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3. Il costruire dell'architetto

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Academic year: 2021

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PREMESSA

L'ipotesi che sta alla base di questa premessa è quella secondo la quale il funzionamento organizzativo delle società-altre1, ovvero quelle distanti dalle nostre nel tempo e nello spazio, in special modo quelle arcaiche, possa essere chiarito assimilando queste a un sistema di segni.

In tal senso ogni antica città avrebbe un linguaggio peculiare, un suo stile attraverso il quale esprimerebbe il proprio spazio urbano, che non sarebbe altro che la concretizzazione di un sistema di significati multipli espresso da una collettività il cui legame essenziale è costituito dal dialogo fra un sistema tribale che funge da collante e l'autorità.

Tuttavia, l'assunto cassireriano2 secondo il quale nel linguaggio è riflesso il sapere che si riferisce all'alterità e che costituisce il medium nel quale è fissata la fluttuante multiformità dei fenomeni in quanto la forma espressiva del movimento è nominata, costituisce una ragione sufficiente affinché questa discussione sia principiata da una breve analisi etimologica che rimonta alle radici indoeuropee delle parole costruzione e architetto.

Nel linguaggio infatti, benché i caratteri originari e immediati della realtà primitiva siano avvolti da un velo magico per il quale tutte le «cose»

sono legate da fili invisibili in un tutto indistinto, è possibile cogliere l'impronta peculiare dell'attività formatrice simbolica, dalla quale si distinguono alcune «forme fondamentali». Queste ultime saranno dunque l'oggetto sul quale verteranno i seguenti paragrafi, i quali mostreranno come il linguaggio e l'architettura portino a compimento quella particolare attività formatrice dello spirito.

1 Cfr. Prefazione a Françoise Choisy, La città. Utopie e realtà, Einaudi, Torino, 2000.

2 Cfr. Ernst Cassirer, La filosofia delle forme simboliche, vol. III.1, tr. Di E.Arnaud, La Nuova Italia, Firenze 1966, pp. 77-122. Cfr. su questo tema anche Idem, Linguaggio, in Filosofia delle forme simboliche, vol. II, cit. .

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1. Breve analisi etimologica della parola costruzione

La parola costruzione costituisce un territorio3 nel quale hanno domicilio un'ampia gamma di significati, per cui un'indagine etimologica4 può sia palesare la ricchezza di senso che questa parola possiede, sia essere utile per focalizzare il tema, ampiamente dibattuto e sotto diversi aspetti, di cui si discute in questa tesi.

Il sostantivo italiano trae origine dal verbo latino constrŭo che significa generalmente ammassare, sovrapporre, sistemare oggetti, cibi o persone, e costruire frasi o edifici.

Esso è composto dal prefisso con-, che discende dalla radice indoeuropea kom-5 e indica unione, confronto, compagnia, partecipazione, simultaneità, e dal verbo struŏ, discendente dalla radice indoeuropea sterə-6, che denota un ammucchiare e disporre oggetti, accumulare potere, edificare mura e case, comporre versi, disporre, ordinare, sistemare e preparare truppe, banchetti o doni, progettare, tramare e ordire piani, propositi, agguati, suscitare e procurare sentimenti, ma anche istruire.

Dal verbo latino deriva, fra altri, il sostantivo latino constructiōne che

3 Cfr. l'introduzione in Immanuel Kant, Critica del Giudizio, intr. di M.Marassi, Bompiani, Milano, 2004. Il territorio è quella parte di campo in cui i concetti sono conoscibili. Cfr. anche Martin Heidegger, In cammino verso il linguaggio, a cura di M.Caracciolo, Mursia, Milano, 1990, p. 143. "In questa contrada il pensiero si imbatte nella vicinanza con la poesia".

4 Cfr. Grande dizionario etimologico, a cura di T.De Mauro, M.Mancini, Garzanti linguistica, Milano, 2000; Dizionario Etimologico della Lingua Italiana, a cura di M. Cortelazzo, P. Zolli, Bologna, Zanichelli, 1999: Dizionario latino-italiano, a cura di F.Calonghi, 3 ed., Rosenberg

& Sellier, Torino, 1975. Da qui in avanti ogni riflessione etimologica e filologica è riferita a tali testi. Per quanto riguarda le radici indoeuropee riportate da qui in avanti, tutte provengono dalla riproduzione anastatica del testo The American Heritage Dictionary of Indo-European Roots, a cura di C.Watkins, Houghton Mifflin, Boston, 2000 e dalla rivisitazione del testo di J.Pokorny, Indogermanisches etymologisches Wörterbuch, Francke Werlag, Wien, 1959.

5 J.Pokorny, Indogermanisches etymologisches Wörterbuch, cit., pp. 612-613. Appartenente all'area semantica dell'esser presso, da, con, accanto. Attraverso l'osco-umbro kúm (con, insieme) derivano il prefisso latino co(m)- e la preposizione cum, da cui l'odierno "con" che mantiene lo stesso significato.

6 Op. Cit., pp. 1029-1031. Appartenente al campo semantico del disseminare, ma anche dello sparpagliarsi. Attraverso il lessema latino antico -struus, che indica il costruito, il formato, l'istituito, si formano diverse parole latine dalle quali deriva il tardo latino strata con il quale era indicata la via pavimentata e da qui l'odierno termine strada.

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ha significato di ammasso e struttura in relazione al corpo umano e alla sovrapposizione di pietre, disposizione e collocazione relativamente alle parole in una proposizione o a libri in una biblioteca.

Da constrŭo derivano anche la parola inglese e francese construction, lo spagnolo construcción e il tedesco konstruktion in cui permane la eco di senso della parola latina, sebbene la parola francese bâtiment, quella tedesca bau e quella inglese building traducano in modo più appropriato la parola costruzione intesa come opera architettonica7.

Dunque, pur sottolineando i significati peculiari che il termine costruzione assume interagendo in diversi contesti, ma cercando di evitare la banalizzazione in cui ogni generalizzazione rischia di inciampare, traspaiono somiglianze significative, per cui, sia essa grammaticale, architettonica, filosofica, matematica o artistica, il vocabolo costruzione indica un «fabbricare, mettendo insieme le varie parti opportunamente disposte» o un «ordinare secondo le dipendenze logiche o le concordanze grammaticali».

Frutto di un atto psicofisico mediante il quale l'uomo entra in relazione con il mondo circostante e lo dispone secondo criteri, la costruzione assume anche una valenza spirituale. Infatti egli, nel dare forma alle parti, crea un'opera, così ad esempio costruisce una musica disponendo le note, una casa di mattoni, una poesia, dotando in tal modo la materia di un certo quid.

Tuttavia questa breve disamina etimologica rischia di essere dispersiva, mentre è necessario focalizzare l'attenzione sulla costruzione in quanto opera d'architettura.

7 Cfr. Op. cit., pp. 146-150. Bau e building discendono dalla medesima radice indoeuropea bhu, appartenente al campo semantico del crescere e dell'essere possente, e sono oggetto di un noto saggio di Martin Heidegger. Su quest'ultimo tema Cfr. Costruire, abitare pensare in Martin Heidegger, Saggi e discorsi, a cura di G.Vattimo, Mursia, Milano, 1991, pp. 96-108. La riflessione, non solo etimologica, sul tema del costruire in relazione ai concetti di pensare e abitare è connessa, fra l'altro, al campo semantico dell'essere e dell'esistere espresso dal to be, legato anch'esso alla radice indoeuropea bhu-.

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2. Breve analisi etimologica della parola architetto

La parola architetto, così come il tedesco Architekt, il francese architecte, l'inglese architect e lo spagnolo arquitecto derivano dal latino architĕctvm, e quest'ultimo dal greco ἀρχιτέκτων che indica il direttore dei lavori, il capo costruttore, la guida delle maestranze, il creatore del progetto.

Essa è composta dalla radice ἀρχι-, discendente dall'incerta radice indoeuropea ark-8, che indica comando, guida, primato, capacità di direzione entro gradi gerarchici, padronanza, conoscenza profonda e maestria nell'esecuzione, ma anche ciò che è antico e primigenio in relazione al tempo o il grado e l'intensità di una forza; e dal suffisso τέκτων, discendente dalla radice indoeuropea tekkþ-9, che indicava un costruttore generico, artigiano, artefice, falegname, creatore, pianificatore, autore, maestro e «padrone di un'arte».

Seguendo questo gioco sulle etimologie10, l'architettura è dunque una τέχνη, un mestiere o una professione, esercitata con destrezza, abilità e perizia, un'arte del costruire che da vita, genera e produce con sapienza.

Perciò, essendo quest'arte sempre in relazione con l'ἀρχή, la forza primigenia che permea il mondo, principio e origine, la figura dell'architetto assumeva un «potere mitologico»11 poiché egli, padroneggiando la tecnica, poteva controllare ciò che è essenza senza tempo sebbene dovesse, nella contingenza del suo operare, rispondere innanzitutto a tale primum.

Il costruire dell'architetto non si riferiva dunque a qualsiasi costruzione,

8 C.Watkins, The American Heritage Dictionary of Indo-European Roots, cit., p. 5. Appartenente al campo semantico relativo al principio e all'autorità, la radice ark- deriva probabilmente dalla radice archein , appartenente al campo semantico del custodire, a cui sono associate diverse parole greche la cui origine è oscura.

9 J.Pokorny, Indogermanisches etymologisches Wörterbuch, cit., p. 1058-1059. Quesat radice, appartenente al campo semantico del piegare e dell'intrecciare, nella lingua italiana da questa radice si sono evolute attraverso il latino diverse parole che rientrano nella stessa cerchia familiare quali architetto e tela.

10 Cfr. R.Masiero, Estetica dell’architettura, Il mulino, Bologna, 1999, pp. 13-25.

11 Op cit., p. 14.

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ma era vincolato all'eccellenza, poiché egli, tracciando il piano si faceva non solo interprete dell'ἀρχή, ma anche custode.

Tuttavia è doveroso sottolineare come con il termine ἀρχιτέκτων i greci intendessero il costruttore in un'accezione generale, intendendo dunque l'ingegnere, l'artigiano ma anche il filosofo, il retore e il politico.

Oggigiorno invece il vocabolo architettura è definito nei comuni dizionari in termini logici, linguistici, geometrici e matematici, ovvero è inerente alle modalità con le quali i singoli elementi interagiscono entro una totalità secondo un ordine che rispetti subordinazioni e reggenze.

Fino a qui le parole hanno mostrato la magia sorgiva in esse sedimentata e che fluisce ai giorni nostri offrendo non solo la generosità di senso in esse racchiusa, ma anche le sfumature e le tonalità caratteristiche che traspaiono abbondantemente nei significati figurati, non meno importanti, che la parola assume nella lingua italiana. Basti pensare al costruire un'amicizia, il futuro, la propria fortuna, castelli per aria o quando si parla di «architettura del corpo umano» o «architettura informatica».

Tuttavia, occorre a questo punto eseguire una potatura di senso e non soccombere alla fascinazione prodotta da questa breve analisi etimologica.

La questione delle origini e l'etimo delle parole sono infatti indicativi, ma non esaustivi, di alcuni leitmotiv che saranno di seguito discussi.

3. Il costruire dell'architetto

Nella analisi etimologica delle parole costruzione e architetto sono emersi alcuni importati concetti che verranno tematizzati singolarmente:

a) la forte valenza comunitaria di ogni costruzione nel senso specifico di mettere in comune, suscitare un sentimento o essere istruttiva. Infatti la radice con- esprime una richiesta al verbo struŏ: che questo mettere insieme

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non si arresti ad una condizione di singolarità e solitudine, ma che tenda alla prossimità con l'altro;

b) uno stretto rapporto fra l'autorità e l'architetto data dal valore assunto dall'opera di interpretazione, traduzione e concretizzazione per la comunità.

La radice ἀρχι- esprime una richiesta a chi padroneggia una τέχνη: il dialogo con principi sempiterni superiori alla propria stessa maestria;

c) l'elemento dell'intreccio che il campo semantico della radice indoeuropea tekkþ- ha esplicitato. Questo rimanda non solo al costruire mediante capanne e giunchi che caratterizza gli insediamenti semi-stabili e primitivi12, ma anche all'intersecarsi delle vicende che costituisce la vita, la trama di un romanzo, i fotogrammi di un film o un'opera d'arte in genere.

Per quanto emerge dall'etimo delle parole appena esaminate il costruire dell'architetto appare come una concretizzazione fortemente vincolata sia all'aspetto pratico esecutivo, ovvero il rispetto delle esigenze della committenza e la sua valenza comunitaria, che a quello teorico progettuale, relativo al possesso di competenze specifiche e delle loro modalità d'applicazione. Non secondario è il tema della sensibilità, il quale, legato intimamente alla concretizzazione dei primi due, è riconducibile a principi che trascendono entrambi13.

Dunque nella figura dell'architetto conoscenza e sensibilità si coniugano in modo peculiare dato che i riverberi della sua attività, legati alla interpretazione di un'idea e alla sua traduzione concreta, sono fondanti non solo materialmente, in relazione alla costruzione specifica e al contesto nel quale essa è inserita, ma anche esistenzialmente14, poiché, trasformando lo

12 Cfr. J.Pokorny, Indogermanisches etymologisches Wörterbuch, cit., p. 1058-1059. Dalla radice indoeuropea tekkþ-, attraverso il greco, derivano diverse parole latine come textus, texere o tela.

Solo quest'ultima permane in italiano, così come accade nello spagnolo e nel francese, mentre nella lingua inglese permangono numerose parole latine.

13 Questo aspetti verranno discussi brevemente più avanti nella parte II al paragrafo 3.

14 In questa sede l'architettura e l'architetto sono considerati come "creatori di valori umani" come sostenuto dalle riflessioni dell'architetto svedese Christian Norberg-Schulz. Cfr C. Norberg- Schulz, Genius Loci. Paesaggio, ambiente, architettura, X edizione, Mondadori Electa, Milano, 2011, p. 5. "il compito dell'architetto è quello di creare luoghi significativi per aiutare

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spazio generico in luogo vivibile, la costruzione architettonica si presenta altresì come prodotto produttore delle condizioni dell'abitare dell'uomo.

Sebbene sia improbo tenere distinti le tre tematiche emerse dalla riflessione sulle parole architetto e costruzione, queste saranno discusse singolarmente nei successivi paragrafi.

4. Discussione dei leitmotiv emersi

Le tematiche emerse nel paragrafo precedente verranno ora inserite in quella «lettura filologica della città», la quale nel sollecitare una tensione continua al riconoscimento dell'«anima della città» permetterebbe di intendere quest'ultima come un'opera d'arte e di accogliere la critica artistica come telaio teorico attraverso il quale guardare ad essa15.

Tuttavia, essendo il suo scopo quello di aiutare l'uomo ad abitare, la architettura si presenta come un'arte difficile, perciò, non essendo sufficiente costruire città ed edifici, il suo momento basilare è quello di comprendere la «vocazione» del luogo e creare una totalità comprensiva alla quale l'uomo sente di appartenere16. In relazione a ciò che è emerso nei paragrafi precedenti, è dunque necessario uno «scambio di sguardi» su queste forme fondamentali, ma parziali, appartenenti ad uno spazio e ad un tempo profondi e appartenenti dunque ad una storia comune.

4.1 Il valore comunitario del costruire architettonico

Alcune fra le costruzioni fondamentali e fondanti dell'uomo sono senza dubbio i legami affettivi, i quali, nella precedente indagine etimologica sono stati presentati come accezione figurata del vocabolo costruzione.

l'uomo ad abitare".

15 Cfr. Marco Romano, La città come opera d'arte, Torino, Einaudi, 2008, pp. 67-86.

16 Cfr. C.Norberg-Schulz, Genius Loci. Paesaggio, Ambiente, Architettura, cit., p. 23.

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Questo tema verrà ora discusso prendendo avvio dalla posizione assunta dalle scienze della psiche che tradizionalmente individuano nei legami affettivi e nell'infanzia i loro referenti privilegiati. Questa scelta è dettata anche dai significati che il vocabolo infanzia assume, esso infatti definisce comunemente i primi anni di vita dell'uomo, ma nel suo significato figurato indica anche i primi tempi in cui si sviluppa una civiltà.

Tale relazione è stata oggettivata per la prima volta in modo sistematico alla fine del secolo XIX nell'opera di Sigmund Freud intitolata Totem e Tabù, nella quale egli si «avventura»17 in una ricerca sulla psicologia collettiva delle civiltà primitive18.

Il tema centrale di questo testo è il totem19, inteso come figura simbolica e spirito tutelare al quale un determinato clan è legato che ne costituisce il collante. Ogni totem prescrive una serie di vincoli magico-religiosi, ovvero tabù20, che secondo l'autore determinano una serie di emozioni ambivalenti21, tanto che egli parla di «concordanze nella vita psichica dei selvaggi e dei nevrotici»22.

Sebbene siano stati ridimensionati sia l'aspetto patologico degli stimoli primitivi, intesi altresì come eco di una «orda primordiale»23, sia lo stesso

17 Cfr. la prefazione a Sigmund Freud, Totem e tabú e altri scritti 1912-1914 in Opere, vol. VII., a cura di C.L.Musatti, Bollati Boringhieri, Torino, 2000. In questo saggio lo psicologo viennese cita e discute in particolare gli studi di Wilhelm Wundt, James Frazer e Edward B.Tylor.

18 Cfr. op. cit., p. 10. "residui del suo modo di pensare che ancor oggi possiamo rintracciare nei nostri costumi e nei nostri usi. [..] esistono ancor oggi uomini che noi consideriamo molto vicini all'uomo primitivo [..] nei quali scorgiamo perciò i discendenti diretti e i rappresentanti dei primi uomini".

19 Cfr. op. cit., p. 11.

20 Cfr. op. cit. pp. 44-71. Freud tratta specificamente i principali tabù inerenti al trattamento dei nemici, quello dei sovrani e quello relativo ai morti.

21 Ibidem. Cfr. Nota precedente: l'uccisone di un nemico necessita un riconciliamento con lo spirito della persona uccisa; il sovrano di un clan ha tanta libertà quanti sono i vincoli a cui sottostanno i suoi membri, viceversa il clan gode del favore degli dei in modo commisurato ai vincoli a cui sottostà il capo; l'attenzione con la quale ci si occupa dei defunti mediante un cerimoniale è legato al desiderio di scacciarli.

22 Cfr., op. cit. Così Freud sottotitolava la raccolta di saggi pubblicata in seguito con il titolo Totem e Tabù. Cfr. anche Idem, Il disagio della civiltà e altri saggi, Boringhieri, Torino, 2001, nel quale la caratterizzazione nevrotica delle pulsioni primordiali riecheggia in particolare in relazione al tema della guerra.

23 Cfr. S. Freud, Il disagio della civiltà, cit., pp. 120-126.

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concetto di «primitivo»24, è necessario sottolineare come tale apporto sia necessario al fine di cogliere alcuni temi che verranno più avanti discussi.

Ciò su cui è necessario focalizzare l'attenzione ai fini di questo tema è l'organizzazione simbolica25 della comunità primitive nelle quali il significato del totem26 affonda le proprie radici. Quest'ultimo infatti, sia esso un animale o un oggetto, costituisce una concretizzazione di un più ampio sistema di relazioni simboliche all'interno delle quali, essendo esso un'opera costruita dalla comunità e a sua volta costruttrice dei valori in quanto racconta ad essa una storia, collabora insieme alla comunità al fine di custodire e garantire il perpetuarsi della vita.

Questi temi sono stati ripresi dallo psicologo britannico Jhon Bowlby, il quale, concentrandosi sull'individuo e accentuando il carattere biologico ed etologico della ricerca freudiana, offre in questa sede la possibilità di cogliere alcuni aspetti centrali relativi alla organizzazione dei rapporti fra individui. In relazione a questi sarà possibile infine comprendere quella organizzazione simbolica della comunità, in riferimento alla quale il totem assume i suoi significati più intimi.

Bowlby parla di una continua influenza di stimoli primitivi27 che agiscono sull'individuo e in tal senso utilizza il termine «ambivalenza». A quest'ultima sono infatti radicati tali impulsi si palesa in modo dirompente in quelle condizioni dette patologiche28, che costituiscono l'esito di

24 Cfr. Claude Lévi-Strauss, Il pensiero selvaggio, EST, Milano, 1996: l'autore oppone agli esempi freudiani inerenti i totem, quello sugli orisha del popolo Yoruba, e mostra come le prescrizioni - diciamo totemiche - presenti nelle civiltà animiste siano in realtà parte di una costruzione logica più ampia, basata su regole complesse di simbolizzazione.

25 Il senso che qui assume la parola simbolo è mutuato dall'uso che ne fa Cassirer. Cfr. Ernst Cassirer , La filosofia delle forme simboliche, cit., p. 59: Il concetto di simbolo va considerato come elemento costitutivo per la scienza esatta: alla base di ogni conoscenza concettuale vi è necessariamente la conoscenza intuitiva e alla base di quest'ultima vi è quella percettiva.

26 La parola totem deriva dalla lingua degli indigeni americani ototeman, indicante la relazione di parentela tra fratello e sorella e attraverso la mediazione della lingua inglese giunge a noi.

27 Cfr. Jhon Bowlby, Costruzione e rottura dei legami affettivi, Cortina, Milano, 1982, pp. 6-7; p.

19; pp. 44-45.

28 Op. cit., p. 48. Tendenze antisociali, stati d'angoscia e depressione dovuti spesso a risposte negative relativamente a esperienze di separazione vissute nell'infanzia.

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«sentimenti ingigantiti» dovuti a separazioni, perdite e più in generale lutti per la rottura di un legame affettivo. Tuttavia gli stimoli primitivi e la contraddittorietà che li costituisce sono condizione «normale» di una buona salute psicofisica che caratterizza la vita quotidiana di ogni individuo29.

Utilizzando le nozioni di social suppressor e social releaser30, Bowlby ha parlato di «modelli operativi del mondo e del sé costruiti dall'individuo sulla base delle esperienze»31 ed evolutesi dal primigenio rapporto del bimbo con la madre o con una figura di attaccamento32. In tal modo egli ha individuato i «principali contributi ambientali»33 sullo sviluppo psicologico dell'individuo nella famiglia e nella società.

Attraverso queste tematiche34 Bowlby ha dunque concettualizzato una tendenza dell'essere umano a costruire solidi legami affettivi (affectional bonds) evidenziando come questi abbiano una forte influenza sul «modello rappresentativo di sé»35 che un individuo può crearsi. Essi infatti favoriscono lo sviluppo di una personalità equilibrata, fiduciosa di sé e degli altri, che consente di esplorare il mondo con sicurezza e rende capaci

29 Op. cit., pp. 7-8. "Ogni giorno scopriamo che se scegliamo una certa linea di condotta, dobbiamo rinunziare ad altre altrettanto desiderate. [..] compito di decidere tra gli opposti interessi che dimorano in noi [..] inconciliabili."

30 Cfr. op. cit., pp- 33-37. Entrambi i termini sono mutuati da un approccio etologico allo sviluppo infantile.

31 Op. cit., p. 121.

32 Cfr. op. cit., pp. 91-92. Tale rapporto, particolarmente intenso nell'infanzia e rivolto verso i genitori, è presente in età adulta verso una figura attiva e dominante, sia esso un parente, un datore lavoro, una figura importante per la comunità. Esso è suscitato in particolar modo ogniqualvolta una persona è malata, in difficoltà o spaventata.

33 Op. cit., pp. 133-134.

34 Cfr. op. cit., pp. 137-139 La teoria dell'attaccamento può esser riassunta nei suoi punti salienti:

a) Specificità. Verso individui preferiti; b) Durata. I primi attaccamenti tendono in genere a persistere, possono attenuarsi nell'adolescenza ed esser sostituiti o completati da altri; c) Ruolo delle emozioni. L'attaccamento è legato a formazione, mantenimento, distruzione e rinnovo delle relazioni; d) Ontogenesi. L'attaccamento si sviluppa nei primi mesi di vita verso una figura preferita che si prende cura; e) Apprendimento. L'attaccamento si sviluppa malgrado ripetute punizioni da parte della figura; f) Organizzazione. L'attaccamento è mediato da reazioni organizzate comprendenti modelli dell'ambiente e del sè, attivati o inibiti da certe condizioni; g) Funzione biologica. Il mantenimento della vicinanza verso un figura preferita ha valore di sopravvivenza ed è sorto probabilmente per la protezione da predatori.

35 Op. cit., p. 144.

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di costruirsi un quadro coerente delle caratteristiche dell'ambiente36.

Queste riflessioni permettono di cogliere indicativamente, nella pluralità irriducibile dei significati che assumono in specifici contesti, ciò di cui il totem è la concretizzazione simbolica. Esso infatti permette infatti all'uomo di leggere su di esso una storia che celebra o commemora fatti e persone, evoca spiriti o esprime uno status, cooperando in questo modo nell'orientamento del singolo e della comunità e coadiuvando l'opera di identificazione. Si palesa così la sua funzione architettonica in senso ampio.

Il rapporto che intercorre fra la costruzione di un legame affettivo e il costruire dell'architettura è uno dei leitmotiv principali dell'approccio agli studi teorici e ai progetti urbanistici della città. Lo «sviluppo armonioso»37 dell'individuo è tuttavia divenuto talvolta il tema esclusivo e il fine stesso del fare architettura in relazione, ma ciò che qui è stato messo in evidenza e sviluppato in relazione al senso emerso dall'etimo della parola costruzione, è la necessità che mediante quest'ultima l'architettura debba «aiutare l'uomo ad abitare»38, condividendo i significati della vita quotidiana. In tal senso il costruire assume un valore comunicativo e comunitario.

4.2 Il dialogo architettonico con l'ἀρχή

Al fine di cogliere alcuni aspetti emersi dall'etimo della parola architetto verrà assunto il romanzo Notre-Dame de Paris, nel quale Victor Hugo

36 Cfr. op. cit., pp. 140-149.

37 Cfr. Franҫoise Choay, La città. Utopie e realtà, cit.. Nella prefazione l'autrice ha analizzato questo aspetto nel paragrafo dedicato al tema dell'igiene mentale, che ha avuto origine proprio nelle ricerche sulla psicologia sociale influenzate dalle ricerche di Bowlby e Freud.

Sviluppatosi in special modo in America, psicologi e sociologi hanno aspramente criticato l'ambiente costruito delle città, sostenendo in particolar modo la sua influenza negativa sulla strutturazione psichica dell'individuo, ed individuando la soluzione nella costruzione di una struttura civica che, favorendo la prossimità fra individui e il conseguente sviluppo di valori sociali, garantisse la sanità psichica dell'individuo.

38 C. Norberg-Schulz, Genius Loci. Paesaggio, Ambiente, Architettura, cit., p. 5. Cfr. anche op.

cit., p. 170. Con il costruire, l'uomo trasmette ai significati una presenza concreta [..] per visualizzare e simbolizzare la propria forma di vita come totalità; così il mondo quotidiano diventa quella dimora significativa in cui può abitare.

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dedicò il capitolo intitolato Ceci tuera cela39 ad una riflessione architettonica, intesa nella sua più ampia accezione, che ha ancora oggi un notevole influsso, fra assensi e dissensi, non solo nel lettore comune, ma anche presso i cultori dell'architettura40.

Sebbene sia necessario contestualizzare41 il capitolo entro il romanzo e quest'ultimo nella produzione hugoniana al fine di preservarne il senso, ciò esulerebbe dai fini di questa tesi, che intende invece riflettere su alcuni elementi fondamentali, senza per questo tradirne il pensiero dell'autore.

La riflessione di Hugo prende avvio dalle «parole enigmatiche» che egli fa pronunciare all'arcidiacono Claude Frollo: «Ceci tuera cela. Le livre tuera l'édifice42» e a seguito delle quali Hugo scrive:

“À notre sens, cette pensée avait deux faces. C'était d'abord une pensée de prêtre. [..]

C'était le cri du prophète qui entend déjà bruire et fourmiller l'humanité émancipée, [..]

Cela signifiait qu'une puissance allait succéder à une autre puissance. [..] Mais sous cette pensée, [..] il y en avait à notre avis une autre, [..] tout aussi philosophique, non plus du prêtre seulement, mais du savant et de l'artiste. [..] Sous ce rapport, la vague formule de l'archidiacre avait un second sens; elle signifiait qu'un art allait détrôner un autre art”43.

39 Cfr. Victor Hugo, Notre-Dame de Paris. 1482, ediz. 1832, a cura di M.F.Guyard, Garnier, Paris 1961. Cfr. pp. 209-224 e la prefazione. Il capitolo è stato inserito per la prima volta nella XII edizione del romanzo assieme ad altri due capitoli inediti.

40 Fra le figure di spicco dell'architettura moderna Frank Lloyd Wright fu un assiduo lettore di quest'opera che assunse come referente esemplare del proprio pensiero. Cfr. il saggio di Bruno Zevi in F.L.Wright, La città vivente, pref. di J-L.Cohen, Edizioni di comunità, Torino, 2000.

41 Cfr. Ibidem e introduzione dell'autore. Nell'introduzione l'autore scrive di essersi ispirato da una fittizia scritta in greco, Ananke , incisa su una delle torri della cattedrale, soluzione utilizzata in altri romanzi. Nel capitolo in questione il tema centrale è la diffusione in Europa della stampa a caratteri mobili avvenuta nel XV secolo. Da qui l'autore considera l'evoluzione storica del complesso rapporto fra arte, autorità, religione, linguaggio ed espressione dall'antico Egitto fino al secolo XIX. In tal modo, soffermandosi sul rapporto che si viene ad instaurare fra un arte nuova e una antica, - e i rispettivi mezzi - la stampa e il torchio di Gutenber da un lato, l'architettura e la pietra dall'altro, l'autore presenta una dottrina del progresso e della storia.

42 Op. cit., p. 209. “Questo ucciderà quello. Il libro ucciderà l'edificio”.

43 Ibidem. “A nostro avviso, quel pensiero aveva due facce. Era innanzitutto un pensiero da prete.

[..] Era il grido del profeta che sente già rumoreggiare e pullulare l'umanità emancipata, [..] Ciò significava che una potenza stava per avvicendarsi ad un'altra potenza. [..] Ma sotto questo pensiero, [..] ce n'era a nostro avviso un altro, [..] un punto di vista altrettanto filosofico, e non più soltanto del prete, ma del dotto e dell'artista. [..] Da questo punto di vista, la vaga formula dello arcidiacono aveva un secondo senso; significava che un'arte stava per detronizzare un'altra arte. Voleva dire: «La stampa ucciderà l'architettura»”.

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Oggetto della citazione è qui il complesso rapporto fra stampa e architettura all'indomani della diffusione nell'Europa del XV secolo della stampa a caratteri mobili. Concentrando la sua riflessione sulla compenetrazione fra questi due linguaggi tecnico-artistici e sul loro rispettivo impatto su più aspetti della vita quotidiana, in special modo su quello socio-politico, Hugo parla rispettivamente di seconda torre di Babele del genere umano44 e di Bibbia di pietra45.

Il XV secolo segna dunque un punto di svolta, ricorrente nella storia, nel quale «l'autorità ricevette una scossa, l'unità si biforcò»46. In questo inciso è racchiuso ciò che è stato in precedenza definito principio sempiterno e che Hugo definisce «loi de la liberté succédant à l'unité»47: il progressivo indebolimento dei caratteri immutabili della tradizione è seguito da una proporzionale ascesa di caratteri popolari. Tali variazioni dell'«état de le esprit humain»48 sono per l'appunto riprodotte nell'architettura49.

In questa biforcazione, la massa appare a Hugo compressa, in entrambe i casi, sotto la pressione dell'autorità come una testudo50 che, nonostante tutto, trovò sfogo intagliando il proprio pensiero nelle opere architettoniche51, imprimendosi attraverso la stampa52 o esplodendo in

44 Op. cit., p. 224.

45 Op. cit., p. 223.

46 Ibidem. Il riferimento è alla teocrazia da un lato e la feudalità dall'altro.

47 Op. cit., p. 212. "legge della libertà che succede alla unità". Questo ripresentarsi sistematico di una legge in varie epoche storiche è per l'appunto scritto nell'architettura.

48 Ibidem. "Stato dello spirito umano".

49 Cfr. op. cit., p. 216-217. L'autore fornisce questo esempio: il sacro dogma, espressione di una casta teocratica, si concretizzava in un'architettura tradizionale caratterizzata da unità e immutabilità, mentre la bellezza libera, espressione della democrazia, si concretizzava in un'architettura progressista e popolare caratterizzata dalla varietà e dall'opulenza.

50 Cfr. op. cit., p. 215.

51 [NdA] In tal senso si inquadra la fittizia scritta Ananke, con la quale si apre il romanzo, e che richiama per altro allo stato di abbandono in cui versava la cattedrale all'epoca di Hugo. Inoltre è possibile inquadrare in tal senso la funzione svolta dall'ornamento nella costruzione architettonica medioevale, che l'autore pone in relazione al fenomeno dell'Inquisizione, e nella ristrutturazione di Notre-Dame de Paris, iniziata pochi anni dopo la pubblicazione del romanzo omonimo e affidata all'architetto Eugène Viollet-le-Duc.

52 Cfr. op. cit., p. 224. La stampa è presentata come un edificio colossale alla cui base stanno da un lato Omero e dall'altro la bibbia. Su di essi si posano i grandi classici. Con la fine delle persecuzioni dell'inquisizione e l'invenzione della stampa a caratteri mobili, ogni spirito è

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sommosse politiche violente53.

Al legame fra autorità e massa dedica intense riflessioni anche Freud, le quali si dipanano però intorno al nucleo tematico del legame libidico.

Nel saggio Psicologia delle masse e analisi dell'Io54, focalizzando la sua attenzione sui primordi della civiltà, Sigmund Freud riteneva che la struttura sociale fosse costruita sull'autorità di un capo supremo attorno al quale ruotava la massa. In seguito all'uccisione violenta di questo padre primigenio55, per mano della stessa orda primordiale di cui era a capo, si giunse alla «trasformazione dell'orda paterna in comunità di fratelli»56.

In tal modo, i due principi57 ambivalenti di questo legame sono diventati i progenitori della civiltà umana. Da questo dramma edipico sul quale si radica la civiltà «ora un numero anche abbastanza grande di uomini poté restare unito in comunità»58.

Sebbene anche Freud estese la sua riflessione all'ambito architettonico, come accade in Il disagio della civiltà, diversamente da Hugo, egli riteneva, relativamente all'analogia fra il passato della città e la psiche umana, che la prima non sia che una rappresentazione pittorica della realtà, dunque non proficua al fine di conoscere a fondo le caratteristiche della vita psichica59.

divenuto muratore, la collettività ha acquisito la possibilità di collaborare alla costruzione di questo edificio di cui l'enciclopedia è un esempio.

53 Op. cit., p. 213. Hugo cita in modo specifico le rivolte popolari come le Jacqueries e le e Pragueries e l'associazionismo popolare di cui sono esempio le legues.

54 Cfr. S.Freud, Il disagio della civiltà e altri saggi, cit., pp. 65-126.

55 Op. cit., pp. 123-126. "Il capo della massa è sempre ancora il temuto padre". Egli è una guida dotata di una sorta di magnetismo animale, ma essendo dotato di tale forza, rappresentava altresì un pericolo. In questo modo Freud individua nel dramma edipico la base della civiltà.

56 Op. cit., pp. 120-121. "La massa ci appare quindi come una reincarnazione dell'orda originaria.

Come in ogni singolo è virtualmente contenuto l'uomo primigenio".

57 Cfr. op. cit., p. 237. Freud concettualizza questi principi attraverso le figure mitologiche di Eros e Ananké, relative al principio di piacere egoico il primo e al dovere morale imposto e istigato dalla società il secondo.

58 Ibidem.

59 Cfr. Idem, Il disagio della civiltà, cit., pp. 207-211. Dopo aver discusso il fenomeno della sopravvivenza di elementi originari appartenenti al mondo animale nell'uomo, Freud estende la metafora all'architettura. Egli, assumendo per assurdo la città di Roma con i suoi resti archeologici come un'entità psichica, mostra come l'osservatore che si trovi di fronte una chiesa edificata sopra un vecchio tempio debba assumere un punto di vista specifico: in termini spaziali lo stesso terreno sostiene entrambi, ma non può accogliere differenti contenuti. Dunque

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Ai fini di questa tesi, la comparazione fra i due autori ha il solo scopo di essere esemplificativa del rapporto fra il costruire dell'architettura e l'ἀρχή.

In conclusione, le permanenze temporali di questi principi primigeni e la connotazione politica che qui hanno assunto sono indicativi di quel legame essenziale fra la comunità e l'autorità che è legittimato dal dialogo.

Proprio quest'ultimo costituisce il tema della comparazione fra le riflessioni dei due autori sull'architettura intesa sia nel senso pregnante del termine che in quello figurato, nello Hugo costruttore di romanzi e uomo politico e nel Freud psicanalista e letterato che osservano la loro epoca.

4.3 Il tema dell'intreccio

Al fine di cogliere il tema dell'intreccio emerso nella riflessione sulla parola architettura, verrà assunta una delle fonti tradizionali dell'architettura occidentale, ovvero il De Architectura di Marco Vitruvio Pollione.

Nel descrivere l'architetto come detentore di una «scientia pluribus disciplinis et variis eruditionibus ornata, cuius iudicio probantur omniaquae ab ceteris artibus perficiuntur opera»60, l'architettura è designata come direttrice di tutti gli altri saperi o arti, ma avrebbe dovuto essere guidata dalla filosofia61. Tuttavia, considerando i primordi di questa

la permanenza del passato della città - delle sue rovine, talvolta sottoposte a distruzioni e restauri come le costruzioni più moderne, così come la sofferenza causata da invasioni nemiche - è legata alla buona conservazione del tessuto su cui si radica; mentre solo nella mente la conservazione di tutte le fasi precedenti affianca la forma definitiva.

60 Vitruvio, De Architectura, vol. I, a cura di P. Gros, tr. it. di A. Corso e E. Romano, Einaudi, Torino, 1997, pp. 12-13. "Il sapere dell'architetto è ricco degli apporti di numerosi ambiti disciplinari e di conoscenze relative a vari campi, e al suo giudizio vengono sottoposti i risultati prodotti dalle altre tecniche".

61 Cfr. op. cit., pp. 16-17 e n. 64. Vitruvio raccomanda lo studio della filosofia etica, fondatrice di valori, e di quella naturale, la fisiologia. Cfr anche op. cit., pp. 234-237 e n.13 laddove è scritto

"se dunque i sentimenti, i pareri, e le scienze accresciute dall'erudizione, fossero, com'è piaciuto a Socrate, chiare e trasparenti [..] spontaneamente s'appoggerebbero a coloro i quali fossero arrivati con la pratica nelle vere e fondate dottrine di maggior al maggio grado di sapere. [..] e ben m'accorgo che prevalgono col favore più gli ignoranti che i dotti". Cfr. anche op. cit., pp. 124-127 e n.37, laddove Vitruvio espone brevemente i "principi di tutte le cose"

secondo i filosofi antichi greci ai quali si richiamerà nelle pagine successive per dare fondamento scientifico alla sua esposizione sulle proprietà dei materiali costruttivi e naturali.

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arte eccellente, Vitruvio ne mostra le umili origini.

Infatti, dopo una breve ricostruzione storica dell'incivilimento umano62, egli individua, nella caverna, nella capanna e nella muraglia le prime costruzioni architettoniche, mentre il fango, i giunchi intrecciati e più tardi la pietra costituiscono i primi elementi costruttivi. Questa tesi risale alla tradizione letteraria ellenica, ma è testimoniata anche dagli usi dei popoli barbari63 e da monumenti antichi, come la capanna di Romolo sul Palatino64. E' possibile cogliere il tema dell'intreccio, anche attraverso un punto di vista filologico. Infatti, nel descrivere la costruzione di una cinta muraria presso i popoli barbari, Vitruvio scrisse che «primumque furcis erectis et virgultis interpositis luto parietes texerunt»65 e poco avanti, in relazione alla costruzione di un impianto sacro nella città di Rodi, si esprime in modo simile, «circa eum locum aedificium struxerunt et id erecta Graia statione texerunt ne qui posset aspicere»66 e ancora, nello spiegare la tecnica costruttiva dei soffitti a volta, egli scrive che «cameris dispositis et intextis»67.

Gli esempi qui riportati palesano come il verbo latino texo sia stato qui tradotto come sinonimo di costruire o fabbricare intrecciando, non solo relativamente alle modalità costruttive primitive, ma anche a quelle più moderne nelle quali permane la eco di senso delle prime.

Al fine di completare la discussione sugli aspetti emersi dall'indagine

62 Cfr. op. cit., pp. 118-121. In seguito alle prime scoperte tecniche, come il fuoco che prima temettero e attorno al quale si radunarono poi in assemblea, grazie allo studio delle stelle, alla costruzione di un linguaggio, grazie all'imitazione della natura e degli altri, gli uomini si fecero i primi nidi e ripari, scavarono la roccia e costruirono tetti, e la civiltà progredì.

63 Cfr. op. cit., pp. 173-174, n.23. Tale visione antropologica è coadiuvata dai viaggi compiuti dall'autore stesso presso le popolazione barbare dell'Impero.

64 Cfr. op. cit., pp. 177-178, n.31.

65 Op. cit., pp. 120-121. "E dapprima eretti dei pali a forca e interposti dei rami allestirono muri col fango".

66 Op. cit., pp. 148-149. "intorno a tale luogo costruirono un edificio e lo eressero costituendovi un posto di guardia". Il verbo texerunt è qui interpretato dal traduttore della testo vitruviano esclusivamente in riferimento a questo primitivo costruire. Nel resto dell'opera texerunt è una coniugazione del verbo tego e significa dunque coprire e nascondere.

67 Op. cit., pp. 1034-1035. "Dopo che le volte saranno state sistemate e intrecciate di canne".

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etimologica relativi al tema dell'intreccio, con riferimento costante alle prime modalità costruttive della civiltà e focalizzando queste ultime nel loro rapporto con il linguaggio, verrà assunto nuovamente il capitolo di Hugo intitolato Ceci Tuera Cela, in cui egli scrisse:

“L'architecture commença comme toute écriture. Elle fut d'abord alphabet. On plantait une pierre debout, et c'était une lettre, et chaque lettre était un hiéroglyphe, et sur chaque hiéroglyphe reposait un groupe d'idées [..] Plus tard on fit des mots. On superposa la pierre à la pierre, on accoupla ces syllabes de granit [..] Le dolmen et le cromlech celtes, le tumulus étrusque, le galgal hébreu, sont des mots [..] des noms propres. Quelquefois même, quand on avait beaucoup de pierre et une vaste plage, on écrivait une phrase. [..] Enfin on fit des livres.”68

Lo scrittore francese, tematizzando le origini dell'architettura, sottolinea il senso linguistico, nel suo ampio spettro di significati, che scaturisce dalla sovrapposizione di pietre. In tal modo la prospettiva hugoniana, esplicita nell'ultima frase citata, fu quella di un'architettura come testo e viceversa.

In tal senso non solo «la parole, nue et volante,»69 fu trascritta in modo duraturo sul terreno e ogni tradizione fu sigillata70 sotto questi monumenti, ma questi ultimi, anche grazie alla loro ubicazione e forma, rivelavano la

«idée mère» che essi rappresentavano71, cosicché ogni forza materiale e intellettuale convergeva nel «livre granitique» dell'architettura.

Libro scritto inizialmente in una lingua sacra, espressione di un pensiero

68 V.Hugo, cit., pp. 210-211. "L'architettura cominciò come ogni scrittura. Si piantava una pietra eretta, ed era una lettera, e ogni lettera era un geroglifico, e su ciascun geroglifico poggiava un gruppo di idee [..] Più tardi si realizzarono parole. Si sovrappose la pietra alla pietra, si accostarono queste sillabe di granito [..] I dolmen, i cromlech celtici, i tumuli etruschi e i galgan ebraici sono parole [..] nomi propri. Talvolta, quando si avevano pietre in abbondanza e un ampio terreno si fecero frasi. [..] Infine si fecero libri."

69 Cfr. Ibidem. "La parola nuda e volante". Quando le parole si moltiplicarono e la tradizione orale non bastò più, la voce e la memoria rischiarono di perdersi. Hugo sottolinea questo ipotetico passaggio di consegne: dal canto di Orfeo alla forza di Dedalo.

70 Op. cit., p. 215. "Trascrivere in geroglifici sulle sue pagine di pietra le tavole misteriose della legge." Cfr. op. cit., p. 221 in cui è scritto "ecco le case di mattone di Enrico IV con cunei di pietra. Ecco le chiese di Luigi XIII, tarchiate, basse, tozze, appesantite dalla cupola come un gobbo. Ecco i palazzi di Luigi XIV, lunghe caserme da cortigiano, glaciali, dure, noiose."

71 Op. cit., p. 212. "I greci coronarono le loro montagne con un tempio armonioso per gli occhi".

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obbligato che trascina il grosso e pesante bagaglio di un mondo inabissato72 e che in seguito, emancipatasi da questo peso, fu scritto in lingua volgare, la quale, mescolando a quello divino l'elemento umano, si rese più facilmente comprensibile73.

Inizialmente dunque l'architettura fu arte sovrana ed ebbe la forza di trattenere e far aggrappare a sé le altre arti, le quali, emancipandosi ne spezzarono il giogo74 e ciascuna, isolandosi, guadagnò da tale divorzio.

Se Vitruvio individuò i fondamenti della civiltà nelle «inventiones»,

«cogitationes» e «imitationes»75, ai quali è connessa la tradizionale triade architettonica composta da «utilitas», «firmitas» e «venustas», Hugo sottolinea invece gli aspetti fondanti della civiltà nella «expression» e nella

«langue» e intese l'architettura come «écriture» di un pensiero che ha interesse a perpetuarsi76.

Tuttavia in entrambi sussiste l'analogia fra edificio e organismo umano:

se per Vitruvio il tempio dovette aderire ad un principio razionale, composto dalla natura e definito sui rapporti fra le membra corporee e la figura intera77, Hugo, inserendosi nella tradizione dell'autore latino78, rilevò numerose analogie fra la forma degli edifici singoli e una forma mentis più generale79, descrisse l'architettura che cedette spazio alla forma geometrica

72 Cfr. op. cit., p. 217-218. Hugo descrive questo bagaglio come “una montagna di pietre, tutta una foresta di strutture e un popolo di operai” di cui i geroglifici e il tempio di Salomone sono esempi di questa lingua divina.

73 Cfr. Ibidem. Così i suoi "Edifici penetrabili a ogni anima, intelligenza e immaginazione, simbolici ma facilmente comprensibili come la natura." Questa lingua trovò espressione nell'arte, di cui Fidia e il Partenone sono un esempio noto.

74 Cfr. Op. cit., 219. Ciascuna ne guadagnò da questo divorzio. L'isolamento ingrandiva tutto e la scultura diventò statuaria, l'immagine pittura e il canone musica. Apparvero così Raffaello, Michelangelo e Palestrina.

75 Cfr. Vitruvio, De Architectura, cit., p. 121. "Allora osservando gli altrui ripari e aggiungendo innovazioni (cogitationibus) alle proprie risoluzioni [..] E essendo gli uomini per natura pronti a imitare e a imparare (imitabili docilique natura), ogni giorno gloriandosi delle proprie scoperte (inventionibus) [..] giorno dopo giorno si riplasmavano con maggiore giudizio."

76 Cfr. V.Hugo, Notre-dame de Paris. cit., p. 217.

77 Cfr. Vitruvio, De Architectura., cit., pp. 238-239.

78 Cfr. op.cit, pp. 370-373 e n. 35-48. La nota analogia fra colonne ioniche, doriche, corinzie e, rispettivamente, aspetti e valori morali legati alla fermezza virile, alla snellezza femminile e alla gracilità virginea è ripresa da Hugo, come palesato nella citazione qui sopra.

79 Cfr. V.Hugo, Notre-dame de Paris, cit., p. 223. La bibbia somiglia alle piramidi, l'Iliade al

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come la «charpente osseuse d'un malade»80, oppure, lo stile Luigi XV come ricca di «[..] chicorées et les vermicelles, et toutes les verrues et tous les fungus qui défigurent cette vieille architecture caduque, édentée et coquette»81.

In conclusione, le tematiche fondamentali come il valore comunitario del costruire, il rapporto dell'architetto con alcuni principi sempiterni e l'autorità, nonché il tema dell'intreccio al quale è legato il rapporto fra l'uomo e luoghi dell'abitare, costituiscono delle premesse necessarie per comprendere come l'architettura possa far abitare poeticamente l'uomo.

Partenone, Omero a Fidia. Dante nel secolo XIII è l'ultima chiesa romanica mentre Shakespeare nel XVI secolo è l'ultima cattedrale gotica.

80 Op. cit., p. 221 "Struttura ossea di un malato". Nella lingua francese al sostantivo charpente corrisponde anche l'aggettivo charpentè, che significa ben piantato, e similmente il sostantivo charpenterie, che significa carpenteria, ovvero la fabbricazione di strutture edili di sostegno.

81 Ibidem., p. 221. Cfr. Op. cit., tr. it. D.Feroldi, Feltrinelli, Milano, 2002, p. 197. "Coi suoi sbuffi e le sue venature, e tutte le verruche e le escrescenze che sfigurano quella vecchia architettura cadente, sdentata e civetta."

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I - ARCHITETTURA E LUOGHI

Nel rapporto che l'uomo intrattiene con i luoghi naturali e artificiali sono riconoscibili alcuni leitmotiv millenari che caratterizzano le culture che affacciano sul bacino del Mediterraneo, in particolar modo quelle dell'Europa occidentale. Occorre infatti comprendere come ogni località possieda ben precisi caratteri architettonici e paesaggistici che il concetto di genius loci riassume in sé; la stessa vita dell'uomo è garantita da un buon rapporto spirituale con il luogo nel quale egli abita e cerca di identificarsi.

Tale approcciò è reso necessario dal diffuso problema della «perdita dei luoghi» conseguente alla riproposizione su larga scala di modelli architettonici e urbanistici spesso del tutto estranei ai luoghi, influendo dunque negativamente sul rapporto fra uomo e luoghi abitati.

Comprendere il rapporto intimo che lega le «culture dell'abitare» con il proprio luogo natio costituisce in tal senso il primo passo per una «teoria del luogo» mediante la quale, garantendo all'uomo la pregnanza con la località, l'architettura può costruire aiutando l'uomo ad abitare.

In Europa i caratteri architettonici che rendono riconoscibili le città rispetto a quelle costruite da altre civiltà, così come il rapporto dei cittadini con i luoghi, sono maturati e permangono immutati dal Mille. Al medesimo periodo sono ascrivibili i caratteri dell'architettura vernacolare in Sardegna, sebbene in questo caso l'attenzione su di essa permetta di cogliere alcuni temi endemici relativi al rapporto fra uomo e luoghi.

Il rapporto dell'architettura con i luoghi è dunque fortemente legato al concetto del «tema con variazioni» e solo allorquando riesca a «mettere in opera» quest'ultimo è possibile considerare questa disciplina, in quanto servizio che ha come proprio scopo l'utilità e la soddisfazione del bisogno, un'arte dell'abitare, dunque connessa alla bellezza e al piacere82.

82 Cfr. E. Rocca, Estetica e architettura, il Mulino, Bologna, 2008, pp. 8-10, 17-26.

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1. Breve introduzione al concetto di genius loci in architettura

L'accezione più remota della parola genius, intimamente connessa al culto degli spiriti dell'antica religione italica ancora fervida intorno al III secolo a.C., affonda le proprie radici nelle civiltà animiste dei primordi, presso le quali «ogni oggetto, processo o luogo sta sotto la protezione di uno spirito o demone creatore»83.

Il significato prettamente religioso è palesato anche dall'etimologia della parola, difatti il sostantivo latino gĕnĭus, indicante una divinità protettrice o un nume tutelare, deriva dal verbo gigno, il quale, a seconda degli usi, può assumere il significato di genero, partorisco o creo.

In tal senso, mentre il Genius, sia esso lo spirito protettore di una persona, di una casa o di una famiglia, rappresenta in generale una «forza procreatrice» che rende possibile e garantisce la continuità dell'esistenza di ciò che esso custodisce, il genius loci rappresenta nello specifico il

«principio unificante di un luogo»84.

Nell'uso che ne fece l'architetto Christian Norberg-Schulz, la locuzione genius loci è divenuta un'espressione diffusa con la quale indicare il

«carattere» di un luogo, ovvero quel fenomeno complesso per il quale l'interazione fra l'uomo e il territorio, concretizzandosi materialmente o traducendosi spiritualmente in opere architettoniche e letterarie, contribuisce fortemente a definire l'identità del luogo.

Fin dalla antichità dunque il genius loci è stato considerato come quello spirito che non solo «da vita a popoli e luoghi, li accompagna dalla nascita

83 Cfr. la voce Genio in Dizionario di Estetica, a cura di G.Carchia e P.D'Angelo, Laterza, Roma- Bari, 1999, pp. 123.

84 Cfr. Ibidem. Tuttavia intorno al II secolo a.C., con la progressiva urbanizzazione della società, la diffusione del politeismo greco e l'affermarsi dello stoicismo che influenzarono la religione romana, è possibile riscontrare una progressiva antropomorfizzazione delle divinità italiche che coincise con un movimento di interiorizzazione ed esaltazione dello uomo sviluppatosi parallelamente all'atrofizzarsi dell'universo intorno a lui, tale che la stessa parola genius assunse il significato principale di "disposizione d'animo".

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alla morte e determina il loro carattere o essenza»85, ma custodisce la «realtà concreta che l'uomo affronta nella vita quotidiana»86.

Per tale motivo presso i popoli antichi assumeva un'importanza vitale il patto stretto con il genius della località in cui doveva aver luogo la propria esistenza, poiché la sopravvivenza stessa dipendeva da un «buon rapporto con il luogo»87, inteso sia in senso fisico che psichico.

Difatti, essendo la stabilitas loci una condizione necessaria alla vita umana, proteggere e conservare il genius loci significa preservare la possibilità di una continua «autorealizzazione» di quell'intimo rapporto fra l'uomo e il luogo abitato, tale che sia possibile concretizzarne l'essenza in contesti storici sempre nuovi88.

In tal senso è possibile intendere l'architettura stessa come una delle modalità attraverso le quali l'operare umano, edificando, disvela «significati potenzialmente presenti in un ambiente dato a priori»89 preservandoli nelle opere architettoniche.

«Far dell'architettura» significa dunque in prima istanza ascoltare e visualizzare il genius loci, di modo che, essendo il costruire sinonimo di rispetto e integrazione con i luoghi, il compito primario dell'architetto sia quello di creare «luoghi significativi» che aiutino l'uomo ad abitare.

Tuttavia, essendo tale incombenza tutt'altro che agevole, sorge la necessità di una «teoria del luogo», la quale, qualora l'architettura sia intesa come intimamente radicata nella vita quotidiana piuttosto che basata sulle sole astrazioni, è uno strumento imprescindibile per l'approccio poetico ai luoghi che coadiuva l'operare dell'architetto.

85 Cfr. C.Norberg-Schulz, Genius Loci. Paesaggio, ambiente, architettura, X ediz., Mondadori, Electa, Milano, 2011., p. 18.

86 Cfr. op. cit., p. 5.

87 Cfr. op. cit., p. 18.

88 Cfr. Ibidem.

89 Ibidem.

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2. Dallo spazio al luogo. Una breve riflessione etimologica

La parola italiana spazio deriva dal sostantivo neutro latino spătĭum, il quale denotava l'estensione o le dimensioni di una superficie, ma anche una distanza, come ad esempio un tratto di strada o uno spazio urbano in genere, sia esso una piazza, un viale o l'arena. La parola latina poteva inoltre essere utilizzata per indicare un intervallo di tempo relativo alle note musicali, o, in senso figurato, indicare un'opportunità.

Il lemma latino deriva probabilmente da pătens, participio del verbo pătĕo che significava essere aperto, accessibile o scoperto e indicava dunque sia una condizione di apertura, disponibilità o esposizione, che, in senso figurato, l'essere manifesto, evidente e chiaro.

A confermare quanto fin'ora discusso l'aggettivo spătĭōsus, derivante dal sostantivo latino, denotava, sia sotto il profilo spaziale che temporale, la spaziosità, la vastità e l'ampiezza di un'estensione, nonché una durata.

La parola luogo invece, sebbene la sua spiegazione etimologica sia sostanzialmente oscura, deriverebbe dal lemma greco τόπος dal quale la lingua latina mutuò numerose parole, come ad esempio la locuzione lŏci commūnes, dalla quale derivò il sostantivo lŏcus.

Quest'ultimo indicava generalmente una posizione in relazione allo spazio e in tal senso era utilizzato come sinonimo di contrada, regione, paese, ma anche podere, terreno, abitazione o stanza; poteva indicare altresì una posizione sociale, una parte del corpo, il passo di libro, il punto fondamentale di un ragionamento o, sotto il profilo temporale, una circostanza, un momento o una situazione precisa.

I significati della parola luogo dunque, potendo essere definito come

«una porzione di spazio idealmente o materialmente delimitata», sono intimamente connessi a quelli della parola spazio, la quale assume invece

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un senso più generico.

2.1 Dallo «spazio selvatico» al luogo abitato: il confine

Affinché sia possibile esperire appieno i significati soggiacenti alle parole spazio e luogo, l'intimo rapporto che intercorre fra questi ultimi e l'uomo, nonché l'importanza che la «creazione di luoghi» assume affinché sia possibile abitare, è utile focalizzare l'attenzione sulle modalità primitive con le quali l'uomo e il mondo circostante entrarono in rapporto.

Discutere il concetto di spazio necessita innanzitutto la constatazione dell'esistenza di due principali concezioni notevolmente differenti tra loro, difatti, se è possibile parlare di uno «spazio omogeneo»90 basato sulla geometria tridimensionale per la quale le direzioni topografiche costituiscono delle coordinate assolute, è altresì importante distinguere da esso la percezione di uno «spazio relativo»91 modificato dagli attori, i quali relativizzano a sé oggetti e soggetti del mondo circostante.

In relazione a una visione del mondo centrata sul sé, ovvero costituita da «tanti qui» quanti sono i soggetti che fanno esperienza dello spazio circostante, è doveroso parlare di «intuizione dello spazio», la quale «non è una lettura, ma un azione esercitata su di essi»92.

Essa caratterizza sia le esperienze infantili, nelle quali da un «qui» che costituisce il centro del mondo sono colti i corpi, poi gli oggetti e le relazioni93, sia il rapporto che i popoli primitivi intrattengono con ciò che li

90 Cfr. Franco La Cecla, Perdersi. L'uomo senza ambiente, pref. di G. Vattimo, Laterza, Roma- Bari, 2005, pp. 43-46. Questa concezione newtoniana dello spazio è basilare nella formazione delle mappe geografiche, difatti, Nord, Sud, Ovest ed Est individuano in tal senso dei punti della griglia sulla quale gli attori si trovano in scena, di modo che tali punti costituiscano delle coordinate e direzioni assolute rispetto a soggetti o oggetti.

91 Cfr. Ibidem. Lo spazio in tal modo inteso è invece considerato come modificato dagli attori stessi, siano essi oggetti, forze o soggetti, i quali, relativizzandolo a sé, rappresentano ognuno di essi un centro rispetto al mondo circostante.

92 Op. cit., p. 46.

93 Cfr. Ibidem. In relazione a questo tema l'autore riprende le tesi pieagettiane. Su quest'ultimo punto cfr. Jean Piaget, La costruzione del reale nel bambino, a cura di G. Gorla, IV ediz., La

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circonda. Difatti, per essi l'esistenza stessa, essendo intimamente connessa alla stabilità dell'abitare, è assicurata da un qui «tenuto a bada» che lancia sul cosmo una «rete flessibile» che abbraccia lo «spazio mobile».

In riferimento a tali popoli, essendo fortemente legati ai luoghi nativi nei quali abitano da generazioni, è possibile parlare di «culture dello abitare», infatti si palesa in queste ultime non solo un forte attaccamento alla terra, ma il villaggio stesso è inteso come l'origine del mondo, ovvero costituisce un centro rispetto al quale lo spazio interno ed esterno è orientato, indicando in tal modo il «senso di marcia» agli abitanti.

L'importanza che la centratura dello spazio assume presso tali culture è utile in questa sede al fine di esperire appieno quelle qualità imprescindibili che i luoghi debbono possedere affinché sia possibile per l'uomo abitare. In tal senso è possibile focalizzare l'attenzione sui riti di fondazione del villaggio e precisamente in quella «condizione d'inizio» nella quale si trovarono i fondatori di fronte alla necessità di tracciare i confini dell'insediamento.

Questa incombenza assunse infatti una portata fondamentale per tutto un popolo, in quanto, l'addomesticamento dello «spazio selvatico» non è riducibile al tracciamento di un mero ordine entro il caos, di modo che sia possibile parlare di uno «spazio orientato» che distingue l'insediamento abitato dalla selva, mentre è d'obbligo parlare di una «azione dinamica» che coincise con un gesto sapiente94.

Nuova Italia, Firenze, 1996, pp. 231-242 e introduzione. Il reale in quanto cosmo ordinato in cui gli oggetti sono sempre uguali a se stessi e sono collegati tra loro da relazioni obbiettive di spazio, tempo e causalità, non sono un dato primitivo, ma frutto di una graduale costruzione che il bambino compie nei primi due anni di vita. Il problema essenziale sollevato dall'autore è quello di comprendere come il bambino, partendo da uno spazio interamente centrato sulla sua attività, giunga a situarsi in un ambiente ordinato e che lo comprenda come elemento. Piaget osserva come nei primi mesi di vita il bimbo sia immerso in un caos primitivo a cui corrisponde una "coscienza protoplasmatica" in cui non vi è distinzione tra polo soggettivo e oggettivo dell'esperienza, mentre è solo con la conquista della nozione di oggetto, spazio, tempo e causalità come realtà e strutture distaccate dalla propria azione che egli giunge ad acquisire sul piano pratico la nozione di essere un corpo collocato con altri in uno spazio comune a cui è collegato da relazioni e legami a cui tutti sono sottoposti.

94 Cfr. Franco La Cecla, Perdersi. L'uomo senza ambiente, cit., pp. 18-20.

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