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a L’adeguatezza: una proprietà, o una relazione?

Parte I – Corpo e mente

I.2.3. a L’adeguatezza: una proprietà, o una relazione?

Nel suo saggio sull‟Etica di Spinoza, Jonathan Bennett sostiene la tesi che l‟adeguatezza sia piuttosto una relazione che una proprietà delle idee194. Prova ne

sarebbe il fatto che l‟inadeguatezza appaia tale solo in relazione alla mente che di volta in volta concepisce l‟idea: la parzialità dell‟espressione del contenuto di un‟idea – che ne determina appunto l‟inadeguatezza – sarebbe tale in rapporto alla mente che quell‟idea concepisce. Ad esempio, un oggetto del quale io abbia una rappresentazione parziale origina in me un‟idea inadeguata; ma rispetto alla mente divina, che ne possiede la rappresentazione completa, quella stessa idea potrà essere perfettamente adeguata. Fondando questa riflessione sulla nozione di inadeguatezza, Bennett ne inferisce che la stessa natura relazionale si applichi altrettanto bene a quella di adeguatezza: anche a proposito di essa, Spinoza si riferirebbe dunque ad una relazione che intercorre fra idee e menti.

Bennett compie, però, a mio parere, due rischiose semplificazioni, che finiscono con l‟inficiare il rigore della sua dimostrazione.

1) In primo luogo, deduce “transitivamente” dalle proprietà dell‟inadeguatezza quelle dell‟adeguatezza195, senza tener conto di una

differenza fondamentale fra le due nozioni, cioè del fatto che la seconda –

194 J. BENNETT, A Study of Spinoza‟s Ethics, Hackett, Indianapolis 1984, pp. 178 sgg.

195 Una critica analoga a questa – priva però del riferimento alla definizione di adeguatezza come

quantità intensiva – è stata formulata da A. V. Garrett (A. V. GARRETT, cit., p. 53: “The fact that inadequacy is relational does not necessarily mean that adequacy is relational.”).

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al contrario della prima – è definita come una quantità intensiva, di cui la prima non rappresenterebbe dunque che il limite inferiore, il valore minimo.

2) In secondo luogo, e proprio a causa di questa generica quanto arbitraria assimilazione fra inadeguatezza e adeguatezza, Bennett perde di vista il fatto che Spinoza definisce in più luoghi l‟adeguatezza come una proprietà

intrinseca dell‟idea, e non certo come una relazione. In particolare, suona

significativa la quarta definizione del De Mente:

“Per ideam adaequatam intelligo ideam, quae, quatenus in se sine relatione ad objectum consideratur, omnes verae ideae proprietates, sive

denominationes intrinsecas habet”.196

Si tratta di un passo che offre chiarimenti estremamente preziosi alla comprensione della nozione di adeguatezza. Innanzitutto, come nella lettera a Tschirnaus, Spinoza ricorre alla nozione di idea vera, e definisce l‟idea adaequata per contrasto. Fra l‟idea vera e quella adeguata, non vi è differenza alcuna “praeter relationem illam extrinsecam”197 che caratterizza esclusivamente la prima.

Fondamentale è osservare il fatto che le proprietà o, meglio, le denominazioni intrinseche, dell‟idea vera coincidono invece con l‟intensione di quella adeguata. Nel TIE, che per la sua natura metodologica è particolarmente prezioso rispetto alle definizioni di concetti correlati con l‟area semantica di quella verità cui deve essere

196 [“Per idea adeguata intendo un‟idea che, in quanto considerata in sé senza relazione all‟oggetto,

ha tutte le proprietà, ossia le denominazioni intrinseche, dell‟idea vera”; trad. PC]. EIIDefIV. Corsivo mio.

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improntato il metodo perfetto che permetta di perfezionare l‟intelletto, si trova un‟indicazione preziosa del valore effettivo di tali denominationes intrinsecas nel determinare la nozione di verità:

“Quod id spectat, quod formam veri constituit, certum est,

cogitationem veram a falsa non tantum per denominationem extrinsecam,

sed maxime per intrinsecam distingui”198.

Balza agli occhi il fatto che, in questo passo, Spinoza non si riferisca alle condizioni di verità delle idee, ma a quelle delle cogitationes. Nonostante il riferimento ad un ambito differente, passibile di avere forma proposizionale199, come appare

dall‟esempio di G II, 26, 15–25 (per cui cfr. infra), possa suggerire che sussistano differenze sostanziali rispetto a quanto detto a proposito dell‟idea, un‟analisi più approfondita mostra significative coincidenze fra i due casi, che inducono a respingere l‟ipotesi di un‟eterogeneità tale da inficiare un‟analisi parallela dei due fenomeni. Ad esempio, esattamente come, nel caso dell‟idea vera, la verità va ricercata in essa e non altrove200, rispetto alla vera cogitatio il criterio identificativo

198 [“Per quanto riguarda ciò che costituisce la forma del vero, è certo che il pensiero vero si

distingue dal falso non tanto per la denominazione estrinseca, ma soprattutto per quella intrinseca”; trad. mia]. G II, 26, 15–7. Corsivi miei.

199 In realtà, è Spinoza stesso a segnalare l‟esistenza di cogitationes simplices – caratterizzate dal fatto di

essere impermeabili alla falsità – oltre a quelle “composte”, che hanno effettiva forma proposizionale perché consistono nell‟affermazione o nella negazione di tali pensieri elementari (cfr. G II, 27). Sul ruolo di affirmatio e negatio nelle opere di Spinoza, cfr. G. NUCHELMANS, Judgment

and proposition from Descartes to Kant, North Holland Publ. Co., Amsterdam–Oxford–New York 1983,

pp. 64–7, che mette convincentemente in rapporto tale problema con la teoria spinoziana dell‟identificazione della volontà con l‟intelletto. Tuttavia, Nuchelmans insiste molto – a mio parere, non del tutto giustificatamente – su una schematizzazione evolutiva della teoria della conoscenza di Spinoza che appiattisce completamente le posizioni della KV rispetto alle modalità del conoscere, su quelle cartesiane – che, certo vicine, non si trovano in precisa corrispondenza con quelle del Breve

Trattato, come dimostrato dall‟analisi di Mignini citata sopra.

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della verità deve essere rinvenuto nella cogitatio stessa, o, meglio ancora, nella sua fonte: l‟attività conoscente dell‟intelletto (cfr. G II, 27, 2–3: “ab ipsa intellectus potentia, et natura pendere debet”). L‟unica differenza consiste nel fatto che, nel caso della cogitatio vera, ad essere in gioco non è l‟essenza di una cosa (come accade rispetto all‟idea vera), ma quella di un principio concepito mentalmente (objective), autonomo ed autosufficiente:

“Cogitatio enim vera etiam dicitur, quae essentiam alicujus principii objective involvit, quod causam non habet, et per se, et in se,

cognoscitur. Quare forma verae cogitationis in eadem ipsa cogitatione sine

relatione ad alias debet esse sita; nec objectum tamquam causam agnoscit, sed ab ipsa intellectus potentia, et natura pendere debet.“201.

É piuttosto interessante osservare che, nel definire i principi implicati nella

vera cogitatio, Spinoza si serva di un‟espressione che sarà fedelmente ricalcata da

quella che costituisce la prima definizione spinoziana dell‟attributum – in una fase in cui esso non è ancora nettamente distinto dalla sostanza:

“Notandum, me per attributum intelligere omne id, quod concipitur

per se, et in se; adeò ut ipsius conceptus non involvat conceptum alterius

rei”202.

201 [“Si dice vero anche il pensiero che implica oggettivamente l‟essenza di qualche principio che

non ha una causa e che è conosciuto per sé, e in sé. Perciò la forma del pensiero vero deve essere posta nello stesso pensiero, senza relazione ad altri; né riconosce l‟oggetto come causa, ma deve dipendere dalla stessa potenza e natura dell‟intelletto”; trad. mia]. G II, 26, 33–27, 3. Corsivo mio.

202 [“Si noti, che per attributo intendo tutto ciò che si concepisce per se, e in sé; in modo tale che il suo

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Tale definizione ricorre nelle lettere dei primissimi anni Sessanta, e, stando alla ricostruzione congetturale del testo, comparirebbe anche in quella che può essere considerata la bozza preparatoria da cui si originerà il nucleo concettuale dell‟Etica: la “prova geometrica” di tre203 proposizioni sulla sostanza, allegata all‟Ep.

II a Oldenburg, e poi perduta, la cui elaborazione, testimoniata dalle parole di Spinoza stesso204, oltre che dalla risposta di Oldenburg, costituisce comunque una

testimonianza estremamente importante del nesso genetico tra Breve trattato ed Etica. Nell‟Ep. IV, sempre indirizzata a Oldenburg, l‟attributo viene ancora una volta definito come [Res], quae per se, et in se concipitur – laddove della sostanza viene fornita una definizione identica (Id, quod per se, et in se concipitur, hoc est, cujus conceptus non

involvit conceptum alterius rei): all‟epoca, le nozioni di attributo e di sostanza sono

ancora appiattite l‟una sull‟altra, e proiettate su un piano piuttosto gnoseologico che ontologico205 – piano che è poi quello su cui si colloca l‟opera giovanile di Spinoza,

il TIE.

203 Che le proposizioni fossero in numero di tre, traspare dalle parole di Spinoza nell‟Ep. IV:

“tuasque objectiones in tres, quas misi, propositiones vidi”; “...ut in Scolio, quod tribus Propositionibus adiunxi, demonstravi”. Per una ricostruzione filologicamente attenta e documentata dell‟allegato, cfr. G. SACCARO DEL BUFFA, Alle origini del panteismo. Genesi

dell‟Ethica di Spinoza e delle sue forme di argomentazione, Franco Angeli, Milano 2004, cap. 3, pp. 53–63.

204 Cfr. ancora l‟Ep. II, composta fra l‟agosto e il settembre del 1661: “Ut autem haec clare, et

breviter demonstrarem, nihil melius potui excogitare, nisi ut ea more Geometrico probata examini tui ingenii subjicerem, ea itaque hic separatim mitto, tuumque circa ipsa judicium exspectabo” [“Per dimostrare, poi, queste cose in maniera chiara e concisa, non ho potuto escogitare niente di meglio che sottoporle all‟esame del tuo ingegno dopo averle dimostrate secondo il metodo geometrico, e così te le invio separatamente, e attenderò il tuo giudizio su di esse”; trad. mia]. G IV, 8, 13-17.

205 Lo dimostrano chiaramente, inoltre, numerosi passaggi della KV (per esempio, KV I, 7, I n.:

“Quanto agli attributi dei quali Dio consiste, non sono altro che infinite sostanze.”; KV I, 7, X: “Gli attributi (o sostanze, come altri li chiamano) [sono] cose o, per meglio e più propriamente dire, è un essere esistente per sé stesso, che perciò si fa conoscere e si dimostra per sé stesso”).

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Sembra, insomma, che oggetto precipuo della vera cogitatio sia, sì, un principio, ma modellato secondo i canoni di quello che, nell‟elaborazione della teoria della conoscenza spinoziana coeva – o meglio, immediatamente successiva – al TIE, è la sostanza–attributo, ossia un principio caratterizzato dalla propria assoluta autonomia – in primo luogo sul piano gnoseologico, e poi anche, in seconda istanza, su quello ontologico. Sarà allora legittimo, anche al di là della questione – pur fondamentale – dell‟identico criterio veritativo, assimilare la trattazione spinoziana della vera cogitatio a quella dell‟idea vera anche sulla base del fatto che il principium su cui la vera cogitatio si basa sia in realtà – in quanto assimilabile, sul versante conoscitivo, a quella nozione che si condenserà attorno al concetto di attributo (“id, quod intellectus de substantia percipit, tanquam ejusdem essentiam constituens”206) – estremamente vicino all‟essentia

rei cui si riferisce l‟idea.

Va osservato, tornando alla questione dell‟idea adeguata, che nel Tractatus de

Intellectus Emendatione non è ancora del tutto matura la distinzione fra idea vera e adaequata: l‟aggettivo adaequata non compare mai riferito ad idea. Un‟unica

occorrenza fa eccezione, ma è particolarmente significativa proprio perché stabilisce un rapporto quasi sinonimico fra verità ed adeguatezza:

“Unde iterum patet, quod ad certitudinem veritatis nullum aliud signum sit opus, quam veram habere ideam; [...] Ex quibus rursus patet,

206 [“Ciò che l‟intelletto percepisce della sostanza in quanto costitutivo della sua essenza”; trad. PC].

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neminem posse scire, quid sit summa certitudo, nisi qui habet adaequatam

ideam, aut essentiam objectivam alicujus rei”207.

Tale impressione è corroborata dall‟accostamento del passo ad un‟altra delle rarissime occorrenze dell‟aggettivo adaequatus nel TIE (“verae, sive adaequate cogitationes”208), che ancora più esplicitamente pone le due caratterizzazioni sullo

stesso piano.

Quindi, pur tenendo conto del fatto che nel Tractatus de Intellectus Emendatione la distinzione fra adeguatezza e verità è ancora, per certi versi, nebulosa, non si può fare a meno di osservare che le poche occorrenze di adaequatus che vi si registrano tendono a stabilire un rapporto di equivalenza fra la nozione di adeguatezza e quella di verità. La causa di questa tendenza può certo essere identificata, senza alcuna forzatura, appunto con la labilità di una distinzione che, nelle successive opere di Spinoza, maturerà e sarà definita in termini meno ambigui. Ma il passo del TIE sulla

forma veri, con la sua insistenza sulla denominatio intrinseca come criterio distintivo fra

vero e falso, offre un‟indicazione straordinariamente interessante: è vero che, come appare chiaramente nell‟Etica e nella lettera a Tschirnaus, lo Spinoza più maturo identificherà con precisione la distinzione fra verità ed adeguatezza nella relazione estrinseca della prima all‟oggetto. È, però, altrettanto vero che, ancora nella quarta definizione del De Mente, ricorre in primo luogo il riferimento proprio alla denominatio

intrinseca dell‟idea vera, come a ciò che la accomuna a quella adaequata.

207 [“Da cui, ancora una volta, è evidente che alla certezza della verità non è necessario altro segno,

che l‟avere un‟idea vera; [...] Dal che, di nuovo, è evidente che nessuno può sapere, cosa sia la massima certezza, se non chi abbia un‟idea adeguata, ossia l‟essenza oggettiva di una qualche cosa”; trad. mia]. G II, 15, 8–13. Corsivi miei.

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Non si può, poi, asserire che la distinzione fra idea vera ed adeguata non sia completa nel TIE perché non vi compare la nozione di relazione estrinseca che nell‟Etica assurgerà al ruolo di vero e proprio criterio distintivo fra le due categorie di idee: infatti, nella sua delineazione della denominatio intrinseca nel Tractatus de

Intellectus Emendatione, Spinoza è attento ad annoverare, fra i casi che ricadono fuori

dal suo dominio, quelli caratterizzati da una mera relazione estrinseca209. L‟accordo

puramente estrinseco di un‟asserzione (o idea, o cogitatio210) con l‟oggetto non è

condizione sufficiente ad attribuire verità a tale asserzione; la verità non consiste nel semplice accordo fra l‟idea ed un certo stato di cose211:

“Nam si quis faber ordine concepit fabricam aliquam, quamvis talis fabrica nunquam exstiterit, nec etiam unquam exstitura sit, ejus nihilominus cogitatio vera est, et cogitatio eadem est, sive fabrica existat, sive minus; et contra si aliquis dicit, Petrum ex. gr. existere, nec tamen scit, Petrum existere, illa cogitatio respectu illius falsa est, vel, si mavis, non est vera, quamvis Petrus revera existat. Nec haec enunciatio, Petrus existit, vera est, nisi respectu illius, qui certo scit, Petrum existere”212.

209 Sulla strategia argomentativa di Spinoza nell‟ambito della definizione di denominatio intrinseca nel

TIE, cfr. G. H. R. PARKINSON, Spinoza‟s Theory of Knowledge, Clarendon Press, Oxford 1954, pp. 128–32.

210 Mi riferisco alla questione in termini “proposizionali” perché mi pare che l‟esempio elaborato

dallo stesso Spinoza lo richieda. Del resto, la dimostrazione della proposizione 28 della seconda parte dell‟Etica mi sembra incoraggiare l‟interpretazione dell‟adeguatezza come coerenza logica.

211 Esplicitamente, Spinoza segnala che l‟aspetto formale della verità non può che risiede in un

carattere intrinseco alla cogitatio stessa: “Quare forma verae cogitationis in eadem ipsa cogitatione sine relatione ad alias debet esse sita” (G II, 26, 35–27, 1); cfr. supra.

212 [“Infatti, se un artigiano ha concepito in un certo ordine una certa opera, anche se questa non è

mai esistita o non esisterà mai, il suo è, nondimeno, un pensiero vero, e il pensiero è lo stesso, sia che l‟opera esista, sia che non esista; al contrario, se qualcuno dice che siste, ad esempio, Pietro, e non sa tuttavia che Pietro esiste, quel pensiero è, rispetto a chi lo formula, falso, o, se preferisci, non è vero, anche se Pietro esiste effettivamente. E quell‟enunciato, “Pietro esiste”, non è vero, se non rispetto a colui che sa per certo che Pietro esiste”; trad. mia]. G II, 26, 15–25.

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