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a Critiche e riflessioni

Parte I – Corpo e mente

I.3.1. a Critiche e riflessioni

Alla fine degli anni Settanta, in un articolo dedicato non alla questione del parallelismo, ma alla teoria degli affetti in Spinoza, M. Wartofsky avanzava una dettagliata proposta di abbandono della nozione di parallelismo, illustrandone con chiarezza i vantaggi, ma mantenendo tuttavia ferma l‟esistenza di un certo “parallelismo concettuale” fra anime e corpi:

“The radical consequence of this view [Spinoza‟s identity theory] is a rejection both of a mechanistic determinism of psychic states by bodily states […] and of a psychic determination of bodily states […]. For if one takes the identity seriously […] every change in a psychic state is a change in a bodily state, necessarily; but not causally. A change in the psychic character, or intensity, or quality of an emotion does not lead to a change in a bodily state; it is one. Thus, the mistaken notion that Spinoza proposes a parallelism as against Cartesian interactionism simply has the model wrong. There is conceptual parallelism, insofar as we think of

bodies and minds. But what we think, under these two attributes, is not

parallel, but identical”218.

Una discussione particolarmente interessante di alcuni passi di questo articolo, condotta in relazione ad una problematica riflessione sulla nozione di causalità e di spiegazione in Spinoza, si trova in un articolo di Donald Davidson,

218 M. WARTOFSKY, Action and Passion: Spinoza‟s Construction of Scientific Psychology, in Spinoza: a

Collection of Critical Essays, ed. M. Grene, Anchor, New York 1973, pp. 329–53, qui p. 349; corsivo

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intitolato Spinoza‟s Causal Theory of the Affects219. Davidson riconosce che la soluzione

prospettata da Wartofsky proprio nel passo qui citato è perfettamente in linea con la lettera dei testi spinoziani (l‟accosta, infatti, a EIApp). Tuttavia, a suo parere “this response does not answer a criticism based on the claimed identity. If a causes b, under the attribute of extension, and b is identical with c, where c is conceived under the attribute of thought, how can we deny that a caused c, where a is conceived as extended and c as a modification of mind?”220.

Come possibili soluzioni a quella che gli appare come una vera e propria aporia, Davidson propone due alternative. La prima – che è, poi, la soluzione adottata da E. Curley221 – consisterebbe nel negare l‟apparente dualismo mente–

corpo in Spinoza. Mi pare che quest‟interpretazione energicamente antidualistica di Curley sia da accogliere come fedele alla lettera spinoziana (come spero di aver dimostrato in queste pagine, e come si vedrà forse anche meglio nelle seguenti). Il rapporto fra mente e corpo, inteso in questo senso antidualistico, non si presta ad equivoche letture in senso “cartesiano”, che l‟interpretino come unione di due sostanze distinte, ma viene a costituirsi come un‟organica identità, il che rende conto perfettamente della nozione spinoziana di mens e corpus come una sola e medesima cosa, considerata sotto attributi differenti.

219D. DAVIDSON, Spinoza‟s Causal Theory of the Affects, in Desire and Affect: Spinoza as Psychologist, ed.

Y. Yovel, Little Room Press, New York 1999, pp. 95–112.

220D. DAVIDSON, cit., p. 100.

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La seconda soluzione possibile – che è, infine, quella propugnata dallo stesso Davidson – è, invece, una reinterpretazione dei rapporti fra mente e corpo che sposti il fulcro della questione dalla nozione di causalità a quella di spiegazione:

“The point of EIIp2 is not, then, to deny that mental events can cause physical events, but to deny that they can explain them (and conversely, of course)”222

.

Trovo che la soluzione più efficace al problema – effettivamente consistente – messo in luce da Davidson non possa che consistere in un‟integrazione fra le due soluzioni proposte nell‟articolo. Da un lato, infatti, la lettura antidualistica di Curley permette di abbozzare una prima soluzione dell‟aporia di Davidson. L‟identità fra i due termini identici (la mente e il corpo) non è un‟identità del tipo a=b, cioè un‟uguaglianza fra due entità; è, piuttosto, l‟affermazione che due entità apparentemente diverse sono non uguali, ma la stessa cosa (unum, et idem). Se a=b, e

b=c, allora certamente a=c; ma nel caso dell‟identità mente-corpo, i due termini (b e c, nell‟esempio di Davidson) sono in realtà un termine solo – senza differenze

numeriche, insomma. In sintesi, se a (sotto l‟attributo dell‟estensione) causa b, sempre sotto l‟attributo dell‟estensione, niente impedisce di affermare che b è la stessa cosa di c, intesa però sotto l‟attributo del pensiero. Ma se è vero che da a (che è sotto l‟attributo dell‟estensione) siamo arrivati a c, che si trova sotto quello del pensiero, attraverso un meccanismo causale, ciò non ci obbliga in nessun modo a entrare in contraddizione sostenendo che la causalità fra a e c sia diretta: perché, in sé, è mediata proprio dall‟identità – dall‟essere una cosa sola – che agisce fra b e c.

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Tuttavia, è la soluzione di Davidson a chiarire, una volta per tutte, che valore abbia davvero questa relazione causale, e soprattutto che senso e che utilità abbia, per Spinoza, separare i due ambiti causali – mentale e corporeo, cose e idee. Si tratta di un‟istanza epistemologica, piuttosto che ontologica: ma va tenuto presente che la preminenza della componente epistemica suggerita da Davidson non significa affatto una limitazione della validità di tale separazione a livello ontologico (né potrebbe significarla, data l‟identificazione costitutiva fra il piano dell‟esse e quello del

concipi, su cui si struttura l‟intero sistema di Spinoza). Del resto, è nella seconda

definizione del De Deo che si legge:

“Cogitatio alia cogitatione terminatur. At corpus non terminatur cogitatione, nec cogitatio corpore”223.

Si tratta, qui, di tracciare, sia a livello del significante che del significato, una barriera insormontabile – a meno di compiere irreparabili errori categoriali – fra le

ragioni (ragioni che certamente, per Spinoza, coincidono con le cause, ma che non

per questo abdicano al loro valore epistemologico di spiegazioni di fenomeni) che

spiegano determinati eventi o in un ambito, o nell‟altro. Se ontologicamente corpo e

mente sono la stessa cosa – vista, però, in prospettive diverse (o, meglio, sotto attributi diversi) – dal punto di vista epistemologico sarebbe scorretto applicare le categorie appartenenti ad uno dei due ambiti per interpretare, per spiegare l‟altro.

223[“Un pensiero è delimitato da altro pensiero. Ma un corpo non è delimitato da un pensiero, né

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In questo senso, dunque, trovo che le due prospettive in concorrenza fra loro suggerite dall‟articolo di Davidson vadano integrate, ai fini di un‟interpretazione

completa della nozione spinoziana del rapporto mente-corpo. Fondamentale, per

garantire la sopravvivenza del carattere identitario peculiare a tale nozione, è il deciso rigetto della nozione di parallelismo, che, tuttavia, nonostante le ripetute critiche, e le argomentazioni che – come questa di Davidson – ne hanno messo in luce i limiti e le inadeguatezze esegetiche, resiste tuttora nel lessico della critica spinoziana.

Un atteggiamento – come è quello di Wartofsky – fortemente critico nei confronti della nozione di parallelismo, e, tuttavia, non coincidente con un vero e proprio rifiuto della definizione, si trova, ad esempio, anche nelle belle pagine dedicate da Deleuze al parallelismo in Spinoza e il problema dell‟espressione224. Pur

rilevando che “dobbiamo diffidare del termine “parallelismo”, che non è di Spinoza”225, e che “Leibniz crea il termine parallelismo, ma, da parte sua, lo invoca in

modo assai generale e poco adeguato: il sistema di Leibniz implica sì una corrispondenza fra serie autonome, sostanze e fenomeni, solidi e proiezioni, ma i principi di queste serie sono singolarmente disuguali”, conclude poi che “Spinoza, al contrario, non usa il termine “parallelismo”; ma questo termine si confà al suo sistema, poiché pone l‟uguaglianza dei principi da cui derivano le serie indipendenti e corrispondenti” (p. 85). Ma sarà proprio l‟ulteriore insistenza su questo concetto di

224 G. DELEUZE, Spinoza e il problema dell‟espressione, tr. it. di S. Ansaldi, Quodlibet, Macerata 1999

(trad. di Spinoza et le problème de l‟expression, Paris 1968), pp. 77–87.

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uguaglianza, intesa in senso fortemente identitario, a portare C. Jaquet all‟assoluto rifiuto dell‟impiego del termine – già, come si è visto, largamente criticato. Una soluzione interessante è infine quella di M. Della Rocca – che, pur non facendo eccezione nel novero dei detrattori dell‟uso del termine “parallelismo”226 rassegnati,

loro malgrado, a servirsene, declina tale nozione su un piano prettamente semantico (“Spinoza‟s parallelism is not ontological but semantical in character”227), aggirando così

la difficoltà e arricchendo la questione del rapporto mente–corpo in Spinoza del fondamentale strumento interpretativo fornito dalla nozione di “explanatory barrier”, che si rivela particolarmente efficace in quanto – sia pur forzando, forse, eccessivamente l‟interpretazione sul versante semantico, con il risultato di un‟eccessiva riduzione dell‟importanza dell‟aspetto ontologico, e soprattutto con una netta distinzione di campi che, per quanto interessante, è una forzatura della posizione di Spinoza in proposito – aderisce ai requisiti che emergono come più

urgenti ai fini della risoluzione di quell‟aporia su cui richiama l‟attenzione Davidson.

Ancora, rispetto alla questione della trattazione spinoziana dell‟errore – questione che, si è visto, appare estremamente problematica rispetto alla definizione della sua teoria della verità – la nozione di “parallelismo” si rivela riduttiva, facendo così emergere, come tanto più urgente, l‟esigenza di rigettarla e sostituirla con quella, più organica, di identità. Implicito nella nozione di parallelismo, infatti, è un

226 Cfr. M. DELLA ROCCA, Representation and the Mind– Body Problem in Spinoza, Oxford University

Press, Oxford 1996, p. 19.

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presupposto difficilmente dimostrabile, secondo il quale diverse rappresentazioni di una medesima cosa vista sotto diversi attributi vanno necessariamente nello stesso senso, senza poterne divergere; tale presupposto si basa sulla considerazione secondo cui l‟unità delle parallele (che, com‟è noto, non si incontrano mai, se non, forse, all‟infinito) – unità che nessun interprete di Spinoza, anche se impiega la nozione di parallelismo per descrivere il rapporto fra mente e corpo, può consapevolmente permettersi di non salvaguardare nel proprio orizzonte esegetico, dal momento che Spinoza stesso l‟afferma – è data dall‟identità della loro direzione. Come dimostra ancora C. Jaquet,228 però, nell‟ambito della teoria spinoziana

dell‟errore è dimostrato – molto chiaramente, e col ricorso ad esempi dettagliati229

che un solo e medesimo errore non viene rappresentato nella stessa maniera nella mente e nel corpo, il che prova l‟esistenza di una radicale divergenza fra gli avvenimenti che hanno luogo nel mondo del pensiero, e quelli che riguardano l‟ambito dell‟estensione. L‟errore “comune” analizzato da Spinoza in EII47Sch consiste infatti, sostanzialmente, nello scarto fra le idee e le parole, fra un modo del pensiero, ed uno dell‟estensione:

228C. JAQUET, I rapporti corpo/mente…, cit., pp. 112-14.

229 Cfr. l‟analisi – decisamente prefreudiana, è ovvio – di quelli che potrebbero essere definiti un

lapsus calami e un lapsus linguae nello scolio di EII47: “Cum homines in calculo errant, alios numeros

in mente, alios in charta habent. Quare si ipsorum Mentem spectes, non errant sane; videntur tamen errare, quia ipsos in mente putamus habere numeros, qui in charta sunt. Si hoc non esset, nihil eosdem errare crederemus; ut non credidi quendam errare, quem nuper audivi clamantem, suum atrium volasse in gallinam vicini, quia scilicet ipsius mens satis perspecta mihi videbatur” [“Quando gli uomini compiono un errore di calcolo, hanno in mente numeri diversi da quelli che hanno sulla carta. Per questo, dal loro punto di vista, non sbagliano; sembrano tuttavia in errore, perché riteniamo che abbiano in mente quei numeri che sono sulla carta Se così non fosse, non li crederemmo per nulla in errore, così coime non ho creduto poco fa in errore un tale che ho udito gridare che il suo cortile era volato nella gallina del vicino, poiché quello che aveva in mente sembrava abbastanza chiaro”; trad. PC].

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“Et profecto plerique errores in hoc solo consistunt, quod scilicet nomina rebus non recte applicamus”230.

La nozione di parallelismo, presupponendo una serie di rigide analogie e corrispoindenze biunivoche fra idee e cose, si rivela estremamente riduttiva rispetto alla complessità del rapporto fra la mente e il corpo spinoziani. Trasforma, infatti, l‟unità in un‟uniformità monocorde, ritmata dal procedere infinitamente parallelo di due serie modulari, che riprodurrebbero all‟infinito le loro corrispondenze obbligate. Invece, l‟identità che costituisce il sostrato ontologico sotteso all‟esistenza di corpo e mente, esclude la possibilità di arbitrarie invasioni di ambito – a livello, soprattutto, epistemologico – fra il dominio delle idee e quello delle cose. Corpo e mente sono una cosa sola, non due entità che scorrono costantemente lungo percorsi paralleli e perfettamente simmetrici; ma, nel loro essere un‟unica e medesima cosa, si esplicano, si esprimono sotto attributi differenti. Per questo non possono intercorrere, fra loro, rapporti di reciproca causalità. Ogni possibile causazione reciproca è esclusa proprio dal loro essere una sola cosa.

È vero che l‟ordine e la connessione delle idee è la stessa, identica cosa che l‟ordine e la connessione delle cose. Si tratta però del dipartirsi, da un medesimo sostrato ontologico, di due catene causali che si garantiscono, a vicenda, la loro

230 [“E di certo il più degli errori consiste unicamente in questo, che non applichiamo correttamente

i nomi alle cose”; trad. PC]. Per un‟analisi della teoria spinoziana del linguaggio e del suo rapporto con la verità, cfr. M. DASCAL, Leibniz and Spinoza: Language and Cognition, “Studia Spinoziana”, 6, 1990, pp. 103-45, che mostra come Spinoza, a differenza di Leibniz, assuma nel complesso nei confronti del linguaggio (che considera, come si evince bene, peraltro, anche dalle analisi dei “lapsus”, estraneo al pensiero, e anzi appartenente al dominio del corporeo, dell‟estensione) una posizione di ispirazione cartesiano-baconiana, criticandolo come possibile fonte di errori cognitivi.

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validità; non di una corrispondenza puntuale e monolitica, fra due termini costitutivamente separati, come invece la nozione di parallelismo implicitamente suggerisce, insinuando inoltre una visione piuttosto dualistica del rapporto mente- corpo.

Mente e corpo sono dunque la stessa cosa, una cosa sola; ma non possono essere spiegati, non possono essere capiti e interpretati l‟uno attraverso categorie che appartengono all‟altra. Per questo motivo l‟equivoca nozione di anima, con la sua componente corporea, non sarebbe stata in grado di rendere conto del deciso anti- dualismo spinoziano; per questo il lapsus del cortile volante non è, in realtà, a tutti gli effetti un errore; per questo le azioni del corpo non vanno necessariamente, invariabilmente lette come corrispondenti ad altrettante passioni dell‟anima, come vedremo fra poco.

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