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Αιϲχινη⟦ϲ⟧˙ : il medesimo errore, Ἀιϲχίνηϲ con aggiunta erronea di ϲ, figura in

Prospetto delle sigle in uso per la tradizione indiretta

6. Αιϲχινη⟦ϲ⟧˙ : il medesimo errore, Ἀιϲχίνηϲ con aggiunta erronea di ϲ, figura in

Sa. A una nuova collazione risulta che ϲ è stato eraso (dato segnalato nell’apparto di Fuhr,

ma non di Dilts). La parola è seguita da un punto alto. του̣[το : di υ, a ridosso della lacuna, sopravvive la metà sinistra. παν]τελ̣ωϲ : di λ si individuano le estremità sul rigo di base.

7. ευηθ[ε]ϲ̣ ε̣[ ̣ ̣ ̣ ̣ ̣ ̣ ̣] ̣ ̣αϲ ωηθηϲ : di ϲ, prima della lacuna, rimane l’estremità superiore, di ε la sommità e parte del tratto mediano. Dopo l’ampia lacuna, sull’altro frammento, si vede una traccia puntiforme sul rigo di base, seguita da un tratto dall’andamento curvo, concavo a destra, dubitativamente riferibile a ϲ; infine, si distingue la sequenza αϲ, eventualmente integrabile anche con α[ι]ϲ. I codici medievali riportano

la lezione εὔηθεϲ ᾠήθηϲ, in cui è palese la paronomasia, figura non frequente in

Demostene (e.g. anche in XXI.207 sul nome di Eubulo; cfr. GOODWIN 1901, p. 15). Sull’uso dell’assonanza nella prosa attica e su questo passo demostenico in particolare si veda DENNISTON 1952, pp. 124-139, specialmente p. 138. Gli editori principi pensano che qui possa esserci scritto εὔηθεϲ̣ ε̣[ἶναι νοµ]ίiϲ̣αϲ ᾠήθηϲ̣. L’integrazione riempierebbe la lacuna. KRAMER – HÜBNER 1976, p. 48 specificavano che qui poteva esserci una seconda forma verbale, interpolata per semplificare la costruzione. R. Merkelbach,

nell’edizione principe, propone exempli gratia ἐ[πετέχν]αϲαϲ˙ ᾠήθηϲ̣. Tale verbo

composto, tuttavia, non ha altre occorrenze nel corpus Demosthenicum. τουϲ : in Sa si

legge του.

8. τω[ν πεπρ]α̣γiµενωkν̣ : di α, a ridosso della lacuna, rimane la coda e parte dell’occhiello; di γ si distingue bene il punto di intersezione tra le aste; di ω si vedono il tratto sul rigo di base e la seconda ansa, di ν il tratto obliquo. Soltanto il papiro ha questa

141 lezione, mentre il resto della tradizione attesta in modo univoco τῶν πεπραγµένων καὶ πεπολιτευµένων; l’omoteleuto potrebbe essere all’origine di questo errore di copiatura.

Per la forma comune di amplificatio retorica, presente già al § 4 (καὶ πεποίηκα καὶ

πεπολίτευµαι), si veda GOODWIN 1901, p. 10 e p. 15; anche in questo caso, all’interno della coppia verbale, un verbo ha un significato generico, l’altro un significato più connotato. λ̣[ογου]ϲ̣ : di λ si vede il tratto discendente a destra, di ϲ, dopo la lacuna, la parte superiore della curva. α̣φiεν : di α si individuano il tratto discendente a destra e parte dell’occhiello,di φ l’anello e la base della verticale nell’interlinea inferiore.

9-10. τ̣α̣ϲ̣ λο[ιδορ]ιiαϲ παρα | [ϲου : di τ si vede parte dell’asta orizzontale; le tracce sono confuse in corrispondenza di α e ϲ; dopo la lacuna, di ι rimane la base. I manoscritti concordemente attestano τὰϲ λοιδορίαϲ τὰϲ παρὰ ϲοῦ. Questa omissione renderebbe il testo difettoso.

11. αλλ υ̣π̣ε̣ρ̣ µεν : di υ si vede il calice e parte della verticale, di π la metà destra; ε è quasi del tutto scomparso, se non fosse per alcune tracce del tratto orizzontale; di ρ rimane parte della verticale. Le lettere della sequenza αλλ υ̣π̣ερ µεν sono sopralineate, non con una linea continua, ma una a una; gli editori principi segnalavano solo µεν sopralineato; KRAMER – HÜBNER 1976, p. 48 parlavano di inspiegabili tracce di inchiostro. Poiché siamo alla fine di una colonna e l’espressione segna l’inizio di una nuova pericope testuale, possiamo pensare che la funzione di queste parole evidenziate fosse quella di reclamantes. Per questa pratica editoriale nei papiri si vedano BINGEN 1961, pp. 209-225; WEST 1963, pp. 314-315; SCHIRONI 2007, pp. 695-704; IRIGOIN 2009, p. 14. In tal caso, la fine della col. III potrebbe essere la fine del rotolo e il copista, avendo terminato lo spazio a disposizione, darebbe al lettore un rimando testuale con le lettere di apertura del nuovo periodo. Ma, se la fine della colonna III coincide con la fine

del rotolo sul verso, allora, in maniera speculare, il recto dovrebbe conservare l’incipit

del rotolo. Così evidentemente non è, poiché dall’osservazione delle tracce di scrittura, si

vede che il testo sul recto inizia riportando righi frammentari. Si può ipotizzare che il

copista, prima di vergare il verso, abbia tagliato una sezione di papiro da un rotolo più

grande, spezzando i righi con cui si apre la porzione superstite del recto. Questa ipotesi potrebbe essere supportata dal fatto che sul recto non si è conservato il margine inferiore e il testo è scritto anche su quella porzione papiracea che, sul verso, in corrispondenza,

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dimensioni dello specchio di scrittura di questa faccia e, conseguentemente, anche del

rotolo saranno state maggiori. È noto che l’uso dei reclamantes è comune nei papiri

omerici (e.g. P.Mil.Vogl. II 36280, P.Merton II 52281, P.Berol. inv. 16985282), ma compare

anche in un papiro della Ciropedia senofontea (P.Oxy. IV 698283).

Margine inferiore : nell’ampio spazio vacuo che si conserva alla fine della colonna, si vedono tracce di scrittura collocate sul bordo destro, lungo la linea di frattura. Queste

tracce non appartengono al verso, bensì al recto, poiché qui il margine è leggermente

ripiegato. Inoltre, sul bordo sinistro è possibile identificare altre due tracce. Qualora non si trattasse di macchie casuali, questi segni sarebbero stati vergati da una mano diversa e con un inchiostro diverso. In via del tutto ipotetica, sono identificabili con ]υ̣ιi, o con ]ϲ̣ιi.

280 MP3 815; LDAB 2290.

281 MP3 1033; LDAB 2265. 282 MP3 980; LDAB 2258.

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4. De Corona §§ 7-8

P.Oxy. III 461 sec. III-IV d.C. Prov.: Oxyrhynchus (Bahnasa).

Cons.: Cambridge (MA), Harvard University, Houghton Library, inv. SM 3745.

Edd.: GRENFELL – HUNT 1903, pp. 117-118; HAUSMANN 1978, nr. XIII, pp. 71-72. Tav.: http://pds.lib.harvard.edu/pds/view/7456394

Comm.: MP3 275; LDAB 713; PACK2 1965, nr. 275; BLASS 1906, p. 283; FUHR 1903,

p. 1481; JOHNSON 2004, pp. 168, 194, 232. Dimensioni: cm 5,5 x 7,5.

Il papiro è indicato con la sigla Pap.2 nell’edizione “Les Belles Lettres”, a cura di G.

MATHIEU, Parigi 1947 e con la sigla Π461nell’edizione “Oxford Classical Texts”, a

cura di M.R. DILTS, Oxford 2002.

Il testo demostenico è vergato lungo le fibre sul recto di un frammento di rotolo che misura cm 5,5 x 7,5. Il verso rimane non scritto.

Del testo di Demostene si conserva una colonna di testo, mutila a sinistra e nella parte inferiore; in origine doveva avere un’ampiezza di circa cm 6 (JOHNSON 2004, p. 168). Sopravvive una ridotta porzione del margine superiore; la sua ampiezza era certamente maggiore dei superstiti cm 0,9 (JOHNSON 2004, p. 194). Dell’intercolumnio destro sopravvive una porzione ampia circa cm 0,6.

Sono leggibili 14 righi, tutti mutili a sinistra. Stando alla ricostruzione degli editori principi, il numero delle lettere per rigo oscillerebbe tra 15 (rigo 12) e 20 (righi 3, 6), oppure 23 (cfr. nota 1). Non è possibile sapere se la Legge di Maas fosse rilevabile nella mise en page. Dall’osservazione del margine destro della colonna, si evince che lo scriba non ha praticato una giustificazione rigorosa dei righi, se non fosse per qualche isolato tentativo, come l’ingrandimento del ν finale al rigo 8, o il segno che indica la nasale al rigo 2.

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La maiuscola libraria ha un andamento sciolto e informale284. Gli editori principi

parlavano di una scrittura “written in rapidly formed sloping uncials” (GRENFELL – HUNT 1903, p. 117). L’asse delle lettere mostra una significativa inclinazione a destra. Tuttavia, l’angolo di inclinazione non è costante, ma varia a seconda delle lettere. I tratti sono spessi e prevalgono linee morbide e arrotondate; talvolta, è percepibile un leggero contrasto tra pieni e filetti tra i sottili tratti orizzontali e discendenti a destra (e.g. κ rigo 5, ε rigo 6, π rigo 3) e gli spessi tratti verticali (e.g. τ rigo 5, ε rigo 4). Il contrasto modulare è visibile nell’alternanza tra caratteri più stretti e inscrivibili in un rettangolo con il lato corto sul rigo di base (e.g. ε, ϲ, ma non θ, ο) e caratteri larghi inscrivibili in un rettangolo con il lato lungo sul rigo di base (e.g. δ, µ, η, ν). Non ci sono legature e rare sono le pseudo-legature (e.g. rigo 11 οι). Fra i caratteri, si segnalano in particolare i seguenti: α talvolta ha una configurazione angolosa (e.g. rigo 8), altre volte fonde il primo e il secondo tratto in un solo occhiello con la trasversale discendente a destra molto verticalizzata (e.g. rigo 5); ε, simile per realizzazione allo Stile Severo, fonde in un unico tratto i trattini superiore e inferiore, riducendone l’estensione, e prolunga vistosamente il tratto mediano (e.g. rigo 4); ν è disegnato a volte in un unico tempo, con un tratteggio molto morbido (e.g. rigo 2), altre volte con una linea spezzata (e.g. rigo 1), in altri casi in due tempi (e.g. rigo 12); ο è di modulo non inferiore alle altre lettere e, inclinato a destra, presenta un singolare trattino di prolungamento, che non arriva a toccare la lettera che segue (e.g. rigo 2); π può avere la seconda verticale più corta e il tratto orizzontale di spessore ridotto e con una minima concavità verso l’alto (e.g. rigo 3); υ è tracciato in un unico tempo e, a volte, mostra un occhiello nel punto in cui il calamo risale per tracciare la seconda trasversale (e.g. rigo 2); talvolta, invece, mostra un breve tratto verticale (e.g. rigo 6); in ω il tratto di congiunzione tra le due curve arriva a toccare il rigo superiore (e.g. rigo 2). Secondo gli editori principi, la scrittura è collocabile più nel III sec. d.C., che non alla fine del II. Mancano raffronti davvero significativi. Tuttavia, a seguito del riesame paleografico del reperto, sembra forse preferibile attribuire il frammento a cavallo tra il III e il IV sec. d.C.

Nel testo mancano spiriti e accenti. Sono in uso correzioni e aggiunte interlineari, attribuibili alla prima mano (rigo 8 εαυτον, rigo 9 οµ]οιον e κοι]ν̣ον). Lo scriba, inoltre, si serve del convenzionale trattino orizzontale, per indicare la nasale alla fine del rigo 2.

145 Ci sono due occorrenze di punto alto (rigo 7 e rigo 12). I segni sono stati apposti forse in scribendo dalla prima mano.

Vediamo ora l’apporto del P.Oxy. III 461 per la critica testuale. Il papiro in tre casi concorda in lezione genuina con una parte dei codici medievali: al rigo 1 attesta ει,

omesso in Ya; al rigo 6 του λεγον|[τοϲ υϲ]τερου è in accordo con ScAY, contro SaF che

hanno ὕϲτερον; al rigo 13 attesta βιου, omesso in Aa.

In un caso, invece, riporta una lezione deteriore, condivisa da una parte della tradizione: ai righi 4-5 διαφυ|[λαττ]ωkν concorda con AFY, contro S che ha φυλάττων e contro Syr. 2.22.15 Rabe che attesta ἐννοῶν.

In un caso propone una lezione singolare, senza riscontri in altri testimoni (righi 2-3 υµων | [εκαϲτ]οϲ).

Infine, in un caso c’è sicuramente un errore: rigo 7 π̣ροϲδεξ̣̣αιiτ̣̣ο, contro i principali codici che hanno προϲδέξεται.

Il § 8 è attestato anche da P.Köln I 15 (3). margine § 7 παρελθ]ε̣ιν ει ̣ ̣ των] διiκ̣̣α̣̣ζοντων υµω͞ εκαϲτ]οϲ την προϲ τουϲ θε ουϲ ευ]ϲεβειαν διαφυ λαττ]ωkν και τα τ̣̣ο̣̣υ̣̣ λεγον 5 τοϲ υϲ]τερου δικαια ευνο ικωϲ] π̣̣ροϲδεξ̣̣αιiτ̣̣ο˙ και ε παραϲ]χων αυτον̣ ιϲον ] ̣ο̣̣ν και ̣̣ ̣̣] ̣̣ιον αµφοτεροιϲ ακροατ]ην ουτω την δια̣̣ 10 γνωϲιϲ] ποιηϲε[τ]αι περι § 8 απαντω]ν˙ µελλωkν δε του τε ιδιο]υ βιου π̣̣α̣̣ντοϲ

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ωϲ εοικ]ε̣ λ̣[ο]γi[ον __ __ __ __ __

1. ει ̣ ̣: la prima traccia è costituita da un puntino alto sul bordo della lacuna. A