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A PPROFONDIMENTI SUL NIHIL DELL ’ EX NIHILO

Nel documento Non essere (pagine 195-200)

VERITÀ DEL NON ESSERE

4. A PPROFONDIMENTI SUL NIHIL DELL ’ EX NIHILO

4.1. Necessità di introdurre l’ex nihilo

Il riconoscimento della creazione libera – cioè, radicalmente ex nihilo – dell’ente finito risulta dalla necessità di non rinnegare la perfezione dell’Essere originario55. Se la relazione tra l’Essere origi-nario e l’ente finito venisse intesa in senso non pienamente creazio-nistico – ovvero nel senso simmetrico che troviamo, in versione antico-medievale, nella relazione causa-effetto, o che ritroviamo, in versione moderna, nella relazione organicistica –, il primo non potrebbe più esser tenuto fermo nella sua perfezione ontologica. In quella ipotesi, infatti, l’Originario si rivelerebbe omogeneo a quel mondo diveniente che, a seconda dei casi, da esso emanerebbe, o in esso sarebbe implicato.

Se non che, anche il finito risulterebbe tradito da una configura-zione metafisica che non ammettesse la creaconfigura-zione piena, ovvero libera. In quel caso, infatti, esso dovrebbe venir inteso come il risul-tato di una “caduta” dell’Essere originario, e quindi come una sorta di realizzazione depotenziata o inautentica dell’essere: il che accade nel modello emanazionistico. Oppure dovrebbe venir inteso come un elemento astratto dello stesso Essere originario, come accade nel modello organicistico.

canza di caldo). (3) L’ens imaginarium: intuizione coerente ma vuota, senza oggetto (cioè forma conoscitiva priva di “materia”). (4) Il nihil negativum, corrispondente – suarezianamente – alla autocontraddizione (si pensi a una figura rettilinea di due lati), e quindi a un oggetto “vuoto”, privo di concetto.

55«Infinito in senso proprio è solo l’Essere, l’Infinito. Quel che impropria-mente diciamo tale, propriaimpropria-mente è indefinito, illimitato ecc., cioè una partecipazione finita dell’Infinito; né il finito è una diminuzione dell’Infi-nito, né l’Infinito un crescere del finito; meno ancora il finito è una parte dell’Infinito: tra l’uno e l’altro corre una differenza essenziale e massima. (Cf. ROSMINI, Teosofia, 726)» (cf. M. F. SCIACCA, Ontologia triadica e trinitaria, Marzorati, Milano 1972, p. 64).

Un Originario che avesse qualcosa di (originariamente) potente su di sé, condividerebbe con questo altro fattore la condizione di origi-narietà, dando luogo ad una originaria bipolarità. Quest’ultima è la situazione prospettata dalla metafisica greca, dove l’Originario non è mai assoluto rispetto a un qualche tipo di materialità, di diadicità, di alterità necessitante. Si può osservare che il deuteragonista metafisico esercita la propria interferenza intercettando l’azione ad extra del principio (Uno, Motore o Demiurgo che esso sia), e non intervenendo sulla sua attività ad intra; il che lascia apparire una bipolarità mai del tutto simmetrica. Eppure di bipolarità, e quindi di una certa simme-tricità, pur sempre si tratta, stante la coeternità, e quindi la coevità, dei due poli (nessuno dei quali potrà invocare per sé, a quel punto, l’assolutezza). Ma qualcosa di analogo vale anche per le metafisiche moderne della organicità, nelle quali si realizza una analoga bipola-rità tra astratto e concreto, tale da compromettere la reale altebipola-rità del concreto rispetto all’astratto (ovvero la trascendenza).

Viceversa, la metafisica della creazione – e quindi della libertà produttiva dell’Originario – garantisce il carattere assoluto dell’Originario stesso, il cui altro è da esso posto, potendo non esserlo. In tale prospettiva, l’Originario non patisce alcun deutera-gonista col quale dover fare struttura, sia pure nell’agire ad extra. Più precisamente, l’unica figura che possa ambire a candidarsi al ruolo deuteragonistico è il “non essere” assoluto, della cui obiettiva incandidabilità già abbiamo detto56.

56L’unica originaria relazione ad extra che, in prospettiva creazionistica, è leci-to riconoscere all’Originario, è quella verso il non essere assoluleci-to: termine col quale va qui intesa, non un’autocontraddittoria entificazione del negati-vo, bensì la stessa impossibilità (lo stesso autoannullarsi, dunque) di una alterità fronteggiante l’Originario. Il non essere, dunque, paga la propria originarietà con la propria assoluta inconsistenza: infatti, solo un negativo che non incominciasse da se stesso, ma che fosse relativo o attinente a un positivo, potrebbe godere di una qualche – sia pur indiretta – effettività o consistenza.

4.2. Una considerazione dialettica del positivo

È chiaro che l’evidenza della assoluta inconsistenza del “non essere” si traduce – in termini positivi – nella attestazione della assolutezza dell’Originario, ovvero della impossibilità che esso sia, di suo, relazionato ad altro da sé. In tal senso, il “non essere” emer-ge come una figura che – se sottratta alle intemperanze dell’im-maginazione – risulta funzionale a una autentica considerazione dialettica dell’essere. Diciamo “considerazione dialettica”, anziché “dialettica” simpliciter, perché con la prima espressione alludiamo a un movimento della riflessione filosofica sull’essere, e non a un movimento dell’essere stesso.

L’esito di tale considerazione dialettica è complesso. Anzitutto, essa rileva che la dialettica che all’essere può essere riconosciuta da un punto di osservazione umano (e quindi astratto), è originaria-mente intrinseca all’essere stesso. Se l’essere è dialettico, lo è ad intra, per il semplice fatto che l’ipotesi di alcunché di altrettanto originario che gli sia effettivamente extra, in modo da dialettizzarlo, appunto, ad extra, si toglie di scena da sé.

4.3. Lo statuto del nihil dell’ex nihilo

Ulteriore esito della considerazione dialettica dell’Essere origina-rio è che ciò che è altro da esso – l’ente finito e diveniente, che non ha in sé una condizione sufficiente per consistere – non potrà avere alcun presupposto ontologico che non sia lo stesso Originario. La posizione del finito, che dovrà essere pensata come posizione asso-lutamente libera, in quanto ogni ipotetica necessitazione la inscrive-rebbe nella essenza dell’Essere con esiti autocontraddittori, potrà avere, come presupposto ulteriore all’Essere, solo il “non essere” assoluto: cioè nessun presupposto effettivo. Il che potrà anche esse-re espesse-resso dicendo che, quel che il finito ha di proprio – pesse-rescin- prescin-dendo dal suo essere liberamente posto (ovvero creato) – è precisa-mente niente. Qui, la dissimmetria originaria si traduce in una dis-simmetria originata, ovvero in quella dialettica unilaterale della creazione che classicamente è espressa come relatio idealis, o impli-cazione a senso unico.

Il nihil della productio rei ex nihilo sui et subiecti è il non-essere relativo della res creata, la quale è – per così dire – tratta dal proprio “non essere”, cioè dalla inconsistenza che originariamente le appar-tiene. È chiaro, poi, che tale inconsistenza originaria non è un “luogo” o una “regione”, e neppure una “condizione”, che l’atto creatore dovrebbe presupporre per poter operare: non è, cioè, in alcun modo un qualcosa, ovvero una contraddittoria entificazione del negativo. Piuttosto, lo statuto di un tale nihil (che Suarez diceva “absolutum”) è solo indirettamente ontologico, come lo è quello del “non essere” assoluto: il primo, indicando il non poter stare dell’en-te creato senza l’Essere creandell’en-te; il secondo, indicando il non podell’en-ter stare originariamente di alcunché accanto, e quindi oltre, all’Essere creante.

In conclusione, i due negativi indicano l’assolutezza del positi-vo, ed escludono – l’uno in senso assoluto, l’altro in senso relativo – una sua originaria relazione ad extra. Il nihil dell’ex nihilo è dunque una specificazione del più generico “non essere”: è il “non essere”, considerato in relazione all’ipotesi che qualcosa faccia da condizio-ne all’esserci del finito, al di là dell’atto creatore che è proprio dell’Essere originario.

4.4. Superamento di un equivoco

La libertà del creatore fa sì che la creatura, che di suo – cioè nel-l’ipotesi di una sua autonoma consistenza – è niente, possa tornare a esserlo. Più precisamente, la creatura può per suo statuto essere nuovamente condotta a identificarsi, non con un improponibile “non essere” assoluto, bensì col proprio “non essere” relativo, stan-te che il suo non esser più presenstan-te (il suo non esserci più) non porta contraddizione. Infatti, il venir meno della creatura non com-porta il realizzarsi, in suo luogo, di qualcosa come un vuoto d’essere, ovvero un entificarsi del negativo; e ciò per la stessa ragio-ne per cui il venire all’essere della creatura non presupporagio-ne qualco-sa come il riempimento di un precedente vuoto d’essere. Non esiste alcunché che faccia da antecedente e da conseguente al positivo creaturale, oltre all’Essere creatore; il quale, peraltro, non può patire incremento o decremento dal divenire del finito.

4.5. Sulla positività del finito

Se il “non essere” assoluto risulta un paradossale nome dell’es-sere, indicante l’assolutezza di questo per via della sua impossibi-lità di avere un qualche referente originario, il nihil dell’ex nihilo è una specificazione del “non essere”, riferentesi alla realtà creaturale – come già osservavamo.

La finitudine è la positività non originaria: quella che, al netto dell’atto creatore, equivale appunto al “non essere”; e, ciò non di meno, è positività. E positività altra dall’Essere originario: da que-sto posta come tale, e perciò instaurata nei limiti che la costituisco-no come “altra”.

Lo statuto del finito, però, non va frainteso: il finito non ha e non è solo quello che non gli è dovuto; tanto che, se l’avesse, cesserebbe di essere il positivo che è. Si può parlare, dunque, non solo di una positività, ma anche di una “perfezione” del finito. Più precisamen-te, l’atto creatore costituisce la creatura proprio nel limitarla. E ciò accade in due sensi: da un lato, la determinata realtà finita (A), per essere se stessa, non potrà essere insieme anche la realtà finita diversa da sé (B, C, o altro ancora); d’altra parte, tale realtà non potrà neppure coincidere con lo stesso Essere infinito. Dunque, il limite le è, in più sensi, essenziale. Liberarsi del proprio limite vor-rebbe dire allora, per la realtà finita, liberarsi di sé: nientificarsi, al limite; di fatto, perdersi57.

4.6. Una falsa dialettica

Più precisamente, il limite è tutto il non-essere che è consentito dalla essenziale positività dell’Originario: tant’è vero che il “non essere” proprio del limite si costituisce sempre come alterità, cioè come un che di positivo. La privazione, invece, è da mettere su di un diverso conto; che non è più, almeno formalmente, quello ricon-ducibile all’atto creatore.

57Su questo punto rinviamo alle importanti riflessioni contenute nel già citato: M. F. SCIACCA, Ontologia triadica e trinitaria.

Se l’autentica dialettica ad extra dell’Originario è la creazione, cioè l’atto in cui il secondo termine della relazione è posto integralmente, e perciò liberamente, dal primo, la falsa dialettica è quella che vedrebbe impegnato l’Originario in una autoctisi, in cui l’ad extra diverrebbe costitutivo dell’ad intra. Così, i sistemi dell’Idealismo sarebbero le più complete espressioni di una tale falsa dialettica.

Si può dire che falsa dialettica è quella in cui il “non essere” asso-luto, da figura funzionale a una considerazione dialettica dell’essere, viene elevato a figura autenticamente speculativa, cioè a deuterago-nista dell’Originario58.

Il finito ha di suo – al netto dell’atto creatore – il “non essere”59. Naturalmente, il “non essere” non va qui inteso come l’impossibile deuteragonista dell’Essere originario e sostantivo, bensì come il nihil absolutum che Suarez distingue dal nihil negativum: cioè come il “non essere” da cui l’ente è idealmente tratto, ovvero la assoluta non preesistenza di questo, rispetto all’atto creatore.

4.7. Accuse arbitrarie alla teoria della creazione

Arbitraria risulta, in tale prospettiva, la tesi per cui il mondo sarebbe svuotato di ogni consistenza ontologica – e semplicemen-te consegnato all’orizzonsemplicemen-te ontico –, se insemplicemen-teso come creato; cioè, se riferito all’atto di un Super-Essente60che gli conferisca sussistenza

58Allo stesso scenario della falsa dialettica appartiene la domanda – tipica di certa modernitàche chiede come mai ci sia l’essere piuttosto che il niente. Si tratta di una domanda imbarcata, in quanto già implica per sé una collo-cazione nichilistica, e più precisamente uno scenario in cui l’originarietà può venire indifferentemente (e contraddittoriamente) attribuita al negativo piuttosto che al positivo.

59«Esse autem non habet creatura nisi ab alio sibi autem relicta in se considerata nihil est:

unde prius naturaliter est sibi nihilum quam esse» (cf. TOMMASO D’AQUINO,

De aeternitate mundi contra murmurantes, 7; testo latino dell’Editio Leonina).

60In realtà, l’identificazione onto-teologica dell’originario – che Heidegger attribuisce alla metafisica scolastica – è estranea alla migliore tradizione metafisica: basti pensare a Tommaso d’Aquino e a Rosmini.

Nel documento Non essere (pagine 195-200)