• Non ci sono risultati.

ϊϲχουν [ουτωϲ : questa sembrerebbe essere la lezione del papiro; i codici, invece, concordemente attestano οὕτωϲ ἴϲχουν Nel corpus Demosthenicum οὕτωϲ e ὥϲτε

Prospetto delle sigle in uso per la tradizione indiretta

18. ϊϲχουν [ουτωϲ : questa sembrerebbe essere la lezione del papiro; i codici, invece, concordemente attestano οὕτωϲ ἴϲχουν Nel corpus Demosthenicum οὕτωϲ e ὥϲτε

ricorrono l’uno di seguito all’altro soltanto in otto casi (Dem. IX.56, XVIII.136, XIX.337,

XXI.71, XXI.158, XXIII.120, LIV.41, Epistola III.30) e sempre con il verbo della

consecutiva all’infinito; è invece più comune trovarli separati. In definitiva, sembra preferibile conservare la lezione tràdita dai codici medievali.

19. [ωϲτε α]νελειν : è possibile anche l’integrazione [ωϲτ α]νελειν.

22-23. και παρα τουτο[ιϲ ̣ ̣ ̣ ̣] | [ ̣ ̣ ̣ ̣ ̣ ̣ ]ιϲ και ταραχηι : και παρα τουτο[ιϲ ̣ ̣ ̣ ̣] | [ ̣ ̣ ̣ ερι]ϲ και ταραχηι G.-H. : questi due righi riportano una situazione testuale singolare e paradigmatica. Il papiro contiene una variante più breve rispetto alla tradizione manoscritta. Ecco la situazione che presentano i codici medievali:

SaAFγρ hanno καὶ παρὰ τούτοιϲ καὶ παρὰ τοῖϲ ἄλλοιϲ ἅπαϲιν ἔριϲ καὶ ταραχή;

Sc attesta καὶ παρὰ τούτοιϲ καὶ παρὰ τοῖϲ ἄλλοιϲ ἅπαϲιν Ἕλληϲι ἔριϲ καὶ ταραχή,

con Ἕλληϲι aggiunto nel margine superiore, forse da una seconda mano;

FQYO hanno καὶ παρὰ τούτοιϲ καὶ τοῖϲ ἄλλοιϲ ἅπαϲιν Ἕλληϲι ἔριϲ καὶ ταραχή, con

omissione del secondo παρὰ293.

Evidentemente, il nostro testimone papiraceo conteneva una lezione più breve rispetto a quella dei codici, dato che nel margine destro del rigo 22 possono essere cadute massimo sei lettere, nel margine sinistro del rigo 23 massimo sette. Perciò, se consideriamo che al rigo 22 avremo certamente in lacuna la terminazione ιϲ di τούτοιϲ e che la traccia minima all’inizio del rigo 23 può essere identificata con ι, in lacuna rimarrà uno spazio complessivo per massimo dieci o undici lettere, contro un minimo di 27 lettere

293 La ripetizione di παρὰ sembra essere funzionale, poiché contribuisce a creare un parallelismo tra i due

κῶλα, che presentano lo stesso ritmo (dattilo+spondeo). Cfr. COOPER – KRÜGER 1998, 68.1.0.F-G; RONNET 1951, pp. 55-63; sui problemi concernenti il ritmo nei testi in prosa cfr. NORDEN 1986, p. 918, ma anche p. 957 n. 86

156

mancanti. La ricostruzione del testo caduto in lacuna dovrà quindi tener conto dell’eventualità che il papiro attestasse già un testo mutilo, brachilogico o comunque difettoso. Inoltre, nel margine inferiore, una mano identificabile con quella del copista stesso, ha apposto in una scrittura corsiveggiante un’integrazione testuale, di sicuro riferita a questo passo. Si distingue la sequenza ]λληϲι, ovvero Ε]λληϲι. Quanto ci fosse scritto prima di Ε]λληϲι può essere soltanto oggetto di congetture. Dopo Ε]λληϲι si vede una sequenza testuale di dubbia interpretazione.

Grenfell e Hunt interpretavano la sequenza come α̣ν̣ωk. Infatti, la prima lettera era

identificata con α, eseguito in un solo tempo, nella forma “a punta di lancia”, con i primi due tratti obliqui prolungati in basso a sinistra. Il secondo segno è identificabile con ν, ma risulta strano l’ispessimento di inchiostro in alto a sinistra, tra il primo tratto e l’asta discendente verso destra. Il terzo segno, infine, può essere interpretato come ω, con le anse schiacciate e leggermente sovrapposto rispetto al rigo di base. Gli editori principi

ritenevano, quindi, che nel margine inferiore si potesse leggere Ε]λληϲι α̣ν̣ωk. A testo,

invece, proponevano le integrazioni τουτο[ιϲ και πα]|[ϲιν ερι]ϲ, oppure τουτο[ιϲ απα]|[ϲιν ερι]ϲ, con un errore causato dall’omoteleuto tra τούτοιϲ e ἄλλοιϲ. In corrispondenza dei righi 22-23, nel margine sinistro avremmo trovato un’ancora e nel margine destro la

sigla294 κατω. Anche Grenfell e Hunt specificavano che non era possibile sapere cosa fosse

scritto prima di Ε]λληϲι. Tuttavia, nella loro ricostruzione, questo intervento correttivo sembrerebbe integrare il solo sostantivo Ε]λληϲι, dopo απαϲιν, caduto in lacuna nel testo.

294 L’uso di questi segni integrativi non è molto diffuso. Qualche riferimento si può trovare in LOWE 1946,

pp. 36-79, TURNER 1971, p. 18, McNAMEE 1981, pp. 8, 48-49. Le sigle ανω e κατω sono complementari: ανω, apposto nel margine destro in corrispondenza di un rigo, rimanda alla nota integrativa aggiunta nel margine superiore e corredata dalla sigla κατω. Viceversa, se κατω è apposto in corrispondenza di un rigo, fa riferimento a una nota presente nel margine inferiore, corredata dalla sigla ανω. Normalmente, la sigla è apposta alla fine della nota integrativa, spesso in una scrittura dall’andamento corsiveggiante, con ω sopraelevato rispetto al rigo di base. In corrispondenza del rigo in questione, se in un margine laterale è inserita la sigla integrativa ανω o κατω (di solito nel margine destro), nell’altro c’è un’ancora, riportata poi anche in corrispondenza dell’aggiunta testuale. Gli esempi presi in analisi (P.Oxy. VI 852, P.Oxy. XI 1358, P.Oxy. X 1232, P.Berol. inv. 9782, PSI VII 846, P.Oxy. XXII 2313, P.Oxy. III 545, P.Tebt. I 4, P.Oxy. IX 1174, P.Oxy. XXXIII 2654, P.Lond.Lit. 96, P.Lond.Lit. 131) permettono di avanzare qualche considerazione generale. Questi segni sono più diffusi nei testi in poesia e il loro uso sembra essere sporadico nei testi in prosa. Gli unici due esemplari di cui abbiamo notizia in cui ricorrono in testi prosastici sono P.Lond.Lit. 131, Isocr. De pace (coll. XXXIV, XXXIX, XL) e l’anonimo commentario al Teeteto

platonico (P.Berol. inv. 9782, coll. IX, XXXIX, LXIII). In tutti i casi osservati, nei quali la variante marginale sia ancora leggibile, si vede che l’integrazione apposta ha una certa lunghezza, tale da giustificare l’ipotesi dell’omissione di un intero rigo nella copia dall’antigrafo. Così facendo, anche il reinserimento della linea di testo mancante risulta essere più agevole, perché si colloca tra due righi e non all’interno di uno di essi. Unica parziale eccezione è rappresentata da P.Berol. inv. 9782, dove la sigla κατω non è apposta nel margine, ma è singolarmente inserita nell’interlinea dopo la prima parola, a indicare che la sequenza in nota va aggiunta proprio in quel punto; su queste note, cfr. BASTIANINI – SADLEY 1995, p. 243.

157 Da questo quadro emergerebbe un singolare caso di accordo in errore tra il nostro testimone papiraceo e il cod. S, dove pure soltanto Ε]λληϲι è riportato nel margine

superiore295. Rimangono però alcuni dubbi: la notazione integrativa con le sigle ανω e

κατω indica il punto della colonna in cui è necessario reinserire una parola, ma non si

capisce come possa indicare l’esatto punto nel rigo in cui quella parola andrebbe integrata. In secondo luogo, sarebbe notevole che il copista abbia avuto la premura di inserire un’integrazione testuale nel margine, senza percepire che il testo dei righi 22-23 risultasse quasi certamente difettoso, se non incomprensibile. In terzo luogo, se davvero l’intervento correttivo fosse limitato a una sola parola, sarebbe stato più logico che questa fosse inserita nell’interlinea, o al massimo nel margine laterale, piuttosto che nel margine inferiore.

Si propone, quindi, un’altra ipotesi di lettura. La sequenza testuale che segue ]λληϲι può essere interpretata in questo modo: la prima traccia è identificabile con ε, di cui rimane la stretta curva superiore, con l’estremità elegantemente ripiegata sul punto d’attacco del trattino mediano, di cui pure si vedono alcune tracce; sarebbe invece scomparsa la metà inferiore della lettera. La seconda traccia può essere letta come ρ, cui seguirebbe ι; a un esame attento del papiro si vede che le due lettere sono separate e che l’illusione di continuità è frutto di un danno materiale del supporto. Si distingue, infine, la parte superiore di ϲ, la cui metà inferiore è scomparsa; questa lettera è sormontata da altre tracce di inchiostro, forse casuali o frutto di un prolungamento accidentale della lettera. Nel margine inferiore potremmo quindi leggere Ε]λληϲι ε̣ρ̣ιiϲ̣. Se così fosse, potremmo pensare che qui fosse presente una sequenza testuale più lunga, erroneamente

omessa nel testo. Se si considera la sequenza più completa, tràdita da Sc, emerge che il

totale delle lettere mancanti nel testo è superiore allo spazio disponibile in lacuna. Questo dimostra che lo scriba, copiando dall’antigrafo, avrebbe saltato un rigo. Tuttavia, poiché il numero delle lettere mancanti è inferiore alla somma dello spazio da colmare nelle lacune (circa 11 lettere) e della media delle lettere presenti in un rigo (26, min: 24, max: 28), se ne deduce che l’antigrafo doveva avere linee di scrittura di lunghezza inferiore

rispetto al nostro specimen296. Questo aspetto non costituisce un ostacolo, visto che il

295 La nota nel margine superiore del cod. S non può essere attribuita con certezza alla prima mano, vista la

forma singolare di ε; è certo, tuttavia, che non appartiene a Giovanni Camatero (XIII sec.).

296 Dai dati statistici presentati da JOHNSON 2004, pp. 162-174, emerge la seguente situazione: dei 72

158

nostro scriba non sta trascrivendo il testo linea per linea dall’antigrafo297. Un successivo

intervento correttivo avrebbe riportato il rigo omesso nel margine inferiore. Si possono valutare diverse soluzioni per il restauro delle lacune, che però rimangono tutte ipotetiche. Segnaliamo quella che sembra più probante. Nel margine inferiore avremmo avuto αλλοιϲ απαϲιν ε]λληϲι ε̣ρ̣ιiϲ̣, laddove nel testo avremmo avuto ην ακρι]τοϲ και παρα τουτο[ιϲ και] | [παρα το]ιϲ και ταραχηι. Nell’antigrafo, con una lunghezza media dei righi di 22 lettere, avremmo avuto questa partizione: και | παρα τουτοιϲ και παρα τοιϲ | αλλοιϲ απαϲιν ελληϲι εριϲ | και ταραχηι. Il copista avrebbe commesso dunque un salto, ingannato

dall’omoteleuto tra τοιϲ e εριϲ298. In conclusione, l’idea che un intero rigo fosse stato

omesso, potrebbe avere il vantaggio di spiegare la versione testuale più breve rispetto ai codici medievali, con un banale errore meccanico nella copia dall’antigrafo. Queste considerazioni portano a escludere la reale possibilità di un accordo in errore tra il P.Oxy. IV 700 e il cod. S. Inoltre, se tale ricostruzione è corretta, il papiro testimonierebbe una tradizione testuale antica in cui Ἕλληϲι è a testo. Questo dovrebbe indurre a una maggiore cautela, nel valutare l’espunzione del sostantivo. Se infatti i critici hanno evocato i

principi della lectio difficilior e della lectio brevior per giustificare l’espunzione di

Ἕλληϲι, in ossequio al codex optimus S, il singolare caso offerto da questo papiro induce a chiedersi se l’omissione di Ἕλληϲι non possa essere anche lì un banale errore meccanico di copiatura. Tra gli editori moderni, soltanto Voemel accoglie Ἕλληϲι nel testo, sulla base di una suggestione del Reiske, per cui qui avremmo avuto una chiara

antitesi tra Filippo e i Greci299. Sarà poi importante notare che l’espressione τοῖϲ ἄλλοιϲ

hanno un numero di lettere per rigo superiore a quello del nostro testimone (P.Oxy. VI 882, P.Oxy. XLIX 3444, P.Oxy. LVI 3848, P.Lond.Lit. 130, P.Berol. inv. 21284 + P.Berol. inv. 16895, P.Vindob.Gr. inv. 2316). Tra questi, soltanto 4 sono databili anteriormente al III sec. d.C. (P.Oxy. VI 882, P.Oxy. XLIX 3444, P.Lond.Lit. 130, P.Berol. inv. 21284 + P.Berol. inv. 1689), di cui 3 contengono orazioni demosteniche (P.Oxy. VI 882, P.Lond.Lit. 130, P.Berol. inv. 21284 + P.Berol. inv. 1689).

297 Se così fosse stato, per rimanere fedele all’antigrafo, al rigo 4 avrebbe scritto la lezione corretta

ϋπαρχο[ντα nell’interlinea superiore, in corrispondenza di ⟦παροντα⟧ cancellato e non di seguito nel rigo (cfr. JOHNSON 2004, pp. 43-44).

298 La soluzione prospettata è solo una di quelle possibili, se si legge εριϲ nel margine inferiore. Se invece

si volesse continuare a leggere ανω dopo Ε]λληϲι, si potrebbe prospettare ancora un’altra ipotesi: nel

margine inferiore era riportato il rigo omesso, di cui si legge solo la parola finale Ε]λληϲι, con l’aggiunta della sigla α̣ν̣ωk. La sequenza omessa sarebbe stata τοιϲ αλλοιϲ απαϲιν Ε]λληϲι, laddove a testo avremmo avuto και παρα τουτο[ιϲ και] | [παρα ερ]ιϲ και ταραχηι. L’antigrafo, con circa 22 lettere per rigo, avrebbe avuto invece: και παρα τουτοιϲ και παρα | τοιϲ αλλοιϲ απαϲιν Ελληϲι | εριϲ και ταραχη.

299 Cfr. VOEMEL 1862, p. 32 n. 22; sull’aggiunta di Ἕλληϲιν e sul problema dello iato cfr. BENSELER

1841, pp. 75-76. Sulla ripetizione degli stessi suoni finali in una sequenza di parole cfr. DENNISTON 1954, pp. 124-125, 135. Tutta l’espressione τιϲ ἦν ἄκριτοϲ καὶ παρὰ τούτοιϲ καὶ παρὰ τοῖϲ ἄλλοιϲ ἅπαϲιν Ἕλληϲιν ἔριϲ καὶ ταραχή costituisce uno dei rari esempi in Demostene di iperbato ad accentuazione ascendente (cfr. RONNET 1951, p. 45).

159 ἅπαϲιν Ἕλληϲιν ritorna anche nell’Epistola demostenica 1.2 e che questo passo emula la celebre chiusa del racconto storico di Senofonte (Xen.Hell. 7.5: ἀκριϲία δὲ καὶ ταραχὴ

ἔτι πλείων µετὰ τὴν µάχην ἐγένετο ἢ πρόϲθεν ἐν τῇ Ἑλλάδι)300.

23. ταραχηι : l’errore ortografico deve essere corretto in ταραχη. L’aggiunta di