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a L’intelletto: ambiguità e aporie

Parte II – L’immaginazione

II.1.1. a L’intelletto: ambiguità e aporie

“Corroboratur [memoria] etiam absque ope intellectus, scilicet a vi, qua imaginatio, aut sensus, quem vocant communem, afficitur ab aliqua re singulari corporea. Dico “singularem”: imaginatio enim tantum a singularibus afficitur [...]. Dico etiam “corpoream”: nam a solis corporibus afficitur imaginatio”269.

La prima definizione di immaginazione offerta da Spinoza è probabilmente questa, che compare nel Tractatus de Intellectus Emendatione270. Si tratta di un accenno

apparentemente quasi incidentale, che si concatena ad una trattazione della memoria, a sua volta finalizzata indirettamente a definire meglio l‟intelletto –

indirettamente perché, come vedremo, la descrizione della memoria è utile in questo

contesto a definire l‟intelletto per contrasto, e non certo per analogia con esso, né tantomeno per il fatto di esserne parte costitutiva271: più di una spia in questo senso

269 [“[La memoria] è rafforzata anche senza l‟ausilio dell‟intelletto, ossia dalla forza con cui

l‟immaginazione, o senso comune, come lo chiamano, è affetta da una qualche cosa singolare corporea. Dico singolare; infatti l‟immaginazione è affetta unicamente dalle cose singolari. […] Dico anche corporea; infatti l‟immaginazione è affetta dai soli corpi”; trad. FM]. G II, 31, 9-17.

270 Accolgo, infatti, sulla base delle motivazioni già espresse nell‟Introduzione e nel §I.2.1.b.,

l‟ipotesi di datazione proposta da Mignini e già accettata da Curley nella sua edizione dell‟opera di Spinoza.

271 Cfr. GII, 31, 1-3; 17-20: “Ut nihil omittam eorum, quae ad cognitionem intellectus, et ejus vires

possunt conducere, tradam etiam pauca de memoria, et oblivione; ubi hoc maxime venit considerandum, quod memoria corroboretur ope intellectus, et etiam absque ope intellectus. […] Cum itaque memoria ab intellectu corroboretur, et etiam sine intellectu, inde concluditur, eam quid diversum esse ab intellectu, et circa intellectum in se spectatum nullam dari memoriam, neque oblivione.” [“Per non omettere nulla di ciò che può condurre alla conoscenza dell‟intelletto e delle sue forze, presenteròanche poche cose sulla memoria e sull‟oblio. A questo riguardo si deve considerare soprattutto che la memoria si rafforza con l‟ausilio dell‟intelletto e anche senza il suo

ausilio. […] Pertanto, poiché la memoria è rafforzata dall‟intelletto e anche senza l‟intelletto, da ciò si

conclude che essa è qualcosa di diverso dall‟intelletto e che, rispetto all‟intelletto considerato in se stesso, non si dà né memoria né oblio”; trad. FM]. Corsivo mio.

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si trova già nei paragrafi che precedono questo primo accenno, e che costituiscono la prima parte del metodo, dedicata all‟opposizione fra le idee vere e quelle finte, false e dubbie. Come emergerà dall‟analisi approfondita del testo, proprio dalla definizione delle idee finte traspare chiaramente la difficoltà di Spinoza a mantenersi

coerentemente fedele alla concezione dell‟immaginazione come assoluta passività

dell‟anima, che pure viene esplicitamente predicata nel TIE.

Nel TIE, in ogni caso, la triade intelletto-memoria-immaginazione è al centro di una trattazione che, per quanto poco sistematica e sicuramente lacunosa, sembra costituire il nucleo di un abbozzo di teoria della mente, che a sua volta, però, fatica a liberarsi delle pastoie di una concezione dei rapporti fra anima272 e corpo ancora

improntata al dualismo cartesiano, ma già pervasa di contraddizioni e tensioni interne che ne segnalano l‟incoerenza intrinseca rispetto al progressivo costituirsi del sistema che in controluce inizia ad emergere dalle pagine del Tractatus de Intellectus

Emendatione.

272 All‟epoca del TIE, in effetti, nel latino di Spinoza ricorre il termine anima, di cui si registrano

almeno tredici occorrenze. Si tratta di un altro dato che farebbe supporre la sua anteriorità rispetto alla KV, soprattutto se si ammette che – come ho dimostrato essere possibile nel § I.1.1 (cfr. supra, pp. 3-4) – il traduttore olandese della Korte Verhandeling abbia impiegato il termine ziel per far fronte a un‟oggettiva lacuna lessicale, piuttosto che per mantenersi fedele all‟ipotetico originale latino; in tal caso, come sottolineavo, l‟ipotesi di una presenza esclusiva di anima nella versione latina rimarrebbe appunto una semplice possibilità, e non un dato certo, come suggerirebbe invece una superficiale ricognizione che si limitasse a registrare – nella sola KV, e senza tener conto dell‟evoluzione complessiva della riflessione spinoziana sulla mente – la netta prevalenza di ziel come termine impiegato nella definizione dell‟anima-mente.

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Intellectus compare in due accezioni diverse, e per certi versi in contrasto fra

loro273, nel trattato che si propone di offrire il metodo per correggerne le mancanze

e le eventuali devianze rispetto alla retta esplorazione della verità. Nella prima parte del TIE si registrano, secondo Mignini, almeno una decina di occorrenze del termine intellectus che sarebbero da ricondurre ad un‟accezione, per così dire, “baconiana” del concetto: in tali casi Spinoza sembra intendere l‟intelletto come

mente, ossia come facoltà di conoscenze diverse, e possibile fonte di errori – come

tale, passibile di quella emendatio che è appunto oggetto del trattato274. E‟ interessante

osservare, con Mignini, che in questi casi la confusione fra intelletto e mente coincide esattamente con quello che lo stesso Spinoza rileva come uno fra i difetti della filosofia di Bacone nell‟epistola II a Oldenburg:

273 Dell‟“ambiguo” ruolo dell‟intelletto nel TIE si è occupato a più riprese F. Mignini. Cfr. F.

MIGNINI, Per la datazione e l‟interpretazione del Tractatus de intellectus emendatione di Spinoza, “La Cultura”, 17: 1-2, 1979, pp. 87-160; ID., Nuovi contributi per la datazione e l‟interpretazione del “Tractatus

de Intellectus Emendatione”, in Spinoza nel 350°anniversario della nascita, ed. di E. Giancotti, Bibliopolis,

Napoli 1984, pp. 515-25; ID., Les erreurs de Bacon sur l‟intellect selon Spinoza, “Revue de l‟enseignement philosophique”, XLVII, 1997, 6, pp. 23-30. Si veda anche il commento alla sua edizione di B. Spinoza, Tractatus de Intellectus Emendatione, ed. critica, trad. e commento di F. Mignini, Quodlibet, Macerata 2007.

274 Cfr. ad esempio G II, 9, 10-22: “Ante omnia excogitandus est modus medendi intellectus,

ipsumque, quantum initio licet, expurgandi, ut feliciter res absque errore, etquam optime intelligat. Unde quisque jam poterit videre, me omnes scientias ad unum finem, et scopum velle dirigere, scilicet, ut ad summam humanam, quam diximus, perfectionem perveniatur; et sic omne illud, quod in scientiis nihil ad finem [et scopum] nostrum nos promovet, tanquam inutile erit rejiciendum, hoc est, ut uno verbo dicam, omnes nostrae operationes, simul et cogitationes ad hunc sunt dirigendae finem. Sed quia, dum curamus eum consequi, et operam damus, ut intellectum in rectam viam redigamus, necesse est vivere, propterea ante omnia cogimur quasdam vivendi regulas, tanquam bonas, supponere.” [“Si deve anzitutto escogitare un modo di curare l‟intelletto e di purificarlo all‟inizio, per quanto è possibile, affinché intenda le cose felicemente, senza errore e nel modo migliore. Pertanto ciascuno potrà già vedere che io voglio dirigere tutte le scienze a un unico fine, ossia al conseguimento della suprema perfezione umana della quale abbiamo detto. E così, tutto quello che nelle scienze non ci fa avanzare verso il nostro fine deve essere gettato via come inutile. Per dirlo con una parola, tutte le nostre azioni e insieme i nostri pensieri devono essere diretti a questo fine. Ma poiché, mentre cerchiamo di conseguirlo e ci adoperiamo per ricondurre l‟intelletto sulla retta via, è necessario vivere, siamo costretti anzitutto a supporre come buone alcune regole di vita”; trad. FM].

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“Notandum hic, quod Verulamius saepe capiat intellectum pro Mente, in quo a Cartesio differt”275.

L‟ep. II, composta fra l‟agosto e il settembre del 1661, è la risposta di Spinoza a una lettera in cui Oldenburg, ricapitolando alcune discussioni intrattenute con lui nell‟estate, chiedeva all‟amico delucidazioni in particolare su quale fosse, nella sua concezione, la differenza fra estensione e pensiero (primo, qua in re Extensionis, et

Cogitationis verum discrimen ponas), e in cosa consistessero i principali difetti della

filosofia di Descartes e di quella di Bacone, e come potessero essere corretti (secondo,

quos in Cartesii, et Baconis Philosophia defectus observes, quaque ratione eos e medio tolli, ac solidiora substitui posse iudices276). La risposta di Spinoza è particolarmente

interessante277: innanzitutto, dopo aver definito Dio come Ens, constans infinitis

attributis, fornisce appunto una definizione di attributo; caratterizzandolo, come

275 [“Va osservato che il Verulamio spesso intende l‟intelletto nel senso di mente – e in questo si

distingue da Descartes”; trad. mia] G IV, 9, 8-9. Gli altri difetti individuati da Spinoza, nell‟Ep. II, nel tentativo di segnalare a Oldenburg le principali mancanze nel pensiero di Descartes e Bacon, sono altrettanto interessanti: “Petis a me secundo, quosnam errores in Cartesii, et Baconis Philosophia observem. […] Primus itaque, et maximus est, quod tam longe a cognition primae causae, et originis omnium rerum aberrarint. Secundus, quod veram naturam humanae Mentis non cognoverint. Tertius, quod veram causam erroris nunquam assecuti sint; […]. De Bacone parum dicam, qui de hac re admodum confuse loquitur, et fere nihil probat; sed tantum narrat. Nam primo supponit, quod intellectus humanus praeter fallaciam sensuum sua sola natura fallitur, omniaque fingit ex analogia suae naturae, et non ex analogia universi, adeo ut instar speculi inaequalis ad radios rerum, qui suam naturam naturae rerum immiscet, etc. Secundo, quod intellectus humanus fertur ad abstracta propter naturam propriam, atque ea, quae fluida sunt, fingit esse constantia, etc. Tertio, quod intellectus humanus gliscat, neque consistere, aut acquiescere possit; et quas adhuc alias causas adsignat, facile omnes ad unicam Cartesii reduci possunt; scilicet quia voluntas humana est libera, et latior intellectu, sive ut ipse Verulamius (Aph. 49) magis confuse loquitur, quia intellectus luminis sicci non est; sed recipit infusionem a voluntate.”.

276 Ep. I.

277 Fra l‟altro, l‟Ep. II conteneva in allegato la “prova geometrica” delle tre proposizioni sulla

sostanza di cui si è parlato nel § I.2.3; allegato che è andato perduto, ma la cui elaborazione testimoniata dalle parole di Spinoza stesso, oltre che dalla risposta di Oldenburg costituisce una testimonianza estremamente importante dei nessi genetici tra Breve Trattato ed Etica, per cui cfr.

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anche nel Breve Trattato – molto probabilmente coevo alla lettera – in primo luogo attraverso l‟elemento gnoseologico. Spinoza allega poi tre proposizioni nelle quali abbozza una propria originale teoria della sostanza278: e, nel rispondere alla seconda

domanda di Oldenburg, indica come prova della lontananza di Descartes e Bacon dalla conoscenza della prima causa, origine di tutte le cose, proprio la verità delle tre proposizioni appena citate. E‟ dunque palese che Spinoza sta muovendo, in questa prima fase, verso l‟elaborazione del proprio sistema; ed è chiaro, anche, che la critica a Bacon e a Descartes espressa nella lettera rappresenta la coscienza dell‟assoluta novità della propria elaborazione del concetto tradizionale di sostanza.

Quello che però mi preme sottolineare in merito alla presente trattazione, è il fatto che la critica a Bacon formulata nel 1661 (anno di stesura dell‟Ep. II), la quale si appunta sulla confusione fra mens e intellectus, suoni anche come una significativa autocritica, che sembra riferirsi a quelle posizioni del Tractatus de Intellectus

Emendatione da cui emerge una nozione dell‟intelletto modellata proprio sul calco

baconiano – nozione la cui stridente incompatibilità col progressivo evolversi di un‟originale quanto sistematica concezione della sostanza appare evidente allo Spinoza del 1661, sicuramente già ben consapevole delle derive aporetiche cui doveva averlo condotto l‟armamentario teoretico su cui si innestava l‟incompiuto TIE279.

278 “In rerum natura non possunt existere duae substantiae, quin tota essentia different” [cfr. EI5,

dove questa proposizione diventerà “In rerum natura non possunt dari duae, aut plures substantiae ejusdem naturae, sive attributi”]; “[quod] substantiam non posse produci; sed quòd sit de ipsius essentia esistere”; [cfr. EI6, “Una substantia non potest produci ab alia substantia; EI7, Ad naturam substantiae pertinet esistere”]; “omnis substantia debeat esse infinita, sive summè perfecta in suo genere”;[ cfr. EI8, “Omnis substantia est necessario infinita”].

279 Si tratterebbe, insomma, di un‟ulteriore testimonianza a favore della retrodatazione del TIE

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Nel Tractatus de Intellectus Emendatione l‟intelletto compare però anche in una seconda accezione, che Mignini giudica essere addirittura in netto contrasto con questa prima, di stampo baconiano. Oltre che problematico sinonimo di mens, l‟intellectus del TIE, come si è già visto a proposito delle definizioni di verità e di adeguatezza280, è anche organo e criterio di verità corrisponde cioè, in sostanza, a

quello che nella Korte Verhandeling e nell‟Ethica è o, meglio, diventerà, il terzo genere di conoscenza, la scientia intuitiva del De Libertate humana:

“Id, quod formam verae cogitationis constituit, in ipsa eadem cogitatione est quaerendum, et ab intellectus natura deducendum”281.

L‟attrito fra le due diverse accezioni di intellectus nel TIE si rivela stridente quando le si osservi entrambe nella prospettiva metodologica del trattato. Il problema, sostanzialmente, consiste nel fatto che, non creando una netta demarcazione fra mens e intellectus, Spinoza è costretto a cadere nel circolo vizioso originato dal tentativo di correggere i difetti del suo intellectus attraverso regole e criteri che dall‟intellectus stesso sono posti – il che equivale, direbbe (anzi dirà, riferendosi tuttavia al criticismo kantiano) Hegel, a tentare di imparare a nuotare, prima ancora di buttarsi in acqua.

280Cfr. supra, § I.2.3.

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