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CAPITOLO 1 GUERRA DEI DIECI ANNI E ÉLITE: IL DIBATTITO STORIOGRAFICO

1.3 Élite: concetti a confronto

Nel 1970 William A. Welsh pubblicava un articolo dal titolo ”Methodological Problems in the Study of Political Leadership in Latin America” nel numero autunnale della rivista Latin

American Research Review. In esso egli individuava tre categorie di problemi metodologici

nello studio delle leadership politiche:

1. la strutturazione della ricerca, definizione dei concetti e delle costruzioni teoriche; 2. la raccolta dei dati empirici;

3. l’analisi dei dati.

Egli segnalava che il principale problema degli studi fino allora svolti, era la mancanza di at- tenzione nei confronti dei concetti:

“The problem has been especially acute in the initial definition and identification of the subjects which are to be the foci of the research […] It is crucial to know precisely what conditions must be met before an ”élite” is an ”élite”.”73

Le vicende storiche che hanno caratterizzato l'area Latinoamericana nel corso del XX secolo hanno messo in evidenza come in molti casi sia difficile, se non impossibile, identificare le forze sociali protagoniste di taluni fenomeni utilizzando categorie interpretative tradizionali. La difficoltà di ricondurre i fenomeni studiati ai modelli sociologici classici e l'ambiguità in cui potremmo rimanere intrappolati, spingono a porsi come primo obiettivo della ricerca quel- lo di chiarire l'uso dei termini e dei concetti che ci si accinge ad utilizzare.74 Si cercherà quin- di di capire in questo studio cosa s’intende per “élite” e chi può essere considerato a titolo par- te di essa.

Affrontare il tema delle élites appare impervio già in partenza. Cosa s’intende per élite? Pos- siamo parlare di una sola élite o dobbiamo piuttosto parlare di élites al plurale? Chiunque si accinga a studiare o a scrivere su questo argomento, si scontra sin dal principio con la necessi- tà di trovare una definizione precisa all’oggetto della sua indagine. L’assenza di una defini- zione condivisa è ormai universalmente riconosciuta e le espressioni adoperate per indicare la

73 William A. Welsh, “Methodological Problems in the Study of Political Leadership in Latin America”, Latin American Research Review, Vol. 5 n.3, Autunno, 1970, p. 12

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Scarzanella, Borghesie nazionali…,p. 26

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realtà alla quale appartengono coloro che detengono ed esercitano il potere, sono varie e tal- volta contraddittorie.75

Alan Zuckerman evidenzia che nel tentativo di definire questo concetto si incontrano due pro- blemi di fondo: da un lato l’esistenza di diverse etichette attribuite ad uno stesso concetto, dall’altro l’esistenza di diversi concetti attribuiti alla medesima etichetta.76

Da un punto di vista strettamente etimologico, il termine ”élite” deriva dal francese ”élire”, il quale a sua volta deve la propria radice al latino ”eligere”, ”operare una scelta”; da qui ”elec- ta”, ossia la ”parte prescelta”. Il termine si riferisce quindi semplicemente ad un gruppo di persone formatosi attraverso un processo di selezione. Il concetto di élite è intimamente legato ai cambiamenti sociali conseguenti alla fine dell’Ancien Régime ed è quindi altrettanto pro- fondamente legato ai termini ”aristocrazia” e ”borghesia”. Nasce dunque verso la fine del XVIII secolo e viene subito usato dalla borghesia, desiderosa di accrescere il proprio status, e mettere in discussione i privilegi ereditari della nobiltà. La famosa parabola del ”socialista utopista” del Conte di Saint-Simon (1760- 1825), pubblicata sulla rivista ”L’Organisateur” nel 1819, traccia ivi la differenza fra i membri nobili della società e coloro che invece formano parte dell’élite. Il Conte di Saint-Simon analizza le conseguenze, per la società francese, deri- vanti da un’ipotetica e improvvisa sparizione dei circa 30.000 membri dell’aristocrazia e al contempo di un gruppo di circa 3.000 persone composto da fisici, biologi, banchieri, uomini d’affari, ingegneri, artisti. Questi ultimi rappresentando ”il fior fiore” della società francese sono, di tutti i francesi, i più utili al loro paese, coloro che a esso procurano le maggiori glorie, e che più contribuiscono al progresso e alla sua prosperità”.77 Se la Francia si fosse trovata d’improvviso priva di questa ”élite”, lo Stato sarebbe stato improvvisamente privato delle sue migliori menti, bloccandone irrimediabilmente il progresso. Al contrario, sostiene Saint- Simon, la sparizione improvvisa dei membri aristocratici della società avrebbe semplicemente provocato ”un dolore di carattere meramente sentimentale”. Il Conte avanzava l’idea di un si- stema sociale in cui il potere politico fosse attribuito a tecnici e a esperti, in quanto detentori di conoscenze oggettive e neutrali, utili ai fini della gestione della collettività.

Il termine ”élite” divenne in uso fra i sociologi verso la fine del XIX secolo, i quali iniziarono a servirsene per rifiutare la struttura sociale dell’ancien Régime da un lato, e per controllare l’incipiente società di massa relativizzando le nuove tendenze democratiche che si andavano

75 Giorgio Sola, La teoria delle élites, Bologna: Il mulino, 2000, p. 15

76 Alan Zuckerman, “The Concept Political Elite: Lessons from Mosca and Pareto”, The Journal of Politics, Vol. 39 n.2, 1977, p.327

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http://www.pbmstoria.it/unita/04474n-01cs2/percorsi/txt/1102.php (13/03/2013) 38

affermando. Laddove l’oligarchia rimaneva al potere, non servivano ricerche e teorie che spiegassero da quale classe arrivassero le personalità al governo.78

Le rivoluzioni del 1789 e del 1848, e la risposta conservatrice a esse, cambiarono nettamente la situazione. Durante la lunga transizione europea alla democrazia, tra la Rivoluzione Fran- cese e la prima guerra mondiale, i teorici elitisti iniziarono ad elaborare il concetto elevandolo a principio universale, cadendo comunque nelle prime divergenze sul suo contenuto.

Secondo Alan Zuckerman, esiste un paradosso di fondo legato al concetto di élite: malgrado esistano pochi concetti teorici che possano vantare una potenza intuitiva pari a quella del con- cetto analizzato, risulta sempre difficile identificare “chi” effettivamente ne faccia parte. Il tentativo di rispondere a questo interrogativo ha generato una “palude” di definizioni, a volte conflittuali.79

La nozione di ”élites” nasce all’interno di una branca della sociologia politica, in forte oppo- sizione al modello marxista che individuava nel proletariato e nella lotta di classe l’elemento centrale del divenire storico. Questa nuova branca della sociologia, al contrario, metteva al centro dell’analisi sociale e storica non più le masse bensì gruppi minoritari e selezionati.80 I due “padri” della teoria dell'élite furono Gaetano Mosca e Vilfredo Pareto. I due sociologi italiani, entrambi di impostazione anti-marxista, iniziarono il loro lavoro proprio partendo dal- la confutazione delle teorie sul determinismo economico e la lotta di classe di Marx, che ve- devano la distribuzione del potere come il riflesso delle differenze di classe. I teorici etilisti sostituirono al concetto di “classe” quello di “élite”.81

Malgrado Mosca non abbia mai utilizzato esplicitamente il termine “élite” o “etilismo” nelle sue opere, dobbiamo a lui la prima proposta originale sull'esistenza di una minoranza organiz- zata all'interno della società che detiene il potere politico:

“in tutte le società, a cominciare da quelle più mediocremente sviluppate e che sono ap- pena arrivate ai primordi della civiltà, fino alle più colte e più forti, esistono due classi di persone: quella dei governanti e l’altra dei governati.”82

Esiste quindi una minoranza denominata gruppo governante, gruppo dominante o classe poli- tica, che adempie a tutte le funzioni politiche. Vilfredo Pareto, contemporaneo di Mosca e suo 78 Peter Waldmann, “Algunas observaciones y reflexiones crìíticas sobre el concepto de elite(s)”, in Peter Birle (coord.), Elites en America Latina, Madrid: Iberoamericana, 2007, p. 10

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Zuckerman, The Concept Political Elite…, p. 324

80 Frédérique Leferme-Falguiéres, Vanessa Van Renterghem, “Le concept d'élites. Approches historiographiques et méthodologiques”, Hypothéses 2000, 2001, p. 57

81 Pedro, Elites : Prosopografía contemporánea…, p. 12 82

Gaetano Mosca, La classe politica, Roma-Bari: Laterza, 1966, p. 61 39

”rivale”, nel suo ”Trattato di Sociologia Generale”, utilizza invece il termine ”élite(s)”, sia al singolare che al plurale, per definire diversi gruppi di persone. Egli definisce ”élites” quelle categorie sociali d’individui che raggiungono i massimi risultati nel proprio settore; esse pos- sono quindi avere varia origine: dai migliori sportivi, ai grandi artisti. Il plurale indica la va- riabilità delle categorie possibili di gruppi piuttosto che l’eterogeneità all’interno di un singolo gruppo.83

Pareto sostiene che l'élite sia composta da due diverse parti: l'élite di governo e l'élite non di governo. La prima influenza direttamente o indirettamente le scelte politiche mentre la secon- da, pur detenendo posizioni di rilievo all'interno della società, non influenza le decisioni poli- tiche.84 L'élite di Pareto comprende quindi un gruppo più ampio rispetto alla classe dominan- te di Mosca. Pareto sostiene che l'élite abbia origine dalle capacità individuali e dagli attributi umani e non dalle forze economiche e sociali. L'élite paretiana è però un’élite che si rigenera, non permanente, subisce un declino che si ripete storicamente e viene sostituita da una nuova élite emergente, creando un movimento chiamato “circolazione delle élite”.85 Si viene quindi a creare un’omogenea gerarchia sociale che l’autore paragona alla forma circolare di una trot- tola per cui "se gli uomini sono disposti secondo il loro grado di influenza e potere politico e sociale, in tal caso, nella maggioranza della società, saranno almeno in parte, gli stessi uomini a occupare lo stesso posto."86

Per i teorici etilisti la storia è guidata da questi gruppi minoritari che ne sono il motore; una minoranza rimpiazza l'altra e la loro successione determina il movimento storico, che è quindi ciclico.87

Nel 1911 Robert Michels pubblica “Zur Soziologie des Parteiwesens in der Modernen De- mokratie” tradotta in italiano come “La sociologia del partito politico”. Studiando i partiti so- cialisti europei, in particolare il Partito socialista tedesco, egli cercò di dimostrare la reale esi- stenza della “legge ferrea dell'oligarchia”, giungendo alla conclusione che poiché l'organizza- zione è una conseguenza inevitabile delle società umane, essa porta inevitabilmente alla costi- tuzione di una oligarchia: chi dice organizzazione, dice oligarchia.88 Egli introduce quindi il termine “oligarchia” in associazione a quello di “élite”: nel suo caso l’élite in questione è poli- tica ed è costituita dagli individui che detengono il potere politico e il governo. Né Pareto né

83 Leferme-Falguiéres, Van Renterghem, Le concept d'élites..., p. 58

84 Michael Rush, Politica E Società: Introduzione Alla Sociologia Politica, Bologna: Il mulino, 1996, p. 79 85

Vedere Vilfredo Pareto, Trattato di sociologia generale, Milano: Edizioni di Comunità, 1964

86 Giovanni Aliberti, Formazione e ruolo delle élites nell'età contemporanea, Napoli: Edizioni scientifiche ita- liane, 1995, p. 9

87 Leferme-Falguiéres, Van Renterghem, Le concept d'élites..., p. 58 88

Vedere Robert Michels, La sociologia del partito politico, Bologna: Il mulino, 1966 40

Mosca utilizzano espressamente questo termine per riferirsi a governi di minoranze organizza- te, pur facendo implicitamente riferimento a questo concetto.

La parola oligarchia deriva dal greco e indica un ”governo di pochi”; eppure nel pensiero poli- tico greco andò via via identificandosi con il ”governo dei ricchi”, per descrivere una società in cui “il potere supremo è detenuto da un ristretto gruppo di persone tendenzialmente chiuso, legate tra loro da vincoli di sangue, d’interesse o d’altro genere, che godono di particolari pri- vilegi e si servono di tutti i mezzi che il potere mette a loro disposizione per mantenerli”.89 Platone intende per “oligarchia” quella “costituzione fondata sul censo...in cui i ricchi gover- nano, mentre il povero non può partecipare al potere”. Secondo Aristotele “si ha oligarchia quando governano i ricchi ed in genere [...] i ricchi sono pochi”.90 Quest’ultimo sosteneva che vi fossero tre possibili forme di governo: quella monarchica, quella aristocratica e quella democratica. Se chi esercita il potere mira solamente ai propri interessi invece che al bene comune, le tre forme di governo degenerano rispettivamente nella tirannia, nell'oligarchia e nella demagogia.91 Nella sua accezione aristotelica l'oligarchia è quindi una degenerazione del governo aristocratico. Il termine ha avuto sin dalle sue origini un'accezione negativa tra- mandata per secoli dalla tradizione del pensiero politico, questo perché, secondo Bodin:

“Come la monarchia può essere regia, dispotica, tirannica, così l’aristocrazia può essere dispotica, legittima, faziosa; quest’ultimo tipo nell’antichità veniva chiamato oligarchia, cioè signoria esercitata da un piccolo numero di dominanti...Per questo gli antichi usava- no sempre il nome di oligarchia con significato negativo, e aristocrazia invece con signi- ficato positivo”.92

Il dibattito sul ruolo delle élites nella società e nella politica ha raggiunto nel corso del Nove- cento proporzioni importanti, coinvolgendo rinomati sociologi provenienti da realtà anche di- verse da quella europea. Negli anni '30 il tema del “potere” fu al centro del dibattito della scienza politica statunitense, coinvolgendo studiosi come Mills e il suo seguace Lasswell. Nel 1936, Lasswell definisce ancora l'élite come “gli influenti”, pur sottolineando che “any single definition for this key term… is inadequate”.93

89 Stabili, L’oligarchia…, p. 395

90 Norberto Bobbio, Gianfranco Pasquino e Nicola Matteucci, Il dizionario di politica, Torino: UTET, 1976, p. 656.

91 Pedro, Elites : Prosopografía contemporánea…, p. 36

92 Citato in Norberto Bobbio, Gianfranco Pasquino e Nicola Matteucci, Il dizionario di politica…,p. 976

93 Harold D. Lasswell, Politics; who gets what, when, how, New York-London: Whittlesey House McGraw-Hill Book Co., 1936, p. 4

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Secondo Mills, che fa riferimento al caso americano, l'élite è invece radicata nelle strutture della società; essa è composta da un conglomerato di élites politiche/industriali/militari che si sovrappongono ed i cui membri più importanti formano “l'élite del potere”.

Nella seconda metà del XX secolo, dopo l’esperienza delle due guerre mondiali, calato in un sistema di democrazia moderna in cui i dirigenti politici difficilmente riescono a mantenere un contatto diretto con il popolo, l’élite si carica di un nuovo compito: mediare fra il governo e le masse, articolandone le inquietudini e i reclami.

L’idea che potesse esistere un’élite dotata di una superiorità, quasi naturale, rispetto al resto della massa sollevò però numerose critiche. Bisognava definire dei criteri meno vaghi per giu- stificare l’appartenenza a un’élite, requisiti che potessero teoricamente essere alla portata di tutti. Emerse quindi il concetto di ”élite funzionalista”, alla quale si poteva accedere grazie ai propri successi professionali; ne facevano parte tutti coloro che, all’interno del proprio settore, un’impresa o un’entità amministrativa, raggiungessero le posizioni di più alto rango.94

Le teorie sociologiche emerse nel corso del secolo scorso hanno dato impulso a una serie di studi empirici che hanno contribuito a rendere ancora più ricca, e spesso confusa, la varietà di definizioni che si danno alle élites. Essi hanno dimostrato come tale concetto sia fortemente legato al momento di transizione che ha caratterizzato le società europee alla fine dell’Ancien Régime. Se nel corso dell’età napoleonica le promozioni sociali erano ancora determinate dal servizio al sovrano e dall’accesso alla corte, con la Restaurazione i processi selettivi iniziaro- no ad ampliarsi e diversificarsi creando, nel corso dell’Ottocento, nuove strutture sociali e nuovi canali di accesso che cambiarono i modi di formazione dei gruppi privilegiati. Le doti personali e le capacità dei singoli acquisirono un peso nettamente superiore rispetto alle iden- tità di status; le tradizionali aristocrazie vennero affiancate dalle nuove classi borghesi emer- genti nel settore del commercio, dell’industria, della finanza, della cultura, della scienza e dell’arte. Le nuove costituzioni liberali iniziarono a fare riferimento a una società di cittadini, uguali davanti alla legge. Ciò che li distingueva fra loro non era più la legge dello Stato, bensì il denaro e la cultura alla quale si poteva accedere, nella maggior parte dei casi, solo grazie al primo. Il capitale economico e quello culturale erano diventati gli elementi che distinguevano un individuo dal resto dei cittadini, elevandolo alla sfera dei ”migliori”, ”superiori”, ”élite”. La nuova struttura sociale post-rivoluzionaria mantenne però per lungo tempo la fisionomia dell’antica società cetuale; sebbene i titoli ereditari non rappresentassero più l’unico mezzo di ascesa sociale, essi erano sostituiti dalla superiorità effettiva acquisita in termini di potere. Le élites erano ormai “a combination of wealthy nobles and bourgeois and the neutral contempo- 94

Waldmann, Algunas observaciones y reflexiones..., p. 11 42

rary term ”notable” has come to be used widely to describe this element”.95 Il potere, quindi la ricchezza, ma anche l’autocoscienza e il riconoscimento sociale, determinavano l’identità del gruppo. Per il caso europeo, l’Ottocento rappresenta un periodo estremamente interessante per lo studio delle élites essendo questo un secolo di transizione fra la struttura sociale preesi- stente, l’Ancien Régime, e la nuova società di massa emersa con la Prima Guerra Mondiale. Nel corso di questo secolo le élites dovettero trovare una nuova collocazione all’interno della struttura sociale.96 Le risposte da parte dell’aristocrazia di fronte all’emergente borghesia so- no state diverse a seconda del paese e delle zone. Emergono a livello europeo nette differenze: alcune élites si dimostrarono più chiuse, altre più aperte, disposte a integrare fra i loro ranghi i nuovi ceti emergenti. In alcuni casi, come ad esempio le élites della provincia spagnola di Va- lencia, il processo d’integrazione-sostituzione delle antiche élites dominanti si compì gra- dualmente nel corso dell’Ottocento, poiché alla grave crisi della grande aristocrazia fondiaria corrispose la nascita di un nuovo gruppo emergente di stampo nobiliare-borghese che in alcu- ni casi arrivò, nel corso del secolo, a ottenere un titolo nobiliare.97

È quindi evidente che parlare di élite ha significato, per lungo tempo, parlare anche di nobiltà. Quest’ultima, pur non rappresentando più l’élite nella sua interezza, ne rappresentava una par- te importante. Perché un’élite possa essere parte della nobiltà deve avere due requisiti: uno status giuridico ”che confermi e materializzi la superiorità che essa pretende” e l’ereditarietà di tale status, ”salvo ammettere, a favore di alcune famiglie nuove, la possibilità di conquista- re l’accesso, ma in numero ristretto e secondo norme regolarmente stabilite”.98

Con il diffondersi dei valori della Rivoluzione Francese e con l'elaborazione dei nuovi codici, l'aristocrazia perse il diritto ai privilegi, i quali continuarono però, a questo punto, a essere ga- rantiti dal denaro e dal potere. La perdita del privilegio privava l'aristocrazia della sua funzio- ne politica; ciò che le rimase era il rango economico e il prestigio sociale che divenne oggetto di emulazione da parte delle nuove leve che aspiravano a condurre uno stile di vita pari a quello aristocratico.

Nel descrivere la società post-cetuale tardo ottocentesca italiana, Banti evidenza “l’assoluta inafferrabilità dei confini sociali”. Al posto della “nobiltà”, che non dovrebbe esistere in 95 Pamela M. Pilbeam, The Middle Classes in Europe 1789-1914:France, Germany, Italy and Russia, London: 1990, p. 10, citato in Aliberti, Formazione e ruolo delle élites…, p. 9

96Arno Mayer, nella sua opera “Il potere dell’Ancien Régime” ha infatti dimostrato come il rinnovamento dei ceti dirigenti non avvenga in genere attraverso una brusca rottura ma attraverso un lento processo di cooptazione. Egli dimostra come le nuove ”élites di funzioni” degli stati post-rivoluzionari mantengano una fortissima com- ponente nobiliare che porta spesso a far coincidere la vecchia aristocrazia con le nuove élites. Si evidenzia in questo modo che l’accesso ai ranghi superiori è stato a lungo controllato dall’aristocrazia tradizionale. Arno Mayer, Il potere dell’Ancien Régime, Bari: Laterza, 1994.

97 Aliberti, Formazione e ruolo delle élites…, p. 15,16 98

Marc Bloch, La società feudale, Torino; Einaudi, 1987, p. 323 43

quanto tale in una società post-cetuale, è possibile identificare un gruppo i cui componenti coincidono generalmente con le vecchie aristocrazie di proprietari, funzionari, militari e pro- fessionisti. Non possedendo più alcun privilegio giuridico, ad esse rimane un elemento di di- stinzione sociale che ricopre ancora un ruolo di fondamentale importanza: il titolo. 99

Seguendo l’esempio di Banti, è possibile individuare genericamente tre componenti sociali all’interno delle élites post-rivoluzionarie: i proprietari terrieri (capitale terra), i liberi profes- sionisti e funzionari (capitale training universitario), gli imprenditori (capitale attrezzature di produzione industriale). Nella sua analisi della realtà italiana post-cetuale, egli identifica que- sti tre gruppi utilizzando il termine “borghesia”.

Ci troviamo quindi di fronte a due contrapposizioni: élite-nobiltà, élite-borghesia. 100

Fra i numerosi sociologi che hanno studiato la figura del borghese, molto interessanti risulta- no gli idealtipi costruiti da Weber e Sombart. Essi sostengono che i borghesi, o capitalisti, siano sempre esistiti, sin dall’età preindustriale e in numerose civiltà, da quella babilonese a