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1. Il mutamento della regola di giudizio dell udienza preliminare

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Tribunale Bologna 24.07.2007, n.7770 - ISSN 2239-7752 Direttore responsabile: Antonio Zama

Il mutamento della regola di giudizio della sentenza di non luogo a procedere: un realistico strumento di deflazione e accelerazione del processo penale o un

“pre”giudizio al dibattimento?

17 Febbraio 2022

Jean Paule Castagno, Chiara Bettinzoli

Abstract

? realmente possibile perseguire l’utopistica efficienza del processo penale applicando il canone dibattimentale della “ragionevole previsione di condanna” al vaglio preliminare?

Lo scopo del presente contributo è quello di fornire alcuni spunti di riflessione in merito alle concrete ricadute che potrebbero derivare alla luce delle modifiche che il Legislatore della Riforma ha apportato alla fase dell’udienza preliminare, evidenziando i “rischi occulti” che hanno come effetto quello di trasformare tale fase in un “pre”giudizio (rispetto) al primo grado, non solo ampliando a dismisura la discrezionalità dell’organo giudicante ma, altresì, spostando la prospettiva del giudizio predibattimentale su profili attinenti alla colpevolezza dell’imputato, irrimediabilmente inquinando la neutralità del dibattimento, cuore pulsante del processo penale.

Is it really possible to pursue the utopian efficiency of criminal proceedings by applying the legal standard of “reasonable expectation of conviction” to the preliminary examination?

The work aims at providing some food for thought regarding the practical consequences that could arise from the changes that the “Cartabia Reform”, highlighting the “hidden risks” twhich have the effect of transforming this phase into a “pre”trial judgment, not only by disproportionately widening the discretion of the judge, but also by shifting the perspective of the preliminary hearing to aspects relating to the defendant culpability, irremediably polluting the neutrality of the trial, which represents the beating heart of criminal proceedings.

1. Il mutamento della regola di giudizio dell’udienza preliminare

La Legge Delega n. 134 del 27 settembre 2021 – meglio nota come Riforma Cartabia – ha assunto le fattezze di una chimera, generata dall’innesto di radicali emendamenti proposti dalla Commissione Lattanzi sull’impalcatura del disegno di legge A.C. 2435 – presentato dall’allora Ministro della giustizia Alfonso Bonafede – successivamente consolidati alla luce delle modifiche proposte dal nuovo Governo e definitivamente approvate dal Parlamento.

Tale provvedimento legislativo – solo in parte immediatamente attuativo – ha delineato l’intelaiatura nell’ambito della quale il Governo sarà chiamato ad attuare, entro un anno dall’approvazione del medesimo, una serie di deleghe per dare concreta attuazione e recepire nel codice di rito le modifiche previste ai sensi dell’art. 1. della summenzionata Legge-Delega.

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Lo scopo del presente contributo è quello di fornire alcuni spunti di riflessione in merito ai cambiamenti che dovranno essere apportati alla fase dell’udienza preliminare in conformità alla previsione di cui al comma 9, lettera m) del sopracitato art. 1, la quale – specularmente a quanto previsto per la presentazione della richiesta di archiviazione ai sensi dell’art. 125 disp. att. c.p.p. – impone la modifica della “regola di giudizio di cui all’articolo 425, comma 3, del codice di procedura penale nel senso di prevedere che il giudice pronunci sentenza di non luogo a procedere quando gli elementi acquisiti non consentono una ragionevole previsione di condanna”, sostituendo l’attuale formulazione, in forza della quale “il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere anche quando gli elementi acquisiti sono insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio”.

2. Le ragioni sottese alla novella legislativa

La scelta di modificare la regola di giudizio cristallizzata nell’art. 425, comma 3 c.p.p. – parallelamente all’art. 125 disp. att. c.p.p. – affonda le proprie radici nel dichiarato perseguimento dell’utopistico obiettivo di arginare il flusso dei processi che sfociano nella fase dibattimentale, nella altrettanto illusoria convinzione di restituire all’udienza preliminare la funzione di paratia che dovrebbe già esserle propria.

La versione originaria del disegno di legge A.C. 2435 prevedeva l’introduzione del canone della “ ragionevole previsione di accoglimento della prospettazione accusatoria in giudizio”, con l’obiettivo di ancorare l’esercizio della azione penale e del rinvio a giudizio non più al criterio della sostenibilità della accusa, bensì alla previsione di una condanna del responsabile.

Il Legislatore delegante ha, in apparenza, edulcorato la proposta formulata dai membri della Commissione Lattanzi, i quali, nel tentativo di rendere ancora più pervasivo il vaglio preliminare, erano intervenuti sulla proposta di riforma originaria, prevedendo che il giudice dell’udienza preliminare pronunciasse sentenza di non luogo a procedere qualora fosse emerso che “che gli elementi acquisiti non sono tali da determinare la condanna”.

La scelta della Commissione traeva origine da una valutazione di carattere empirico, all’esito della quale l’attenzione era stata posta sugli “impietosi” dati statistici che dimostravano come, nei casi in cui l’udienza preliminare si concludeva con un rinvio a giudizio – ossia nel 63% delle ipotesi nelle quali essa è stata celebrata – la medesima generava un aumento della durata del processo di primo grado di circa 400 giorni, esercitando una funzione di filtro per poco più del 10% delle imputazioni e non incidendo significativamente sul tasso dei proscioglimenti in dibattimento.

Tale modifica si è intrinsecata con una serie di ulteriori emendamenti – si pensi a titolo esemplificativo, all’introduzione di criteri di priorità nell’esercizio dell’azione penale, al rafforzamento dei riti alternativi, all’estensione della procedibilità a querela, all’ampliamento dell’applicabilità dell’istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto – sintomatici della convinzione che l’efficienza del sistema possa essere garantita solo ritenendo la fase del contraddittorio dibattimentale l’eccezione e non la regola.

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Ed è proprio al fine di perseguire la tanto agognata “efficienza” del processo penale – divenuta condizione necessaria per l’erogazione dei fondi europei, subordinati anche alla riduzione dei tempi del processo penale del 25% entro i prossimi cinque anni – che il Legislatore della Riforma è intervenuto sulla fase predibattimentale seguendo una duplice direttrice: da un lato, limitando l’ambito applicativo dell’udienza preliminare – ritenendo, tuttavia, opportuno introdurre una udienza filtro nell’ambito dei procedimenti attribuiti alla competenza del giudice monocratico – dall’altro lato, rielaborando la summenzionata regola di giudizio, al fine di superare il consolidato criterio di matrice giurisprudenziale dell’astratta utilità dell’accertamento dibattimentale.

In particolare, la relazione illustrativa al progetto di riforma ha precisato come la scelta di intervenire sul canone di giudizio fosse protesa ad “evitare inutili esperienze processuali, destinate sin dall’origine ad avere esiti assolutori scontati”, essendo a tal fine necessario che “il pubblico ministero e il giudice dell’udienza preliminare siano in grado di prevedere che il giudizio dibattimentale si concluda con una sentenza di condanna del responsabile”.

La soluzione di compromesso – improntata sul canone della “ragionevole previsione” di condanna – adottata nel testo legislativo definitamente approvato dal Parlamento e confluito nella Legge-Delega, ha incontrato il favore del Consiglio Superiore della Magistratura, i cui esponenti hanno evidenziato come tale emendamento ha pregio di “rendere più rigorosi i criteri ai quali il Giudice dell’Udienza Preliminare dovrà attenersi nel disporre il rinvio a giudizio”.

Nel “Secondo Parere” sulla Riforma, i membri del Consiglio Superiore della Magistratura hanno osservato come, ferma restando la natura prognostica della valutazione operata nel corso dell’udienza preliminare, la nuova formulazione consentirebbe di innalzare la soglia dello standard di apprezzamento del compendio probatorio raccolto all’esito della prodromica attività di indagine, sia da parte del pubblico ministero nel momento in cui decide di avanzare la richiesta di rinvio a giudizio – assolvendo al ruolo di “primo giudice del materiale investigativo raccolto” – sia del giudice dell’udienza preliminare nella decisione concernente il passaggio alla (successiva ed eventuale) fase dibattimentale.

3. Presunzione di innocenza vs ragionevole previsione di condanna

L’intervento riformatorio in commento rappresenta solo l’ultimo tassello di un più ampio mosaico di novelle legislative e di interventi giurisprudenziali che hanno inciso sull’ampiezza del canone di giudizio in forza del quale l’organo giudicante è chiamato ad operare il vaglio preliminare.

La formulazione originaria dell’art. 425 c.p.p., che ancorava la sentenza di non luogo a procedere al canone dell’”evidenza”, era stata oggetto di profonde critiche posto che, da un lato, l’obbligo di prosciogliere l’imputato, correlato all’emersione della prova positiva dell’innocenza ovvero alla mancanza della prova della colpevolezza, legittimava quasi sempre il passaggio alla successiva fase dibattimentale; dall’altro lato, la medesima era tacciata di provocare uno squilibrio sistematico derivante dalla non conformità alla regola stabilita dall’art. 125 disp. att. c.p.p. in materia di archiviazione.

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Al fine di colmare tale discrasia, il Legislatore era intervenuto con la legge n. 105 del 1993 depennando il requisito dell’evidenza, non riuscendo tuttavia a colmare le lacune interpretative. Tale regola di giudizio era stata da taluni interpretata alla stregua di un accertamento positivo della sussistenza di elementi tali da integrare la probabile affermazione di responsabilità, mentre talaltri, in conformità alla sentenza della Corte Costituzionale n. 88/1991[1], escludevano la prospettazione di un canone, sia pur prognostico, di colpevolezza o innocenza, con la conseguenza per la quale la sentenza di non luogo a procedere dovesse essere pronunciata nei casi in cui fosse palese la superfluità del giudizio, ossia ogni qualvolta era “ fondato prevedere che l’eventuale istruzione dibattimentale non potesse fornire utili apporti per superare il quadro di insufficienza e contraddittorietà”, consolidando il principio “in dubio pro actione”.

Il permanere di tali ambiguità interpretative, che inevitabilmente finivano per riverberarsi sul giudizio in concreto operato nelle aule di giustizia, aveva portato il Legislatore ad intervenire nuovamente con la legge 16 dicembre 1999, n. 479, prevedendo non solo l’introduzione del canone – ancora per poco in vigore – della “insufficienza, contraddittorietà o inidoneità a sostenere l’accusa in giudizio” ma, altresì, riconoscendo al giudice dell’udienza preliminare la possibilità di ampliare il proprio panorama cognitivo tramite le facoltà di espletare ulteriori indagini ai sensi dall’art. 421-bis c.p.p. e di integrazione probatoria di cui all’art. 422 c.p.p.

Tuttavia, anche tale novella si era rivelata inidonea a dissipare i dubbi interpretativi e a potenziare il ruolo di filtro attribuito all’udienza preliminare, risultando ancora oggi più che mai pregnante il dibattito circa la natura e l’oggetto del vaglio predibattimentale.

Ed è proprio in questo coacervo di interventi legislativi, di contrastanti orientamenti giurisprudenziali che si è innesta l’ulteriore modifica imposta dalla Riforma Cartabia, la quale introduce – almeno in apparenza – un cambio di paradigma.

Ed infatti, se la novella del 1993 aveva risolto le asimmetrie sistematiche uniformando il criterio decisorio del vaglio predibattimentale al giudizio proprio dell’archiviazione, il Legislatore della Riforma Cartabia, proteso al perseguimento di esigenze di efficienza, economia processuale e deflazione, ha di fatto modellato il giudizio preliminare a quello dibattimentale, sostituendo il canone della “ idoneità/inidoneità a sostenere l’accusa in giudizio” al parametro della “ragionevole previsione di condanna”, pretermettendo qualsivoglia valutazione circa la concreta applicazione e le relative ricadute pratiche di tale cambiamento.

La modifica apportata dalla Riforma non solo rischia di determinare una commistione tra fasi processuali differenti ma, altresì, di incentivare il consolidarsi di un pregiudizio in merito alla colpevolezza dell’imputato, di fatto annichilendo il principio costituzionale di presunzione di innocenza fino a prova contraria. L’assimilazione del canone che governa sia l’esercizio dell’azione penale sia il vaglio preliminare alla “regola di decisione” propria della fase di merito, si traduce in una doppia ipoteca che può inevitabilmente condizionare la “neutralità valutativa” del giudice del dibattimento, che vede pervenire al suo giudizio una accusa che ha già superato per ben due volte il vaglio operato dal Pubblico Ministero prima, e dal giudice dell’udienza preliminare dopo, circa la ragionevole previsione di condanna.

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Una analisi sulla consistenza della accusa basata sulla “ragionevole previsione di condanna

” e, quindi, sulla prevalenza dell’accoglimento dell’ipotesi accusatoria, non solo porta con sé il rischio di ampliare a dismisura la discrezionalità dell’apprezzamento operato dell’organo giudicante, ma, altresì, di spostare irrimediabilmente la prospettiva del giudizio predibattimentale su profili attinenti alla colpevolezza dell’imputato, come tali ultronei rispetto a tale fase di giudizio.

Prendiamo ad esempio, un caso concreto – neanche troppo complesso – ed ipotizziamo che Tizio sia stato indagato per il reato di furto ai danni di Caia, con la quale aveva trascorso la serata precedente. All’esito delle indagini preliminari la polizia giudiziaria escute a sommarie informazioni la persona offesa e un testimone che dichiara di aver visto con i propri occhi l’imputato uscire dal palazzo della vittima con la refurtiva. Al contrario, invece, due altri testimoni – escussi dalla difesa a sommarie informazioni testimoniali difensive – ugualmente disinteressati e coerenti nella ricostruzione dei fatti – forniscono una versione antitetica.

Alla luce della nuova regola di giudizio, potremmo ritenere univocamente che gli “elementi acquisiti non consentono una ragionevole previsione di condanna” oppure più “ragionevolmente” la valutazione verrà rimessa esclusivamente alla discrezionalità dell’organo giudicante, il quale altrettanto “ragionevolmente” ( rectius “verosimilmente”) disporrà il giudizio – vanificando l’efficacia di filtro che la Riforma mira a perseguire – e innestando, altresì, nel giudice del dibattimento il “sospetto” che l’imputato possa essere più

“ragionevolmente” più colpevole che innocente, essendo sopraggiunto a lui un accusa che ha già superato per due volte il vaglio di ragionevole previsione di condanna?

4. I “rischi occulti” al mutamento della regola di giudizio della sentenza di non luogo a procedere

La riflessione relativa alle ricadute pratiche derivanti dalla Riforma Cartabia non può (rectius , non avrebbe potuto) prescindere dal prendere in considerazione i “rischi occulti” che si celano quando la nuova regola di giudizio viene concretamente calata nell’attuale sistema giudiziario.

Ed infatti la novella legislativa in discussione pare totalmente obliterare non solo la consueta incompletezza che connota la fase investigativa e la sua unidirezionalità (seppure in violazione al disposto di cui all’art.

358 c.p.p.) bensì ciò che più rileva la superiorità valoriale attribuita al Pubblico Ministero, in una realtà nella quale la pendenza di una indagine viene acclamata quale verità assoluta, l’incolpazione/imputazione viene eletta a sentenza di condanna e le prove raccolte dal Pubblico Ministero vengono ritenute superiori rispetto alle prove raccolte dalla difesa come recentemente certificato dalla Suprema Corte di Cassazione.

Questa proclamata superiorità accusatoria viene in un certo quale senso riconosciuta dalla stessa Riforma laddove, invece che positivizzare il canone presuntivo di innocenza – in base al quale una persona non può essere definito colpevole fino a sentenza definitiva –, positivizza esattamente il canone opposto della (ragionevole previsione di) condanna.

Non solo. Ulteriori ricadute pratiche possono essere agevolmente enucleate nel momento nel quale si pone l’attenzione sulla strategia difensiva in sede di udienza preliminare: l’imputato eserciterà “il diritto di difendersi provando” offrendo al Giudice dell’udienza preliminare il materiale probatorio raccolto in sede di indagini difensive, mettendo a rischio le sue prove ed ipotecandole sull’altare del (secondo) giudizio di ragionevole previsione di condanna oppure preserverà il novum probatorio atto a smentire l’accusa nella fase dibattimentale?

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Ed ancora, a fronte di compendi probatori opposti, al fine di adottare la propria decisione, quanto sarà possibile per il Giudice dell’udienza preliminare esercitare i propri poteri istruttori ex artt. 421-bis e 422 c.p.p., con quale limite alla propria discrezionalità? E con quale rischio di una indebita anticipazione della formazione della prova in una sede diversa da quella sua propria naturale, ovvero il dibattimento? E con forme diverse da quella che per eccellenza è riconosciuta quale strumento accertativo della verità processuale, ovvero sia il contraddittorio?

La Riforma pretermette, dunque, di considerare lo svilimento del ruolo del dibattimento che consegue alla modifica dell’art. 425 c.p.p., degradando il cuore pulsante del processo penale, l’agone nel quale le parti concorrono, in contraddittorio tra loro, alla formazione della prova.

Tale centralità è sancita dall’art. 111 della Carta Costituzionale il quale chiarisce come “il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova”, con la conseguenza per la quale affinché la dialettica tra parti contrapposte sia effettiva è imprescindibile che la formazione della prova abbia luogo dinnanzi ad un giudice terzo ed imparziale.

Il valore euristico del contraddittorio è innegabile: l’epistemologica contemporanea ha dimostrato come il metodo dialettico sia il migliore per l’accertamento della verità degli enunciati, il cui conseguimento, è il presupposto per il raggiungimento della decisione.

? solo assicurando reciprocamente alle parti la possibilità di presentare il complesso dei dati (probatori, giuridici e argomentativi) considerati più idonei a sostenere la propria tesi, interloquendo su gli elementi introdotti (ovvero inseriti d’ufficio) nel compendio processuale, che è possibile consentire l’esercizio del “ diritto di difendersi provando” e assicurare che l’esercizio della funzione giurisdizionale sia conforme ad uno dei canoni fondamentali per la ricerca della verità (processuale).

? solo tramite l’esercizio del “diritto alla prova” – che si declina nella facoltà di ricerca della stessa, nella richiesta di amissione del relativo mezzo, nella partecipazione alla sua assunzione e nella espressa valutazione – nel contraddittorio tra le parti che è possibile vincere “ogni ragionevole dubbio”

circa la colpevolezza dell’imputato, non certo in una fase quale quella predibattimentale che si colloca all’esito di un incompleto e unidirezionale espletamento della attività di indagine da parte del pubblico ministero e di una attività difensiva posta in essere dall’indagato/imputato in realtà immolata sull’altare della superiorità intrinseca delle prove dell’accusa.

? solo consentendo ad entrambe le parti di esaminare e contro esaminare i testimoni, nelle forme dell’esame incrociato che è possibile ricostruire eventuali reati che prima di essere tipici, antigiuridici e colpevoli, sono fatti umani, con la conseguenza che solo laddove le dichiarazioni rese o le prove raccolte superino la “prova di resistenza” del controesame, le medesime saranno idonee a fondare “ oltre ogni ragionevole dubbio” il convincimento del giudice di merito circa la colpevolezza dell’imputato.

5. Il pre-giudizio di primo grado

Come dovrebbe decidere il giudice dell’udienza preliminare nel caso in cui il compendio probatorio unilateralmente raccolto sia ugualmente solido, ma lasci propendere per soluzioni tra loro antitetiche?

Pensiamo al caso in cui il Pubblico Ministero attribuisca ad una intercettazione telefonica di importanza cruciale per fondare la “ragionevole previsione di condanna” un significato antitetico, smentito dalla difesa a seguito della attività di indagine difensiva compiuta, oppure ancora all’ipotesi in cui la difesa segnali un errore nella traduzione di un atto nevralgico ai fini del compimento di un giudizio predibattimentale.

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In un simile contesto molto più consueto di quanto si possa pensare, due scenari tra loro alternativi, ed entrambi ugualmente non auspicabili, appaiono delinearsi.

Da un lato, il rischio è che la medesima si riduca in una mera modifica formale, ontologicamente insufficiente a colmare prassi e disfunzioni che inficiano gli ingranaggi della farraginosa macchina giurisdizionale italiana.

Ancora troppo commodus è il discessus per il giudice predibattimentale il quale, piuttosto che doversi assumere la responsabilità di pronunciare una sentenza di non luogo a procedere, esponendosi all’onere di motivazione e, altresì, ad una eventuale impugnazione, può limitarsi a far transitare il fascicolo al giudice del dibattimento lasciando a quest’ultimo il compito di decidere delle sorti dell’imputato, senza neppure dover fornire alcuna spiegazione circa le ragioni che lo hanno portato a ritenere “ragionevole” la previsione di condanna.

Dall’altro lato, laddove la modifica del canone venisse interpretata in conformità al paradigma adottato dall’art. 533 c.p.p., allora tale istituto finirebbe per tradursi in una sorta di “pre-giudizio di primo grado

”, a maggior ragione laddove il giudice dell’udienza preliminare esercitasse i poteri riconosciutigli ex officio e la difesa ritenesse di adottare una strategia molto solida già nella fase predibattimentale, chiedendo ad esempio già in questa sede l’espletamento della perizia per la trascrizione delle intercettazioni telefoniche ovvero introducendo corpose consulenze tecniche per dimostrare la non congruità delle conclusioni raggiunte dal Pubblico Ministero all’esito delle indagini preliminari.

Tale modifica avrebbe come effetto ultimo quello di stravolgere la dinamica del processo – oltreché dilatarne ulteriormente la durata – posto che l’imputato finirebbe irrimediabilmente per trovarsi dinnanzi ad un incostituzionale bivio: fare tutto ciò che è in proprio possesso per dimostrare già al giudice dell’udienza preliminare la propria innocenza, seppur nella consapevolezza che laddove quest’ultimo ritenesse “ragionevole” la “previsione di condanna”, si presenterebbe dinnanzi al giudice del dibattimento con lo stigma del “presunto colpevole”, ovvero adottare una strategia lasca in fase predibattimentale, nella speranza che le prove formatesi nel contraddittorio delle parti, davanti al proprio giudice naturale, siano solide a tal punto da neutralizzare lo stigma della colpevolezza.

Se così fosse si assisterebbe ad una vera e propria distorsione, con la conseguenza che per le ipotesi di reato più gravi, l’imputato si troverebbe a doversi difendere nel merito dinnanzi ad un solo giudice e non più dinnanzi ad un giudice collegiale, in assenza di tutte le garanzie e senza poter esercitare le facoltà previste durante la fase dibattimentale, lasciando che irrimediabilmente rimesso alla discrezionalità del Giudice dell’Udienza preliminare l’eventuale esercizio di poteri istruttori, che nulla hanno a che vedere con il controesame, che altro non è che la più nobile specificazione del principio del contraddittorio.

Fino ad oggi, l’udienza preliminare ha rappresentato uno strumento di deresponsabilizzazione del Pubblico Ministero, la cui scelta di esercitare l’azione penale ha trovato conferma nella valutazione del giudice predibattimentale. Assimilando la regola di giudizio che governa la fase predibattimentale a quella dibattimentale si corre il rischio di coinvolgere anche il giudice del dibattimento nel sodalizio della deresponsabilizzazione, posto che la sentenza di accertamento della responsabilità potrebbe rappresentare una mera conferma delle valutazioni di merito già operate nell’ambito dell’udienza preliminare, finendo per determinare una flessione al ribasso dello standard dell’accertamento nel merito in spregio alla presunzione di innocenza.

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In alcun modo dirimente è l’osservazione circa la capacità del giudice del dibattimento di ricusare qualsivoglia condizionamento, poiché il semplice fatto che l’udienza preliminare venga ancorata ad una prognosi di colpevolezza, determina un inevitabile inquinamento della neutralità del dibattimento, posto che l’imputato si presenterebbe come “presunto colpevole”, dovendosi difendere dal pre-giudizio derivante dall’apprezzamento nel merito operato dal giudice predibattimentale.

Appare, dunque, evidente che il Legislatore della Riforma seppur nel tentativo di perseguire una finalità del tutto auspicabile, quale quella di efficientare lo svolgimento del processo penale, anche nell’interesse dell’imputato, abbia finito per rimanere, ancora una volta vittima della eterogenesi dei fini, dimenticando la finalità che è propria alla fase predibattimentale, ossia quella di valutare la sostenibilità dell’accusa in giudizio e non di certo di fondare un pre-giudizio di colpevolezza.

[1] Nell’ambito della quale i Giudici della Consulta chiarivano come il contenuto concreto della regola di giudizio che discrimina tra azione-inazione e tra sentenza di non luogo a procedere-decreto che dispone il giudizio, dovesse essere interpretato in forza di due principi cardine, da un lato quello della completezza investigativa, di natura diagnostica, dall’altro lato, quello della non superfluità del dibattimento, di carattere prognostico. La regola di giudizio dell’archiviazione – e a fortiori quella adottata nel giudizio predibattimentale – consisterebbe in una valutazione degli elementi acquisiti “non nella chiave dell’esito finale del processo”, e perciò sul piano della probabile condanna, “bensì nella chiave della loro attitudine a giustificare il rinvio a giudizio”.

Bibliografia e sitografia

1. Commissione Lattanzi, Relazione finale Commissione Lattanzi, in https://www.gnewsonline.it/ddl-penale- ecco-la-relazione-finale-della-commissione-lattanzi/

2. Consiglio Superiore della Magistratura, 19/PP/2020 Disegno di Legge AC n. 2435: Delega al Governo per l’efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d’appello (delibera 29 luglio 2021), in https://www.giurisprudenzapenale.com/2021/08/02/riforma-del-processo-penale-i-pareri-del-csm/

3. UBERTIS, G., Sistema di procedura Penale. Principi generali, Utet Giuridica, 2013, pp. 143 ss.

4. CASTAGNO, JP., La sostanziale priorità della perizia disposta dal Pubblico Ministero (Cass. Pen. Sez. III n. 16458/2020). Lo specchio della giustizia dei giorni nostri? in Rivista Percorsi Penali – 1/2021.

5. DANIELE, M., FERRUA, P., Venti di riforma dell’udienza preliminare e del patteggiamento: un subdolo attacco al processo accusatorio, in Dir. Pen. Cont. Fasciolo 5/2019, in https://archiviodpc.dirittopenaleuomo.org/d/6664-venti-di-riforma-dell-udienzapreliminare-e-del-

patteggiamento-un-subdolo-attacco-al-processo-accus

6. PISTORELLI, L., Riforma del processo penale: le direttive di intervento in materia di indagini preliminari e di udienza preliminare, in Il Penalista, 2021

7. VIGONI, D.,Giudizi prognostici e ragionevole dubbio in A. Incampo e A. Scalfati (a cura di) Giudizio penale e ragionevole dubbio, Cacucci editore, 2017, pp. 373-413.

TAG: Percorsi penali, riforma Cartabia, processo penale

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