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L A DISTINZIONE TRA LA DIFFERENZA E LA NEGAZIONE DELL ’IDENTITÀ:LA PURA DIFFERENZA

Nel documento Non essere (pagine 152-155)

VERITÀ DEL NON ESSERE

7. L A DISTINZIONE TRA LA DIFFERENZA E LA NEGAZIONE DELL ’IDENTITÀ:LA PURA DIFFERENZA

Ma − ecco un punto decisivo − se ogni definizione-determina-zione viene operata mediante una negadefinizione-determina-zione, allora anche la pro-posizione che nomina la verità assolutamente positiva (quella cioè rispetto alla quale ogni negazione è una contraddizione) viene ad essere, in quanto negativa, contraddittoria, o quanto meno ambi-gua, perché lascia aperta la possibilità di essere interpretata in maniera necativa anziché semplicemente descrittiva. E lo stesso ten-tativo di definire la proposizione filosofica come puramente descrittiva, distinguendola dunque da quella necativa, è destinato allo scacco se si tiene fermo che ogni differenza è una negazione, cioè che omnis determinatio est negatio (Spinoza e Hegel).

so nel senso della descrizione del fatto che chi intende in un ben determinato senso quei termini con ciò stesso esclude dall’ambito delle proposizioni vere/non-contraddittorie la negazione della verità. Questa, da capo, è una descrizione di questo fatto, cosa diversa dall’essere a sua volta l’esclusione di un qualche/qualsiasi fatto. Dal momento che il suo riferimento è l’essere onni-includente, la proposizione veritativa è sempre inclusiva, e descrittiva rispetto a ogni possibile negazione/esclusione. Essa è dunque descritti-va/puramente positiva rispetto a qualsiasi (altra) posizione.

Da questo punto di vista il problema filosofico decisivo viene ad essere un problema di composizione e di pratica linguistica, cioè di stile13. La filosofia pone il problema di un uso della negazione che sia diverso da quello negativo/necativo. La risoluzione dei proble-mi filosofici richiede un parlare della negazione che sia qualcosa di diverso dall’effettuare una negazione (dall’operare una negazione). È quindi verosimile che a tal fine essa richieda una gestione del collo-quio, e quindi anche dei contesti nei quali la comunicazione acca-de, che sia diversa da quella negativa/necativa; da questo punto di vista la questione della pratica filosofica diventa assolutamente centrale proprio anche dal punto di vista speculativo.

Un momento particolarmente significativo e importante di tale questione è quello che riguarda quel particolare tipo di negazione che è la negazione dell’identità, soprattutto in relazione all’equivalenza, che viene normalmente posta, tra la differenza e la negazione dell’identità. Se la differenza tra due enti viene intesa come negazione dell’identità dei due differenti, allora la testimonianza di quell’aspetto della verità per il quale questa si definisce come ciò rispetto a cui ogni negazione è una contraddizione viene ad essere una testimonianza negativa e quindi, nel senso visto, contraddittoria (o almeno ambigua). L’auten-tica enunciazione della verità dell’essere esige la testimonianza di una differenza che si distingua da ogni negazione, persino dalla non nega-zione, e che per questo chiamo “pura differenza”. All’interno della prospettiva ‘negativa’ (quella per la quale la differenza viene posta come negazione dell’identità), resta nascosto e oscurato l’aspetto per il quale due differenti, in quanto si co-istituiscono reciprocamente, sono la stessa cosa e in questo senso sono identici; pur risultando differenti, e anzi proprio in forza del loro essere differenti. Potremmo forse dire che ci riferiamo qui a qualcosa di simile a quello che lo Hegel della Scienza della logica chiama “sintesi immanente [immanente Synthesis]”14, anche se proprio in questo passo Hegel vincola tale sintesi al “diveni-re” inteso come “sintesi immanente dell’essere e del nulla”15.

13Ho approfondito il problema dello stile in filosofia nel lavoro a quattro mani: I. CANNONIERI, L. V. TARCA, A lezione da Wittgenstein e Derrida. Ovvero come

diventa reale un dialogo impossibile, Mimesis Edizioni, Milano-Udine 2012.

14G. W. F. HEGEL, Scienza della logica, cit., p. 87.

Se ripensiamo ora alla proposizione filosofica (B-W), ci accor-giamo che l’implicazione tra la prima parte (“ogni cosa è ciò che è…”) e la seconda (“… e non un’altra cosa”) risulta necessaria solo a condizione di porre come equivalente l’alterità, cioè la differenza, con la negazione dell’identità. Possiamo infatti considerare tautologica la circostanza che una cosa sia diversa da un’altra cosa: se A è un’altra cosa rispetto a B, allora essa è necessariamente diversa da B. Ma che allora A non sia B (non sia identica a B) segue solo a condizione che si ponga la differenza come equivalente alla negazione dell’iden-tità; e – aggiungiamo qui – l’identità come equivalente alla nega-zione della differenza. Sulla base di questa assunnega-zione, infatti, dire che A è differente da B (in quanto altra cosa rispetto a B) equivale a dire che A non è identica a B; e – per converso – dire che A è identica a B equivale a dire che A non è differente da B. Insomma: l’identità coincide con la negazione della differenza, e viceversa la differenza coincide con la negazione dell’identità, l’una equivale alla negazio-ne dell’altra. È sulla base di questa assunzionegazio-ne dell’incompatibilità tra identità e differenza – ma appunto solo sulla base di questa assunzione – che la prima parte della proposizione filosofica (quel-la affermativa/positiva) implica (quel-la seconda (quel(quel-la negativa). In altri termini potremmo dire: è dal punto di vista della negazione (cioè del negativo) che la differenza tra due cose è la negazione della loro identità, e, per converso, che l’identità di una cosa è la negazione della sua identità con altre cose.

La testimonianza piena della verità dell’essere esige dunque che l’affermazione che differenzia la verità dalle altre cose venga distinta dalla negazione dell’identità dell’una con le altre. Questo aspetto del problema risulta particolarmente importante quando si tratta di parlare della differenza tra la testimonianza della verità e il discorso contraddittorio. Perché risulta allora possibile distin-guere chiaramente la differenza tra le due (la verità e la contraddi-zione) dalla loro negazione reciproca. Risulta quindi possibile anche superare la difficoltà, incontrata a proposito del paradosso del Mentitore, per la quale la negazione della contraddizione riprodu-ce una contraddizione. Infatti, se la verità viene intesa come nega-zione della contraddinega-zione, accade che proprio tale principio viene ad essere una testimonianza contraddittoria della verità.

In relazione al problema del non essere, ciò vuol dire che, ammesso che la negazione dell’essere sia una contraddizione, resta

ancora da dimostrare che allora la verità dell’essere sia la negazio-ne di tale contraddizionegazio-ne. Da capo, è (solo) dal punto di vista della negazione (cioè del negativo) che tale implicazione scatta automa-ticamente e inesorabilmente. Che la verità sia differente dalla con-traddizione si può facilmente concedere, almeno all’interno di determinate assunzioni (per esempio una volta che si sia assunto che la verità sia salva rispetto alla negazione e che la contraddizio-ne consista contraddizio-nella congiunziocontraddizio-ne di un’affermaziocontraddizio-ne e della propria negazione); ma – appunto – tale differenza si trasforma automati-camente nella negazione della contraddizione solo a condizione che la differenza sia posta come negazione dell’identità; e a queste condizioni il principio di non contraddizione viene ad essere una contraddizione.

Un problema centrale della filosofia diventa allora quello di ela-borare una testimonianza della verità − e quindi del rapporto di questa con la sua negazione, e perciò con il non essere − che conce-pisca la verità, piuttosto che come negazione di qualcosa, come una descrizione del fatto che la negazione dell’essere (il non essere) consi-ste in un’autonegazione.

8. L

A RIFORMULAZIONE DELLA PROPOSIZIONE FILOSOFICA

Nel documento Non essere (pagine 152-155)