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LA GOOD GOVERNANCE E LE BEST PRACTICES
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Responsibility Research Center (IRCC), una no- profit organization sorta nel 2006 in funzione di catalizzatore per studiosi ed esperti di governance aziendale e responsabilità sociale, che ha finanziato numerose ricerche accademiche e professionali, condotte in modo obiettivo ed imparziale, per consentire a leaders politici e ad investitori di assumere decisioni basate su dati certi ed affidabili.
In particolare, nel Discussion Paper No.491 ,What matters in corporate governance?, pubblicato nel settembre 2004 dall’ Harvard Law School di Cambridge126,viene riportata un’analisi condotta dall’IRCC sulla base di 24 provisions ( IRCC provisions), ovvero 24 indici che apporterebbero effetti differenti sul management di un’impresa, considerati tuttora validi come parametri di riferimento.
In realtà, lo studio si concentra su sei delle ventiquattro provisions, in quanto esse svolgono un ruolo più significativo nella valutazione dell’azienda e quattro di queste comportano limiti al potere di voto degli azionisti: consigli ben ripartiti, limiti alla possibilità degli azionisti di modificare lo statuto, requisiti di supermaggioranza per la fusione tra imprese e requisiti di supermaggioranza per l’approvazione degli emendamenti allo statuto, tutte misure per limitare l’influenza degli azionisti sul management aziendale. Le altre due provisions prese in considerazione nel paper sono le cosiddette misure di poison pills, in breve, operazioni finanziarie finalizzate ad evitare il rischio di take-over, ossia l’ottenimento, da parte di una società “predatore”, del controllo di una società “preda” attraverso l’acquisto di azioni sufficienti a raggiungere un certo obiettivo commerciale e, in secondo luogo, i cosiddetti golden parachute agreements, ovvero accordi nei quali si specifica che il dipendente riceverà dei benefici considerevoli da parte della società in caso di cessazione del rapporto di lavoro (indennità, premi, benefici sulle azioni o di altro genere).
Si tratta, in sostanza, di sei variabili che rientrano nella filosofia del “trinceramento manageriale” (management entrenchment), in virtù della quale si assiste ad una maggiore concentrazione dell’assetto proprietario nelle mani del manager, il che comporta, da un lato, una più solida protezione dell’azienda da acquisizioni esterne e una maggiore garanzia per l’occupazione dei manager, ma, dall’altro, l’aumento della proprietà a livello direzionale può generare effetti negativi quando la disciplina generale del mercato risulta sfavorevole a soggetti che detengono più ampie partecipazioni azionarie.
126 L.Bebchuck, A.Cohen, A.Ferrell, What matters in corporate governance?Discussion paper No.
491 Harvard Law School, Cambridge MA02138, 09/2004.
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Sono numerosi gli studi basati su ipotesi che hanno la finalità di definire gli assetti di governance che consentono alle imprese di ottenere maggior successo127, ma, ritornando all’analisi scientifica svolta dall’Harvard Law School, viene, in primis, considerato un E index ( entrenchment index), ovvero la situazione nota come
“arroccamento manageriale”, per cui gli investimenti del manager non vengono indirizzati a vantaggio dell’intera azienda, bensì all’aumento del proprio valore come
“dipendente” della stessa, in altre parole, per fare i propri interessi.
Lo sviluppo di una situazione simile è considerata da molti come una minaccia per la governance dell’impresa, in quanto, creando la possibilità per i manager di fare investimenti specifici, essi possono estrarre salari più alti e godere di maggiore libertà nelle decisioni aziendali a discapito degli azionisti128.
Nell’analisi svolta, dunque, l’IRCC ha definito i sei parametri inizialmente esposti che potrebbero pregiudicare il valore della governance aziendale. Facendo uno specifico riferimento all’ordinamento statunitense, se consideriamo, in particolare, le poison pills (uno degli indici enunciati nel paper), ovvero una tecnica di difesa contro un’offerta d’acquisto ostile, esse mirano ad impedire le sostituzioni degli azionisti e a fare in modo che le loro azioni non vengano comprate da offerenti pubblici ostili. Le “pillole velenose” hanno una lunga storia e devono il loro nome ad una pratica di spionaggio che ha le sue origini negli Stati Uniti durante l’era della monarchia e che consisteva nell’inghiottimento, da parte della spia, in caso di cattura da parte del nemico, di una pillola di cianuro per evitare l’interrogatorio e, quindi, la rivelazione della verità.
Inizialmente, erano considerate una pratica illegale negli USA ma, nel 1985, con la decisione del caso Moran vs. Household International, la Corte Suprema del Delaware le riconobbe come una valida strategia difensiva129. Esse, comunque, non sono prive di svantaggi: in primo luogo, i valori delle azioni si disperdono, per cui gli azionisti devono acquistarne di nuove per mantenere il pareggio, in secondo luogo, gli investitori istituzionali non sono propensi ad investire in società che si dedicano a pratiche
“aggressive” come queste e, infine, vi è il rischio che, in caso di loro inefficacia, il manager potrebbe essere sostituito da venture capitalists dall’esterno e maggiormente in grado di gestire l’azienda e il personale.
127 Come quello condotto dalla società di rating Governance Metrics International, da Corporate governance e valore d’impresa:evidenza internazionale, Journal of Empirical Finance, vol.18 issue1, M.Ammann, D.Oesch, Markus M. Shmid, gennaio 2011.
128 Shleifer, Andrei e Vishny, Robert.W Trinceramento manageriale: il caso degli investimenti specifici del gestore, Journal of Financial Economics, 1989.
129 Moran vs. Household International, Inc. 500 A2d 1346, 1985.
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Dal canto loro, le golden parachute clauses (“clausole del paracadute dorato”) consentono di attirare nell’azienda dipendenti con alto livello di professionalità, ampliando la rosa dei candidati, dal momento che tali clausole offrono a questi maggiori sicurezze nell’eventualità che la società possa essere acquistata da un’altra; non solo, la previsione di premi in favore dei dirigenti è un incentivo per garantire la loro permanenza nella governace societaria, in quanto ciò riduce i livelli di stress determinati dalla consapevolezza di poter perdere il lavoro e, soprattutto, il “paracadute dorato” scoraggia le società “predatrici” nel controllo di altre, proprio perché sarebbero costrette a dover pagare esosi pacchetti di fine rapporto. In ultimo, tale strategia garantisce la risoluzione amichevole di eventuali contrasti tra datore di lavoro e lavoratore, evitando citazioni in giudizio e tensioni giudiziarie.
Come per le poison pills, però, anche le golden parachute clauses presentano elementi di criticità, alcuni dei quali sono:
-costi ingenti per l’azienda anche se si tratta di un licenziamento per giusta causa;
-minore motivazione dei dirigenti, che potrebbero essere meno incentivati a svolgere un lavoro più professionale, “cullandosi” sui premi che spettano loro;
-potrebbero non rappresentare un disincentivo per le acquisizioni ostili, poiché essi costituiscono solo una parte del costo della fusione;
-potrebbero rappresentare, invece, un motivo di discriminazione con gli altri dipendenti, in quanto solo i dirigenti di livello superiore hanno diritto al “paracadute dorato” e tale aspetto susciterebbe risentimento in quelli di grado inferiore.
Per quanto concerne, poi, gli altri indici (provisions), sicuramente una soluzione di successo aziendale risiede nella costruzione di una strategia di corporate governance, ovvero l’insieme di misure, regole e processi che mirano ad una gestione corretta dell’impresa, soprattutto attraverso una divisione ben studiata degli organi aziendali.
La presenza di una direzione operativa, composta da persone che affianchino l’imprenditore nelle decisioni operative e di un consiglio di amministrazione valido, che si occupi, anche attraverso l’inserimento di soggetti esterni, di controllare e di condurre l’azienda, è di fondamentale importanza, ed è ben distante dal concetto di
“trinceramento”, in cui si assiste ad una power concentration nella mani di un solo dirigente.
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E’ il Board, infatti, che determina collegialmente gli interessi e i valori della società, nonché gli obiettivi da raggiungere, delegando al management la loro realizzazione. In linea di principio, la responsabilità del consiglio consiste non solo nel determinare gli indirizzi strategici e organizzativi del gruppo, ma anche nel realizzare gli interessi degli shareholder e nel bilanciarli con quelli degli altri soggetti che gravitano all’interno dell’impresa130. Il concetto di “razionalità economica”, infatti, è rappresentato dalla coerenza delle scelte strategiche di una società in base al contesto economico e tecnologico in cui opera e dalla cooperazione di tutti i soggetti che ne fanno parte, contribuendo alla definizione dell’ “assetto istituzionale” dell’impresa131.
In merito, invece, al ruolo e ai diritti degli azionisti, se da un lato l’analisi dell’IRCC prende in esame la situazione dei limiti ai poteri degli azionisti come variabile dell’ E index, un buon modello di governo societario prevede un equilibrato sistema di interessi di tutte le minoranze all’interno dell’impresa. E’ da questo concetto che nasce, ad esempio, la best practice di origine anglosassone conosciuta come whitewashing, ossia una forma di tutela delle minoranze nel momento in cui la società pone in essere operazioni con parti correlate che potrebbero determinare risvolti negativi nei loro confronti.
Tale pratica è prevista anche dall’articolo 8, comma 2, del Regolamento Operazioni Con Parti correlate della Consob, in base al quale è attribuita all’assemblea la possibilità di approvare un’operazione rilevante anche in caso di parere contrario degli amministratori indipendenti, ricordando che si tratta di una pratica che opera solo in caso di decisione già approvata dal consiglio di amministrazione ma con parere contrario degli amministratori indipendenti132.
L’assemblea degli azionisti dell’azienda italiana “Tod’s”, per conformarsi alla prassi internazionale, ad esempio, ha presentato una delibera di whitewashing (il 13 gennaio del 2016) in occasione dell’approvazione dell’aumento di capitale volto
130 Vedi OECD, Principles of corporate governance, punto V- The responsibilities of the Board, pagg.9-10.
131 “In una visione di razionalità economica un po’semplicistica, si può ipotizzare una relazione di causalità lineare di tipo seguente: 1)dato un certo ambiente economico e tecnologico;2)ogni impresa tende ad adottare una strategia coerente con tale ambiente scegliendo certe dimensioni, certi mercati,certe gamme di prodotti;3)la strategia richiede un certo insieme di contributi, posseduti da certi soggetti che, in cambio, ricevono certe ricompense;4)raccogliendo quei contributi da quei soggetti e soddisfacendoli con certe ricompense l’azienda configura il proprio assetto istituzionale”, G. Airoldi, Gli assetti istituzionali d’impresa:inerzia, funzioni e leve, in G.Airoldi e G. Forestieri, Corporate governance, pag.37, ETAS, Milano, 1998.
132 P.Montalenti, Le operazioni con parti correlate in Giurisprudenza commerciale, 2011, fasc.3 pt.1, pagg.332-333.
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all’acquisizione del marchio “Roger Vivier”, proprio per consentire agli azionisti di minoranza di esprimere un voto decisivo133.
In definitiva, ciò che vuole dimostrare il paper redatto dall’ Università di Harvard è che la costruzione di un modello gerarchico in grado di attenuare le divergenze di interessi tra i soggetti dell’impresa garantisce l’approdo ad un’idea di “contratto sociale equo”, in virtù della quale la “forma istituzionale dell’impresa” trova la sua ragion d’essere nell’ “allocazione equa dei diritti e dei doveri complessivi”134.
E’ questa, infatti la tesi neo-contrattualistica135, secondo la quale la corporate social responsibility, innegabilmente connessa alla corporate governance, si fonda su una prospettiva multistakeholder che consenta di agire sulla base di un interesse generale per dare luogo a pratiche di collaborazione e di coinvolgimento di tutti i soggetti dell’impresa, contro sistemi di preferenze che rendono inefficace ed ingiusta l’azione collettiva. E’questo il sistema di “governance allargata” che permette all’impresa di aprire i propri orizzonti.
Del resto, si tratta di una visione ampiamente elaborata già a livello comunitario con l’Action Plan sulla Finanza Sostenibile del 2018 della Commissione europea, di cui si è già parlato nel I capitolo.
Come anticipato precedentemente, infatti, attraverso il Piano, sono stati individuati dieci settori in cui si è ritenuto necessario un intervento che facesse confluire i capitali in investimenti sostenibili, oltre a rimediare alle problematiche socio-ambientali in un’ottica di lungo termine, ragion per cui, nei due anni successivi all’Action Plan, ai consigli di amministrazione si è chiesta l’elaborazione di strategie che prendessero maggiormente in considerazione la sostenibilità in un’ottica di lungo periodo.
133 Ecco cosa pensa il mercato del caso Tod’s- Roger Vivier, F. Surace, 04/02/2016, disponibile su:
formiche.net.
134“L’impresa non si identifica allora solamente nell’allocazione dei diritti di proprietà, ma nella contribuzione e distribuzione dei benefici generati dalla cooperazione di tutti i partecipanti. È dunque giustificata dal punto di vista economico-giuridico ogni forma istituzionale d’impresa che richieda a ciascuno una contribuzione e distribuisca il risultato della produzione secondo un'allocazione equa dei diritti e dei doveri complessivi. Questo significa che ogni forma istituzionale dell’impresa trova la sua legittimazione nel rispetto dei diritti di tutti i partecipanti e non in un obiettivo singolo che sia in grado, date certe ipotesi, di sintetizzarli tutti”,Sacco, P. e Viviani, M., 2008. La Responsabilità Sociale d’Impresa prospettive teoriche nel dibattito italiano. Economia Politica, 25(2).
135La teoria neo-contrattualistica viene rielaborata da Sacconi sulla base del “contrattualismo reale”
di Grossman, Hart e Moore, Sacconi L., Economia etica organizzazione: il contratto sociale dell'impresa, Roma - Bari, Laterza, 1997.
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Proprio sulla base di tali fattori, la Commissione ha incaricato Ernst & Young (network globale di servizi professionali di consulenza, revisione contabile, fiscalità) di svolgere uno studio, oggetto del rapporto Study on directors’ duties and sustainable corporate governance (luglio 2020)136, il quale ha dimostrato come negli ultimi trent’anni le società quotate in borsa dell’UE abbiano trascurato gli investimenti in ricerca e sviluppo (diminuiti rispettivamente del 38% e del 45%)
Lo studio, infatti, evidenzia l’esigenza che l’Unione intervenga per promuovere una governance più sostenibile, rafforzando il ruolo degli amministratori, integrando la sostenibilità nelle decisioni delle imprese e adottando accorgimenti in materia di remunerazione e di coinvolgimento degli altri interessi rilevanti per la società137.
Lo studio condotto, tuttavia, è stato oggetto di numerose critiche sia nel panorama accademico, sia da parte degli operatori che hanno partecipato alla fase consultiva, come Assonime ed alcuni enti con poteri di autoregolamentazione delle best practices, quale il comitato olandese.
Nell’ambito del panorama accademico138, in particolare, sono stati individuati quattro aspetti critici del rapporto di E&Y relativi a:
-la definizione del problema principale, in quanto nello studio svolto si assiste ad una fusione tra le problematiche (ritenute di primaria importanza) dello short termism e le externalities, vale a dire l’influenza negativa o positiva che un soggetto subisce per effetto dell’attività di produzione o di consumo svolta da un altro;
-il ricorso a dati inappropriati, in quanto secondo il Rapporto la prova evidente nell’incremento dello short termism è rappresentata dall’aumento dei payout lordi agli azionisti, ma il parametro attraverso il quale si misura la capacità dell’impresa di investire nel lungo termine è data dai payout netti, nettamente inferiori ai primi;
-il ricorso parziale alla letteratura scientifica, in quanto lo studio risulta limitato solo ad alcune ricerche accademiche a favore della tesi esposta, senza prendere in considerazione quelle che vi si oppongono;
136Per ulteriori approfondimenti, consultare Rapporto Assonime “Doveri degli amministratori e sostenibilità”, 18/03/2021, su aodv231.it.
137Comitato per la Corporate Governance, Relazione 2020 sull’evoluzione della corporate governance delle società quotate- 8° rapporto sull’applicazione del Codice di Autodisciplina, pag.25.
138The Sustainable Corporate Governance Initiative in Europe, M. Roe, H. Spamann, J. Fried, C. Wang, Yale Journal on Regulation Bulletin, Vol. 38:133 202, pagg. 134-135.
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-la proposta di rimedi la cui efficacia non è provata e che, oltre ad essere costosi, sono relativi a studi accademici che generano scetticismo e alcuni di essi, nondimeno, possono divenire “controproducenti”.
Bisogna considerare, poi, che l’analisi è opinabile per ragioni di parzialità, poiché si concentra su un numero di Stati limitato (soltanto 15), senza considerare il tipo di società oggetto dello studio, risultando, inoltre, non trasparente ed incoerente, in quanto eccessivamente incentrata sulle imprese britanniche, sebbene esse non subiranno gli effetti diretti delle misure legislative dell’Unione europea.
Per quanto concerne la metodologia adoperata, non sono presi in considerazione gli aumenti di capitale e gli altri finanziamenti che le imprese ricevono dagli azionisti e da altri finanziatori, mentre, riguardo all’analisi dei risultati, vi è mancanza di logicità per il fatto che l’aumento della distribuzione di valore agli azionisti e la riduzione degli investimenti sono considerati come fenomeni connessi, quando in realtà sono distinti anche dal punto di vista temporale (il primo è avvenuto in larga parte prima del 2002, mentre il secondo fenomeno si è registrato dopo il 2008).
Altre criticità sono state, infine, rilevate in merito alla trattazione incompleta delle varie discipline domestiche e alla sopravvalutazione degli effetti negativi dello short termism di alcuni investitori sul governo d’impresa. La Commissione europea, dunque, in una prospettiva futura, dato lo scarso favore che la formulazione dello studio ha generato, dovrebbe dar luogo ad una nuova analisi relativa al mercato europeo e non dovrebbe, invece, favorire la produzione di studi di diritto societario sulla base di analisi
“incomplete e distorsive” come quella svolta da Ernst & Young139.
139 Comitato per la Corporate Governance, Relazione 2020 sull’evoluzione della corporate governance delle società quotate- 8° rapporto sull’applicazione del Codice di Autodisciplina, pag.27.
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