Parte I – Corpo e mente
I.2.3. Verità e adeguatezza
Dunque, la concezione dell‟idea come azione della mente, come espressione della sua costitutiva spontaneità – che si contrappone alla data immobilità e inespressività della muta figura dipinta – si integra, nella prospettiva spinoziana, con l‟identificazione fra mente e sostanza, con il radicarsi dell‟intelletto, della sua spontaneità originaria, e tuttavia non assoluta, ma soggetta alle rigide regole della necessità, in Dio. Tale radicamento garantisce il sussistere di un legame con la cosa esterna che impedisce di espungere il riferimento al mondo, alla realtà, dalla nozione spinoziana di verità. Spinoza sfugge, in questo modo, al solipsismo idealistico cui la sua teoria della verità potrebbe altrimenti condurre, salvaguardando allo stesso tempo la validità di quel criterio di autoevidenza enunciato fin dal TIE, e poi meglio precisato nell‟Etica.
La nozione di adeguatezza elaborata da Spinoza è frutto di una concezione della verità straordinariamente originale, che fa perno su quella che si rivela una riformulazione radicale, implicitamente critica, della tradizionale definizione di
convenientia tra idea e res. È vero, come si è dimostrato, che, almeno in una certa
misura, la teoria della verità di Spinoza è improntata al corrispondentismo. Tuttavia, si è visto, se non si tiene in conto la nozione di adeguatezza, risulta incomprensibile o comunque poco concreta la trattazione spinoziana della falsità e dell‟errore – il che
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dimostra che, evidentemente, la teoria spinoziana della verità nel suo complesso non si basa esclusivamente su una struttura corrispondentista189.
La definizione della verità come mera corrispondenza è, per Spinoza, in sé fuorviante, in quanto – illegittimamente fondata su quella che non è che una
denominatio extrinseca della verità – riduce quest‟ultima a una mera giustapposizione
fra pensiero e cosa. Nello scolio alla proposizione 43 del De Mente – luogo dell‟attacco alla nozione cartesiana delle idee – Spinoza scrive infatti:
“Si idea vera, quatenus tantum dicitur cum suo ideato convenire, a falsa distinguitur, nihil ergo realitatis, aut perfectionis idea vera habet prae falsa (quandoquidem per solam denominationem extrinsecam distinguuntur), et consequenter neque etiam homo, qui veras, prae illo, qui falsas tantum ideas habet”190.
È la dimostrazione della proposizione 42 a fornire le indicazioni necessarie a comprendere in cosa davvero consista l‟essere in grado di distinguere il vero dal falso; si tratta infatti una distinzione che, come EII43Sch mostra chiaramente, non può basarsi esclusivamente sulla denominatio extrinseca della verità:
189 Cfr. EIV1Dem: “Falsitas in sola privatione cognitionis, quam ideae inadaequatae involvunt,
consistit” [“La falsità consiste unicamente nella privazione della conoscenza, implicita nelle idee inadeguate; trad. PC]. Cfr. supra.
190 [“Se l‟idea vera si distingue dalla falsa in quanto soltanto si dice che si accorda col suo ideato,
allora essa non prevale sulla falsa in termini di realtà o di perfezione (dal momento che si distinguono solo per la denominazione estrinseca), e di conseguenza neppure l‟uomo che ha idee vere è superiore a quello che ne ha soltanto di false”; trad. PC]. EII43Sch.
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“Qui enim inter verum, et falsum scit distinguere, debet
adaequatam veri, et falsi habere ideam”191.
Per riuscire a comprendere l‟originalità dell‟elaborazione spinoziana della questione della verità – che, come si vedrà più oltre, tanta parte avrà nel progressivo delinearsi del ruolo dell‟immaginazione intesa come virtus – è dunque fondamentale la nozione di idea adaequata, che dell‟idea vera costituisce la denominatio intrinseca.
Nell‟Ep. LIX, in risposta a una richiesta di chiarimento da parte di Tschirnaus, Spinoza tratteggia così la distinzione fra idea vera e adeguata:
“Inter ideam veram et adaequatam nullam aliam differentiam agnosco, quam quod nomen veri respiciat tantummodo convenientiam ideae cum suo ideato; Nomen adaequati autem naturam ideae in se ipsa; ita ut revera nulla detur differentia inter ideam veram, et adaequatam praeter relationem illam extrinsecam”192.
É interessante osservare, ancora una volta, che la definizione di idea vera ha una posizione di assoluta preminenza nel testo dell‟Ethica rispetto a quella di idea
adaequata – addirittura, precede la caratterizzazione di idea tout court: fa infatti parte
degli assiomi del De Deo. Nella prima parte dell‟Ethica, dedicata interamente alla definizione e caratterizzazione della sostanza, compare esclusivamente il lemma idea
191 [“Chi infatti sa distinguere tra il vero e il falso deve avere un‟idea adeguata del vero e del falso”;
trad. PC]. EII42Dem.
192 [“Fra l‟idea vera e quella adeguata non riconosco nessuna differenza, tranne il fatto che
l‟aggettivo vero rispecchia solamente il convenire dell‟idea con il suo ideato; mentre invece l‟aggettivo
adeguato rispecchia la natura dell‟idea in se stessa; così come, in realtà, non si dà nessuna differenza
fra un‟idea vera e una adeguata, tranne quella relazione estrinseca”; trad. mia]. Ep. LIX (G, IV, 270, 15–9).
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vera, quasi un‟endiadi di cui si registrano tre occorrenze193; non occorre mai il
termine idea sciolto dalla specificazione della sua verità.
Solo nel De Mente, in relazione alla sua descrizione della mente umana, Spinoza avverte l‟esigenza di ridefinire un concetto di idea che, sciolto dall‟obbligo immanente di verità, sia in grado di rendere conto del complesso procedimento che presiede appunto alla formazione dei processi mentali, dei moti dell‟animo umano, che sono al centro non solo di questa seconda parte dell‟Ethica, ma anche delle successive.
È ora opportuno precisare meglio in cosa consista il carattere non-relazionale di questa componente intrinsecamente fondamentale della veritas che è l‟adeguatezza. Per farlo, sarà opportuno discutere un‟autorevole lettura che vede nell‟adeguatezza, come anche nella verità, esclusivamente delle relazioni.
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