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Lo scriba aveva scritto τουτονει; una mano non precisabile ha corretto l’errore cancellando ε con una barra obliqua Per questo tipo di grafia si veda GIGNAC 1976, p.

Prospetto delle sigle in uso per la tradizione indiretta

3. Lo scriba aveva scritto τουτονει; una mano non precisabile ha corretto l’errore cancellando ε con una barra obliqua Per questo tipo di grafia si veda GIGNAC 1976, p.

190.

13. ε̣µ̣ο̣ι : di ε, a ridosso della lacuna, rimangono tracce della parte bassa della curva; di µ sopravvive solo la metà sinistra, cui segue, vicino la lacuna, quasi sul rigo di base, una traccia puntiforme che probabilmente è parte di ο. La lezione del papiro ε̣µ̣ο̣ι è concorde con i codd. SAFYQ ed è attestata per tradizione indiretta da Hermog. 361.13,

420.7 Rabe. La variante ἐγὼ, forse deteriore, è invece riportata da FcYγρ, e per tradizione

indiretta da Tib.Fig. 10.3 Ballaria, Caecil. 37.3 Ofenloch, Demetr.Eloc. 52.28 Radermacher. Bekker stampava a testo ἐµοὶ, seguito da Voemel, Weil, Fuhr, Dilts; Blass stampava ἐγὼ.

275 P.Oxy. III 412 contiene la parte finale del libro ottavo dei Κεϲτοί di Giulio Africano. Sopravvivono due

colonne che riportano rispettivamente i numerali λε λϛ, ovvero 35 e 36. Saranno cadute in lacuna 34 colonne.

276 PSI XII 1284 riporta un frammento di un’anonima Storia dei Diadochi. La colonna di testo che

sopravvive riporta il numerale πβ, ovvero 82. Ben 81 colonne sono quindi cadute in lacuna. Sommando la larghezza media delle colonne e dell’interlinea, si evince che prima della colonna 82 è caduta in lacuna una porzione di rotolo di circa m 6,48. Ci si chiede, quindi, se le colonne cadute in lacuna fossero su un unico rotolo, oppure se fossero distribuite con numerazione progressiva su più volumina (2?).

131 13-14. βου]|λοµαι δ̣ε̣ : la lettura è estremamente problematica, poiché in questo punto il papiro ha una lacuna ed è macchiato. Si vede la parte superiore di δ; dopo la lacuna c’è un tratto verticale a metà del rigo, che mostra dei piccoli prolungamenti a destra, a livello mediano e in basso; di ε rimangono tracce confuse. Viste le macchie presenti sul supporto, non è escluso che anche qui ci fosse una cancellatura e un intervento

correttivo. La lezione βου]|λοµαι δ̣ε̣ è tràdita dai codd. ScAFYγρQe per tradizione indiretta

da Hermog. 361.13 Rabe, Syr.Soptr.Marcell. 1.39.10 Walz, Hdn.De Figuris 3.95.12 Spengel, Prisc. 340.5 Hertz, Ios.Rhac. 3.504.4 Walz, Greg.Cor. 7.1185.2 Walz. Il

solo βούλοµαι è attestato nei codd. SFmg. Wankel ritiene che δὲ non possa collocarsi in

questa frase in aposiopesi. Per lo studioso, la variante sarebbe molto antica poiché anche Cassio Dione la imiterebbe in XLIV.23.4 (δυϲχερὲϲ δ' οὐδὲν ἀρχόµενοϲ τῶν λόγων εἰπεῖν βούλοµαι); tuttavia, anche ammesso che si possa parlare di processo imitativo nello storico romano, bisogna specificare che la posizione di βούλοµαι è sintatticamente differente e non ammette a prescindere la particella δὲ.

14. ] δ̣υϲ̣χ(vac.)ε|ρεϲ : di δ si vede l’angolo inferiore destro a ridosso della lacuna; di ϲ sopravvive la parte più alta della curva. Singolare lo spazio vacuo che separa χ da ε. Si potrebbe pensare a un difetto materiale del supporto, in corrispondenza del quale lo scriba evita di scrivere. Infatti, questo rigo ha solo 12 lettere, contro un minimo di 14 attestato nelle altre linee di scrittura.

15. ου̣δ̣εν̣ ειπειν̣ : di υ resta solo una traccia puntiforme alta sul rigo a ridosso della lacuna, terminazione del trattino sinistro; di δ si vedono le tracce dei due vertici sul rigo di base, con il leggero prolungamento a destra del tratto orizzontale; di ν si vede, a ridosso della lacuna, una traccia alta sul rigo, forse parte della prima verticale. La lezione del papiro è presente anche nei codd. ALVz e, per quanto riguarda la tradizione indiretta, in Demetr.Eloc. 52.28 Radermacher, Hermog. 361.13 Rabe, Syr.Soptr.Marcell. 1.39.10 Walz, Hdn.De Figuris 3.95.12 Spengel. Al contrario, εἰπεῖν οὐδὲν è lezione attestata dai

codd. SFYcQ e per tradizione indiretta da Hermog. 420,7 Rabe; in questo caso, l’ordo

verborum è forse preferibile. Il solo οὐδὲν è omesso dai codd. FcQc e, nella tradizione

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3. De Corona §§ 6, 8-9, 10-11

P.Köln I 15 sec. II d.C. Prov.: sconosciuta.

Cons.: Köln, Institut für Altertumskunde, Papyrussammlung inv. P. 25 verso.

Edd.: HENRICHS – KOENEN 1968, pp. 113-123; KRAMER – HÜBNER 1976, pp. 45- 48.

Tav.:

http://www.uni-koeln.de/phil-fak/ifa/NRWakademie/papyrologie/Karte/I_015.html

Comm.: MP3 274.2; LDAB 649; GRONEWALD 1991, p. 10.

Dimensioni: fr. a cm 7,5 x 7; fr. b cm 12 x 10.

Il papiro è indicato con la sigla Π15nell’edizione “Oxford Classical Texts”, a cura di

M.R. DILTS, Oxford 2002.

Il testo demostenico è vergato contro le fibre sul verso di due frammenti papiracei provenienti da un rotolo. Il fr. a misura cm 7,5 x 7 e conserva la parte terminale di 5 righi della col. I, cui seguono 11 righi della col. II. Il fr. b misura cm 12 x 10 e riporta la parte finale degli ultimi 6 righi leggibili della col. II e 11 righi della col. III. Si noti come gli

editori principi leggessero la parte iniziale dei righi 10-15 della colonna II277;

nell’immagine a nostra disposizione questa porzione del supporto papiraceo non è più presente. I curatori non sono in grado di precisare quando sia avvenuto questo danno materiale; certamente, però, sarebbe precedente alla digitalizzazione dei papiri della collezione di Colonia, avvenuta all’incirca nel 2000. Il supporto rimane visibile nella sua interezza in una fotografia in negativo degli anni ‘70, la cui qualità non permette di leggere agevolmente il testo. Non si distinguono κολλήϲειϲ.

Si conserva parte del margine inferiore in corrispondenza del fr. b, per un’ampiezza massima di cm 2,8. In questo spazio vacuo, sul bordo destro, lungo la linea di frattura, si distinguono bene tre tracce di inchiostro, appartenenti a lettere vergate

133 sull’altra faccia del supporto (cfr. nota Margine inferiore). La scrittura parallela alle fibre

del recto riporta esigui resti di un testo documentario, in cui si distinguono dei nomi

propri. Il supporto non è stato capovolto, poiché i due testi mantengono l’alto nella medesima direzione.

Sul verso, tra l’ultima riga della col. II e la prima della col. III è caduta una

porzione di testo distribuibile su 18/19 linee. Questo permette di affermare che ogni colonna doveva essere costituita da 27/28 linee di scrittura e che doveva avere un’altezza di cm 23 e un’ampiezza di cm 7. Sulla base di questi dati si può stimare che, prima dei frammenti superstiti, ci fossero altre due colonne intere, più una metà che sovrastava la porzione conservata della col. I, contenenti l’incipit del De Corona fino al § 6. Pertanto, la prima colonna conservata, era la terza nel rotolo completo. L’intercolumnio è ampio circa cm 2. Il numero delle lettere per ogni rigo è molto variabile, con una media di 26 caratteri (max. col.I.5: 30 caratteri; min. col.III.1 e col.III.4: 22 caratteri). Sulla base dei dati evidenziati, si può stimare che il rotolo, originariamente, doveva essere alto più di cm 25,8 e lungo circa m 14,40, con un totale circa 160 colonne.

Sembra verosimile credere che l’allineamento delle colonne risentisse della Legge di Maas.

La scrittura del verso corre contro le fibre ed è riconducibile al filone delle

scritture rotonde unimodulari del II sec. d.C. Il ductus è sciolto e informale. Non c’è

contrasto modulare o gusto chiaroscurale. L’asse della scrittura è incostante: normalmente è perpendicolare al rigo di base, ma non mancano casi in cui le lettere mostrano una leggera inclinazione a sinistra (e.g. π col.III.2), o a destra (e.g. τ col.III.4). Le lettere hanno un tratteggio veloce e poco curato. Si notino alcuni esempi: α è composto da un tratto obliquo discendente a destra e da un piccolo occhiello sospeso a sinistra (e.g. col.II.2); δ e λ talvolta curvano l’estremità superiore della discendente verso destra in un piccolo svolazzo (e.g. col.III.1, col.III.6); ε è composto da una curva aperta a destra e da un tratto mediano non congiunto e vistosamente prolungato, a formare spesso pseudo- legature (e.g. col.III.4); η può avere un tratto di attacco a sinistra (e.g. col.III.5); κ ha i tratti obliqui “a tenaglia” e separati dall’asta verticale (e.g. col.III.5); µ ha i tratti intermedi uniti in un’unica curva che scende sul rigo di base (e.g. col.II.13); la prima asta di ν termina con un uncino, a volte orientato a destra (e.g. col.III.4), a volte a sinistra (e.g. col.III.5); la seconda verticale di π è realizzata con un tratto curvilineo che, a volte, si

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congiunge alla lettera successiva (e.g. col.III.4); l’asta di ρ è molto sviluppata (e.g. col.III.8) e, a volte, termina con un breve uncino orientato a destra (e.g. col.II.3); φ è tracciato in un unico tempo e ha un’asta molto prolungata che termina con un ripiegamento a destra (e.g. col.II.6); υ presenta un piccolo calice che si congiunge a una verticale curvilinea concava a destra (e.g. col.II.5). Il prolungamento di tratti orizzontali o discendenti verso destra dà origine spesso a pseudo-legature. Le apicature, quando presenti (e.g. ρ col.III.4), sono dovute al ductus rapido, piuttosto che a un vero gusto ornamentale. Gli editori propongono, come termine di confronto, le scritture del

commento al Teeteto platonico (BKT II 9782278 = P.Berol. inv. 9782 = CPF III 9) e di un

papiro di Iperide (P.Lond.Lit. 132279). Per CRISCI – DEGNI 2011, pp. 70-71, queste

scritture sarebbero state utilizzate «per vergare rotoli di livello medio o medio-basso, spesso concepiti come strumenti di studio o di lavoro intellettuale [...]». Su questa scrittura cfr. anche CAVALLO 2008, pp. 93-95.

Nel frammento si fa uso del punto alto (col.I.2; col.II.2, 13; col.III.1, 4, 5, 6). In

corrispondenza di col.II.2, col.III.1 e col.III.5 è possibile identificare una paragraphos,

sempre accompagnata dal punto alto inserito nel rigo precedente, a indicare una pausa forte alla fine di un periodo. Inoltre, è peculiare il segno posto a fine rigo alla col.III.5: un tratto orizzontale sospeso è accompagnato da un marcato puntino sul rigo di base. Gli

editori principi, probabilmente combinando le tracce, pensavano che fosse una diplé.

Mancano accenti o altri segni di interpunzione; l’elisione non è segnalata (col.III.1, col.III.6, 11). In tre casi si trova scriptio plena (col.II.10, col.III.1, 3). Per quanto riguarda l’ortografia, si noti la mancanza di ι nella parola ωηθηϲ.

In un caso (col.III.6), lo scriba cancella con un breve tratto obliquo una lettera scritta erroneamente.

Molto interessante è osservare la notazione in cui sono espresse le ultime parole della col. III: la sequenza αλλ υ̣π̣ερ µεν (§ 11) è sopralineata (cfr. nota 11).

Gli editori principi ritenevano che il papiro non avesse un’importanza sostanziale per la storia della tradizione demostenica (cfr. HENRICHS – KOENEN, p. 113). In realtà, questo reperto presenta diversi elementi interessanti. In quattro casi il papiro mostra un accordo in lezione genuina con codici medievali: τουϲ θ̣ε̣ο̣υ̣ϲ concorda con AFYQ contro

278 MP3 1393; LDAB 3764; a riguardo si veda SEIDER 1970, pp. 111-113; riproduzioni disponibili su

BerlPap.

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S, che omette il sintagma (col.II.5); πρ]ωkτον̣ ε̣[ι]|[πειν concorda con AFYQ contro Sa, che

ha εἰπεῖν πρῶτον (col.II.15).

In due casi, invece, concorda con quel ramo della tradizione che contiene una

lezione deteriore: sembra omettere παρ’ ὑµῶν in accordo con Sa (c.II.1); προτερον

γεγiε̣ν̣ηµενωkν concorda con AcFYQVz, laddove γεγενηµένων è omesso da SAaLa

(col.III.4).

In cinque casi mostra delle lezioni singolari, di cui tre sembrano essere frutto di errori: col.II.12 αναλωκε, contro ἀνήλωκε della maggior parte dei codd. e ἀνήλωκεν tràdito dal cod. S; col.III.8 τω[ν πεπρ]α̣γiµενωkν̣, contro τῶν πεπραγµένων καὶ πεπολιτευµένων dei codici; col.III.9-10 τ]α̣ϲ̣ λο[ιδορ]ιiα̣ϲ παρα | [ϲου, contro la lezione tràdita τὰϲ λοιδορίαϲ τὰϲ παρὰ ϲοῦ.

Il papiro attesta una lezione equivalente: col.II.7 εγεγραπτ̣ο̣, contro ἐδίωκε dei codici.

Rimane problematica da leggere la variante alla col.III.7, certamente più lunga rispetto a quella dei codici: ευηθ[ε]ϲ̣ ε̣[ ̣ ̣ ̣ ̣ ̣ ̣ ̣] ̣ ̣αϲ ωηθηϲ̣.

Infine, c’è un caso isolato di accordo in lezione deteriore con Sa: col.III.6

Αιϲχινη⟦ϲ⟧.

Il § 8 è riportato anche da P.Oxy. III 461 (4).

Col. I __ __ __ __ __ __ __ __ __ § 6 απολογουµ]ε̣ν̣[ου δικαιωϲ ωϲπερ οι νοµοι κελευο]υ̣ϲιν˙ ουϲ ο τιθειϲ εξ αρχηϲ Σολων ε]υ̣ν̣ο̣υ̣ϲ ων υµιν και δηµοτικοϲ ου µ]ονον τωι γραψαι κυριοϲ ωιετο δειν ει]ν̣α̣ιi 5 __ __ __ __ __ __ __ __ __ Col. IΙ __ __ __ __ __ __ __ __ __

136 [τοϲαυ] § 8 την υ]π̣α̣ρ̣ξ̣[αι µοι ειϲ τουτονι τον αγωνα˙ επ̣[ειθ ο τι µελλει ϲυνοιϲειν — και προϲ ευδ[οξιαν κοινηι και προϲ ευϲεβειαν εκαϲτ[ωι τουτο παραϲτη ϲαιi τουϲ θ̣ε̣ο̣υ̣ϲ παϲιν [υµιν περι 5 § 9 τ̣α̣υτηϲ τη̣ϲ γραφηϲ γν[ωναι ει µεν ου]ν περι ων εγεγραπτ̣ο̣ [µονον κ̣ατηγορηϲε̣ν Αιϲχινη[ϲ καγω περι αυ]τ̣ου του̣ πρ̣ο̣β̣ουλευµ[ατοϲ ευθυϲ αν] απε[λ]ο̣γουµην [επειδη δ]ε̣ ου 10 κ ελαττ]ωk λογο̣[ν ταλλα δι]ε̣ξιiωkν αναλωκε και τα πλειϲτα] κατεψευ ϲατο µου αναγκαιον ειναι] νοµιζω˙ και δικαιον αµα βραχεα ω] α̣νδρ̣εϲ Αθηναιοι περι τουτων πρ]ωkτον̣ ε̣[ι 15 __ __ __ __ __ __ __ __ Col. IΙΙ __ __ __ __ __ __ __ __ __ __ § 10 α̣παντα επλατ̣τ̣ε̣το̣˙ [εµ]ο̣ι δ̣ η̣ν̣ — παρα παντα τον χ̣ρ̣[ονον] ευνοιαν ενδεδιχθε επι πολ̣λ̣ωkν̣ αγωkνωkν̣ των προτερον γεγiε̣ν̣ηµενωkν ˙ § 11 και νυν παραϲχεϲθε˙ κακοηθηϲ ̣— 5 — δ ων Αιϲχινη⟦ϲ⟧˙ του̣[το παν]τελ̣ωϲ ευηθ[ε]ϲ̣ ε̣[ ̣ ̣ ̣ ̣ ̣ ̣ ̣] ̣ ̣αϲ ωηθηϲ τουϲ πε ρι τω[ν πεπρ]α̣γiµενωkν̣ λ̣[ογου]ϲ̣ α̣φiεν τα µ[ε προϲ] τ̣α̣ϲ̣ λο[ιδορ]ιiαϲ παρα ϲου τρεφεϲ]θαι ου δη [ποιη]ϲ̣ω τουτο 10

137 ουχ ουτω τετυφ]ωµαι α̅λ̅λ̅ υ̅π̣̅ε̣̅ρ̅ µ̅ε̅ν̅

margine

Col. I

1. απολογουµ]ε̣ν̣[ου : si vedono due tracce puntiformi di inchiostro allineate