratorio è suddivisibile in due componenti principali: il tratto respiratorio superiore (o vie aeree superiori) e il tratto respiratorio inferiore (o vie aeree inferiori).

Al tratto respiratorio superiore, appartengono il naso con le sue cavità nasali, la bocca, la faringe, la rinofaringe e la laringe; al tratto respiratorio inferiore, invece, la trachea, i bronchi, i bronchioli, i polmoni e i muscoli della respirazione diaframma e intercostali.

(2)

Naso e cavità nasali: Il naso rappresenta la principale apertura esterna per il flusso d'aria dell'apparato respiratorio e il primissimo tratto delle vie aeree superiori. Le cavità nasali ricoprono un ruolo fondamentale nella fisiologia dell'apparato respiratorio. Esse infatti, riscaldano, umidificano e filtrano l'aria inalata, prima che questa raggiunga le vie aeree inferiori. Nella loro azione di filtraggio, si avvalgono di una sottile peluria e di una membrana mucosa di rivestimento, capaci di bloccare polveri, muffe, allergeni e altri contaminanti che possono mescolarsi nell'aria.

Bocca: ha il compito di aiutare o, se necessario, sostituire il naso nella sua azione di inalazione ed espulsione dell'aria.

La cavità orale è più corta delle cavità nasali e questo comporta che l'aria in entrata dalla bocca non subisca gli stessi processi di riscaldamento e umidificazione, tipici di quando attraversa gli spazi vuoti interni del naso.

Presenta però un vantaggio: l'aria che entra dalla cavità orale raggiunge i polmoni molto più velocemente, rispetto all'aria che entra dalle cavità nasali.

Faringe: non ha alcun ruolo nella fisiologia dell'apparato respiratorio, in quanto l'aria non vi passa attraverso.

Laringe: la laringe è un condotto impari di forma tubulare, situato a livello del collo, prima dell'inizio della trachea. Rappresenta l'ultimo tratto delle vie aeree superiori e include, nella sua struttura, diverse componenti di natura cartilaginea tenute insieme da una serie di muscoli e legamenti.

Sede delle corde vocali, la laringe ricopre tre ruoli fondamentali:

 Incanala l'aria verso la trachea, quindi in direzione dei polmoni.

 Consente la fonazione, grazie alla vibrazione delle corde vocali.

 Grazie all'epiglottide, impedisce al cibo di imboccare la trachea e ostruire le vie respiratorie, al momento della deglutizione.

Trachea: Situata tra laringe e bronchi, la trachea è un condotto elastico e flessibile, rappresenta il primo tratto delle vie aeree inferiori.

La trachea è lunga circa 12 centimetri e possiede un diametro pari a circa 2 centimetri.

Superiormente, origina da una porzione cartilaginea della laringe; inferiormente, termina in corrispondenza della biforcazione da cui nascono i bronchi primari.

Bronchi e bronchioli: I bronchi e i bronchioli costituiscono quel tratto delle vie aeree inferiori definito albero bronchiale.

L'albero bronchiale è una struttura alquanto complessa, che comprende le vie aeree esterne ai polmoni e le vie aeree interne ai polmoni (o intrapolmonari):

Le vie aeree esterne ai polmoni dell'albero bronchiale sono i cosiddetti bronchi primari extrapolmonari di destra e di sinistra. Il bronco primario extrapolmonare di destra si dirige verso il polmone destro, mentre il bronco primario extrapolmonare di sinistra si dirige verso il polmone sinistro.

Le vie aeree intrapolmonari dell'albero bronchiale sono i bronchi secondari, i bronchi terziari, i bronchioli, i bronchioli terminali e i bronchioli respiratori.

Dal punto di vista istologico, il complesso bronchi-bronchioli muta progressivamente la propria struttura man mano che si addentra sempre più nei polmoni. Infatti, se nei bronchi primari la componente cartilaginea è preponderante sulla componente muscolare, a partire dai bronchi secondari la componente muscolare prende il sopravvento e pian piano sostituisce quella cartilaginea.

(3)

La parete interna di bronchi e bronchioli presenta epitelio ciliare e cellule mucose: le ciglia e il muco servono a intrappolare i contaminanti (polveri, muffe, allergeni ecc), presenti nell'aria inalata, e a rimuoverli dalle vie aeree.

Per quanto concerne l'aspetto funzionale, bronchi e bronchioli servono a trasportare l'aria dalla trachea ai polmoni.

Alveoli polmonari: all’estremità di ogni bronchiolo terminale vi sono delle piccole cavità o sacche, capaci di contenere aria, che prendono il nome di alveoli o alveoli polmonari. Gli alveoli possiedono delle pareti elastiche e rappresentano la sede in cui l'organismo acquisisce l'ossigeno dell'aria inalata ed espelle l'anidride carbonica prodotta dall'attività cellulare. L’ossigeno infatti passa dall’alveolo al sangue, mentre l’anidride carbonica passa dal sangue all’alveolo per diffusione o secondo gradiente di concentrazione. Quindi, sono fondamentali all'interno del quadro fisiologico dell'apparato respiratorio.

Un insieme di alveoli forma il cosiddetto acino polmonare; un acino polmonare risiede all'estremità di un bronchiolo terminale.

Un gruppo di più acini polmonari, con i loro rispettivi bronchioli terminali, costituisce la più piccola struttura polmonare visibile a occhio nudo: il lobulo polmonare. Questo possiede acini più interni, detti acini centrali, e acini periferici, detti distali.

Polmoni: I polmoni sono i due principali organi dell'apparato respiratorio. Costituiti da tessuto spugnoso ed elastico, risiedono nella cavità toracica, uno a destra e uno sinistra, ai lati del cuore e superiormente al diaframma.

Il polmone destro è più grande del polmone sinistro, presenta delle profonde scissure, che lo suddividono in tre porzioni chiamate lobi (lobo superiore, lobo medio e lobo inferiore).

Il polmone sinistro dispone di una serie di profonde scissure, che lo dividono in soli due lobi (il lobo superiore e il lobo inferiore).

La minore grandezza del polmone sinistro, rispetto al polmone destro, serve a garantire uno spazio adeguato al cuore.

Il tessuto spugnoso ed elastico che compone i polmoni permette loro di espandersi, durante la fase di introduzione dell'aria (inspirazione), e tornare normali, durante la fase di espulsione dell'anidride carbonica (espirazione).

Avvolti esternamente dalla cosiddetta membrana pleurica.

Muscoli respiratori: Il diaframma è il principale muscolo respiratorio. Appartenente alla categoria dei

muscoli scheletrici e risiede sul margine inferiore della gabbia toracica, segnando il punto di confine tra il torace e la cavità addominale. È un muscolo impari,

cupoliforme e laminare.

Dal punto di vista funzionale, il diaframma si contrae durante la fase di introduzione dell'aria, mentre si rilassa durante la fase di espulsione dell'anidride carbonica.

Quando si contrae, abbassa gli organi addominali, permettendo alla gabbia toracica di ampliarsi e ai polmoni di avere più spazio per espandersi.

Quando invece si rilassa, consente agli organi addominali di risalire, riducendo le dimensioni della gabbia toracica e privando i polmoni dello spazio creatosi durante la fase di contrazione.

I

muscoli intercostali

invece sono degli elementi muscolari aventi sede nel

cosiddetto spazio intercostale. Lo spazio intercostale è lo spazio esistente tra

(4)

due costole sovrapposte.

Esistono due categorie di muscoli intercostali:

 I muscoli intercostali esterni, che sollevano le costole e favoriscono l'espansione della gabbia toracica (inspirazione).

 I muscoli intercostali interni, che abbassano le costole e riducono il volume della gabbia toracica (espirazione).

Scambi gassosi

Gli scambi gassosi sangue-alveoli sono possibili perché gli alveoli polmonari possiedono una parete molto sottile, che permette il passaggio di gas come l'ossigeno e l'anidride carbonica, e perché tutt'attorno agli alveoli polmonari c'è una fitta rete di capillari sanguigni.

Questi capillari sanguigni sono il frutto dell'intreccio da un lato di diramazioni dell'arteria polmonare, la quale trasporta sangue povero d'ossigeno e ricco di anidride carbonica, e dall'altro di diramazioni della vena polmonare, nella quale fluisce sangue ricco d'ossigeno e povero di anidride carbonica.

Una volta che l'aria inspirata ha raggiunto gli alveoli, il sangue presente nei capillari dell'arteria polmonare rilascia la propria anidride carbonica, in cambio dell'ossigeno dell'aria presente nelle cavità alveolari.

A scambio avvenuto, il sangue defluisce nei capillari che poi lo porteranno alle vene polmonari.

Le vene polmonari sono dirette al cuore e immettono in quest'ultimo il sangue che dovrà raggiungere e ossigenare gli organi e i tessuti dell'intero organismo.

(5)

INSUFFIENZA RESPIRATORIA

Si definisce insufficienza respiratoria l’incapacità dell’apparato respiratorio di mantenersi efficace nel compiere questo doppio scambio dei gas respiratori e precisamente dell’ossigeno in un senso e dell’anidride carbonica nell’altro. Ogni condizione ed ogni malattia che impediscano un adeguato apporto di ossigeno al sangue ed alle cellule (ipossia) con o senza una contemporanea adeguata eliminazione dell’anidride carbonica (ipercapnia), causano insufficienza respiratoria

Si riconoscono due tipi di insufficienza respiratoria:

a. Insufficienza respiratoria ipossiemica pura (tipo I): corrisponde al solo deficit di ossigeno nel sangue arterioso (pressione parziale di O2 nel sangue arterioso inferiore a 60 mmHg) con anidride carbonica (CO2) normale

b. Insufficienza respiratoria ipossiemico–ipercapnica (tipo II): corrisponde alla contemporanea presenza di un deficit di O2 associato ad eccesso di CO2 nel sangue arterioso (pressione parziale della CO2 nel sangue arterioso superiore a 45 mmHg)

In funzione, poi, del tempo necessario all’instaurarsi dell’insufficienza respiratoria, si distinguono:

 Insufficienza respiratoria acuta: corrisponde alla comparsa di insufficienza respiratoria improvvisa in un soggetto con funzione respiratoria fino a poco prima normale

 Insufficienza respiratoria cronica: corrisponde alla presenza di insufficienza respiratoria costantemente presente da tempo in pazienti con malattie croniche dell’apparato respiratorio in grado di determinarla. Sono spesso presenti associate sia l’ipossiemia che l’ipercapnia.

 Insufficienza respiratoria acuta su cronica: corrisponde ad un aggravamento di un’insufficienza respiratoria cronica che non riesce più ad essere compensata dalla terapia con l’ossigeno e dalla terapia farmacologica in atto a causa di un occasionale aggravamento della malattia respiratoria cronica già presente determinata da una condizione infettiva o infiammatoria acuta che si aggiunge.

Cause dell’insufficienza respiratoria

Innumerevoli cause possono essere responsabili di insufficienza respiratoria. La semplice presenza di un deficit di ossigeno nell’aria respirata, come capita ad esempio respirando ad alta quota aria con contenuto di ossigeno anche molto inferiore a quello abitualmente presente alle quote più basse, è sufficiente a generare insufficienza respiratoria acuta ed è per questo motivo che gli scalatori sono soliti supplementare il contenuto di ossigeno destinato ai polmoni respirando in maschera quello proveniente da bombole d’ossigeno sotto pressione. Una qualsiasi crisi di soffocamento (inalazione accidentale di corpo estraneo nelle vie respiratorie, paralisi o insufficienza funzionale dei muscoli respiratori ad opera di veleni a base di curaro o di malattie neuro-muscolari, ecc.) determina l’interruzione del corretto approvvigionamento di ossigeno al sangue e dell’adeguata eliminazione della CO2, e di conseguenza diviene causa di insufficienza respiratoria acuta ipossiemica ed ipercapnica. Molte malattie dei bronchi, dei polmoni e della pleura sono fonte di insufficienza respiratoria acuta e cronica e si può dire che la stessa rappresenti l’esito finale di quasi tutte le malattie dell’apparato respiratorio nelle fasi finali di gravità del loro percorso naturale.

L’insufficienza respiratoria può essere causata anche da ostruzione delle vie aeree superiori, problemi respiratori, cause cardiovascolari o traumi. Il primo caso, il più delle volte, accade in seguito alla presenza di un corpo estraneo o di una reazione allergica. I sintomi più frequenti sono dispnea con tendenza a tossire, stridore e rumori a livello del collo e un colorito rosso nella prima fase, per poi passare alla cianosi in quella terminale. L’ostruzione può essere parziale o totale, in quest’ultimo caso

(6)

occorre praticare la manovra di Heimlich e, se si perde coscienza, quella BLS (“Basic Life Support”

ovvero Sostegno di base delle funzioni vitali).

I traumi invece sono la causa principale di insufficienza respiratoria nei campi da gioco; capita non di rado che atleti dilettanti o professionisti subiscano traumi durante la competizione.

Il paziente può boccheggiare in cerca d’aria, diventare cianotico o accusare disturbi alla vista a causa dell’insufficiente ossigenazione e dell’eccessivo livello di anidride carbonica presente nel sangue.

Nel caso in cui una persona si trovi nella condizione di non dover respirare bene, occorre immediatamente metterla in una posizione semi-seduta, anche se solitamente chi riversa in tale stato tende a farlo automaticamente. In questa maniera, il soggetto soccorso è facilitato nell’atto della respirazione. Se l’infortunato dovesse aver perso coscienza, allora è consigliabile la posizione laterale di sicurezza, così da evitare che possa soffocare per via della presenza di sostanze, sia solide sia liquide, nelle vie aeree.

Nei gravi traumatismi l’ipossia può derivare da lesioni dirette dell’apparato respiratorio o anche dall’insufficienza circolatoria secondaria ad emorragia. in ogni caso l’ossigeno va sempre somministrato ad un paziente traumatizzato, a concentrazioni e flussi elevati (10-12lt/min al 100%

ove possibile) allo scopo di raggiungere e mantenere una saturazione del 100%. Questo perché in caso di emorragia copiosa l’ossigeno fornito in più, anche se non legato all’emoglobina (che va calando e che è già totalmente saturata), va ad incrementare la quota di ossigeno fisicamente disciolto nel sangue. Tale quota (in condizioni normali l’1,5% del contenuto arterioso totale di O2) in queste situazioni critiche assume, ancorché esigua, un ruolo più importante, in quanto può concorrere, raggiungendo per diffusione i tessuti, a soddisfare fino a un terzo del fabbisogno tessutale e quindi correggere almeno parzialmente l’ipossia. Se, nonostante ogni sforzo, la saturazione ematica di ossigeno resta al di sotto del 90% è però necessario ricorrere alla ventilazione assistita.

Raramente nei campi da gioco si può assistere ad infarto miocardico acuto. In questa patologia una condizione di ipossiemia è sempre presente, soprattutto a causa di alterazioni del rapporto ventilazione-perfusione, ed è aggravata dall’insufficienza ventricolare sinistra. Somministrare quindi ossigeno anche a quei pazienti che mostrano normali livelli di saturazione arteriosa può concorrere a ridurre l’ampiezza finale dell’area infartuale. Nonostante la possibilità che la somministrazione di elevati dosaggi di ossigeno provochi un aumento delle resistenze arteriose periferiche e di riflesso riduca la gittata cardiaca, abbassando quindi la disponibilità tessutale di ossigeno, non è tuttavia consigliabile lasciarsi scoraggiare da tale considerazione. Nell’infarto miocardico è utile somministrare ossigeno ad un flusso di 4-6lt/min, allo scopo di raggiungere livelli di saturazione del sangue arterioso superiori al 97-98%. Se non si riuscisse a raggiungere la saturazione voluta, è utile aumentare il flusso fino a 6-8lt/min. Nel caso, non molto frequente , che il paziente infartuato fosse a rischio di arresto respiratorio per BPCO, sarà sufficiente iniziare la somministrazione con bassi flussi (1-2lt/min) da aumentare poi gradualmente secondo necessità, sorvegliando la frequenza respiratoria.

Le conseguenze e i sintomi dell’insufficienza respiratoria

L’insufficienza respiratoria può determinare una grave alterazione funzionale di tutti gli organi, progredendo nel tempo fino a determinare la morte dell’individuo che ne è colpito.

Tali danni sono secondari a: insufficiente quantità di O2 nel sangue (ipossiemia), con difficoltà di concentrazione, attenzione e memoria e deterioramento ideativo e cognitivo, facile affaticabilità,

(7)

dispnea, cianosi, aumento della frequenza respiratoria, nausea, inappetenza e anoressia, dimagrimento e perdita della massa muscolare, sviluppo di ipertensione polmonare con aumento del disagio respiratorio e scompenso cardiaco destro, iperglobulia (aumento della viscosità del sangue), fino ad arrivare al coma ipossico, eccesso di CO2 (ipercapnia) che tende ad accumularsi fino a divenire tossica per l’organismo, determinando dapprima cefalea al risveglio, occhi arrossati e rallentamento psichico e motorio, tremori e scosse muscolari, per aggravarsi fino al coma nelle fasi più avanzate (come ipercapnico).

Diagnosi di insufficienza respiratoria

Il sospetto di insufficienza respiratoria viene confermato con l’esecuzione di un semplice esame chiamato emogasanalisi arteriosa, che consiste in un prelievo di sangue arterioso da un’arteria del polso. In tal modo si è in grado di determinare la quantità dei due gas O2 e CO2 presenti nel sangue arterioso e di porre diagnosi di insufficienza in base ai criteri O2 < 60 mmHg - CO 2 > 45 mmHg. In alternativa, e solo per il deficit di ossigeno (non è possibile con questo metodo dosare la CO2), è possibile misurare la quantità di ossigeno presente nel sangue misurando la saturazione dell’emoglobina con uno strumento chiamato ossimetro o saturimetro, attraverso la semplice applicazione di una pinza al dito del paziente senza dover procedere al prelievo di sangue. Il vantaggio di tale misurazione sta nella sua praticità e nella possibilità di eseguire il controllo anche presso il domicilio del paziente in ossigenoterapia.

L’ossigenoterapia

La terapia dell’insufficienza respiratoria consiste ovviamente nella terapia delle moltissime malattie che la causano o nella rimozione delle cause acute che la determinano. In relazione, tuttavia, alle sole alterazioni di O2 e CO2 nel sangue arterioso, essa comprende:

 ossigenoterapiaterapia dell’insufficienza respiratoria di tipo I (solo deficit di O2): consiste nella ossigenoterapia e cioè nella somministrazione di ossigeno puro medicale compresso (99,9%) attraverso cannule nasali (CN) al flusso stabilito dallo specialista pneumologo, oppure con mascherina faciale tipo Ventimask a percentuale di O2 variabile ed impostabile secondo necessità. Il vantaggio, rispetto alla somministrazione con cannule nasali, sta nel fatto che in questo modo è perfettamente nota la percentuale di ossigeno nella miscela di gas inalati dal paziente, cosa impossibile a determinarsi con la cannule nasali. In alternativa all’ossigeno gassoso compresso è possibile l’impiego di ossigeno liquido, in grado di erogare ossigeno gassoso da volumi di ossigeno liquido molto più contenuti rispetto ai volumi dell’ossigeno compresso (maggior praticità di trasporto e di gestione domiciliare). La quantità, i tempi nella giornata e la durata complessiva dell’ossigenoterapia vengono stabiliti dallo pneumologo, specie per quanto attiene alla corretta gestione dell’ossigenoterapia domiciliare a lungo termine (O2-LTO) in pazienti con malattie respiratorie croniche (BPCO, enfisema polmonare, fibrosi polmonare, tumori polmonari trattati a domicilio, ecc.). Il paziente necessita di un attento monitoraggio delle quantità di ossigeno da somministrare e di controlli specialistici programmati finalizzati alla corretta gestione dei numerosi problemi pratici e clinici che l’ossigenoterapia comporta, tra i quali quelli derivanti da un’imperfetta umidificazione dell’ossigeno inalato, dalla maggior facilità alle infezioni respiratorie nei pazienti trattati (polmoniti) e dal rischio di un pericoloso incremento della CO2 negli stessi.

(8)

 terapia dell’insufficienza respiratoria di tipo II (deficit di O2 associato ad eccesso di CO2):

consiste nell’impiego di appositi ventilatori per la terapia ventilatoria non invasiva (NIV), in grado di evitare il ricorso all’intubazione oro-tracheale del paziente, associata a tutto ciò che si è già descritto a proposito dell’ossigenoterapia.

L'obiettivo dell'ossigenoterapia è l'aumento della Pressione parziale di O2 a livello alveolare ed arterioso aumentando la pressione parziale inspiratoria di O2 (FiO2), con conseguente aumento della saturazione dell'emoglobina (SpO2) e del contenuto di O2 nel sangue (PaO2).

L’ossigenoterapia è un metodo di trattamento sintomatico di tutte le situazioni che comportano una riduzione dei livelli di ossigeno (PaO2) nel sangue. Normalmente nell’aria che respiriamo l’ossigeno è presente in una percentuale del 21% che in determinate circostanze non è sufficiente a venire incontro alle richieste fisiologiche o patologiche del paziente. E’ per questo motivo che diviene imperativo aumentare in questi casi la percentuale dell’O2 inspirato. L’ossigeno ad uso medicale è un farmaco.

Obiettivi principali dell’ossigeno terapia sono:

1. Fornire una miscela gassosa di O2 in misura tale da correggere l’ipossiemia senza deprimere il centro della respirazione;

2. Migliorare l’ossigenazione dei tessuti;

3. Ridurre lo sforzo respiratorio nei pazienti dispnoici;

4. Ridurre lo sforzo cardiaco nei cardiopatici;

La ventilazione polmonare normalmente è stimolata dall’instaurarsi dell’ipossia o dell’ipercapnia, quindi un’alta CO2 causa una stimolazione dell’attività respiratoria e quindi la sua eliminazione.

Spesso però i pazienti con insufficienza respiratoria cronica si sono ormai adattati all’aumento della CO2 e lo stimolo alla ventilazione sarà dato non tanto dall’ipercapnia quanto dall’ipossia. La correzione dell’ipossia con l’ossigeno si potrà associare quindi ad una ridotta ventilazione o depressione momentanea della ventilazione con incremento dell’ipercapnia ed eventuale carbonarcosi.

Molti esperti considerano la saturazione al 90% e la PaO2 a 60mmHg un giusto valore per permettere la sopravvivenza dei tessuti ma molti pazienti vivono con saturazioni di ossigeno molto più basse.

Molti pazienti con BPCO, malattia neuromuscolare, fibrosi polmonare hanno saturazioni molto più basse anche in fasi di stabilità di malattia. In condizioni particolari, dove vi è maggior richiesta di ossigeno come nella sepsi, nel trauma ecc, questi valori bassi di saturazione possono non bastare.

Quindi l’obiettivo deve essere rapportato al paziente e alle sue condizioni cliniche.

Bisogna quindi usare la più bassa concentrazione o flusso possibile per ottenere un livello di ossigeno nel sangue accettabile per quel tipo di paziente.

Il flusso inspiratorio di ossigeno ( FiO2) è un termine usato per indicare una particolare percentuale di O2 presente. Per esempio l'aria che respiriamo è composta da:

• 20.93% di O2,

• 78.08% di azoto e altre varietà di gas;

CURVA DI DISSOCIAZIONE OSSIEMOGLOBINA

(9)

• pertanto l'O2 è soltanto una porzione dell'intera atmosfera e la sua percentuale nel contesto globale è del 21 %, FiO2=21%

Il FiO2 ottimale di ossigeno è quello che Induce innalzamento della PaO2 tra 65-80 mmHg e quindi determina aumento dei valori di saturazione al di sopra di 90%, ma induce pericolosi incrementi della PaCO2 ( < 10 mmHg dopo almeno due ore di somministrazione). Annulla le desaturazioni notturne e/o sotto sforzo.

All’ossigenoterapia sono legate controindicazioni ed effetti indesiderati. Tra i primi abbiamo:

presenza di apnee ostruttive nel sonno, grave acidosi respiratoria, tabagismo.

Mentre effetti indesiderati sono: la possibilità di incrementi pericolosi della PaCO2 nei pazienti ipercapnici e la tossicità ad elevata FiO2.

L’errato utilizzo di ossigeno può portare ad elevate concentrazioni del gas che determinano complicanze anche gravi, tra cui la riduzione della ventilazione in alcune categorie di pazienti;

alterazioni della clearance muco-ciliare e lesioni a carico dei pneumociti di 2°tipo; danno del tensioattivo con: necrosi endoteliale, aumento della permeabilità capillare, edema polmonare e atelettasie con evoluzione verso la fibrosi; riduzione dell’eritropoiesi; produzione in eccesso di radicali liberi da parte di cellule esposte all'iperossia ed infine anche danno oculare.

I sistemi di erogazione dell’O2 possono essere a basso flusso o ad alto flusso.

Un sistema a basso flusso è quello in cui il flusso è inadeguato alle richieste inspiratorie del paziente, per cui una porzione del gas inspirato è composta di aria ambiente: la risultante FIO2 è un bilanciamento fra i gas ottenuti tra queste due sorgenti. Un sistema di questo tipo è efficace soltanto per:

 paziente con vie aeree superiori intatte;

 modello di respirazione stabile;

 frequenza respiratorie stabile.

Fanno parte di questo sistema:

 cannula nasale;

 maschera facciale semplice;

 maschera con reservoir.

I sistemi ad alto flusso, invece, riescono a soddisfare completamente le esigenze del paziente. Il flusso erogato supera di circa 4 volte quello richiesto.

In questi casi quindi la FiO2 è garantita al valore prefissato.

Ogni L/min di O2 aggiunge il 3-4 % alla concentrazione frazionale di ossigeno (FiO2), che nell’aria ambiente è circa il 21%; quindi, in genere, un flusso di 1 L/min garantisce una FiO2 al 24%, 2 L/min al 28%, eccetera

La FiO2 effettiva del paziente dipende però, oltre che dalla sua patologia, anche dalla frequenza e dal tipo di respiro. Una maggior frequenza del respiro diluisce maggiormente l’O2 inspirato con l’aria ambiente.

Dispositivi di erogazione di Ossigeno

L’ossigenoterapia si avvale di diverse strumentazioni per la somministrazione del gas:

a. cannule nasali;

b. maschera facciale semplice;

c. maschera Venturi (ventimask);

(10)

d. maschera con reservoir;

e. maschera con reservoir senza”rebreathing”.

L’impiego di tali dispositivi prevede la presenza di attività respiratoria spontanea del paziente.

Dispositivi che invece permettono di sostenere o sostituire la ventilazione spontanea per un periodo di tempo praticamente illimitato sono:

f. Pallone autoespandibile;

g. pallone non autoespandibile.

a. Cannule nasali

Quello delle cannule nasali rappresenta un sistema semplice, economico e ben tollerato di arricchimento di O2 della miscela inspiratoria. Gli occhiali nasali sono costituiti da due forchette applicate alle narici, si estendono fino alle orecchie e sono fermati al mento del paziente.

Il flusso massimo è di circa 6 L/min. Se si utilizzano flussi superiori ai 4 L/min è necessario umidificare l’aria per evitare l’essiccamento della

mucosa nasale. Questa metodica ha il vantaggio di essere ben tollerata dal paziente. Le cannule nasali consentono di somministrare concentrazioni di ossigeno a basso e medio dosaggio a seconda del flusso. Situazioni che limitano la pervietà del naso o l’aumento della frequenza respiratoria rendono inutile tale dispositivo.

La FiO2 effettiva del soggetto dipende però, oltre che dalla sua patologia, anche dalla frequenza e dal tipo di respiro. Una maggiore frequenza del respiro diluisce maggiormente l'O2 inspirato con l'aria ambiente. La verifica della Ossigenoterapia va effettuata con il monitoraggio della SpO2 (pulsossimetria).

I vantaggi di questo dispositivo consistono in:

• Maggior comfort;

• Preferiti dai pazienti;

• Assenza di sensazione claustrofobica;

• Possono essere utilizzati mentre il paziente si alimenta;

• Il paziente può parlare ed espettorare;

• Minore resistenza inspiratoria rispetto alle maschere;

• Nessun rischio di inspirare CO2 espirata;

• Evitare l’umidificazione.

Tra gli svantaggi e i limiti:

• Possono causare irritazione e secchezza nasale;

• Inefficace in caso di severa congestione nasale;

• Mal posizionamento durante il sonno;

• Non può essere usato in caso di respirazione prevalentemente orale.

(11)

b. Maschera facciale semplice E’ la comune maschera per ossigeno in plastica trasparente. La maschera semplice crea una riserva attraverso cui l'O2 è introdotto e l'aria ambiente è mescolata per mezzo di aperture laterali dalle quali proviene l'atmosfera inspirata. I vantaggi sono costituiti dal fatto che con essa possono essere erogate più elevate concentrazioni di ossigeno, mentre per un corretto funzionamento si impone una perfetta aderenza

al viso del paziente. È in grado di somministrare una FiO2dal 35 al 55% tenendo un flusso tra i 6 e i 10 L/min.

Anche per la maschera facciale il raggiungimento della FiO2 desiderata dipende dalla frequenza e dal tipo di respirazione. Le maschere sono dotate di aperture laterali per evitare il rebreathing e per garantire l’influsso di aria ambiente. Con questo metodo è sempre necessario umidificare l’aria inspirata. Sotto i 5 litri ci possono essere fenomeni di rebreathing e aumento della CO2 inspirata. Per questi motivi non è adatta nel sospetto BPCO o nei pazienti a rischio ipercapnico.

La maschera è mal tollerata dai pazienti in quanto attutisce la voce ed è di ostacolo nell'alimentazione e si dimostra ingombrante durante il sonno.

c. Maschera di Venturi

E’ il sistema più efficiente e sicuro per la somministrazione di O2 a percentuali controllate. La caratteristica di questa maschera è costituita da una restrizione nel punto in cui l'aria ambiente si mescola con l'ossigeno, erogando così una miscela secondo le necessità richieste dal paziente.

Questa maschera sfrutta per erogare concentrazioni di O2 costanti l’effetto Venturi: l’O2 sotto pressione passa attraverso uno stretto orifizio che determina un aumento della velocità delle particelle e una riduzione della pressione determinando una pressione subatmosferica che risucchia l’aria ambiente dentro il sistema(Fig.1).

Fig.1 Il sistema Venturi.

(12)

Il 100% dell'aria inspirata in un sistema simile, è sufficiente a compensare tutta la domanda inspiratoria del paziente dal momento che il flusso inspiratorio di ossigeno rimarrà costante.

Variando la misura dell’orifizio ed il flusso si varia la FiO2. Il flusso deve essere quello indicato dal dispositivo, può essere impostata a 24%, 28%, 35%, 40% (il kit è fornito con ugelli di diversi colori ognuno dei quali corrisponde ad un certo flusso e ad una certa FiO2). I diversi colori non sono universali (differenti a seconda della ditta). Il flusso deve essere quello indicato dal dispositivo.

Questo metodo è vantaggioso in quanto:

• consente miscele aria/O2 in percentuali fisse e riproducibili;

• Facile da applicazione;

• Sono indicate nei pazienti con respirazione orale e quando sono necessari flussi di ossigeno più elevati.

È però svantaggioso in quanto:

• Non adatto per periodi prolungati di ossigenoterapia;

• Ossigenoterapia alterata per l’alimentazione e/o per l’aspirazione;

• Rischio di inalazione se vomito;

• Sensazione di claustrofobia;

• Interferisce con l’alimentazione;

• Eventuale allergia al policloruro di vinile.

d. e. Maschera con reservoir e maschera con reservoir senza”rebreathing”

Somministra concentrazioni di ossigeno comprese tra 60 e 90% se utilizzate con flussi compresi tra 10-15 litri/minuto. La concentrazione di ossigeno erogata non è precisa e dipende dal flusso di ossigeno e dal drive ventilatorio del paziente.

Il reservoir è separato dalla maschera da una valvola a una via che impedisce il rebreathing. Altre valvole ricoprono i fori laterali impedendo l’entrata di aria durante l’inspirazione. Ad un minimo flusso

di 15 L/min, se il reservoir è ben riempito e l’aderenza è buona questa maschera può assicurare il 75% di FiO2.

f. Pallone autoespandibile o Ambu

Il pallone auto espansibile in silicone autoclavabile con valvola non- rebreathing (una valvola in pratica che non permette la rirespirazione dell’aria espirata dal paziente) permette di sostenere o sostituire la ventilazione spontanea per un periodo di tempo praticamente illimitato.

Può essere utilizzato in qualsiasi situazione ambientale; il suo funzionamento non richiede fonti di gas, può essere utilizzato per la ventilazione assistita sia con maschera facciale che con il tubo tracheale.

Se usato senza ossigeno supplementare consente una concentrazione di ossigeno al 21%.

La concentrazione può essere aumentata a circa il 45% fissando una fonte di ossigeno a 5-6L/min direttamente al pallone nel punto adiacente la presa d’aria. Se si collega un reservoir e si aumenta il flusso di ossigeno a circa 10 L/min si ottiene una concentrazione di ossigeno inspirato di circa 85%.

(13)

g. Pallone non autoespandibile

Ha la caratteristica di richiedere una fonte di ossigeno per poter funzionare.

Il suo utilizzo è prevalentemente per la ventilazione artificiale del paziente intubato in quanto dispone di una valvola per il controllo della pressione che evita il barotrauma delle vie aeree del paziente. Per la sua assoluta dipendenza da una fonte di ossigeno, ogni qualvolta si deve trasferire un paziente (ad esempio in ascensore) che necessita di ventilazione artificiale, portare sempre anche il pallone autoespansibile nell’eventualità dell’esaurimento della bombola.

Umidificazione dell’Ossigeno

Durante la somministrazione di ossigeno bisogna porre attenzione all’adeguata umidificazione della miscela gassosa inalata. L’umidificazione non è necessaria per la somministrazione di bassi flussi di ossigeno o per la somministrazione di alti flussi per brevi periodi.

Non è richiesta nell’emergenza extraospedaliera.

In base ai risultati di studi clinici, è consigliabile utilizzare ossigeno umidificato per i pazienti che richiedono alti flussi di ossigeno per periodi di tempo superiori alle 24 ore o che lamentano secchezza delle vie aeree superiori.

L’umidificazione può anche portare beneficio ai pazienti con secrezioni vischiose e difficili da espettorare.

Un’umidificazione scarsa, può provocare:

• distruzione delle ciglia e, quindi, danni alla muscosa delle vie aeree;

• formazione di muco denso e secco, difficilmente espettorabile o aspirabile.

Un’umidificazione eccessiva, può provocare:

• ustioni della mucosa, se la temperatura dell’umidificatore è troppo elevata;

• alterazioni della mucosa delle vie aeree simili a quelle che si hanno con una bassa umidificazione;

• aumento della temperatura corporea.

Per prevenire ciò, si possono utilizzare gli umidificatori che devono essere attentamente monitorati.

L’acqua contenuta nell’umidificatore diventa una possibile fonte di inquinamento batterico, motivo per cui è buona regola sostituire l’acqua ogni 15 giorni e lavare ed asciugare con cura il gorgogliatore.

Conclusioni

L’ossigenoterapia deve essere ridotta gradualmente. La dose più bassa è la Venturi 24% e la cannula nasale a 1 L /minuto.

Se il paziente mantiene in due osservazioni successive il target di saturazione con tali flussi può interrompere l’ossigenoterapia. Si deve monitorare la saturazione nei successivi 5 minuti e verificare che rimanga nel target. Poi dopo un’ora.

(14)

Se la saturazione è quella desiderata l’ossigenoterapia è terminata ma misurazioni periodiche della saturazione devono essere rilevate in relazione alla patologia del paziente.

Se lo svezzamento non funziona ripartire dal flusso di ossigeno più basso e ripetere lo svezzamento più tardi. Se il flusso più basso non basta a raggiungere la giusta saturazione occorre riconsiderare il paziente e le cause del fallito svezzamento.

Nella maggior parte delle situazioni di emergenza sanitaria i pazienti sono a rischio di ipossiemia.

L’ossigenoterapia con maschera con reservoire a 10-15 litri/minuto è raccomandata nella gestione iniziale di questi pazienti. In seguito alla stabilizzazione iniziale il dosaggio di ossigeno può essere regolato per mantenere una saturazione di ossigeno compresa tra 94 e 98%.

La maschera di Venturi è utile se necessitano bassi flussi di ossigeno a FIO2 controllata o nei pazienti a rischio di ipercapnia ( 2 L 24% o 4L 28%) con target di 88-92% di SpO2.

L’ossigeno non è, e non può più essere considerato, un ausilio sanitario del tutto innocuo da utilizzare a qualsiasi titolo e con criteri casuali di somministrazione. l’ossigenoterapia praticata in ambulanza non può essere considerata fine a se stessa né tanto meno un episodio isolato: giunto in ospedale il paziente, a meno che non sia totalmente guarito grazie al semplice trasporto, continuerà a ricevere un supporto respiratorio, e i tempi di somministrazione della prima fase si sommeranno quindi a quelli intraospedalieri, rendendo molto concreta la possibilità di seri danni in caso di incongrue somministrazioni.

E’ importante ricordare che vi è relazione diretta tra durata del trattamento e risultato clinico.

(15)

LA DISOSTRUZIONE DELLE VIE AEREE NEGLI ADULTI E NEI BAMBINI

L’ostruzione delle vie respiratorie è stata a lungo un qualcosa a cui non era possibile porre rimedio e pertanto la morte per soffocamento di un individuo veniva vista in passato come una fatalità incontrastabile (tant’è vero che fu definita come una silenziosa epidemia che continuava ad uccidere in ogni luogo della terra). Tuttavia nel 1974, a seguito dell’intuizione del dottor Henry Heimlich, la percentuale di morti per soffocamento diminuì notevolmente.

L’azione di compressione sotto-diaframmatica effettuata con forza antero-posteriore e caudo-craniale (cioè dal davanti verso dietro e dal basso verso l’alto) sancì definitivamente la cura per un individuo che stava soffocando.

Intanto possiamo affermare che studi scientifici internazionali hanno determinato che nel 70% dei casi l’ostruzione con esiti mortali è alimentare (wurstel, prosciutto crudo, mozzarella, noccioline, olive, acini di uva) e nel restante 30% è dovuta ad oggetti (tappi delle penne, bottoni, giocattoli di piccole dimensioni, pile al litio, monete).

L’ostruzione delle vie respiratorie avviene quando un corpo estraneo, sia esso un piccolo oggetto o del cibo, va ad ostruire in maniera parziale o totale le vie respiratorie. In questi casi occorre intervenire tempestivamente affinché le vie aeree siano liberate rapidamente. Ovviamente i processi mediante cui liberare le vie respiratorie sono differenti dall’adulto al bambino. Pertanto ci apprestiamo ora a descrivere i processi di primo intervento che si rendono necessari qualora un individuo, sia esso un adulto o un bambino, stia soffocando a causa dell’ostruzione delle vie respiratorie.

Iniziamo quindi la descrizione di quali sono le azioni da compiere in caso di ostruzione delle vie respiratorie in un individuo adulto. In questi casi la manovra idonea finalizzata alla disostruzione delle vie respiratorie è detta manovra di Heimlich.

COSA FARE IN CASO DI OSTRUZIONE PARZIALE NELL’ADULTO

Quando il corpo estraneo occlude solo parzialmente il passaggio di aria nei polmoni, di solito la vittima tossisce producendo sibili respiratori. In questo caso è deleterio cercare di aiutare la vittima facendo gesti avventati e pertanto si dovrà solo incoraggiare la vittima senza ulteriori manovre.

Tuttavia se il tentativo della vittima non dovesse avere successo e si verificasse un aumento delle difficoltà respiratorie identificabile dallo stridore inspiratorio, dalla tosse debole e da un’eventuale comparsa di cianosi (colorazione bluastra della cute dovuta a un’insufficiente ossigenazione del sangue) l'ostruzione parziale dovrà essere trattata come una ostruzione completa. Pertanto in questo caso l’operatore deve intervenire manualmente per poter disostruire le vie respiratorie della vittima.

(16)

COSA FARE IN CASO DI OSTRUZIONE COMPLETA NELL’ADULTO

La vittima, sia essa seduta o in piedi, dà segni di soffocamento portandosi le mani al collo (segnale universale di ostruzione delle vie aeree). Ovviamente questo tipo di ostruzione avrà un maggior effetto sulla vittima che pertanto non sarà in grado né di parlare e né di tossire. Questa situazione è estremamente grave perché se non si interviene tempestivamente tentando di disostruire le vie aeree, la vittima non essendo più in grado di ossigenarsi perderà coscienza entro poco tempo (30/40 secondi), andando successivamente in arresto cardiocircolatorio che potrebbe quindi anche portare a conseguenze estremamente gravi. In questi casi è quindi opportuno servirsi della manovra di Heimlich per disostruire le vie aeree della vittima.

MANOVRA DI HEIMLICH PER DISOSTRUIRE LE VIE AEREE NELL’ADULTO - PAZIENTE COSCIENTE

Tale manovra può essere fatta sia che la vittima si trovi in piedi o in caso contrario, seduta.

La manovra di Heimlich può essere suddivisa principalmente in due fasi.

 PRIMA FASE. Il soccorritore si pone lateralmente al paziente e fa flettere il busto in avanti;

posa quindi la mano sinistra sulla fronte e iperestende il capo della vittima. In questa posizione esegue con la mano destra cinque pacche nella zona interscapolare dal basso verso l'alto con fuga laterale. In molti casi questa soluzione è di per sé sufficiente a disostruire le vie respiratorie ma talvolta può anche non funzionare. Nel caso in cui questa manovra non fosse sufficiente a disostruire le vie respiratorie si esegue la seconda fase.

(17)

 SECONDA FASE. Il soccorritore si pone dietro il paziente, trova il punto di compressione facendo con la mano sinistra una C pollice indice, dove l'indice troverà l'ombelico e il pollice la parte inferiore dello sterno ovvero quella che viene denominata processo xifoideo (ultima parte dello sterno e anche quella più piccola) pone l'altra mano a pugno chiuso pollice interno al centro della C, afferra il pugno con la mano sinistra e compie 5 compressioni (1 ogni 2 secondi) antero-posteriori, dal basso verso l'alto mediante un movimento a “cucchiaio”. Le successive immagini mostrano graficamente quanto detto.

Quanto descritto, sia in caso di ostruzione parziale o totale delle vie respiratorie è possibile farlo quando la vittima è cosciente. Tuttavia può anche capitare che la vittima perda conoscenza a causa della mancata ossigenazione: in tal caso il modo in cui il soccorritore dovrà procedere sarà ovviamente differente.

(18)

MANOVRA DI HEIMLICH PER DISOSTRUIRE LE VIE AEREE NELL’ADULTO - PAZIENTE INCOSCIENTE

Allorché la vittima abbia perso conoscenza l’operatore dovrà adagiarla in posizione supina (ovvero con la pancia verso l’alto) sul pavimento. In seguito l’operatore dovrà quindi iperestendere il capo della vittima e controllarle la cavità orale. Se il corpo estraneo è visibile e può essere rimosso l’operatore potrà farlo senza dover svolgere altre azioni. D’altra parte se il corpo estraneo non è visibile e non può essere rimosso, il soccorritore deve eseguire due insufflazioni.

Nel caso in cui il passaggio dell'aria dovesse essere ancora ostruito si adotta la manovra del massaggio cardiaco esterno. Al termine di tale manovra il soccorritore dovrà ricontrollare la cavità orale e se la situazione dovesse ancora essere invariata il soccorritore dovrà ripetere la manovra sino al ripristino del respiro.

N.B. Ovviamente nel caso della perdita di coscienza è estremamente consigliato chiamare il 118, Questo è tutto ciò che un soccorritore deve fare (solo se è capace di farlo!) qualora un individuo adulto stia soffocando a causa delle ostruzione delle vie aeree. Tuttavia, come è stato precedentemente accennato, le manovre che devono essere eseguite sulle vittime variano a seconda dell’età dell’individuo.

Esaminiamo ora quindi quali sono le manovre necessarie che permettono la disostruzione delle vie aeree nei bambini. Infatti, sebbene possa capitare a chiunque, l'ostruzione delle vie aeree da corpo

(19)

estraneo (anche se questo non esclude che possa avvenire a causa del cibo) è particolarmente frequente tra i 6 mesi e i 2 anni di vita del bambino. L’ostruzione ovviamente anche in questo caso può essere parziale o totale e la vittima può essere cosciente o incosciente. Esaminiamo quindi i differenti casi e il modo in cui il soccorritore deve comportarsi.

OSTRUZIONE PARZIALE - VITTIMA COSCIENTE

In questo caso, analogamente a ciò che doveva fare nel caso dell’individuo adulto, il soccorritore deve incoraggiare la vittima a tossire e mantenere la posizione che il bambino preferisce. È inoltre di estrema importanza avvertire il 118 e trasportare la vittima al pronto soccorso il prima possibile.

N.B. Le altre procedure variano con l'età della vittima. Si considera lattante un individuo da 0 a 1 anno, fino a Kg. 10; si considera invece bambino un individuo da 1 anno fino alla pubertà.

OSTRUZIONE TOTALE - VITTIMA COSCIENTE

In questo caso la prima cosa da fare è quella di mandare qualcuno a chiamare il 118.

Subito dopo il soccorritore analogamente a quanto accadeva nell’adulto deve alternare 5 pacche interscapolari (con via di fuga laterale) a 5 compressioni toraciche vigorose.

Per eseguire le pacche interscapolari il soccorritore deve posizionare la vittima sull'avambraccio in modo da creare un piano rigido; la testa della vittima deve essere tenuta in leggera estensione, più in basso rispetto al tronco; quindi l’operatore appoggia l'avambraccio sulla coscia. In questo modo il soccorritore può dare cinque vigorosi colpi in sede interscapolare con via di fuga laterale.

(20)

Se tali pacche non dislocano l'oggetto dalle vie respiratorie il soccorritore deve utilizzare le pressioni toraciche. Per eseguire le compressioni toraciche l’operatore deve cercare un piano rigido ed eseguire 5 compressioni toraciche esterne con la stessa tecnica utilizzata per il massaggio cardiaco. Le compressioni devono essere vigorose e applicate con frequenza di una ogni 3 secondi.

Il soccorritore deve continuare a eseguire tale manovra fino a quando non si è risolto il problema o fino a quando la vittima perde coscienza.

IL LATTANTE DIVENTA INCOSCIENTE - OSTRUZIONE TOTALE - VITTIMA INCOSCIENTE

Il soccorritore in questo caso deve posizionare il lattante su un piano rigido e immediatamente dopo deve allertare il 118 senza mai abbandonare la vittima.

A seguito di ciò deve sollevare la mandibola per ispezionare il cavo orale e rimuovere, se possibile, il corpo estraneo.

(21)

Il soccorritore deve quindi instaurare la pervietà delle vie aeree (capo in posizione neutra).

Deve poi eseguire 5 tentativi di ventilazione (riposizionando il capo dopo ogni insufflazione inefficace)

eseguire 1 minuto di Rianimazione Cardio-Polmonare (RCP).

proseguire con RCP sino all'arrivo dei soccorsi.

OSTRUZIONE TOTALE, VITTIMA INCOSCIENTE Il soccorritore in questo caso deve:

 Eseguire la sequenza P.B.L.S. (Paediatric Basic Life Support).

 Se nella fase di "ventilazione" il soccorritore non riesce ad eseguire almeno 2 insufflazioni efficaci, deve riposizionare il capo ed eseguire altre 5 ventilazioni; se ancora non si riescono ad ottenere almeno 2 ventilazioni efficaci allora il soccorritore dovrà eseguire 5 pacche dorsali + 5 compressioni toraciche e procedere come descritto in precedenza seguendo le istruzioni descritte per il caso in cui il lattante perdeva conoscenza.

Vediamo ora cosa deve fare il soccorritore quando invece le vie respiratorie ad essere state ostruite sono quelle di un bambino

(22)

OSTRUZIONE TOTALE - VITTIMA COSCIENTE

Un piccolo bambino può essere tenuto in grembo come il lattante; se ciò non è possibile, mantenerlo in posizione inclinata verso il basso e dare le 5 vigorose pacche posteriori (posizionando la testa verso il basso le pacche sono più efficaci).

Se non risolvono l'ostruzione ed il bambino è ancora cosciente, utilizzare le pressioni addominali. In piedi o in ginocchio dietro al bambino, porre le vostre braccia sotto quelle della vittima e circondargli il torace. Chiudere il pugno e posizionarlo tra l'ombelico e l'apofisi xifoidea; afferrare il pugno con l'altra mano e con decisione spingete verso di voi e verso l'alto. La frequenza e la durata di tale manovra devono essere uguali a quelle descritte per il lattante.

Anche se l'oggetto viene espulso valutare le condizioni cliniche; le pressioni addominali possono causare traumi interni: per qualsiasi dubbio chiamare 118.

SE IL BAMBINO DIVENTA INCOSCIENTE - OSTRUZIONE TOTALE - VITTIMA INCOSCIENTE

Il soccorritore in questo caso deve posizionare il bambino su un piano rigido e allertare il 118 senza abbandonare la vittima.

Deve poi sollevare la mandibola per ispezionare il cavo orale e rimuovere, se affiorante, il corpo estraneo.

Analogamente agli altri casi descritti il soccorritore deve iperestendere il capo del bambino.

Deve poi eseguire 5 tentativi di ventilazione (riposizionando il capo dopo ogni insufflazione inefficace).

(23)

A seguito di ciò deve eseguire 1 minuto di Rianimazione Cardio-Polmonare (RCP).

Infine il soccorritore deve proseguire con RCP sino all'arrivo dei soccorsi.

OSTRUZIONE TOTALE - VITTIMA INCOSCIENTE In questo caso il soccorritore deve:

 Eseguire la sequenza normale P.B.L.S.

 quando si arriva al G.A.S. (valutazione del respiro), se non si riescono ad eseguire almeno 2 ventilazioni efficaci, riposizionare il capo e ripetere le 5 ventilazioni; se ancora non si ottengono almeno 2 ventilazioni efficaci, il soccorritore dovrà procedere quindi con 5 pacche interscapolari più 5 compressioni toraciche e passare alla sequenza di azioni descritta quando si è discusso di come trattare l’ostruzione delle vie aree di un bambino che da uno stato di coscienza è passato a uno stato di incoscienza.

N.B. Sia che si tratti di un lattante o di un bambino quindi la tecnica di primo soccorso è pressoché identica.

(24)
(25)

DISPNEA

La Dispnea è la Sensazione soggettiva di difficoltà a respirare. Rappresenta uno dei sintomi principali delle patologie dell’apparato cardiorespiratorio. La sensazione di dispnea insorge quando vi è attivazione eccessiva o anormale dei centri respiratori del tronco encefalico. Ciò può accadere per stimolazione meccanica di recettori presenti nelle vie aeree, nel polmone, nei muscoli respiratori, nella gabbia toracica, ma anche per stimolazione chimica dei chemocettori localizzati a livello cerebrale e a livello del bulbo aortico e carotideo (nel caso di patologie che determinano ipossia o ipercapnia).

Eziologia. In base all’eziologia la dispnea può essere distinta in dispnea cardiaca, respiratoria e psicogena. La prima può essere dovuta a patologie che interessano il pericardio, il miocardio, l’endocardio, le valvole cardiache e i grossi vasi. La dispnea respiratoria può derivare da patologie che interessano il sistema nervoso centrale e periferico, la gabbia toracica, i muscoli respiratori, la pleura, il circolo polmonare, il parenchima polmonare e le vie aeree. La dispnea psicogena consiste in una condizione di iperventilazione correlata a uno stato di ansia.

Modalità d’insorgenza. In base alla modalità di insorgenza la dispnea può essere distinta in acutissima (per es., ingestione di corpo estraneo, pneumotorace), acuta ( per es., polmonite), cronica (per es., scompenso cardiaco cronico, BPCO o BroncoPneumopatia Cronica Ostruttiva), ricorrente (per es., asma bronchiale). Nelle patologie cardiorespiratorie croniche, la dispnea si manifesta dapprima solamente durante lo sforzo (dispnea da sforzo) e successivamente, a mano a mano che la patologia sottostante si aggrava, è presente anche a riposo (dispnea a riposo). A seconda della fase del ciclo respiratorio in cui si verifica, la dispnea può essere distinta in dispnea inspiratoria (per es., patologie della glottide e della laringe), dispnea espiratoria (per es., BPCO) e dispnea mista (per es., asma bronchiale grave).

Forme particolari. La dispnea parossistica notturna è la dispnea che insorge bruscamente durante la notte, svegliando il paziente e costringendolo a mettersi seduto; l’ortopnea è la dispnea che compare con decubito supino. Queste due forme di dispnea sono tipiche dell’insufficienza ventricolare sinistra.

La dispnea che compare in decubito laterale destro o sinistro può indicare la presenza di versamento

(26)

pleurico. La platipnea è la dispnea che si verifica in stazione eretta e migliora in posizione supina, suggerendo la presenza di alterazioni polmonari di tipo vascolare.

Diagnosi differenziale. L’approccio diagnostico prevede una valutazione complessa basata sulle caratteristiche della dispnea, i dati anamnestici (presenza di patologia polmonare o cardiaca di base), i sintomi associati (tosse, espettorazione, dolore toracico, ecc.), l’esame obiettivo e l’esecuzione di indagini strumentali, quali ECG, ecocardiografia, spirometria, radiografia del torace e, in taluni casi, test da sforzo cardiopolmonare.

La dispnea può presentarsi con due diverse modalità

[2]

:

 dispnea acuta: corrisponde ad una comparsa repentina del sintomo prima non presente ed è caratteristico di alcuni quadri patologici tra i quali l’accesso asmatico acuto, l’embolia polmonare, lo pneumotorace, la polmonite, il versamento pleurico, la sindrome da distress respiratorio dell’adulto, la dispnea laringea allergica con edema delle corde vocali, la dispnea parossistica notturna, l’infarto miocardico acuto, la rottura delle valvole cardiache, lo scompenso cardiaco acuto con edema polmonare, la crisi ipertensiva, le stenosi e le insufficienze valvolari cardiache, le aritmie cardiache, il versamento pericardico, la febbre, l’anemizzazione acuta emorragica, la sepsi, la tireotossicosi, l’astinenza da sostanze stupefacenti e gli attacchi di panico con i disturbi d’ansia ed i disturbi psico-somatici. Si ricorda come anche la semplice ostruzione acuta delle fosse nasali secondaria a malattie da raffreddamento possa, in soggetti sensibili, provocare dispnea di entità talora rilevante.

 dispnea cronica: corrisponde alla costante presenza del sintomo con diversa intensità ed è caratteristico di alcune patologie tra le quali la broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), l’enfisema polmonare, l’asma bronchiale, la fibrosi polmonare, i tumori polmonari, le malattie polmonari professionali, l’ipertensione polmonare, la tracheomalacia, l’insufficienza respiratoria da malattie polmonari, lo scompenso cardiaco cronico, l’insufficienza cardiaca da malattia valvolare cronica, la condizione di anemia, le malattie neuro-muscolari degenerative ed alcuni disturbi neurologici (miastenia e polineuropatie tra le quali quella di Guillain-Barrè), l’insufficienza renale con uremia ed i disturbi a genesi psichica di tipo ansioso e depressivo.

Sintomi della dispnea acuta

Il sintomo principale consiste in un aumento dello sforzo per respirare che provoca un impegno muscolare non spontaneo

[3]

.

La dispnea non va confusa con il fiato corto provocato dagli sforzi. Il termine dispnea implica, infatti, la consapevolezza di respirare in modo sproporzionato rispetto allo stimolo (per esempio è presente anche quando il soggetto sta seduto), la sensazione è molto fastidiosa e in casi particolarmente seri può portare anche alla cianosi.

Le dispnee possono essere di origine broncopolmonare,

otorinolaringologica, neurologica, metabolica o cardiaca. In soggetti

con malattie cardiovascolari ed angina si può notare precocemente

un’astenia ingravescente (cioè stanchezza) anche compiendo sforzi

minimi. La dispnea e la tosse sono, inoltre, tra i sintomi principali del

broncospasmo (ovvero il temporaneo restringimento dei bronchi)

[4]

.

(27)

Cause della dispnea acuta:

cause polmonari

La dispnea insorge bruscamente nel pneumotorace, nell'embolia polmonare e nelle lesioni secondarie a traumi toracici e fratture costali.

Le crisi acute di asma sono accompagnate da dispnea grave sibilante, tosse e sensazione di costrizione ed oppressione toracica.

Un “affanno” improvviso può dipendere anche da broncospasmo o iperreattività delle vie aeree, suscitata dalla stimolazione dei recettori “irritativi” dei bronchi dopo esposizione a stimoli specifici (es. allergeni, infezioni delle alte vie respiratorie, freddo ed esercizio fisico).

La comparsa improvvisa di una dispnea acuta in un paziente (in genere, un neonato o un bambino piccolo) che non presenta altri sintomi costituzionali può indicare l'inalazione di un corpo estraneo.

L'esordio acuto di una difficoltà respiratoria può risultare anche dall'esposizione a sostanze tossiche per le vie aeree (es. inalazione di cloro o acido solfidrico).

Una dispnea subacuta (entro alcune ore o giorni) può comparire, invece, in presenza di polmonite, edema polmonare e riacutizzazione di BPCO.

Malattie dei centri respiratori

Il respiro è regolato da gruppi di neuroni che funzionano indipendentemente dal controllo della volontà del soggetto e che sono localizzati, in una struttura del cervello che si chiama tronco dell'encefalo, sotto gli emisferi cerebrali.

Può capitare, per diversi motivi, che questi neuroni si ammalino, e che quindi la respirazione venga compromessa con comparsa di dispnea. Le cause che possono ledere i centri respiratori sono:

infiammazioni, infezioni, traumi (soprattutto per incidenti stradali), tumori, sostanze tossiche (farmaci o droghe a base di oppio, barbiturici), ipossia (quando poco ossigeno passa nel sangue), ipercapnia (accumulo di anidride carbonica nel sangue).

Cause cardiache

Le cause più comuni di una dispnea di origine cardiaca ad insorgenza improvvisa sono rappresentate da ischemia o infarto del miocardio e scompenso cardiaco. Una difficoltà respiratoria acuta può dipendere anche da angina o coronaropatia, versamento o tamponamento pericardico e disfunzione o rottura di un muscolo papillare.

Compromissione delle vie nervose

Le vie nervose portano l’ informazione dai centri respiratori ai muscoli effettori, queste possono essere compromesse per:

sclerosi multipla (malattia dei neuroni del sistema nervoso che distrugge la mielina, una proteina che li avvolge).

Sclerosi multipla sclerosi laterale amiotrofica (che distrugge lentamente tutti i neuroni, sia del sistema nervoso centrale che periferico).

Malattie dei muscoli respiratori

Miastenia gravis (malattia infiammatoria cronica che causa debolezza di tutti i muscoli, anche della parete toracica).

Rigidità del torace

Che non permette la corretta espansione del torace per

sclerodermia (malattia infiammatoria cronica che colpisce gli organi interni ed anche la cute, rendendola dura e poco elastica).

Inoltre forte dolore al torace per rottura di una costola (che limita i movimenti respiratori) Aumento del volume addominale

Causato da:

(28)

gravidanza (il bambino che cresce va a comprimere il diaframma, che si trova sopra l’ utero e che è il principale muscolo per la respirazione)

meteorismo (addome pieno di gas)

ascite (liquido che si forma per malattie del fegato come cirrosi ed epatiti e che va ad accumularsi nel peritoneo, membrana che avvolge i visceri addominali).

Altre cause

Crisi dispnoiche acute possono essere causate da una paralisi del diaframma. Inoltre, possono accompagnare disturbi d'ansia, senza che venga rilevato nei pazienti alcun danno anatomo- funzionale respiratorio, cardiaco o neuromuscolare.

Le cause psicologie di dispnea comprendono anche la depressione e gli attacchi di panico.

Dispnea: Trattamento

Cosa fare di fronte ad un paziente con dispnea?

Innanzitutto il medico dovrà chiedere al paziente una descrizione dettagliata dello sforzo fisico necessario a produrre la dispnea e domandare se questa si modifica cambiando la postura o con il riposo.

Nel sospetto di una ostruzione acuta delle vie aeree, possono risultare utili la radiografia laterale del collo o l'esame diretto delle vie respiratorie superiori con un fibroscopio, che è uno strumento con un tubo sottile dotato di telecamera inserito nelle prime vie aeree.

In caso invece di un'ostruzione cronica delle vie aeree (asma, enfisema, bronchite cronica) la spirometria potrà chiarire quale ne sia la causa.

La dispnea da causa cardiaca, di solito, compare come mancanza di fiato in seguito a sforzi fisici intensi, peggiora gradualmente nell'arco di mesi od anni, fino a manifestarsi anche a riposo, e costringe i pazienti a dormire aumentando sempre più il numero di cuscini per tenere il torace sempre più sollevato, riducendo così l'accumulo di liquidi nei vasi del polmone.

Una volta individuata la causa della dispnea, il trattamento è strettamente dipendente da essa.

Primo soccorso in caso di dispnea

Il termine IPOSSIA indica una diminuzione dell’apporto di ossigeno ai tessuti dell’organismo, mentre il termine ANOSSIA indica la totale mancanza di ossigeno.

L’insufficienza respiratoria si manifesta con la DISPNEA, in altre parole con una respirazione difficoltosa.

La dispnea non è una patologia, ma una condizione provocata da cause mediche, ambientali o traumatiche. La dispnea per lo più si verifica quando una patologia ha causato un’interferenza al flusso di aria verso i polmoni o allo scambio di ossigeno nei polmoni stessi.

La dispnea è una delle fasi della sofferenza respiratoria: quando qualche fattore interviene limitando il flusso o lo scambio di ossigeno, il paziente aumenta la frequenza e la profondità delle respirazioni.

Il paziente può boccheggiare in cerca d’aria, diventare cianotico o accusare disturbi alla vista, a causa dell’insufficiente ossigenazione e dell’eccessivo livello di anidride carbonica presente nel sangue.

Dapprima il centro di controllo del respiro farà respirare il paziente velocemente e poi, con il passare del tempo, la frequenza respiratoria tenderà a rallentare. Se tale condizione non sarà corretta, il paziente andrà incontro ad una interruzione della funzione respiratoria, cioè in andrà in APNEA. Se lo stato di apnea perdurerà, il paziente perderà conoscenza, le pupille si dilateranno, la respirazione cesserà, ed andrà incontro ad un arresto cardiaco: in pratica il paziente sarà colto da ASFISSIA.

(29)

In ogni situazione di insufficienza respiratoria sarà importante:

Se è cosciente:

a. Rassicurare il paziente b. Monitorare i segni vitali

c. Aiutare il paziente ad assumere la posizione al lui più comoda d. Allentare qualsiasi indumento stretto

e. Mantenere al caldo il paziente

f. Trasportare il paziente in posizione seduta

g. Somministrare ossigeno nella quantità stabilita dall’operatore della centrale operativa Se è incosciente:

 Monitorare i segni vitali

 Allentare qualsiasi indumento stretto

 Mantenere al caldo il paziente

 Somministrare ossigeno

 Trasportare il paziente al Pronto Soccorso.

Rischi non di natura medica:

 La bombola dell’ossigeno è sotto pressione, ogni danneggiamento di essa può trasformarla in un missile;

 L’ossigeno favorisce la combustione e alimenta il fuoco: si potrebbe verificare un’esplosione.

Rischi di natura medica:

1. Tossicità dell’impiego (collasso alveolare), quando i polmoni del paziente reagiscono in maniera negativa alla presenza di ossigeno, oppure quando l’ossigeno viene erogato ad una concentrazione troppo elevata per un periodo di tempo eccessivo;

2. Lesioni oculari al neonato, quando viene erogata una quantità eccessiva di ossigeno al neonato;

3. Insufficienza respiratoria e arresto respiratorio nei pazienti affetti da B.C.P.C.

(broncopneumopatia cronica ostruttiva), come enfisema e bronchite cronica, oppure in caso di pazienti sofferenti di crisi asmatica. In questi casi è necessario erogare ossigeno ad una bassa percentuale (2 o 3%).

Il tempo necessario per l’instaurarsi di queste condizioni patologiche è piuttosto lungo. Non si deve evitare la somministrazione di ossigeno per paura che insorgano problemi collaterali: la quantità di ossigeno erogato durante un normale intervento di emergenza non è sufficiente a provocare danni. E’

fondamentale fare attenzione ad eventuali sintomi che possono manifestarsi durante il trasporto in ospedale, ed eventualmente sospendere l’ossigenoterapia.

Nei casi di trasporto di pazienti che già fanno ossigenoterapia a casa è necessario regolare la quantità di ossigeno somministrata sulla base di quella effettuata a domicilio.

L’ossigenoterapia è un medicamento, per questo bisogna essere coscienti dei rischi correlati a questa applicazione. Durante l’ossigenoterapia il paziente non va MAI lasciato solo e, in caso di personale non medico, la mascherina non va MAI applicata sul viso del paziente se questo la rifiuta. Se, invece, c’è il personale medico, esiste lo stato di necessità ed il medico o la persona qualificata al soccorso in ossigeno terapia (che è una specialità a sé) deve somministrare ossigeno se ritiene che possa salvare la vita al paziente, altrimenti sarà difficile, ma la legge vuole che venga firmato il rifiuto del paziente.

Inoltre, quando non si conosce la storia clinica del paziente, la percentuale di ossigeno somministrata va concordata con l’operatore della Centrale Operativa (medico del 118).

(30)

Farmaci per la cura della Dispnea

In realtà, non esistono dei veri e propri farmaci per curare la dispnea in sé. Il trattamento che si decide d'intraprendere, infatti, è mirato alla cura della causa primaria che ha scatenato questa difficoltà respiratoria.

In particolar modo, le cause più frequenti di dispnea sono quelle di tipo polmonare (asma, broncopneumopatia cronica ostruttiva, polmonite) e di tipo cardiaco (infarto del miocardio e scompenso cardiaco). Pertanto, la terapia farmacologica sarà finalizzata al trattamento di queste patologie.

La somministrazione di ossigeno, invece, viene effettuata solo in pazienti con ipossia, poiché non è efficace negli individui che manifestano dispnea con valori ematici di saturazione dell'ossigeno nella norma.

L’ANNEGAMENTO

(31)

L’annegamento è un tipo di asfissia prodotta dall’ingresso nei polmoni di fluidi che si sostituiscono all’aria provocando l’insufficienza respiratoria acuta.

L’annegamento prevede cinque fasi:

1)Fase di sorpresa: consiste in una profonda, ma rapida, inspirazione riflessa (in seguito a stimoli termici e meccanici scaturiti dal contatto con il mezzo annegante) che compie l’individuo appena caduto nell’acqua.

2)Fase di resistenza: durante l’immersione le prime “boccate” d’acqua provocano uno spasmo serrato della glottide che impedisce la penetrazione di altra acqua nei polmoni. Questa fase di apnea iniziale durante la quale l’individuo si agita e cerca di riemergere, dura circa un minuto.

3)Fase dispnoica: quando non è più possibile trattenere il respiro il soggetto inizia affannose respirazioni disordinate sott’acqua che durano un minuto e provocano l’introduzione di grande quantità di liquido nei polmoni e nello stomaco.

4)Fase apnoica: si ha perdita di coscienza, abolizione dei riflessi e coma profondo con arresto del respiro (stato di morte apparente). Anche questa fase dura circa un minuto.

5)Fase terminale: boccheggiamento ed arresto cardiaco.

(32)

Fisiopatologia dell’annegamento:

Si distingue un annegamento in acqua dolce e un annegamento in acqua salata.

 L’annegamento in acqua dolce causa la morte in 3-5 minuti. L’acqua dolce (penetrata negli alveoli) essendo ipotonica rispetto al sangue, viene rapidamente assorbita dal sistema dei capillari polmonari e in pochi istanti penetra nel torrente circolatorio in grande quantità, fino al raddoppio del volume totale del sangue.

Ciò determina:

▪ ipervolemia,

▪ emodiluizione,

▪ emolisi,

▪ iperpotassiemia (da liberazione del potassio)

▪ anemia.

L’anossia, lo squilibrio plasmatico e l’eccesso di potassio causano gravi alterazioni miocardiche per cui insorge la fibrillazione ventricolare pochi minuti dopo l’immersione, con rapido arresto del cuore.

Riferimenti

Documenti correlati

Most dysregulated genes at 6 months compared to baseline under MTX/ABA treatment were relative to drugs without disease activity correlation and were involved in RNA processes,

aggiungere la salda d’amido durante la titolazione quando il colore della soluzione, da giallo intenso per la presenza di iodio, passa a giallo tenue, ovvero poco prima del punto

La parte inferiore si divide in due rami, i bronchi, questi si dividono in rami più piccoli, i bronchioli, che terminano con tante piccole vescichette, gli alveoli polmonari.. …

Qui si produce l’energia e sostanze di rifiuto, H 2 O e anidride carbonica che va nel sangue per finire nei polmoni, da dove

La possibilità respirare avviene grazie alla posizione inclinata delle costole, posizione che permette loro di essere sollevate, quindi di espandere la gabbia toracica

Dalla faringe l'aria passa nella laringe, una struttura a forma di imbuto rovesciato dove sono localizzate le corde vocali.. Appena sopra le corde vocali c’è

Il sangue assorbe dall'aria l'ossigeno e cede l'anidride carbonica.. Questo scambio avviene