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4.1. Presentazione

Ablaye è l’unico degli intervistati che non fa parte della comunità senegalese di Pisa ma di quella di Pontedera, all’interno della quale sembra giocare un ruolo piuttosto attivo, essendo tra l’altro Vicepresidente dell’Associazione di volontariato “Senegal Solidarietà”. L’abbiamo conosciuto in un contesto formale, quando stavamo appena cominciando a cimentarci nella ricerca, senza aver ancora intervistato nessuno.

Si trattava di una cena vicino a Pontedera (a cui eravamo state invitate da Matar, da poco presentatoci dal Dott. Aria), inserita come momento conviviale, all’interno di un progetto di collaborazione internazionale con il Senegal portato avanti dal Centro Nord-Sud e dalla Salus. Erano presenti alcuni medici senegalesi dediti a cercare di arginare il problema dell’AIDS nel proprio paese, invitati in Italia da quest’associazione; c’erano poi alcuni alti esponenti di quest’ultima, una giornalista italiana, l’immancabile Matar, Ablaye, e pochi altri senegalesi.

Noi purtroppo, essendo come già detto alle primissime armi, non siamo riuscite a sfruttare al meglio l’occasione. Ci sentivamo spaesate e imbarazzate, non potendo neanche capire, fino a serata inoltrata, in che genere di contesto ci trovassimo (eravamo state invitate senza ricevere alcun chiarimento in merito). L’unico frutto che siamo riuscite a cogliere in quell’occasione è stato il numero telefonico di Ablaye: piccola conquista rispetto a ciò che avremmo potuto scoprire se avessimo avuto l’esprienza necessaria per intervistare i medici lì presenti, tuttavia questo aggancio telefonico si è rivelato poi molto prezioso. Ablaye ci ha fatto subito un’ottima impressione sul piano umano: la sua disponibilità e la sua serenità non si sono incrinate di fronte al nostro evidente spaesamento. Al contrario di Matar, unico con cui avevamo avuto a che fare fino a quel momento nel contesto della ricerca, non ci ha messo di fronte alla nostra incompetenza guardandoci dall’alto in basso nel momento in cui abbiamo farfugliato vaghe spiegazioni sull’indagine che ci

115 Singolare frase, come spesso accade lasciata cadere al momento, ma che invece meritava un

approfondimento! Lui voleva qualcosa dal suo regalo. Ciò deve lasciarci supporre che il suo gesto non fosse disinteressato totalmente, anche se magari ciò che si aspettava era semplicemente fare cosa gradita alla sua famiglia e in particolare alla sua mamma. Ma non posso fare a meno di intravedere anche un altro tipo di interesse. Gor sta facendo l'émigration e mandare oggetti graditi a casa fa probabilmente intravedere che lui qui ce la sta facendo, sta raggiungendo l'obiettivo. Ciò renderà orgogliosa la sua famiglia al di là dei benefici materiali che ne hanno ricavato. Si può pertanto fare un regalo per chiarificare la propria posizione, per definirla in qualche modo.

accingevamo ad iniziare. Ablaye ci ha ascoltato intento, umile e disponibile, e questo ci ha dato grande conforto.

Ciò nonostante non ce la siamo sentita di intervistarlo per primo perché la serietà e l’eleganza della sua figura e la consapevolezza del ruolo istituzionale che svolge all’interno della suddetta associazione, suscitavano in noi un certo timore reverenziale.

Durante l’intervista, avvenuta dunque dopo un breve rodaggio, si è riconfermata l’impressione di avere a che fare con una persona seria ed equilibrata. Parla con un tono di voce armonioso, senza mai accelerare o alzare troppo il volume. E’ evidentemente colto ed intelligente: con lui si può riflettere criticamente, anche grazie alla sua perfetta padronanza della lingua italiana, ma ancora più prezioso delle sue doti intellettive è l’atteggiamento con cui si pone, attento e paziente, che comunica grande serenità.

Proprio per queste sue doti, per la soddisfazione che ci dà rispondendo in maniera distesa e approfondita a tutte le nostre domande, e per il gusto che prova nel parlare di alcuni temi in particolare, l’intervista di Ablaye sarà la più lunga di tutte: quattro ore complessive di conversazione, in due incontri differenti, durante i quali non siamo neppure riuscite ad affrontare l’argomento dono.

In compenso durante il primo colloquio parleremo moltissimo di religione e durante il secondo di donazione del sangue, temi sui quali il nostro intervistato si dilunga volentieri. Infatti Ablaye è una persona profondamente religiosa, con una conoscenza piuttosto puntuale dell’ortodossia, o almeno della versione senegalese di quest’ultima.116 In particolare sottolineiamo tre questioni che emergono a riguardo: il rapporto tra globale e locale nella sua visione dell’Islam, i legami tra quest’ultimo e la medicina tradizionale e infine la centralità del concetto di purezza che risulta fonadamentale nel momento in cui indaghiamo l’approccio di questa religione alla salute.

Anche la donazione di sangue, infine, acquista un grande rilievo grazie al posto che riveste nel suo vissuto personale, sia in Senegal, sia, in modo totalmente diverso e per ragioni opposte, in Italia, dove diventa terreno per una contrattazione un po’ rancorosa della figura dell’immigrato. A questo proposito è molto interessante il racconto che ci fornirà del tentativo di raccolta di sangue tentato durante l’ultimo week-end culturale orgnizzato dalla comunità senegalese di Pontedera del quale ci aveva già parlato Issa, seppure in maniera meno approfondita.

4.2. Trascrizione

Il nostro primo incontro comincia con una chiacchierata riguardante il tè. Gliene offriamo una tazza e lui subito ci chiede se abbiamo mai assaggiato quello senegalese. Raccontiamo che ce lo hanno solo descritto come molto simile all’orzo. Lui smentisce questa informazione dicendoci che il suo aspetto e il suo sapore sono molto più simili a quello del nostro tè piuttosto che non all’orzo.

Il tè senegalese viene servito secondo un preciso rituale: si prende in tre volte e la prima tazza è quella dal gusto più intenso. Nelle zone montuose lo preparano in modo che risulti molto leggero. Quasi dopo ogni pasto la famiglia riunita approfitta di questo rituale per fare due chiacchiere.

Ci chiede l’argomento dell’intervista e dà una veloce letta alle nostre domande. Si informa anche sulla nostra conoscenza del Senegal, della sua storia e della sua cultura. Gli spieghiamo che le poche informazioni fino a quel punto raccolte le abbiamo trovate su internet; lui si offre subito di portarci alcuni testi che ha a casa.

116 Precisiamo subito che questa è una nostra inferenza; Ablaye negherà che esistano diverse varianti

dell’Islam.

4.2.1. Generalità e percorso migratorio117

Ablaye è nato a Thiès, città a settanta chilometri da Dakar che conta circa trecentocinquantamila abitanti. Ha quarantun anni. Suo padre appartiene al gruppo Serere, mentre la madre è Toucouleur. Lui si definisce, ridendo, un meticcio, dato che quelli dei suoi genitori sono due gruppi diversi e in qualche modo rivali.118 “Io quando mi sento vicino da... a mio babbo dico sono Serere, quando mi sento più vicino a mia mamma dico che sono Toucouleur. Però non parlo Serere, la lingua del mio babbo non lo parlo e non parlo neanche la lingua di mia mamma, sicché io parlo wolof.”119 I genitori si sono conosciuti a Thiès, città natale della mamma, dove il padre, originario di un villaggio, svolgeva il proprio lavoro di camionista. La mamma non ha mai lavorato, occupandosi sempre della casa.

Ha quattro fratelli, uno dei quali più giovane di lui, e due sorelle maggiori, mentre l’unica sorella minore è deceduta alcuni anni fa; nessuno di questi ha intrapreso, come lui, la strada dell’emigrazione.

Dopo il matrimonio con la madre di Ablaye, il padre ha sposato anche un’altra donna, di religione cristiana, dalla quale però ha divorziato poco dopo. Al momento della morte prematura di qusta donna il padre di Ablaye si è poi fatto carico dei due figli, cristiani come la madre, che lei aveva avuto da un matrimonio successivo; uno di loro attualmente lavora in Spagna mentre l’altro è direttore di una ditta farmaceutica in Senegal.

La sua famiglia vive tuttora a Thies, mentre Ablaye ha trascorso buona parte della propria vita a Dakar dove ha conseguito la laurea di secondo livello in Lingue e Letterature Straniere.

Ha poi vinto un concorso, con borsa di studio, per un progetto promosso dalla Cooperazione Internazionale del Belgio che prevedeva un corso di formazione in questo paese: scopo era quello di fornire a ragazzi provenienti da paesi in via di sviluppo gli strumenti e le competenze necessarie per mettere successivamente in pratica le proprie iniziative.

Il progetto di Ablaye riguardava un allevamento di gamberetti che doveva essere realizzato in un villaggio distante centotrenta chilometri da Thiès. Secondo il programma del corso di formazione, dopo qualche anno, una volta avviate, le attività avrebbero dovuto essere lasciate in gestione agli abitanti locali.

Assieme a lui erano stati selezionati tre senegalesi e quattordici ragazzi di altre nazioni africane. Terminato il corso di formazione, però, solo uno dei senegalesi è tornato in patria (non sappiamo se per avviare l’attività come da programma), mentre l’altro è andato in Spagna e Ablaye si è recato in Italia. Gli chiediamo perchè abbia abbandonato la realizzazione del progetto cui aveva lavorato e risponde che, almeno per il momento ha altre ambizioni.

E’ arrivato in Italia nel 2001 su invito di un suo amico di infanzia che risiede qui da dodici anni e di una cugina che vive a Milano dove lavora in banca. Entrambi lo hanno allettato raccontandogli di abbondanti possibilità lavorative e questa è sempre una buona prospettiva per una persona che ha lasciato la propria casa avendo in mente, quasi come assoluto desiderio, di crearsi una posizione per poter aiutare chi non è partito. Durante i sei mesi trascorsi in Belgio è infatti riuscito a mandare un po’ di soldi a casa, mentre quando è arrivato nel nostro paese ha attraversato un periodo più difficile: ci sono stati giorni in cui non riusciva a vendere neppure un libro!

117 Audio min. 12.29.

118 Entra in gioco qui uno dei fenomeni che avremo modo di osservare più volte: due etnie si trovano tra loro

in un rapporto (si dice che sono cugini) tale che i loro membri scherzano e si beffeggiano secondo precise gerarchie che tali scherzi tendono a riaffermare. Cfr. par. 3.2.3. ed in particolare la nota 69. Sulla struttura sociale e tutti i riferimenti relativi cfr. note 109 e 111.

119 Audio min. 15.11.

Questo del venditore ambulante è stato infatti il primo lavoro che ha fatto, poichè, come ci dice anche lui, questo è un po’ un primo passo obbligato per tutti i ragazzi senegalesi immigrati. Dopo aver comprato circa trecentomila lire di libri a Milano ha cominciato a vendere a Tirrenia e poi a Torre del Lago, ma non è mai riuscito a smerciarli tutti (di due di questi ci farà dono in occasione del nostro secondo incontro).

Ha lavorato, poi, come metalmeccanico per circa tre mesi e successivamente è stato occupato, per quindici giorni, presso una ditta che si occupa di smaltimento rifiuti.

Stanco di questa vita si è rivolto alla Caritas di Pontedera dove ha conosciuto due signore che lo hanno aiutato sia a regolarizzare la sua posizione in Italia, sia a trovare un’occupazione presso un’azienda di macelleria che ammazza circa settecento maiali alla settimana. Raccontandoci di questo lavoro gli sfugge spesso una risata trovando, lui per primo, molto singolare che un musulmano si occupi di macellazione di carne suina. Tuttavia tra le sue mansioni non rientrava l’abbattimento delle bestie: lui doveva solo attaccare la carne sulle giostre e trasportarla nelle celle. E’ rimasto presso questa ditta per due anni, poi ha dovuto licenziarsi per un serio problema alla schiena.

4.2.2. Rapporti con i medici italiani e con la burocrazia120

Chiediamo spiegazioni sulle dinamiche che lo hanno condotto a licenziarsi in seguito a problemi di salute.

Ablaye: “Poi andavo all’ospedale, facevo la radiologia, non vedevano niente. Avevo sempre i dolori. Un giorno io ho detto a mio medico: - Io bisogna che faccio la TAC, perché... -”

Chiara: “Te l’hai detto al medico, non è lui l’ha detto a te?”

Ablaye: “No, io l’ho detto al medico... perché cioè lui tutte le volte mi diceva vai a fare la radiografia. Mi andavo a fare la radiografia non vedevano niente e io ero sicuro di avere qualcosa qui. Non era possibile perché avevo sempre dolori che mi davano noia davvero. E lui sempre dice: - Radio! -

Ma io un giorno gli ho detto: - Non le faccio più le radio perché le radio non fanno vedere questa cosa. Sono sicuro che c’è un’altra cosa che deve fare vedere la mia malattia, no? - E mi sono informato e mi hanno detto che c’è la TAC e la Risonanza magnetica e allora ho detto: Io voglio fare la TAC. -”

Chiara: “Ma, e questo medico come lo avevi trovato?” Ablaye: “Ma, me l’ha dato l’USL.”

Chiara: “Ah, te eri andato all’USL e l’USL ti aveva assegnato un medico...”

Ablaye: “Ti dicono di scegliere, però se non li conosci [? min. 37.38] ho detto: - Mah, scegliete uno e mi hanno dato questo medico.

E io gli ho detto: - Ma voglio fare la TAC. - E lui ha detto: - Ma sei sicuro di volere fare...? -

Gli ho detto: - Sì, sì, perché voglio sapere che cosa c’ho qui! - " Chiara: “Ma perché lui la faceva una cosa così difficile?”

Ablaye: “Ma, non lo so, faceva andare e venire così e quando ho fatto la TAC hanno visto che non andava bene per niente. Quando sono usciti i risultati io non sapevo nulla, ho preso i risultati e ho portato tutto da lui e quando ha visto i risultati mi ha subito detto: - Mamma mia! Ma Ablaye tuo collo è rotto! - L’ha detto proprio così e io ero... mi ha spaventato perché pensavo anche a una malattia molto grave. Mi ha detto: - Tuo collo è rotto! -“

Chiara: “Ma l’hai cambiato ora questo dottore?”

Ablaye: “No, non l’ho cambiato, ma però ci penso [Ride].” Martina: “E hai dovuto fare delle cure?”

120 Audio min. 36.17.

Ablaye: “Sì, poi ho cominciato a fare le cure, a andare a fare la fisioterapia, prendere pasticche, portare il collare... Faccio fino ora, però non c’è un risultato positivo. L’ultima...”

Chiara: “Bhè, magari però se tu non le facessi la situazione sarebbe andata peggiorando. Magari è rimasta stabile...”

Ablaye: “Sì, è rimasta stabile anche perché ho lasciato il lavoro che facevo, anche. Perché quando... poi dopo quando l’USL ha saputo che facevo un lavoro del genere, che sollevavo pesi, che entravo nelle celle, erano fredde, no? mi hanno detto che loro hanno scritto una lettera a me e all’azienda, che io potevo fare... perché hanno fatto un sopralluogo all’azienda e hanno detto a me e all’azienda che potevo fare questo lavoro, però con dei limitazioni... con delle limitazioni. Non lo potevo fare senza usare mezzi meccanici, bisognava avere i mezzi meccanici per continuare a fare il lavoro. Proprio non potevo più sollevare i pesi o entrare nelle celle, queste cose qua. E l’azienda diceva che non aveva altre cose da darmi, capito? da fare dentro, solo... c’è solo questo per me. E non mi volevano lasciare, no? Perché io aspettavo che mi dicono: Non c’è più niente e allora ti licenziamo. - Non mi hanno licenziato!”

Chiara: “Te ne sei dovuto andare te?”

Ablaye: “Io sono rimasto tre mesi, quasi tre mesi di mutua, a casa. Poi quando le mutua... cioè, ci sono dei limiti, no? Se arrivi a un certo punto devi andare a lavorare, funziona così no? E io non potevo più... non potevo più andare a lavorare e finisce la mutue e loro non mi volevano lasciare, io ho fatto le dismissioni. Sono andato dal commercialista dell’azienda e ho detto... con una lettera di dimissioni. Ho scritto tutto...” Così facendo, per preservare la sua salute si è dimesso ben consapevole che con ciò avrebbe perso i diritti che gli avrebbe procurato invece un licenziamento. Da questo discorso, venuto fuori per caso, riusciamo a capire all’incirca il suo rapporto con la sanità e con la burocrazia italiana e ci offre una buona misura per comprendere il suo livello di integrazione in Italia.

4.2.3. Recenti esperienze lavorative e attività di volontariato121

Lo stesso giorno in cui ha dato le dimissioni ha fatto il colloquio a Canale 50, un’emittente pisana, per fare l’operatore. Gli si è presentata quest’occasione a seguito di un fortuito incontro a Pontedera con un signore italiano che lavora presso questa televisione: è stato costui a introdurlo indirettamente nell’ambiente.

Dopo un periodo di prova in cui gli hanno insegnato i rudimenti del mestiere, hanno deciso di tenerlo con loro, ma sono sorti alcuni problemi per trovare un modo di assunzione. Alla fine ha aperto una partita IVA in maniera da poter collaborare con quest’emittente.

Non ha ancora figli, ma nel 2004, dopo tre anni dal suo arrivo in Italia, si è sposato con la sua fidanzata, che vive ancora in Senegal dividendo la casa con la sorella, e che si è appena laureata; l’aveva conosciuta nel ’90, durante il suo primo anno di università. Non pensa per ora di farla venire qui perché crede che lei, grazie agli studi portati a termine, possa trovare un buon lavoro là.

Confessa che se anche si realizzassero i suoi progetti, vorrebbe continuare a vivere tra l’Italia e il Senegal, dove ora torna quasi una volta all’anno.

Qua in Italia partecipa a due organizzazioni che si occupano di volontariato, una di senegalesi che si chiama “Senegal Solidarietà” di cui è Vicesegretario Generale, e poi la “Misericordia” di Pontedera, presso la quale presta servizio da ormai due anni.

Per collaborare con loro ha dovuto seguire un corso di formazione di livello avanzato sul territorio. Ridendo ci dice di essere l’unico musulmano all’interno di questo ambiente

121 Audio min. 44.43.

cattolico e noi gli chiediamo i motivi di questa scelta un po’ singolare. Ci racconta allora che non si è trattato propriamente una scelta: recandosi spesso alla Misericordia per farsi curare da un dentista che aveva lì lo studio, un giorno ha visto un manifesto che promuoveva un corso di formazione serale per nuovi volontari ed ha deciso di seguirlo. Durante lo svolgimento, durato tre mesi, ha chiesto esplicitamente al Direttore se la sua appartenenza religiosa fosse incompatibile con lo statuto dell’associazione, ma gli ha spiegato che la Misericordia, benché sia nata come istituzione cattolica, nel corso del tempo ha subito un’evoluzione aprendosi ad ogni persona che abbia voglia di offrire il proprio aiuto.

Così adesso presta servizio ogni volta che ha un po’ di tempo libero, ma capita anche che lo chiamino quando hanno bisogno d’aiuto, e agginge: “... mi hanno anche dato un’ambulanza che ho mandato in Senegal.”

[...] 122

Chiara: “Ma come mai lo fai? Che cos’è che ti spinge...?”

Ablaye: “Ma... mi piace soccorrere la gente, le persone, mi piace aiutare la gente. Perché io quando ero piccolo dicevo sempre... quando mi chiedevano: - Ma che cosa vorresti fare da grande? - Dicevo sempre: - Il medico! -

Dicevo sempre: - Il medico! - E poi dopo, con il tempo, ho cambiato e però mi ha sempre piaciuto aiutare altre persone che hanno bisogno.”

Martina: “E anche quando eri in Senegal partecipavi a qualche associazione di volontariato?”

Ablaye: “Sì, sì. Anche quando ero in Senegal già nel mio quartiere c’era un’associazione sportiva e ero lì, anche lì ero Segretario Generale... Vicesegretario generale.”

Martina: “Un’associazione sportiva... di che sport?” Ablaye: “Football, calcio.”

Chiara: “Ma... era... questa qui non era un’associazione di solidarietà, era soltanto un...”

Martina: “... Club?”

Ablaye: “No, sì, sì, sì, era un Club, noi chiamiamo associazione. Noi l’abbiamo chiamata Associazione Sportiva e Culturale [...] perché faceva anche manifestazioni culturali. Però faceva soprattutto calcio. Poi ho... ho... c’era anche un’altra associazione dove ero anche Segretario Generale... Vicesegretario Generale, che era l’associazione... associazione per la protezione delle risorse marine [...] è da lì che mi è venuta l’idea di fare questo progetto [si riferisce al progetto dell’allevamento di gamberetti grazie al quale ha vinto la borsa di studio per il Belgio]... associazione per la

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