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MATERIALI E METODI
1 Esami coagulativi
1.1 Dosaggio del Fg secondo Clauss
Per la determinazione quantitativa del fibrinogeno è stato utilizzato il metodo Clauss nel plasma umano citrato sul sistema di coagulazione ACL TOP500 CTS IL.
Il dosaggio del fibrinogeno nel tempo di coagulazione con trombina si basa sul metodo originariamente descritto da Clauss; in presenza di un eccesso di trombina, il fibrinogeno si trasforma in fibrina e il tempo di formazione del coagulo è inversamente proporzionale alla concentrazione di fibrinogeno presente nel campione di plasma.
Il prelievo è stato effettuato mediante puntura venosa atraumatica utilizzando provette di plastica sottovuoto contenenti citrato trisodico al 3,8 %. Il plasma è stato ottenuto dopo centrifugazione a 3500 RPM per 10 minuti.
I reagenti utilizzati sono:
-Trombina bovina: Trombina bovina tamponata liofilizzata con l’aggiunta di albumina bovina, Calcio cloruro, tampone e stabilizzanti. Ricostituire un flacone di Trombina bovina con 5 ml esatti di acqua distillata. Tappare il flacone e miscelare delicatamente per inversione, evitando la formazione di schiuma.Stabilità: 3 giorni a 2-8°C e 1 mese a -20°C.
-Plasma Calibrante “Cal-Fib” (plasma umano liofilizzato, stabilizzanti e conservanti). Ricostituire un flacone di Plasma Calibrante con 1 ml esatto di acqua distillata. Tappare il flacone e miscelare delicatamente per inversione, evitando la formazione di schiuma.Stabilità: 8 ore a 15-25°C, 2 giorni a -20°C.
-Plasma di Controllo (livello normale e livello patologico) “Pat-Fib”(plasma umano liofilizzato, stabilizzanti e conservanti).Ricostituire i flaconi di Plasma di Controllo con 1 ml esatto di acqua distillata. Tappare il flacone e miscelare delicatamente per inversione, evitando la formazione di schiuma. Stabilità: 8 ore a 15-25°C, 2 giorni a -20°C.
-Caolino
Il plasma del pz e il plasma di controllo vengono diluiti 1:10 (1 di plasma e 9 di diluente). Lo strumento esegue automaticamente la miscelazione del plasma con il reagente del fibrinogeno, miscelando 100 µl del primo con 50 µl del secondo, in apposite cuvette termostatate a 37 °C. , viene misurato con un cronometro il tempo di formazione del coagulo.
Il plasma di calibrazione è usato per costruire una curva di calibrazione: si misura come varia il tempo di formazione del coagulo a diluizioni crescenti del plasma di calibrazione (cioè a concentrazioni progressivamente inferiori di Fg). Dal confronto del tempo necessario alla formazione del coagulo nel plasma del pz con i valori di una curva di calibrazione si ricava la concentrazione del fibrinogeno nel plasma. Ciascun laboratorio deve provvedere alla definizione dei valori di riferimento per la popolazione sottoposta ad indagine. (V.n. 200-400 mg/dL. 2 - 4 g/L).
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1.2 Tempo di trombina TT
Il kit utilizzato permette la determinazione quantitativa del tempo di trombina nel plasma umano citrato sul sistema di coagulazione ACLTOP500: il fibrinogeno presente nel plasma in esame è trasformato in fibrina e il tempo di formazione del coagulo viene misurato a partire dall’ aggiunta di trombina bovina purificata.
Prelievo mediante puntura venosa traumatica, utilizzando provette di plastica sottovuoto contenenti citrato trisodico al 3,8 %. Centrifugazione del plasma a 3500 RPM per 10 minuti, in modo da ottenere Plasma Povero di Piastrine (PPP).
Lo strumento esegue automaticamente la miscelazione di 80 µl del plasma del paziente in esame con 80 µl di Reagente Started della trombina bovina diluito con 5 ml di tampone. I risultati dei pazienti possono essere riportati in secondi e Ratio (rapporto tra PPP paziente/pool di PPP di controllo).
1.3 Dosaggi del fibrinogeno del paziente P.L in un mixing test 1:1 con aggiunta di pool di plasma normale
a tempi diversi e temperature diverse.Viene dosato il Fg coagulativo basale del pz. In un secondo momento si diluisce il plasma del pz 1:1 con pool di plasma normale, ed infine si va a dosare il Fg a tempi diversi (T0,T1 -ad 1h da T0,T2 -ad 1h da T1) e temperature diverse (rispettivamente 37°C e 4°C).
Queste prove sono finalizzate a identificare la possibile interferenza di Fg del pz con il Fg del pool di plasma normale. La provetta viene mantenuta a temperature diverse per verificare se la variazione di temperatura condiziona l’eventuale interferenza del Fg del pz con il Fg del pool.
1.4 Prove di mixing dopo purificazione del Fg
Per ottenere il fibrinogeno dei pazienti, è stato utilizzato il metodo di precipitazione del fibrinogeno con etanolo. Con questa tecnica volevamo verificare anche la possibilità che il fibrinogeno potesse trascinare con sé anche eventuali catene leggere libere.
- Preparazione del crioprecipitato: una volta scongelato, il plasma (conservato a -80°C) viene centrifugato a 4000 RPM per 20’ a 4°C; dopo decantazione il pellet (cioè il precipitato) viene risospeso in un buffer(20mM tris.base, 55mMsodio citrato, 27 mM lisina, ph 6.8; 0,9 ml di buffer). La soluzione viene fatta riposare over night a temperatura ambiente.
- Precipitazione in etanolo: la soluzione viene aggiustata con Etanolo al 10%; PRIMA PRECIPITAZIONE: incubata overnight in ghiaccio e H2O a 4°C, poi sottoposta a centrifugazione a 4000 RPM per 20 minuti. Il supernatante è decantato e il pellet è risospeso in buffer, poi aggiustato con etanolo al 10%. (0,9 ml\ Buffer + 0,1 di etanolo); SECONDA PRECIPITAZIONE: il campione è posto 2 ore in bagno di ghiaccio e H2O a 4°C, poi centrifugato a 4000 RPM per 20 minuti. Il supernatante di nuovo viene decantato e viene risospeso il pellet in buffer.
- Applicazione della dialisi all’equilibrio: consiste nel dializzare il campione mediante membrane all’ equilibrio per purificare le molecole da isolare, in questo caso il Fg.
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Una membrana da dialisi è una membrana, tipicamente di Cellulosa semipermeabile, dotata di pori di dimensione approssimativamente costante (anche se le dimensioni dei pori possono variare ed avere ‘cutoffs’ molto diversi) che possono lasciar passare solo molecole di piccole dimensioni. Considerando due compartimenti separati da una membrana di questo tipo : -uno contenente una proteina di dimensioni superiori a quelle dei pori, nonché sali o comunque molecole di dimensioni ridotte; - l’altro compartimento invece contenente una soluzione diluita. Le molecole a basso peso molecolare potranno diffondere da un comparto all’altro, fino a raggiungere una situazione d’equilibrio in cui queste sostanze hanno uguale concentrazione nelle due camere. Le proteine, invece, saranno ancora tutte nel loro settore originario. Il risultato netto all’equilibrio è una diluizione della concentrazione di piccole molecole nel comparto proteico. Nella pratica, la dialisi viene spesso effettuata ponendo la soluzione proteica entro un tubino di membrana semipermeabile chiuso alle due estremità. Il sacchetto così ottenuto viene immerso in un recipiente contenente un largo eccesso di soluzione diluita. La soluzione esterna viene mantenuta in agitazione con un agitatore magnetico per accelerare un po’ i tempi di dialisi. Dopo alcune ore, la soluzione esterna può essere sostituita con soluzione fresca, per favorire un’ulteriore rimozione di piccole molecole dal sacchetto. L’uso di un largo eccesso di soluzione esterna, nonché il cambio ripetuto di tale soluzione, consente di eliminare o sostituire completamente le piccole molecole della soluzione proteica.
La soluzione esterna è costituita da bicarbonato di sodio, NaHCO3, al 2%(6g di NaHCO3 in 300ml di H2O) con l’ aggiunta di acido etilendiamminotetraacetico, EDTA, 1mM. (diluire EDTA 0,5 M 500 volte, nella soluzione di 300 ml aggiungere 0,6 ml di EDTA 0,5M).
Procedimento: portare ad ebollizione la soluzione di NaHCO3; far bollire le membrane per 10 minuti in agitazione; trasferire le membrane in H2O distillata e lavarle con pipette da 10 ml; far bollire di nuovo in H2O distillata le membrane per 10 minuti; raffreddare le membrane in H2O distillata; preparare i sacchetti da dialisi; trasferire il sacchetto nel tampone fosfato salino, PBS (Tampone PBS ph 7.4. Preparati 1.5 l di soluzione (1.5 l di H2O + 14.3 g di PBS Dulbecco), fissandolo sul fondo del beker ad una pipetta. Lasciare dializzare overnight in agitazione a temperatura ambiente.
Il campione ottenuto dai sacchetti delle membrane viene centrifugato a 4000 RPM per 20min a 25°. Soluzione
proteica
Agitatore magnetico
38 Il pellet ottenuto è il fibrinogeno purificato.
Una volta messo a punto il metodo, abbiamo effettuato l’estrazione del fibrinogeno su 4 campioni di plasma congelati del paziente in studio, prelevati in date diverse: 06/04/2013, 04/06/2013, 08/07/2013, 06/08/2013. Abbiamo scongelato il plasma conservato per ogni data e abbiamo effettuato la prima precipitazione in etanolo 10%, aggiungendo direttamente al plasma la necessaria quantità di etanolo per aggiustarlo al 10%:
- primo campione: 3 ml di plasma (06/04/2013) + 333 µl di etanolo - secondo campione: 1,5 ml di plasma (04/06/2013) 166,5 µl etanolo - terzo campione: 1,5 ml di plasma (08/07/2013) + 166,5 µl etanolo - quarto campione: 3 ml di plasma (06/08/2013) + 333 µl etanolo Abbiamo posto poi i campioni in ghiaccio e acqua a 4° C over night.
Centrifugazione dei campioni a 4000 RPM per 20 minuti e decanta mento del sovranatante, dosando su questo il fibrinogeno per ricercarne l’eventuale precipitazione completa nel pellet: il fibrinogeno risultava indosabile in tutti e 4 i campioni del sovranatante (in una prima seduta di prova si era provato a dosare il Fg nelle soluzioni di dialisi rispettivamente del sovranatante e del pellet ottenuti dopo solo crioprecipitazione, ricavando valori maggiori di Fg nella soluzione del sovranatante piuttosto che in quella del pellet; ciò ci ha indotti a decidere di modificare la metodica, andando oltre la formazione del crioprecipitato ed effettuando subito la precipitazione in etanolo al 10%, a seguito della quale, come già detto, si riscontrava una maggiore concentrazione di Fg nel pellt piuttosto che nel sovranatante). Il pellet rimasto è stato risospeso in buffer e aggiustato con etanolo al 10% per una seconda precipitazione; posto in ghiaccio e acqua per 2 ore e successiva seconda centrifugazione a 4000 RPM per 20 minuti; decantato il sovranatante e risospeso il pellet in 1 ml di buffer, la stessa quantità per tutti e quattro i campioni. Dopo la dialisi abbiamo dosato il fibrinogeno nelle 4 soluzioni.
2 Studio morfologico del midollo
L’analisi morfologica del midollo emopoietico è stata eseguita mediante osservazione al microscopio ottico di preparati ottenuti mediante :
2.1 Aspirato midollare
L’aspirato midollare (mieloaspirato MA) si esegue utilizzando ago monouso 15Gx10/75 mm , Biomedical Srl. L’ago è provvisto di impugnatura ergonomica e mandrino estraibile (che impedisce l’otturazione del canale interno da parte di frammenti cutanei e/o ossei). È possibile regolare la lunghezza della parte di ago destinata alla penetrazione nell’osso. Una volta raggiunta la midollare ossea si sfila il mandrino dell’ago e si raccorda la siringa o provette vacuum per ottenere il campione di sangue midollare. Il sangue della siringa viene strisciato su vetrino e, previa colorazione con May-Grunwald-Giemsa (colorazione panottica standard, si procede all’osservazione al microscopio ottico. Si impiegano attualmente coloratori automatici e programmabili, che assicurano tempi rapide (5’-6’)
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e risultati standardizzati. L’osservazione microscopica viene eseguita prima con obiettivo 10x (con ingrandimento finale 100x) poi con obiettivo 100x (con ingrandimento finale 1000x). Non è indispensabile usare un anticoagulante per il sangue midollare da destinare all’osservazione morfologica, se i vetrini sono preparati immediatamente.
2.2 Biopsia osteomidollare
La biopsia osteomidollare (BOM) (HS Hospital Service S.p.A, set per biopsia osteomidollare) permette di ottenere un frustolo di midollo emopoietico (core) circondato da lamelle ossee. L’ago da BOM è di calibro maggiore; in questo caso, una volta raggiunta la corticale, mediante manovra di rotazione-pressione, si sfila il mandrino e si prosegue con la manovra fino a penetrare in profondità per almeno 2 cm, a questo punto si inserisce il secondo mandrino, concepito per sezionare il frustolo osseo situato all’interno dell’ago e per intrappolarlo; si sfila il complesso ago-mandrino, si rimuove il mandrino dall’ago e si recupera il frustolo osseo, che viene deposto in una provetta contenente liquido fissativo ( Mielodec® Reagente A, Bio-Optica) per 2 ore. Il campione viene decalcificato in Mielodec® reagente B (Bio-Optica) per ulteriori 2 ore, fissato in paraffina e tagliato in sezioni di 4 µm di spessore. La valutazione morfologica è stata fatta con colorazioni ematossilina-eosina, Giemsa, Perls e Gordon-Sweet per le sezioni preparate per la reticolino; sono state preparate colorazioni immunoistochimiche su sezioni seriali usando un sistema basato su per ossidasi, includendo Ab specifici per CD20, CD3, CD138 e per le catene leggere k e λ delle immunoglobuline. E’ stato usato un Slider Stainer (Ventana) automatico, BenchMark.
Si tratta di due metodi di indagine complementari, perché forniscono informazioni di tipo diverso che spesso devono essere valutate simultaneamente. Il MA fornisce ottime informazioni circa la morfologia delle cellule del midollo, mentre la BOM permette di studiare la struttura del tessuto midollare e valutarne tutte le componenti e i loro rapporti (cellule emopoietiche, stroma, vascolarizzazione, tessuto osseo); fornisce, inoltre ,informazioni sulla cellularità (% di elementi nucleati rispetto allo spazio midollare totale) e sulla localizzazione preferenziale delle varie linee cellulari a livello del tessuto emopoietico.
Sede del prelievo è la spina iliaca posteriore; la procedura viene effettuata in anestesia locale.
2.3 Studio citofluorimetrico del midollo
Le indagini citofluorimetriche vengono eseguite marcando le cellule mediante Mab, associati fra loro nel cosiddetto pannello anticorpale, al fine di identificare sia qualitativamente che quantitativamente il profilo antigenico extra e intra cellulare. Ogni Mab è marcato con uno specifico fluorocromo; queste molecole, opportunamente eccitate (fotoni emessi da sorgenti quali laser o lampade UV), tornano allo stato iniziale emettendo fotoni con particolare spettro di emissione. Il citofluorimetro individua le singole cellule e misura l’intensità di fluorescenza di ciascun fluorocromo mediante analisi computerizzata. L’intensità di fluorescenza è in stretto rapporto con la quantità di Mab legato alle cellule. I dati sono presentati mediante dot-plot (citogramma), che mostra i valori relativi a un parametro su di un asse e i valori relativi ad un altro parametro su un altro asse (istogramma bi-parametrico). Sull’istogramma ottenuto si identificano 4 quadranti (UL:up-left; UR: up-right; LL:low-(UL:up-left; LR:low-right). Il software analizza l’intensità di fluorescenza dei vari
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eventi che risultano compresi in ciascun quadrante fornendo parametri quantitativi (mediana, media, %..). Gli eventi compresi tra l’origine dell’asse e la prima decade di fluorescenza (101) sono considerati in genere negativi. Il software permette inoltre di ottenere il cosiddetto gating, ovvero la selezione elettronica sull’istogramma delle cellule da esaminare.
Il campione di sangue midollare da sottoporre a indagine citofluorimetrica si ottiene con MA ed il sangue viene posto in provetta contenente acido etilendiamminotetracetico (EDTA) (Vacutest Kima srl, K3 EDTA 5.4 mg). Presso il nostro laboratorio viene utilizzato “FacsCANTO II cytometer” (Becton Dickinson) dotato di 3 laser (405 nm, 488 nm e 633 nm) e di un Facs-DIVA software. Campioni di 50-100μL di sangue midollare vengono incubati con 1μg di Mab (CD138, CD38, CD19, CD45, CD117, CD56, CD27). Dopo incubazione con le combinazioni di Mab prescelti, i campioni vengono sottoposti a lisi eritrocitaria con cloruro di ammonio, NH4Cl, e a due lavaggi con PBS (Phosphate buffered saline=tampone fosfato salino). Vengono poi eseguite acquisizioni citofluorimetriche, sulla base delle raccomandazioni pubblicate da “European Myeloma Network”. Per ciascuna provetta vengono acquisiti 500.000 eventi. Sugli istogrammi così ottenuti viene identificata la regione P1 (cellule omogenee per proprietà fisiche relative alla taglia FSC - in linea con il fascio di luce , Forward Scatter- e alla complessità intracellulare SSC- perpendicolare al fascio di luce,Side Scatter), comprendente la popolazione mononucleata del midollo. Dalla regione P1 deriva P2 rappresentativa delle plasmacellule (CD138+ e CD38+). Successivamente viene allestito un dot-plot CD19/CD45 per distinguere le plasmacellule normali (n-PC)della regione P3 da quelle patologiche (a-PC) della regione P4. Le n-PC risultano essere CD19+ e CD45+ mentre CD19- è indicativo di a-PC a prescindere dall’espressione di CD45. Viene poi studiata l’espressione dei restanti markers (CD27, CD117, CD56) in entrambe le popolazioni di PC (a-PC e n-PC). Le n-PC si presentano come CD27+ , CD117- e CD56-.
Sono stati eseguiti tests per valutare la clonalità delle catene citoplasmatiche κ e λ, separatamente sulle due popolazioni P3 (n-PC) e P4 (a-PC).
3 Studio biologia molecolare con tecnica PCR
La PCR (polymerase chain reaction) è un tecnica molecolare che consente di amplificare un segmento di RNA o DNA in modo da poter effettuare test per la determinazione della presenza o dell’espressione di un particolare gene e delle sue caratteristiche (riarrangiamenti, prodotti di fusione..). Nel caso in cui il materiale di partenza sia costituito da RNA la prima fase della reazione prevede la retrotrascrizione dell’RNA in DNA complementare (c-DNA), per poter poi procedere all’amplificazione del cDNA così ottenuto. Una tipica reazione PCR richiede: 2 primers oligonucleotidici che definiscono la sequenza target da amplificare; l’enzima DNA-polimerasi, termicamente stabile (perché ad ogni ciclo di amplificazione il DNA del campione deve essere denaturato a 95°C per ottenere l’apertura della doppia elica del DNA); i desossinucleotidi liberi da incorporare. I prodotti di amplificazione ottenuti possono essere visualizzati attraverso corsa
FIG 2.1 Rappresentazione dell’immunofenotipo normale e patologico delle plasmacellule
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elettroforetica su gel di agarosio o mediante capillare su sequenziatore automatico. Contemporaneamente alla sequenza di interesse, viene allestito un controllo positivo (amplificazione di un gene costantemente espresso, gene housekeeping) e un controllo negativo (sola miscela di reazione) per documentare rispettivamente l’avvenuta amplificazione e l’assenza di prodotti PCR contaminanti.
La PCR quantitativa condotta in real time (Real time PCR) si basa sulla rivelazione di un segnale di fluorescenza prodotto proporzionalmente rispetto alla quantità di sequenza target amplificata. Tale procedura permette di quantificare i prodotti di amplificazione non alla fine della reazione ma in tempo reale, durante il processo di amplificazione stesso.
L’analisi PCR è stata effettuata su cellule mononucleate ottenute attraverso separazione con gradiente Ficoll/Hypaque. È stato estratto, da tali cellule, DNA ad alto peso molecolare per valutare la presenza di clonalità relativa al riarrangiamento IgH. Ciascuna reazione PCR prevedeva l’allestimento di un controllo negativo (acqua distillata) e positivo (DNA portatore di riarrangiamento monoclonale IgH). Un primer complementare a sequenze consensus condivise dai diversi membri della famiglia J è stato combinato con diversi primer famiglia VH-specifico basato sulle sequenze leader del FRI (framework region I). Nei linfociti B la regione variabile della catena pesante (VH) è costituita da 3 regioni framework, in cui sono presenti sequenze conservate e da 3 regioni CDR ,complementarity determining region , in cui sono presenti regioni ipervariabili di DNA che codificano per la regione legante l’Ag (antigene) e che sono sottoposte al processo di ipermutazione somatica. Notare che CDRIII non è codificata dal segmento genico V ma dal DNA del segmento D e dai segmenti di DNA posti tra le giunzioni V-D e D-J.
FIG 3.1 Organizzazione genetica della regione variabile delle Ig. Da Rezuke et al, 1997.
FIG 3.2 Illustrazione schematica del funzionamento della PCR nell’identificazione di un riarrangiamento IgH. B. Da Rezuke at al. 1997, modificato.
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Le provette PCR contenevano: 1μl di prodotti per amplificazione mediante PCR, 15 μl di formamide deionizzata (Amresco) e 0,5 μl di Gene Scan TM 500 Tamra-labeled internal standard (Applera). Il contenuto delle provette viene denaturato a 95°C per 2’ e poi rapidamente raffreddato in ghiaccio. I prodotti di amplificazione così ottenuti vengono analizzati mediante elettroforesi capillare su GS STR POP 4, 1ml (15 kV per 10’’a Temperatura costante 60°C,tempo di corsa 24’ ) e valutazione della fluorescenza con un filtro virtuale C (ABI Prism 310 Genetic Analyzer Applied Biosystem). I prodotti di amplificazione sono stati analizzati utilizzando il software Genescan 2.1 .
In una popolazione policlonale, ciascuna cellula presenta una diversa specificità antigenica ed un distinto riarrangiamento genico, pertanto, il prodotto amplificato, visualizzato mediante elettroforesi, è rappresentato da bande di diversa lunghezza risultanti in uno smear pattern (linea B nella figura di cui sopra). In una popolazione monoclonale al contrario, tutte le cellule presentano identici riarrangiamenti, per cui il prodotto amplificato è rappresentato da una singola banda discreta (linea C nella figura di cui sopra).
4 Elettroforesi delle proteine e immunofissazione
L’elettroforesi, seguita dall’immunofissazione, è una semplice tecnica che permette di fissare una proteina in situ dopo l’elettroforesi, formando un complesso insolubile con anticorpi specifici. Gli elettroforegrammi sono interpretati visivamente per valutare la presenza di reazioni specifiche con le sospette proteine monoclonali. Bande anomale nei quadri elettroforetici, in particolare nella zona delle beta-globuline e delle gamma-globuline, sono sempre presunte proteine monoclonali (M-proteine,paraproteine o immunoglobuline monoclonali) e pertanto un indice di gammapatie monoclonali.
Per evidenziare ed identificare le presunte componenti monoclonali i campioni sono fatti migrare, contemporaneamente, in sei corsie. Dopo l’elettroforesi, una corsia serve da riferimento, mostrando il quadro elettroforetico delle proteine del campione mentre le rimanenti cinque corsie permettono la caratterizzazione della componente monoclonale mediante la reazione o la mancanza di reazione con gli antisieri anti catene pesanti gamma (Ig G), alfa (Ig A) e mu (Ig M) ed anti catene leggere kappa e lambda(libere e legate).
FIG 4.1 Esempio di corsa elettroforetica seguita da immunofissazione, con dimostrazione di gammopatia monoclonale IgGλ.
Per il rilevamento delle proteine monoclonali nel siero e nelle urine del paziente, mediante immunofissazione, è stato utilizzato il kit Hydragel in combinazione con il sistema semi-automatico HYDRAS. Le proteine, separate mediante elettroforesi su gel di agarosio tamponato in mezzo
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alcalino, sono incubate con singoli antisieri specifici anti catene pesanti gamma (IgG), alfa (IgA) e mu (IgM) ed anti kappa e lambda (libere e legate). Dopo la rimozione delle proteine che non hanno reagito, gli immunoprecipitati sono colorati con violetto acido o con amidoschwarz.
5 Dosaggio delle catene leggere libere
La valutazione della concentrazione di un antigene solubile, per via nefelometrica o turbidimetrica, richiede l’aggiunta del campione in una cuvetta di reazione contenente la soluzione con l’anticorpo corrispondente. Un raggio di luce (LED 840 nm), passando attraverso la cuvetta, al termine della reazione antigene-anticorpo, viene disperso proporzionalmente alla formazione di un immunocomplesso insolubile. L’anticorpo nella cuvetta è in eccesso in modo che la quantità di immunocomplesso formatosi, sia proporzionale alla concentrazione dell’antigene. In nefelometria la luce dispersa è determinata misurandone l’intensità con una particolare angolazione rispetto alla sorgente luminosa, mentre in turbidimetria la dispersione di luce viene quantificata misurando direttamente la diminuzione dell’ intensità subita dal raggio luminoso incidente. Una serie di calibratori, contenenti quantità note di antigene, sono analizzati inizialmente al fine di costruire una curva di calibrazione relativa alla correlazione tra la misurazione della luce dispersa e la concentrazione dell’ antigene. Campioni con concentrazione ignota di antigene possono successivamente essere analizzati leggendone il risultato sulla curva di calibrazione.
Per la raccolta dei campioni il prelievo deve essere effettuato mediante puntura venosa atraumatica, in provette di plastica sottovuoto per dosaggio su siero, mentre in provetta di plastica con anticoagulante litio-eparina per dosaggio su plasma. Il campione deve essere testato immediatamente, in alternativa esso può essere conservato fino a 4 settimane alla temperatura di 2-8°C oppure, per una conservazione più prolungata, stoccato – 20°C.
Il kit utilizzato permette la quantificazione delle catene leggere libere Kappa nel siero o/e plasma sul sistema automatizzato nefelometrico Dade Behring Nephelometer II (BNP II). Grazie a questo metodo il nefelometro è in grado di quantificare solo le catene leggere libere (FLC) senza determinare anche le catene leggere legate alla catena pesante dell’anticorpo. Ciò è reso possibile grazie alla presenza di Anticorpi specifici che legano esclusivamente le FLC. Il kit prevede l’utilizzo di: -Reagente al lattice (2x2ml): costituito da anticorpo monospecifico adeso su particelle di lattice di polistirene, conservanti, acido EACA (E-amino-n-caproico) e benzamidina.
-Standard (2x1ml) e controlli (1x1,5ml + controllo alto 1x1,5ml): sieri umani contenti catene leggere libere kappa policlonali. Sono forniti in formato liquido stabilizzato e contengono sodio azide, EACA e benzamidina come conservanti.
-Reagente supplementare (1x3ml)per κ libere umane: contiene sodio azide come conservante. Il kit deve essere mantenuto alla temperatura di 2-8°C. I Reagenti devono essere miscelati delicatamente per inversione evitando la formazione di bolle o schiuma. Una volta costruita la curva di calibrazione utilizzando i calibratori forniti dal kit, i campioni vengono diluiti automaticamente 1/100 dallo strumento: vengono miscelati 80 μl, 50 μl di diluente ed in seguito, 20 μl di reagente per catene kappa libere umane.
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Si verifica un’ immunoprecipitazione in fase liquida valutata quantitativamente dal nefelometro che fornisce direttamente un valore, interpretando sulla curva standard il grado di torbidità ottenuto dalla reazione. Il sistema rivela la dispersione della luce secondo Mie (dispersione a cono nella direzione del raggio luminoso) tenendo conto dello scattering nell’ intervallo da 13° a 24°. La dispersione secondo Mie si verifica quando la dimensione dell’ immunocomplesso (antigene più anticorpo) è maggiore della lunghezza d’ onda di lettura. Quando la dimensione dell’ immunocomplesso è minore della lunghezza d‘onda di lettura si verifica la dispersione secondo Rayleight, con sensibilità minore di lettura. Le reazioni soggette a tale problema vengono di norma potenziate mediante adsorbimento degli anticorpi su particelle di lattice che ne aumentano le dimensioni, al fine di ottenere il modello di Mie. In tal modo viene incrementata la sensibilità della nefelometria ( e della turbidimetria).
6 Caratteristiche paziente P.L. e gruppo di controllo
6.1 Caratteristiche del pz P.L.
Paziente P.L., di sesso maschile e anni 65, esami eseguiti in regime di preospedalizzazione (9/12/2012), in previsione di intervento chirurgico per nodulo tiroideo, mostravano anomalie del profilo emocoagulativo, in assenza di alcuna manifestazione clinica correlata.
Esami eseguiti un mese prima in data 02/11, mostravano già attività PT e aPTT non coagulabili; gli stessi accertamenti effettuati un anno prima (07/12/2011) risultavano nel range di normalità. Il pz veniva perciò inviato in altra sede per un’adeguata valutazione del quadro coagulativo. Gli esami svolti presso tale sede mostravano attività PT, aPTT, Fg coagulativo anomali o non valutabili, con TT ratio>5.0. LAC negativo, Fg immunologico=373 mg/dl. Venivano quindi eseguiti ulteriori dosaggi emocoagulativi risultati tutti nella norma (vedi TAB.6A )
TAB 6A: prospetto tests emocoagulativi eseguiti quale approfondimento per riscontro di alterazione
screening tests. FII 131% Vn 70-130% FV 103.9% Vn 65-130% FVII 120.2% Vn 65-140% FX 97.9% Vn 70-120% FVIII 102.2% Vn 60-150% FvW Ag 116% Vn 50-150% FvW cof.ristocetinico 85.9% Vn 50-150% FIX 99.0% Vn 60-130% FXI 93.6% Vn 65-120% FXII 101.6% Vn 70-130% Aggr.PLT ADP 2μM 100% Vn 52-100% Aggr.PLT ADP 10μM 100% Vn 64-100% Aggr.PLT Ac.arachidonico 1mM 100% Vn 70-100% Aggr.PLT collageno 2μg/mL 100% Vn 58-100% Aggr.PLT ristocetina 1.5mg/mL 100% Vn 79-100% Aggr.PLT epinefrina 5μM 100% Vn 64-100%
L’aggiunta in vitro di plasma PPN al plasma del pz portava a normalizzazione di PT e aPTT (PT e aPTT corretti), restando il Fgc (coagulativo) indosabile.
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In data 19/02/2013 veniva posta diagnosi di disfibrinogenemia acquisita, sostenuta da possibile inibizione del Fg da parte di un autoanticorpo. Veniva iniziato trattamento infusionale con IgG ad alte dosi. In mancanza di adeguata risposta veniva consigliata tp con Prednisone (Deltacortene) 1mg/Kg/die per 4 settimane, associato a gastroprotettore (lansoprazolo-Lansox 15 mg/die). Il paziente non ha mai effettuato quest’ultimo trattamento.
Il pz giungeva, nell’aprile c.a., presso la nostra UO. Esami eseguiti in data 06/04/2013 evidenziavano Fgc, TT, PT, aPTT incoagulabili .
In data 06/05/2013 veniva eseguita BOM: PCR per riarrangiamento IgH risultava positiva, plasmacellule 4-5%.
Si consigliava proseguimento tp con cortisonici secondo tale schema: Desametasone (Soldesam) gocce (flaconi da 20 mg) 1 flacone dopo colazione+1 flacone dopo pranzo dal 7/5 al 10/5 e dal 26/5 al 29/5 + omeprazolo 20 mg, 1 cp prima di colazione tutti i giorni.
Al successivo controllo, in data 04/06/2013, il pz presentava PT: 10.1 sec, aPTT 32.0 sec. Fgc 295 mg/dl, TT: 20 sec. In tale occasione venivano inoltre svolti ulteriori esami ai fini di un approfondimento diagnostico: l’immunofissazione su siero risultava negativa per componenti monoclonali ,sebbene dimostrasse una netta preponderanza delle catene κ sulle λ (il tracciato del 05/04 mostrava in realtà una banda nella colonna di migrazione delle catene κ) ; l’immunofissazione su plasma rivelava la presenza di una debole banda visibile tra le catene leggere di tipo k all’altezza della banda del Fg; il valore delle catene leggere libere κ era francamente patologico (349.0 mg/dL a fronte di vn 0.330-1.940) con rapporto κ/λ libere pari a 554.0 (vn 0.26-1.65); l’immunofissazione sulle urine del 05/04 risultava invece negativa per componenti monoclonali.
Il pz si sottoponeva in seguito a periodici controlli del profilo coagulatorio, presso la nostra sede: 13/06/2013: TT 18.00 sec (TT ratio 1.13), PT 10.7 sec, aPTT 34.3 sec.
19/06/2013: TT 18.8 sec (TT ratio 1.18), PT 11.1 sec, aPTT 32.5 sec, Fgc 174 mg/dL. 08/07/2013: TT 21.20 sec (TT ratio 1.33), PT 11.1 sec, aPTT 30.4 sec, Fgc 133 mg/dL.
In tale occasione veniva inoltre ripetuto il dosaggio delle catene leggere libere, riscontrando valori di κ libere inferiori rispetto a quelli risalenti al 04/06/2013 (203.0 mg/dL vs 349.0 mg/dL) con un rapporto κ/λ anch’esso più basso (382.0 vs 554.0).
06/08/3013: TT 21.2 sec, PT 11.3 sec, aPTT 33.1 sec. Fgc 144 mg/dl.
23/08/2013: TT inc, PT 11 sec, aPTT 32.6 sec, Fgc 116 mg/dl. TT corretto con mix di PPN:17.5 sec
10/09/2013: TT inc, PT 10,9 sec, aPTT 27,2 sec, Fgc 88 mg/dl.
In data 19/07/2013 veniva eseguita BOM: linee emopoietiche normorappresentate e normomaturanti; 4% di plasmacellule politipiche; colorazioni per emosiderina e amiloide negative; assenza di infiltrazione sostitutiva.
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6.2 Caratteristiche del gruppo di controllo
Le caratteristiche generali dei pz del gruppo di controllo sono riassunte nella TAB 6B
TAB 6B Caratteristiche pazienti di controllo con diagnosi di MM
P az ie n ti Se ss o e tà d ia gn o si Di ag n o si Sta d io D -S IS S
1 O.M F 81 Microm k III B 2
2 F.P M 62 IgG-k III A 1
3 C.C.J M 62 IgG-λ III A 2
4 P.I F 53 IgG k II A 3
5 B.A F 64 IgA-k III A 2
6 L.R F 83 IgA-k III A 3
7 D.S.A M 64 Microm - λ III A 1
8 G.A M 71 IgG-λ I A 2
9 B.E M 84 IgA-k III A 3
10 G.S F 75 IgG-λ III B 3
11 C.L. F 74 IgG-k III A 1
12 D.R. M 64 IgG-k II A 1
13 B.R M 74 IgG-k III B 3
14 B.P.G. M 62 IgG-λ II A 1
15 M.A F 59 IgG-k III A 1
16 O.C F 51 IgG-k II A 2
17 M.R. M 67 IgG-k III A 1
18 Z.I. F 72 Microm k III A 1
19 L.G. F 70 IgG-k III A 1
20 B.A. M 76 IgG-λ IA 1
Il gruppo di controllo consisteva in 20 paziente con diagnosi accertata di Mieloma Multiplo seguiti presso UO Ematologia –Pisa.
IgA k IgG λ IgG k micr λ micr k FIG 6.1 Rappresentazione grafica dei vari tipi di MM diagnosticati nei pz del gruppo di controllo.