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Poetiche e prassi dono. Un'indagine antropologica tra gli immigrati senegalesi nella provincia di Pisa.

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Academic year: 2021

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1. Issa 28 Dicembre 2005

1.1. Presentazione

Questa è la prima intervista che abbiamo fatto.

Issa è una vecchia conoscenza di Chiara; è stato perciò un contatto abbastanza facile, ma sfortunatamente non ha potuto essere il nostro canale d’accesso alla comunità senegalese perché pochi giorni dopo questo primo incontro è rientrato in Senegal per un lungo periodo, durante il quale noi abbiamo dovuto trovare altre maniere per entrare in contatto con i suoi connazionali.

Tuttavia Issa si è poi rivelata una conoscenza preziosissima al suo ritorno dal Senegal. Lui e suo cugino Youssou sono stati spesso i nostri ciceroni all'interno di feste e momenti di ritrovo della comunità. Si sono dimostrati disponibili al confronto e molto pazienti nell'assecondare ogni nostra curiosità o perplessità.

Lui, in particolare, adora parlare con la gente; sembra voler dire così tante cose insieme che le parole gli si inceppano in bocca. E' una persona dinamica, sempre sorridente, piena di vitalità, dall'aspetto molto giovanile, rimaniamo basite quando ci dice la sua età (come scopriremo in seguito portarsi bene gli anni è in effetti una caratteristica di tutti i senegalesi, ma questo è particolarmente evidente nel suo caso).

La conversazione non è durata a lungo, un'ora e venti minuti circa, ma è stata molto utile, per affinare l'impostazione del lavoro in cui ci stavamo avventurando.

A causa dell'imbarazzo provocato dalla nuova circostanza, eravamo pervase dal timore di non porre le domande giuste e di influenzare le risposte con allusioni tendenziose. Ci siamo perciò attenute troppo strettamente al questionario che avevamo preparato per condurre la conversazione sui temi che ci interessavano, lasciando poco spazio alla libera conversazione. Sorde a ogni stimolo che esulasse dal nostro tracciato, ci siamo lasciate sfuggire importanti approfondimenti.

Nonostante ciò, nel complesso, è stato un lavoro positivo, sia a livello di contenuti, sia di impatto emotivo nei confronti della ricerca sul campo.

L'incontro è avvenuto a casa di Chiara, ambiente per noi più facilmente gestibile, sufficientemente informale, rispetto per esempio a un'aula dell'Università e più intimo rispetto alla sala di un bar.

La relativa brevità della registrazione ci ha spinte a trascriverla quasi integralmente; abbiamo riassunto quasi esclusivamente la parte introduttiva riguardante le generalità, la descrizione della famiglia e del percorso migratorio.

1.2. L’intervista

1.2.1. Generalità e percorso migratorio

Issa nasce a Dakar il 25 aprile 1969; è di etnia Serere. Questa era l'etnia dei suoi nonni, ma lui è cresciuto in ambiente wolof, perdendo le proprie radici, come lui stesso puntualizza: "Io appartengo all'etnia Serere di origine, è una delle etnie… una delle sette etnie in Senegal, le Serere, però questa è delle mie nonni, capito? ma io comunque ho cresciuto del luogo, dell'ambiente wolof, capito? abbiamo perso le nostre lingue di origine. Ma [nomina il proprio cognome] è di… capito di etnia Serere,

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ma… capito di classe sociale siamo wolof, perché siamo cresciuti nel m… nelli wolof ."1

E' arrivato in Italia nel febbraio 2001. Partito dal Senegal nel dicembre del 2000 è stato per un breve periodo in Francia dove risiedono alcuni amici. E' partito con il visto, intenzionato a continuare là i propri studi, ma convalidare gli esami fatti in Senegal, dove ha conseguito la laurea breve in Storia, richiedeva troppo tempo.

Contattati dei cugini che aveva qui, è partito alla volta dell'Italia abbandonando i progetti di studio perché, ci dice, era il momento di farsi carico delle proprie responsabilità cercandosi un lavoro.

Non è ancora sposato, ma manda spesso soldi a casa per aiutare i genitori e i fratelli rimasti in patria. Ci dice: "... mando soldi per sostenere la famiglia; comunque questa è l'idea di noi tutti quanti che sono qui in Italia, che siamo qui in Italia. Abbiamo sempre l'idea di aiutare la famiglia giù e, capito? di dare mano a chi ha bisogno." I genitori sono orgogliosi di lui, perché sta soddisfacendo le loro aspettative mantenendo vivi i contatti, infatti chiama a casa quasi ogni settimana. Alcuni dei suoi fratelli sono rimasti in Senegal, altri sono negli Stati Uniti.

Issa in questi cinque anni non è mai tornato in Senegal; afferma che per quanto sia difficile, si è preparati quando si lascia la propria terra: "E' dura sì... l'immigrazione è così: si va, ma non si sa cosa si trova!"

Parlando delle sue esperienze lavorative qui in Italia, ci racconta che inizialmente faceva il venditore ambulante in Piazza dei Miracoli.

A Ponsacco ha frequentato poi uno stage presso uno studio di montaggio: è rimasto lì circa due mesi, impegnandosi nel frattempo a fare le riprese in tutte le manifestazioni organizzate dalla comunità senegalese. Ha girato anche un documentario per "Canale 50", emittente pisana, incentrato sul tema dell'immigrazione senegalese a Pisa. Montando i suoi filmati presso tale emittente ha potuto farsi un po' di esperienza collaborando con gli operatori.

Al momento dell'intervista è assunto in un Cinema con una doppia mansione: la mattina si occupa di audio, video e proiezioni di vario genere per i corsi universitari di Cinematografia, Teatro, Arte. Il pomeriggio fa la maschera. Nel frattempo si sta adoperando per prendere la patente da operatore cinematografico.

Sta anche collaborando alla realizzazione di una cooperativa, la cui principale mansione sarà la gestione di un ristorante senegalese, progetto in parte finanziato dalla Comunità Europea. Tra le diciotto persone che avevano risposto al bando ne sono stati selezionate dieci che hanno dovuto fare dei corsi per imparare ciò che stabilisce la legislazione italiana in merito a norme igieniche e attività ristorative.

1.2.2. Igiene2

Sfruttiamo l'occasione per saggiare le sue impressioni sulle nostre norme igieniche: sostiene che sono molto strette, ma le apprezza, perché ciò che si mangia deve essere adeguatamente controllato. Mette in mostra, con un certo orgoglio, la sua interiorizzazione del nostro concetto di igiene. Incalzato da una nostra specifica domanda conviene con noi che le norme dell' H.A.C.C.P.3 siano un po' troppo ferree, tanto da non poter essere rispettate alla lettera, ma siccome tra le norme e la pratica c'è sempre un grande scarto, si può giungere ad una situazione di compromesso ottimale.

1 Nel corso di una singola frase Issa si riferisce ai Serere come a un'etnia e agli Wolof come a una classe

sociale. Sebbene come si vedrà in seguito vi sia una certa ambiguità intorno alle categorie di casta ed etnia, questa sua affermazione va compresa nel contesto specifico: classe è da intendere qui come ambiente sociale.

2 Audio min. 16.31.

3 "Analisi dei rischi e controllo dei punti critici", direttiva europea per il controllo igienico degli alimenti

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[...] 4

Comunque "... in Senegal i ristoranti non c'hanno bisogno di avere come tutte queste trattative amministrative... non serve. Basta di avere un luogo dove si può mettere la cucina, dove si può cucinare e poi avere un sala dove si può mettere dei tavoli e poi..." La licenza inoltre non costa tanto quanto in Italia.

Martina: "E non ricevete controlli sanitari a sorpresa?"

Issa: "C'è uno servizio che si carica di questo lavoro, ma è difficile di controllare tutto, di mettere tutto in ordine, o di mettere tutto in regola. Perché alcuni si sono aperti, ma non hanno la licenza di aprire."

Chiara: "Ma te pensi che questo abbia un qualche, una qualche importanza per la salute? Cioè pensi che il fatto che qui ci siano regole più strette sull'igiene faccia sì che ci siano meno malattie e che quindi anche in Senegal ci dovrebbe essere una regolamentazione di questo genere, o pensi che non abbia nessuna importanza?" Issa: "No, questo... dovrebbe essere uguale per tutto. La salute è la salute. Non è che la salute italiana o le regole igieniche italiane devono essere di più o meglio di quelle che c'abbiamo o quelle che noi abbiamo, meglio di... L'uomo è l'uomo e quello che lui serve per la sua salute dovrebbe essere uguale per tutti. Quindi, noi, vabbè, c'è questa considerazione: tutti questi parametri di controllo di... di fare andare avanti le cose per il bene dell'umanità... ma se non si sono queste regole, le persone del punto di vista di resistenza, del punto di vista, capito? di capacità di resistere su alcuni cibi, alcune cose diverse, non è uguale. Allora bisogna sapere cosa che si mangia, come è fatto questo cibo, capito? le bevande come sono fatte e perché si sono delle cose diverse. Ma noi quello che ci facciamo qua finora [sottintende: al ristorante senegalese] sono delle cose... delle cose che la gente mangia e che la gente appresia [apprezza] tanto e quindi secondo me non penso che si dovrebbe essere un problema che può dare, come si dice? che può fare dei problemi o creare dei casini o danneggia le altri."

1.2.3. Livello di integrazione nella società italiana5

Poi, saltando di palo in frasca:

Martina: "Vorresti avere, cioè, prendere un giorno la cittadinanza italiana, ti interessa, oppure ti senti un po' di passaggio qua in Italia?"

Issa: "La cittadinanza... Sì, secondo me l'uomo dove si vive è la sua terra." Martina: "Quindi ti senti un po' a casa anche qua?"

Issa: "A casa no al cento percento, perché, capito?, mi sento... so che qui, capito? è il mio paese d'accoglienza, dove vivo e finora quasi quattro anni, metti cinque anni che sono qua e ormai ho consacrato, capito? più del novanta percento della mia vita qui invece del Senegal. Allora non posso più considerare che io abito in Senegal ora. Sono di nazionalità senegalese, di origini senegalese però vivo qui in Italia. Allora devo cercare, capito? tutte le necessità che mi aiutano a rimanere di più o a integrarmi in Italia."

Chiara: "Ma te ti senti ben integrato qua?"

Issa: "Sì... l'integrazione non è che gli italiani che me la dà; l'integrazione la cerco io... e quindi niente. Io a volte voglio dire che integrazione non vuole dire diverse di convivenze. Noi cerchiamo a convivere con voi, a essere... ma integrare vuol dire integrare tutto e quindi io no penso che non posso [? min. 20.53] tutto. Perché prima di tutto c'è la mia cultura, c'è le miei riti, ci sono le mie cose mia e quindi queste rimangono sempre da me. Però posso sposare, posso prendere quello che è positivo, quello che è buono, quello che mi serve, capito? dell'altro, capito? di voi, o

4 Audio min. 15.58. 5Audio min. 19.15.

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di un altro comunità e fare, mescolare tutto per avere un altro modo di pensare, un altro modo di vedere le cose e un altro modo di vivere meglio."6

Martina: "Quindi alla fine comunque questi quattro anni passati qua in Italia hanno cambiato un po' i tuoi... il tuo modo di vedere il mondo?"

Issa: "Eh sì, perché è diverso. Perché prima quando ero lì mi sentono fermato della mia zona e avevo solo un'idea di quello che è successo nel mio paese. Anche se seguo le informazioni delli altri paesi, vedo la tv, vedo, capito? tutte le... mezzi di, capito? ... comunicazione, questo non può voler dire che so quello che si stanno succedendo tutte le cose? Bisogna, capito? di viverle in vivo, per la pelle per avere queste esperienze. E quindi l'esperienza che ho avuto qui in Italia è diversa da quella che ho avuto in Senegal."

1.2.4. Religione e percezione religiosa di salute e malattia7

Chiara: "E te, la tua famiglia è religiosa?" Issa: "Sì, molto!"

Chiara: "Molto. Che religione?" Issa: "Musulmana"

Chiara: "E te sei religioso?" Issa: "Musulmano."

Chiara: "Anche te. E qui, quando sei arrivato in Italia è cambiato qualcosa nel tuo rapporto con la religione, o no?"

Issa: "Cambiato... va bene! Quello che è importante è la fede, di credere e di capire l'altro, capito? e di accettare l'altro come... Perché noi in Senegal... qui la società è diversa da come pensa, da come vede le cose, da come vivono, ma io... in fondo di me, quello che... le mie pratiche io le faccio ogni giorno, quello che devo fare, quello che mi serve, quello che, capito? mi chiede la mia religione. Quello che ha cambiato sono che... sono le preghiere che faceva Senegal, tutte le cinque preghiere quotidiane che si fa. Qui non si può perché si lavora sempre, non si sta mai casa quasi, capito! Quindi quelli lì hanno cambiato un po' perché sono delle cose che le realtà del campo te le [? min. 23.42]. Non è che si applica tutte le cose alla regola. Si può fare quello che si può fare e quello che non si può fare si capisce che è così!" Chiara: "E la tua religione c'ha qualche influenza sul tuo modo di vedere la malattia, la salute, il corpo?"

Issa: "Sì, la mia religione è molto esigente sulla salute, perché la religione musulmana è una religione, capito? pulita; è una religione che vuole una persona sana. Perché la mia religione io mi è divieto di bere l'alcool, di fumare... tutto quello che è collegato ad un disturbo del cervello, la razionalità dell'uomo, il suo controllo delle cose, la religione non..."

Martina: "Quindi ti proibisce tutto quello che può contaminare il tuo corpo e la tua mente?"

Issa: "Eh sì, eh sì. Questo è il tuo, capito? è il tuo... il suo [? min. 24.54] , come si dice in italiano?... Ambito, capito? E quindi questo è quelli lì, di bere, di fumare, mangiare... anche il maiale se è vietato è per quello motivo. Si dice che la carne di maiale, capito? ti porta altre conseguenze che non vanno bene per la tua salute. Allora si è vietato. E quindi bere l'istesso, fumare è l'istesso. E lì che sono delle cose che se non le fai... "

Martina: "Stai meglio!"

6 Notiamo nel suo discorso una chiara influenza della retorica senghoriana che auspica un individuo in grado

di valorizzare la propria cultura d'origine senza per questo chiudersi rispetto all'esterno. La ricchezza, in sostanza, risiede nella diversità.

7 Audio min. 22.22.

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Issa: "Stai meglio! Anche su dove abiti te devi mantenere pulire sempre, rendere tutto pulito finché non ti attacca niente malattie. Invece la religione ti protegge, con tutte le influenze esteriori che ti danno una salute malsana!"8

1.2.5. Percezione del sangue9

Chiara: "E c'è un modo particolare di vedere il sangue nella tua religione?" Issa: "Il sangue? Nel senso?"

Chiara: "Il sangue se c'ha un valore particolare, non so: la purezza del sangue oppure... se in qualche maniera ne parla la religione musulmana oppure no?"

Issa: "Eh sì, perché da noi il sangue si può definire su due cose: il sangue rosso e il sangue bianco, capito?"

Chiara: "Che cos'è il sangue bianco?"

Issa: "No, il sangue è il sangue. Dovrè essere protetta, dovrè essere, rendere sano, ad esempio che non devi mangiare qualcosa che dà noia al tuo sangue o avere delle malattie. Devi aver un'alimentazione equilibrata e bona. Questo è sul fatto che... L'altro fatto è come ora è molto divulgato come esempio l'AIDS. L'AIDS di noi, questo che si trasmette ad un'altra persona è il sangue: se qualcuno usa una siringa o taglia la sua mano con un coltello, con un mezzo di uno strumento e che tu usi questi, può darti. L'altro è il rapporto sessuale! Il rapporto sessuale, quello che noi parliamo anche, quello che noi usiamo di terminologia è il sangue anche, voglio dire lo sperma..."

Chiara: "Ah, usate la stessa parola per lo sperma e per il sangue!?" Martina: "Quindi sarebbe questo il sangue bianco?"

Issa: "Il sangue bianco, capito. Quindi qualcuno che fa l'amore perché non si protetta dall'altro, si posso trasmettere questa malattia. Allora questo bisogna di curarl... no, non, no, di trattare bene la tua salute, anche il contatto con l'altro, capito? di fare in modo che..."

Martina: "Sia pulito?" Issa: "Sia pulito."

8 A orecchie occidentali può suonare un po' strano questo discorso in bocca a persone che appezzano

l'agnello su un telo steso per terra vicino alla spazzatura e mangiano con le mani da un piatto comune dopo essersele sciacquate in una comune bacinella. Osservando le loro pratiche non si direbbe che tengano in gran conto l'igiene.

Ci è capitato spesso di mangiare con loro, e va detto che le prime volte, al ristorante (contesto fortemente occidentalizzato), erano loro che, quando esprimevamo il desiderio di imparare a fare a meno delle posate, ci mandavano a lavarci le mani prima e dopo mangiato. Ma in un contesto cerimoniale tutto cambia. Prendiamo come esempio un battesimo musulmano a cui abbiamo partecipato (cfr. nota 405 pg. 254). In tale occasione, prima di iniziare il pasto, noi siamo andate a lavarci le mani in bagno con il sapone. Rientrate in sala da pranzo abbiamo trovato tutti gli altri invitati che si sciacquavano le dita in una bacinella comune con sola acqua. Il nostro cicerone, Rass, ci ha passato quel simpatico lavatoio itinerante e quando noi abbiamo fatto presente che ci eravamo già lavate in bagno ci siamo sentite rispondere: "Non è questo che importa: lava qui le mani!"... come se quello che contasse fosse il gesto pubblico, in grado di creare la fiducia necessaria per un pasto comune, e non il grado di pulizia della mano con cui dovrò maneggiare il cibo. Altrettanto si può dire per le abluzioni prima della preghiera; l'esempio più emblematico è quello che ci è capitato di osservare al Magal di Fornacette: bagni super affollati con pavimenti ricoperti d'acqua nera e melmosa, e gente che si lavava i piedi e poi li appoggiava senza troppi problemi per terra.

Ci siamo quindi rese conto che sebbene il concetto di pulizia abbia altrettanta importanza nella loro cultura che nella nostra, è la pratica connessa alla parola pulizia ad avere una portata molto diversa. Se per noi, oggi, pulizia significa eliminare ogni traccia di sporco attraverso procedure che mirano quasi a una disinfezione da ogni possibile batterio, per loro è spesso una pratica rituale, che ha poco a che fare con l'igiene in senso occidentale, ovvero, fondamentalmente, in senso chimico.

9Audio min. 25.55.

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1.2.6. Donazione di sangue10

Chiara: "E che implicazioni ha questo sulla donazione del sangue?"

Issa: "La donazione di sangue di dare a qualcuno il tuo sangue? Questo secondo me è un atto... prezioso e un atto veramente salutare perché chi rende, chi dà il suo sangue ad un altro, vuole dire salvare la sua vita, capito. Salvare la vita di una persona non c'è niente più prezioso di questo. E quindi per dare il suo sangue, bisogna che il suo sangue anche non è infettato. E quindi la donazione di sangue è un atto veramente umano, non lo so come dire e quindi..."

Chiara: "E te lo hai mai donato il sangue?"

Issa: "Il sangue no, finora ho sempre voluto di farlo, ma non l'ho mai fatto, ma sempre mi sono preoccupato su questa cosa lì, di dare il mio sangue, perché almeno questo mezzo litro che dà o questa porzione di sangue può aiutare un altro che è in difficoltà o che è in una pericolosa di vita..."

Martina: "Ma quindi non l'hai mai fatto perché non ti è mai capitato o per qualche paura...?"

Issa: "No, non è un problema di paura, un problema di sapere come sto11, come sono fatti... il mio gruppo di sangue. Perché io ho fatto delle analisi, so il mio gruppo di sangue, so quale appartenenza io sono. Però non l'ho mai fatto perché visto sempre per andare all'ospedale, per questo tempo... non è che mi mancava questo tempo, ma l'impegno mi mancava, quindi se tutte volte vedo l'opportunità di farlo, perché non devi farlo?"

Chiara: "Ma lo pensavi già in Senegal?"

Issa: "Sì, sì, sì, anche in Senegal si fa delle donazioni di sangue, si sentono delle campagne, dei programma di sensibilizzazione, dei programma di... capito? di poter fare questa possibilità di dare. La gente a volte porta tutte li strumenti, tutte le attrezzature necessarie, verso i quartieri, capito? per chiedere alla gente di poter dare il sangue.12 Esistono dei programmi di dare il sangue"

Chiara: "E se fosse... è gratis la donazione del sangue in Senegal!??" Issa: "Sì, sì."

Chiara: "E se invece fosse a pagamento ti piacerebbe lo stesso farlo o ti piacerebbe di meno? Se ti pagassero per dare il sangue?"

Issa: "Secondo me questo non si deve essere una cosa che si paga, perché deve essere una cosa di volontaria, capito. E' la persona che sia d'accordo di farlo senza interesse, capito? di darlo perché ha bisogno qualcun altro è nella necessità... è in bisogno di averlo. E quindi per aiutare un’altra persona. Secondo me questo non deve essere qualcosa che si vende!"

1.2.7. Rapporti con la sanità italiana e valutazioni13

Chiara: "E hai mai avuto rapporti con la sanità in Italia o anche in Senegal?" Issa: "Sì, ce ne ho avuto in Senegal e anche qui in Italia!"

Chiara: "Ma hai notato delle differenze grosse sul modo di funzionamento, cioè tra come funziona la sanità in Senegal e come funziona in Italia?"

10 Audio min. 28.05.

11 E' singolare che alla domanda se ha qualche paura a donare il sangue, lui non faccia riferimento a fobie

degli aghi e della vista stessa del sangue, ma rimandi alla paura di conoscere il proprio stato di salute. Alcuni articoli pubblicati on-line sottolineano come uno degli ostacoli all'aumento del numero di donatori in Senegal, ma più generalmente in Africa, sia il timore di scoprire di essere ammalati di AIDS.

12 Le sue parole confermano quanto abbiamo letto sulla donazione del sangue in Senegal: la scarsa

affluenza di donatori regolari e fidelizzati costringe le organizzazioni che si occupano di raccogliere il sangue a muoversi verso la gente con autoemoteche per coinvolgerla in questa pratica.

13 Audio min. 31.40.

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Issa: "Sì, è un po' diverso! Diverso nel senso che qui in Italia, come immigrati o come extra-comunitari, sei riconosciuto quando sei legale, quando hai il permesso. [...] Quando sei in regola puoi avere accesso a tutte le infrastrutture sanitarie!"

Chiara: "E ti sembrano sufficienti quelle che ci sono quando sei... per le persone in regola?"

Issa: "Eh sì, questo... per me, quando ho avuto dei problemi o quando mi sento male, quando ci vado all'ospedale, capito? ho avuto tutte le, capito? possibilità, capito? di curarmi o di trattarmi bene. Quindi quello che è difficile è quello... la persona in situazione irregolare, qui di irregolarità, questa persona si mette in difficoltà perché non è riconosciuta da nessuna parte. Forse ci sono altre strutture che li aiutano, ma io non ci sono mai andato quando mi è suxcesso. Tutte le volte che è suxcesso ce l'ho avuto all'ospedale con le normalità, con i miei diritti di salute che posso avere in questo paese."

Martina: "Quindi cioè, hai usato le strutture ospedaliere per infortuni sul lavoro?" Issa: "Infortuni sul lavoro, sì, l'ho avuto una volta, ma quello era un po' diverso. Perché non l'ho avuto sul luogo di lavoro, l'ho avuto dopo a casa mia, perché mi sentivo il braccio che mi faceva male, quindi sono andato all'ospedale per sapere cosa mi è successo, perché mi faceva male, male, male che non riuscivo più a dormire bene! Quando sono arrivato loro mi hanno fatto il gesso... "

Martina: "Braccio rotto!?"

Issa: "Eh sì, pensavano che c'è... un osso rotto, qualcosa che non và. Poi l'hanno ingessato; quindi sono rimasto quasi tre settimane, no, quasi un mese senza lavoro e quindi ho fatto... ho chiesto la malattia dove lavoravo e quindi sono andato a fare tutti le cure all'ospedale"

Cerchiamo di farci raccontare come abbia fatto a capire il funzionamento della burocrazia, a quali uffici bisogna rivolgersi in determinate circostanze, quali documenti presentare. Lui ci dice che ci sono varie associazioni per extra-comunitari, ma poi ti rivolgi direttamente agli sportelli come quello dell'Inps, dell'Inail etc. C'è anche una grande collaborazione all'interno della comunità, una disponibilità ad aiutare a dare suggerimenti a chi è appena arrivato e non sa bene ancora come muoversi. Gli chiediamo se la stessa disponibilità caratterizzi anche gli italiani e lui riporta il discorso sulla medicina14:

"In generale io non ho visto differenza. All'ospedale, capito? ti ricevono con tanta accoglienza, cercano a capire cosa è che non ti va, che, capito... a curarti nelle norme generali, come tutti!"

Chiara: "E tu ti fidi di loro? Cioè, se un dottore ti dice qualche cosa te ti fidi ciecamente di quello che lui ti dice?"

Issa: "Sì, lui è più capace a dirmi le cose che noi, perché lui è il suo mestiere, è professionista, capito? e quindi sa già tutte le cose che non vanno. Dopo che io ho spiegato quello... che non va, quello che mi sento, lui già ha un'idea, ha fatto gli studi, sa come il suo lavoro e quindi io mi fido di lui. Se vedo che mi da delle indicazioni da seguire che quelle lì non mi va io gli dico: - Questo l'ho fatto, ma non mi va. - e poi si cerchiamo un altro modo..."

1.2.8. Rapporti con la sanità senegalese15

Martina: "E invece avevi già usato, diciamo, gli ospedali in Senegal? Ti era già capitato di andare in ospedale quando eri in Senegal? E lì, diciamo, ti trovi bene lo stesso? Funziona bene la sanità?"

Issa: "No, è un po' diverso perché, vedi che il Senegal non è un paese sviluppato come l'Italia dove, capito? si cerca la perfezione, dove si cerca di giustificare, si

14 Audio min. 36.24. 15 Audio min. 37.28.

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cerca, capito? a dare delle spiegazioni a tutto e dove i mezzi, capito? di lavoro mancano a volte. Qui in Occidente, lo sai... com'è la differenza tra l'Africa e l'Europa, capito? non è uguale su tanti... su emancipazione economica, su luogo sanitario, su tante cose è diversa. Quindi, abbiamo degli ospedali, abbiamo dei medici, abbiamo dei professori, capito? dei medici. Ci sono tutti, c'è Università, c'è tutto, però da voi la gente va fuori, va a Nord a studiare e poi ritornano..."

Martina: "Vanno all'estero a studiare, dici?"

Issa: "... e poi tornano. In Senegal hanno delle strutture, hanno dei mezzi per studiare, per fare questa professione. C'è gente che sa cos'è la medicina, e poi ci sono specialisti di questo dominio, quelli che le fanno. Ma quello che manca, capito? è il materiale..."

Chiara e Martina: "Le strutture!"

Issa: "Le strutture, sì, sì, è quello che manca di più!"

Chiediamo che differenze si percepiscono, proprio a livello visivo, a livello di impatto, quando si entra in un ospedale in Senegal. Issa dice che le differenze si notano: si vede proprio una gestione diversa dello spazio, dell'organizzazione dei vari reparti. Quando arrivi in ospedale, se non sei in condizioni gravi puoi restare lì tutto il giorno, mentre qui vi è una grande attenzione ai bisogni del malato, si cerca di farlo subito soffrire il meno possibile, anche se ha solo un problema alla mano. Preferirebbe farsi curare in un ospedale italiano, o nelle cliniche private senegalesi dove le cose funzionano un po' meglio.

[...] 16

Issa: "L'ospedale per tutti è una cosa dello Stato... capito... ?" 1.2.9. Medicina tradizionale17

Chiara: "Ma accanto a questa medicina, la medicina, insomma, quella Occidentale, c'è anche una medicina tradizionale a cui la gente si rivolge?"

Issa: "Sì, molto, molto, parecchio anche!"

Chiara: "Ma tutti, oppure dei particolari tipi di persone si rivolgono a questa medicina?"

Issa: "No, tutti no, perché le generazioni hanno cambiato delle cose, capito? E poi... prima, quando ce l'hai un esempio un mal di testa, ti dicono di prendere delle foglie dell'albero di mango, capito..."

Martina: "Quindi è un po' un'erboristeria?"

Issa: "Erboristeria, capito? funziona tanto lì. Ma ora con la medicina moderna, dove tutto è calcolato, tutto è misurato, tutto è, capito? trattato, raffinato, è più sicuro, più, capito? più..."

Chiara: "E non pensi che ci siano alcuni problemi, solo alcuni, per cui magari la medicina tradizionale funziona meglio che non quella Occidentale?"

Issa: "Sì, sì, ci sono delle malattie che finora la medicina moderna non ha risolto, non ha risolvato."

Martina: "Per esempio?"

Issa: "Ci sono delle malattia che, capito? la medicina erboristica, la medicina tradizionale riesce a curare, e quindi bisogna di, capito? di... svolgere verso questo tipo di medicina o di rimanere qui. Se... delle persone a volte, prima di andare verso la medicina moderna, capito? e all'ospedale, capito? si cercano a usare i mezzi tradizionali. Quindi se va, bene, non ci vado, se non va [? min. 42.28]. A volte ti complicano le cose perché al momento che... dove si deve prendere una medico, una medicina che è adattato al tuo tipo di malattia, usi un altro tipo di medicina,

16 Audio min. 40.24. 17 Audio min. 40.30.

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altre dosi e quindi questo può darti, può darti... può danneggiare, può crearti tanti problemi. Quindi meglio che quando qualcuno si sente male, di andare a vedere un medico, quindi li fa tutte le diagnostic e quindi... e poi ti dà la tua cura! Però, comunque siamo tradizionalisti, capito? di genitori, di... del passato."

Chiara: "I tuoi genitori si rivolgono ai medici tradizionali o..."

Issa: "Sì, a volte, ma non come prima dove... quando non c'era questa possibilità d'accesso verso la medicina trad... moderna. Perché la medicina moderna, l'ospedali erano nei centri della città, o nei luoghi, nei capi di luogo, capito. Quindi era difficile di quelli che erano in campagna di andare verso l'ospedale, di farsi curare e quindi si risolvevano sulla natura, su quello che avevano, e funzionava, d'una maniera, più o meno."

Martina: "Ma, diciamo, la medicina di stato, quindi il sistema sanitario, fa un po' di pubblicità contro la medicina tradizionale, oppure convivono bene i due sistemi?" Issa: "No, la medicina moderna no può accettare a cento percento la medicina tradizionale [...] non l'accetta." (Ridendo).

Martina: "Quindi come qui? Uguale?"

Issa: "Eh sì! Perché se è la medicina tradizionale funziona al cento percento, quasi [? min. 44.14] la loro medicina alla gente, allora loro non hanno più il loro diritto di esistere di fare il loro mestiere. Allora c'è una guerra di mediazione, no, no, una guerra di media, capito? di sensibilizzazione. Per dire: - Questo va bene, sì, però ma ha un certo limite. Quindi meglio di esporgerci verso quello che è più, capito?" Martina: "E' più preparato?"

Issa: "Sì!"

Qui, in Italia, Issa ha il suo medico. Le cose in Senegal non funzionano allo stesso modo: "Senegal, medico, sì, non è mio medico, perché non lavoravo. Medico di famiglia noi non ce l'avevamo. Però... ad esempio mio fratello aveva un amico, lui era medico e quando a casa c'era qualcosa che, capito? succede a qualcuno, si ciama [intende chiama] lui e poi lui si preoccupa. Ma non era una cosa ufficiale, una cosa, capito... Come qui che ogni famiglia, ogni persona devi andare a... avere un medico; di noi, sì, alcuni l'hanno i medici, ma sono delle famiglie più potente che hanno i mezzi di farlo!"

1.2.10. Tentativo della comunità senegalese di Pontedera di organizzare una raccolta di sangue collettiva18

Riportando il discorso sulla donazione di sangue gli chiediamo se qui o in Senegal ha amici che hanno mai donato il sangue. Dice che al momento non ne conosce, ma che potrebbe provare a informarsi. Ci racconta che la comunità senegalese ha avuto l'idea di organizzare una donazione verso luglio del 2005, senza mai essere stati contattati da associazioni di questo settore, ma difficoltà di tempo hanno fatto svanire il progetto. 19 L'intento era "partecipare in attivo nella società, per dire che anche noi possiamo dare quello che abbiamo di minimo o quello che di prezioso. E quindi avevamo pensato di fare tutti i contatti, tutte le persone in giro, capito? intorno di questo programma e le persone che hanno la carica... l'incarico di questa cosa... per esempio di andare all'ospedale, di andare all'ASL o all'USL, di tutte le persone che si sono impegnate per questo discorso, di contattarli, di sapere come si può farlo, come si può in tutti gli argomenti necessario per poter farlo." Doveva insomma essere un gesto, completamente gestito dalla comunità senegalese, volto a mostrare una partecipazione attiva e concreta all'interno della società in cui vivono.

18 Audio min. 45.17.

19 A questo punto, min. 46.21, nella parte audio, abbiamo tagliato circa due minuti di audio (il taglio è

segnalato da un segnale acustico) durante il quale chiacchieriamo di una conoscenza comune.

(10)

Ci dice poi di essere venuto a conoscenza del fatto che un ragazzo senegalese qui in Italia ha avuto bisogno di una trasfusione, ma non ha mai parlato direttamente dell'accaduto con l'interessato.20

Chiara: "Per tornare un attimo a questa cosa che dicevi del fatto di donare per dimostrare che anche voi potete dare qualcosa, voi che cosa ci guadagnate in questo? Ci guadagnate qualcosa?"

Issa: "Per il fatto di dare?... Di dare il sangue?... Qui in Italia o in Senegal?" Il tono è perplesso, non sembra capire dove voglia arrivare la domanda.

Chiara: "Qui in Italia, in questa donazione che volevate organizzare, pensi che la comunità senegalese ci avrebbe guadagnato qualcosa?"

Issa: "No, noi l'avevamo pensato soltanto per... capito? per far... per inserirlo su un programma di... come si ciama quello? come si chiama ancora? per un seminar... Per esempio, quando facevamo una festa di tutta la settimana e di inserire questo programma: per esempio, se oggi facciamo cena, domani facciamo un po' di, capito? un po' di danza, domani l'altro facciamo un proiezione di film e domani l'altro un donazione di sangue... Una cosa su un programma settimanale, come si dice? un w... un week-end culturale. Se organizziamo un week-end culturale, si cerchiamo di inserire tutte le cose che possono servire, che possono avere un'importanza nella... un importante nella società in cui noi ci siamo, no? E quindi avevamo pensato di fare questa cosa per dare il nostro sangue per aiutare quelli che hanno bisogno [? min. 50.36]. Ma non di guadagnare qualche cosa di genere come soldi..."

Chiara: "No, non intendevo qualcosa di materiale. Intendevo se questo vi portava dei vantaggi in qualche maniera!??"

Issa: "Sì, sì."

Insistiamo imperterrite!

Chiara: "Ma, il vantaggio qual è?"

Martina: "Cosa ti torna indietro a te? Cioè, nel senso, vai a donare il sangue, comunque questo sangue andrà a uno sconosciuto che tu non vedrai mai... e quindi cosa... ?"

Issa: "No. Non l'abbiamo fatto per un motivo di interessamento... una cosa disinteressata. L'abbiamo fatto così, per aiutare, capito? per dire che anche noi, se italiani lo fanno, perché noi non possiamo farlo? E io che lo faccio domani, chissà, chi mi dice che non avrò bisogno di questo sangue. E quindi è una banca e quindi si deposita e poi chi ha bisogno si serve. E quindi i risultati, quello che lo fanno, quelli che si aspettano, questo dipendi da come l'hanno pensato, da come l'hanno iniziato per farlo. Ma noi, proprio, i senegalesi, quando l'abbiamo fatto... non l'abbiamo ancora fatto, ma quando l'abbiamo pensato di farlo, l'abbiamo fatto per farlo inserire da uno programma di manifestazioni che volevamo fare."

Gli chiediamo che scopo abbiano questi week-end cultrali:

Issa: "Scopo di, capito? scopo di fare veder nostra cultura, di fare capire chi siamo noi, perché capito? finora questa integrazione è anche difficile, anche un po’, capito? a metà strada... perché la gente, capito? perché siamo diversi un po’... come posso dire [ridendo] tante cose, questi... così... vogliamo farci vedere, vogliamo fare capire all’Italia chi siamo. E questo possiamo farlo solo attraverso queste manifestazioni culturali e quindi la cultura è uno strumento di... capito? di, di , di divulgare la tua... il tuo modo di vivere e quindi..."

20 Audio min. 48.42.

(11)

Chiara: "E quindi all’interno di questo contesto qui la donazione è un po’ come dire: - Nonostante noi siamo diversi io faccio... dimostro la differenza che ho rispetto agli italiani, però condivido anche dei valori di base? -"

Issa: "Eh sì, dei valori umana, sì."

Chiara: "E quindi la donazione è un valore umano condiviso nonostante la differenza di cultura." 21

Issa: "Sì."

1.2.11. Sul sangue22

Cerchiamo di capire quali sono le sue co noscenze del sangue dal punto di vista medico e Issa ci dice che: "... è uno degli elementi fondamentali dell'uomo. E quindi se il sangue, capito? non è trattato bene, se il sangue è difettoso, se il sangue ha dei problemi, dei malattie come quelli che sappiamo ora, questo è un problema... Perché tutti i globu... come si chiama... globuli rossi o bianchi che siano, hanno dei ruoli e quindi dobbiamo fornire tutti gli elementi che hanno bisogno questi globuli per funzionare bene, per avere una salute. Perché una persona che manca di sangue è un problema. Se ce l'ha troppo c'è ipertensione o le altre cose, e invece allora c'è bisogno di equilibrarla e di darla una buona, uno buono fornimento. No, no, di fornire al sangue quello che ha bisogno, come cibo o alimenti, come proteine o glucosio o..."

Martina: "Quindi, di integrare nel sangue quello che manca?" Issa: "Quello che manca, sì!"

Chiara: "E dicevi prima che secondo te il sangue deve necessariamente essere donato. Se invece uno, cioè perché deve essere disinteressata, deve essere una donazione disinteressa, non sei d'accordo che possa essere pagato, giusto?"

Issa: "Sì, no, secondo me ogni persona ha le sue idee... come si sente, come si sente meglio di fare le sue azioni. Alcuni dicono va bene è loro, capito? invece di darlo gratis li vendono..."

Martina: "Ma la vedi una cosa pericolosa il fatto di vendere il sangue? Legato a questo discorso che dicevi che il sangue deve essere puro e pulito, se no fa male e il fatto che qualcuno comunque possa vendere il sangue, non pensi... cioè che possa essere una cosa un po' problematica mettere insieme queste due cose?" Issa: "Se qualcuno vende il suo sangue è la fine. Bisogna di organizzare, bisogna mettere tutte le strutture, tutte i parametri per il commercio del sangue. Quindi questo è un altro atto, e il sangue non diventa più come il medici che si vende... Come una cosa che io ho proposto, di [? min. 57.33] quelli che hanno bisogno, ma di essere una cosa che si vende come in farmacia che tu quando hai un problema di mal di testa, capito? di mal di pancia, tu vai alla farmacia si compra il medicin... che tu hai bisogno. Il sangue se si commercializza bisogna di metterlo in farmacia, negli ospedali, dove si possono trovare e quindi chi ha soldi, capito? ha accesso a questa cosa e chi non ha soldi muoia, per cosa? Perché non ha sangue, Non ha sangue perché non ha soldi! Questa, per me, è una cosa non umana, disumana!”

1.2.12. Dono23

Martina: "Volevamo chiederti un'ultima cosa su cosa ne pensi di un dono in sé, a prescindere dal dono di sangue, cosa pensi che sia un dono?"

21 Benché sia probabilmente questo il senso del discorso di Issa, avendo commesso l’errore di fornire noi

l’interpretazione dello scopo della donazione collettiva all’interno del week-end culturale, ci troviamo senza informazioni attendibili sulla percezione di tale gesto da parte degli organizzatori.

22 Audio min. 54.12. 23 Audio min. 58.50.

(12)

Issa: "Un dono... Dare, voglio dire dare nel senso di...?" Martina: "Un dono inteso un po' come un regalo."

Issa: "Un regalo!? Sì, è un atto e bisogna di definire questo atto24. Perché alcuni, capito... accettano i doni, capito. Se qualcuno ti fa un dono tu puoi prenderlo, perché è un regalo, capito? Alcuni non li prendono perché dicono che... è il loro atteggiamento di non prendere un dono. Ma è difficile come te l'ha detti, diceva prima, perché definire questa terminologia di dono, bisogna..."

Martina: "Se tu facessi un regalo a una persona che invece lo rifiuta, come ti sentiresti di fronte a questo gesto?"

Issa: "Sì, dipendi del mio... come io conoscevo le cose. Per esempio alcuni si sentono offesi, perché pensavano che questo passa, che questo atto... come tutti gli altri l'altro l'accetta. E invece non l'ha ricevuto, non si sa perché. Questo può essere un pensiero un po' negativo: - Ma perché non ha voluto da me... -"

Chiara: "E quali possono essere i diversi perché?"

Issa: "Perché non si sa cosa contiene questo dono, cosa vuol... quale senso ha questo dono?"

Chiara: "E quale senso potrebbe avere?"

Martina: "Esatto: quando tu fai un dono a qualcuno, con che intenzioni lo fai?" Issa: "Dono sul piano del sangue o su un altro..."

Martina: "No, no, no, in generale un regalo, un pensiero per qualcuno?"

Issa: "Sì, per volere bene all'altro, per un senso di di di affezione, capito?... se si torva nella necessità25 che io posso farlo, lo faccio senza nessun... pensieri dietro di dire che questo lo faccio perché voglio che mi dà questa cosa..."

Martina: "Quindi non ti aspetti niente?" Issa: "No!"

Chiara: "E se poi ti trovi in una situazione di avere bisogno e sai che la persona a cui hai fatto un dono, ti potrebbe aiutare e non ti aiuta?"

Issa: "Questo, capito? lo considero come l'atto che ha fatto. Io lo considero di quello che mi ha fatto. Voglio dire che io se sono nelle necessità di avere una cosa che lui può darmelo, non me l'ha fatto?... Eh, [sospirando] io rispetto la sua decisione, la sua..."

Chiara: "Non è che il fatto che tu l'abbia aiutato quando lui aveva bisogno, lo obbliga ad aiutarti a sua volta quando tu hai bisogno?"

Issa: "No, io non l'obbligo, no! Perché è una cosa di coscienza e ogni persona è libera della propria coscienza, di fare quello che si sente di fare quello che si sente meglio di fare."

Chiara: "E nel rapporto tra te e questa persona non cambia niente? Lo consideri sempre come lo consideravi prima?"

Issa: "Eh, dipende! Se vedo che è una cosa che può farmi senza nessuna pericolo, che non li costa nulla e che non me l'ha fatto, questo è il suo, capito? come si dire... Sono le sue qualità umane che sono così, forse è una persona cattiva o una persona che, capito? non vuole aiutare. E la prossima volta so come definire questa persona!"

24 Appare evidente a questo punto che si tratta della prima intervista. Introduciamo l'argomento "dono"

ponendo una domanda diretta: "Cosa pensi che sia un dono". Issa appare subito critico, insiste sulla necessità di definire tale termine, ma noi non cogliamo il suo problema e ignoriamo gli interessanti spunti che ci offre. Diamo per scontato che un dono sia qualcosa di molto simile a un regalo e insistiamo su tale linea. Lui ci suggerisce che forse si tratta di un termine molto vago, dalle molteplici sfaccettature, difficilmente indagabile nella sua globalità.

Sta introducendo anche il problema della traducibilità del concetto soggiacente alla parola dono tra la cultura occidentale e quella senegalese?

25 Emerge qui una prima connessione tra il dono e la propensione a soddisfare un bisogno del donatario.

(13)

Martina: "Sai con chi hai a che fare! Quindi, diciamo però un pochino da un dono che tu fai per affetto, ti aspetti comunque di ricevere affetto?"

Issa: "Eh sì, infatti. Perché mi si serve, capito... mi si sento bene, capito... mi piace di dare e dare a qualcuno, soddisfare a qualcuno io rimango felice."

Chiara: "E quindi, nel dare te pensi anche che il rapporto che tu hai con questa persona migliora, diventa più stretto?"

Issa: "Eh sì, perché una persona che hai aiutato... questa persona... anche ti voglie bene, sa che tu l'hai aiutato nel momento difficile e questo [...] raffina i vostri rapporti. Alcuni fanno delle cose e poi ci vanno e non li vedi più, è finito, è finito. L'hanno fatto è perché lo devono farlo26 e non si cercano altre cose, vanno e non li vedi più, mai. Alcuni li fanno per interesse perché ti vogliono che tu li... capito? che tu sai che al momento in cui hanno bisogno questa cosa, tu li hai aiutati, hai fatto delle cose... Dipende dalla persona che dà e dalla persona che riceve!27"

Chiara: "[...] C'è in Senegal un'occasione, come per noi può essere il compleanno, il Natale, in cui si fanno dei regali quasi d'obbligo, insomma, in cui si sa che bisogna fare dei regali?"

Issa: "Sì, i regali si fanno quasi per... tanti eventi. Quando ci sono degli eventi religiosi, sono degli eventi sociali sono delle cose... il matrimonio. Dipende dal rapporto che tu tratti con la persona che fa questo evento. Quindi se questa persona ti ha dato una cosa quando tu avevi un figlio... è obbligatorio [ridacchiando di quello che probabilmente ritiene un ossimoro] che quando lui ha qualcosa che tu... gli rendi la moneta, come si dice?!... infatti si fa così! E' la società che ha fatto... che

ha messo questi riti che si fa e alla fine diventano delle cose normali."

Chiara: "E se quella persona ti sta antipatica? Te glielo devi fare lo stesso il regalo? [...]"

Issa: "A me o per tutti?"

Chiara e Martina: "In generale, diciamo."

Issa: "No, in generale... questo si entriamo nella fase psicologica, nella fase dell'uomo e quindi io non ci vuole andare, perché io mi conosco, ma non conosco l'altro. Se me lo chiedi a me io posso dire come si senta, ma se lo chiedi in generale..."28

Chiara: "Allora parlaci per te, per quanto riguarda te!"

Issa: "Per quanto mi riguarda, se una persona antipatica, che io non accetto una persona... io posso rispondere all'atto perché me l'ha fatto e io l'ho rifatto e poi basta. O dico: - Va bene, me l'ha fatto, non mi frega, mi ha dato qualcosa, io non ci voglio dare nulla e non do nulla - e rimango lì."

Chiara: "E secondo te i doni sono più importanti in Italia o in Senegal, per quello che hai potuto vedere?"

[...] 29

26 Sembra fornirci la descrizione dell’atteggiamento di Dibore che durante l’intervista afferma: “E' come

quando parli, come vedi Kant con la sua legge morale: TU DEVI FARLO E FARLO!“ Cfr. elaborato n° 9

Dibore par 9.2.22. pg. 183.

27 Mentre quando riflettiamo sulle nostre pratiche siamo consapevoli che ogni individuo gestisce le diverse

circostanze secondo le proprie inclinazioni, tendiamo invece alla generalizzazione nel momento in cui cerchiamo di comprendere quelle altrui. Issa, che parla dall’interno, sottolinea la variabilità del comportamente individuale.

28 Issa ci dà un’altra lezione di etnografia. Noi, ancora, insistiamo per avere informazioni generali, quasi

dovessimo scoprire cosa pensano "i senegalesi". Lui ci riporta alla realtà facendoci notare che lui può raccontare la sua vita, se stesso, ma non gli altri. Come potrebbe, infatti, descrivere i pensieri e i sentimenti altrui se non attraverso grandi semplificazioni?

29 Audio h. 1.08.26.

(14)

Issa: "Si fa da tutte le parti, anche da noi il dono è tanto apprezzato, è tanto considerato!"

1.2.13. Questionario AVIS 30

Terminata l'intervista proviamo a leggergli il questionario che l'AVIS sottopone ai potenziali volontari prima del prelievo. Nostra intenzione era capire se ci sono delle domande che possono creare imbarazzo (facendo riferimento possibilmente anche alle donne).

Prima di iniziare vuole fare una precisazione ricollegandosi al discorso precedente sull'accoglienza che uno straniero trova in Italia31.

Issa: "... Ad esempio ci sono delle cose un po' diverse. Se vado all'ospedale per curarmi, loro si preoccupano della mia salute per curarmi [...] qui in Italia... Ma se per dare il sangue, per dare questo, questo è un po' più complicato, perché siamo diversi su tante cose, sul piano del cibo, su nostra alimentazione, su tante cose. E quindi il medico italiano o il... ha paura che noi ad esempio, che io sono infettato da una qualche sia malattia e quindi è più attento, capito? è più rigoroso davanti a me che do il mio sangue rispetto all'italiano ad esempio. Perché per italiano lui lo conosce, dice lui sa cosa mangia così, mangia così, viene spesso all'ospedale a controllarsi, a fare delle cose, almeno che ci siano delle malattia un po' virurale, capito? Qui io, ad esempio, se vado all'ospedale per dire che ci do il mio sangue, questo è un po' più complicato, perché è una persona strana che non mi conoscono bene e qui c'è bisogno di tante procedure per fare questa..."32

Iniziamo la lettura del questionario, mettendo ben in chiaro che il linguaggio molto tecnico, rende impossibile anche a noi rispondere senza il supporto di un medico. Ci dice che le domande circa i rapporti sessuali potrebbero essere un problema per le donne, ma non troppo consistente. L'unica barriera sembra essere quella linguistica.

Issa: "Ora, per come è fatta la società, bisogna di superare alcune di considerazioni culturali o alcuni tabù che frenano, capito? l'evoluzione della scienza o dell'omo e dei suoi fatti. Perché tutto è tra noi e quindi non si ha bisogno di nascondere li propri problemi, perché sono delle cose che viviamo quotidianamente e quindi bisogna di rivelare delle cose per assicurare la società, perché siamo una persona tramite tutte le persone e quindi non dobbiamo essere egoiste per essere noi stesse"33

30 Audio h. 1.11.19.

31 Audio h. 1.09.40.

32 Avevamo trascurato un discorso importante, ma Issa lo introduce spontaneamente, senza il nostro minimo

accenno. Giustifica in questa frase un possibile atteggiamento diffidente del medico che deve prendere il sangue ad uno straniero.

33 Offre in una frase un ottimo riassunto di una retorica ricorrente anche nelle successive interviste: "Noi

siamo una persona tramite tutte le persone"; è la collettività che sostanzia l’individuo. Non si possono anteporre i propri interessi, anche se derivano da forti retaggi culturali, al bene comune ed alle necessità altrui. Parla di una società intesa nella sua globalità, dove persone "strane" diverse una dall'altra si incontrano e trovano difficoltà a capirsi, a interagire (scrupoli necessari del medico che preleva il sangue da un africano). E' necessario andare tutti verso un obiettivo comune, collettivo, per creare fiducia e rispetto.

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2. Moustapha 18 Gennaio

2.1. Presentazione

Abbiamo conosciuto Moustapha per strada.

Quel giorno ci eravamo finalmente decise a metterci in moto senza aspettare la mediazione di Matar e ci dirigevamo verso il parcheggio scambiatori di Pisa per cercare Badarà che lui ci aveva indicato come possibile porta d'accesso alla comunità.

Più avanzavamo verso la nostra destinazione e più la nostra inquietudine cresceva: in Piazza dei Miracoli, di solito gremita di venditori ambulanti, c'erano solo turisti. In tutto il tragitto abbiamo visto soltanto tre senegalesi, che poi scopriremo essere Moustapha, Gorgui e Malik (quest'ultimo mai più rivisto).

Arrivate al parcheggio siamo venuti a sapere dai pochi stacanovisti presenti che ricorreva quel giorno la festa del Sacrificio: ecco svelato l'arcano!

Tornando indietro alquanto demoralizzate abbiamo sfruttato l'informazione appena acquisita per attaccare discorso con i tre già notati all'andata.

Chiediamo loro come mai non fossero a festeggiare, e, bluffando un po', quando si stupiscono del fatto che fossimo a conoscenza di tale ricorrenza, introduciamo la ricerca come spiegazione. Rotto così il ghiaccio prendiamo il coraggio di proporgli l'intervista. Inizialmente stanno un po' sulla difensiva, ma il nome di Matar34 e soprattutto il fatto che avessimo già fatto l'intervista con Issa, cugino e coinquilino di Moustapha (quando si dice le coincidenze della vita!), li ha resi più disponibili. Quest'ultimo si è subito rivelato il più socievole e il meno diffidente dei tre.

Dalla sua figura (fisico palestrato, capelli ingelatinati, vesti alla moda) e dal suo atteggiamento è chiaro che ha un modo di ricercare l’inserimento nella società del tutto diverso da quello di Issa, differenza dovuta in parte ad una diversa estrazione socio-culturale e in parte alla giovane età. Come si vedrà da quanto segue, Moustapha è una persona semplice, poco abituata a riflettere su se stessa e sulla propria cultura.

Contrariamente al cugino non è molto interessato ai temi che gli sottoponiamo: ci risponde superficialmente senza elaborarne un proprio punto di vista. Tuttavia ogni medaglia ha il suo rovescio: sarà proprio questa persona a dischiuderci il mondo della medicina tradizionale essendo questo un ambito che ha un peso molto maggiore nel suo vissuto. L'intervista avverrà, poco tempo dopo il nostro primo incontro, sempre a casa di Chiara. Questa volta però riusciremo a darle un taglio più colloquiale, cominciando a staccarci un po' dal questionario.

Il risultato è immediato: gli stimoli più grandi non giungeranno da nostre domande, ma dall’argomento che Moustapha introdurrà spontaneamente, quello, appunto, della medicina tradizionale.

Ecco che ci apre un nuovo affascinante orizzonte proprio nel bel mezzo di un un'intervista fino a questo punto poco stimolante. Se con Issa avevamo affrontato la questione soltanto dal punto di vista fitoterapico, Moustapha, introducendone gli aspetti paranormali, ci fa varcare una soglia vagamente temuta. La nostra ignoranza su come vanno le cose in Senegal oggi, non ci permetteva di affrontare serenamente l'argomento.

34 Matar è stato il nostro primo contatto con la comunità senegalese nel momento in cui ci siamo approcciate

ad essa per scopi di ricerca; avrebbe dovuto essere il nostro cicerone, in realtà si è poi limitato quasi esclusivamente ad offrirci il suo nome come passe-partout per entrare in contatto con i suoi connazionali. Per maggior informazioni si veda la sua presentazione.

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Avevamo già costatato infatti una sorta di meta-pregiudizio da parte loro nei nostri confronti: abituati ad essere bollati come retrogradi ed ignoranti, interpretano a volte in quest’ottica le nostre domande.

Non abbiamo incontrato nessuno, neppure in seguito, con una coscienza critica anti-evoluzionista. Tutti i nostri interlocutori accettano una formalizzazione del mondo che li colloca “indietro” rispetto all’Occidente, convenendo sulla necessità di progredire. Ci sono ovviamente variazioni personali sull’importanza da accordare al progresso rispetto alla tradizione, ma molti di loro, orgogliosi dei “grossi passi in avanti” fatti dal proprio paese, ci tengono a raffigurarsi come persone disincantate.

Come potevamo dunque noi, esponenti di quell’Occidente che, almeno ufficialmente, inquisisce tutto ciò che non riesce a spiegare, indagare la loro adesione a pratiche animiste così fortemente osteggiate dal mito occidentale della razionalità? Non potendo essere consapevoli del nostro approccio critico all’arroganza occidentale in merito, avrebbero interpretato le nostre domande come insinuazioni offensive? Avrebbero risposto in maniera serena, o si sarebbero chiusi come ricci?

Adesso invece la spontaneità e la naturalezza con cui Moustapha ci racconta le sue esperienze a riguardo ci fa intuire che si tratti di una realtà all'ordine del giorno, della quale si può parlare senza remore. Sebbene, come prevedibile, l'atteggiamento verso questo mondo muta da individuo a individuo, quello che conta è aver scoperto che lo statuto di queste pratiche è tale da rendere molto improbabile che le nostre domande a riguardo vengano reputate fuori luogo.35

Purtroppo la barriera linguistica impedirà spesso di penetrare i concetti più complessi, quanto meno di coglierne le sfumature. Lui stesso si stizzisce un paio di volte quando non trova la parola appropriata, sebbene sia abbastanza sciolto nella conversazione aiutato anche da un'espressiva gestualità.

2.2. Trascrizione

2.2.1. Generalità e percorso migratorio

Moustapha ha 23 anni, è di etnia Wolof, come entrambi i suoi genitori. E' arrivato in Italia nel 2001. La sua meta iniziale è stata il Portogallo dove è rimasto due settimane presso alcuni amici. Dice che là è difficile sistemarsi, trovare lavoro. E' partito perciò alla volta della Svizzera, ma anche qui il soggiorno è stato piuttosto breve; si è ripresentato il problema del lavoro e inoltre una vita ancora più cara e maggiori ostacoli burocratici. Dopo sole tre settimane è venuto in Italia. A Pisa aveva come contatto Issa.

Il viaggio gli è stato pagato dalla madre (nata nel 1956) la quale ha sempre fatto la casalinga, nonostante da giovane abbia studiato. Per essere un senegalese non ha una famiglia molto numerosa: è il maggiore di sei fratelli, compreso lui, tre maschi e tre femmine. La più grande delle sue sorelle ha 17 anni e gioca a basket, una va a scuola e l'altra all'asilo. Anche i suoi due fratelli vanno ancora a scuola. Il padre, che era un autista militare, è morto in un incidente nel 1999.

Lui ha frequentato le scuole fino a tredici anni, età a cui termina l’obbligo scolastico, poi ha fatto il carrozziere fino al momento in cui ha deciso di partire per l'Europa.

In Italia ha seguito un corso di inglese e uno di italiano, intraprendendo da subito il mestiere del venditore ambulante a cui allude spesso come "business". Per 5 mesi è stato occupato con un contratto a tempo determinato in una fabbrica, ma non ha mai smesso di vendere. Ora è tornato a fare l'ambulante a tempo pieno.

35 Anche Youssou, per esempio, uno dei più moderni e progressisti, per quanto durante l'intervista non si

sbilanci sul suo coinvolgimento personale in quest'ambito, forse, appunto perché non conoscendoci ancora abbastanza teme di alimentare possibili pregiudizi, in seguito si mostrerà molto affascinato da questa realtà.

(17)

Nonostante non sia mai tornato a casa, mantiene sempre dei rapporti strettissimi con la famiglia. Più tardi ci racconterà che li chiama ogni due giorni e inoltre, con sua sorella, comunica molto spesso tramite sms. Vorrebbe rientrare ed anche sua madre gli fa delle pressioni in proposito, ma lui non si sente ancora pronto, vuole sistemare la sua situazione, mettendo da parte i soldi per poter avviare un'attività a Dakar. Come molti di loro sembra aspettare di avere i soldi in mano prima di fantasticare sul progetto in cui investirli... o forse c'è una specie di scaramanzia che li porta a non esternare i propri sogni. Si professa musulmano ed appartenente alla comunità Murid. Ci sembra tuttavia che il suo attaccamento alla religione non sia molto profondo, infatti a tutte le nostre domande in proposito risponde in maniera vaga o telegrafica. Per esempio quando gli chiediamo spiegazioni sulla sua confraternita, fa fatica a spiegarci di che cosa si tratti36: "... questo gruppo non è che... questo gruppo, capito, è una famiglia... questo è venuto da un istoria, capito, che ha fatto quasi cento anni. Era un uomo, no? che si chiama Cheikh Ahmadou Bamba, era un uomo veramente religio e poi ha fatto tanti lavori, capito, per Dio. Comunque noi siamo musulmani, però musulmani c'è solo un Profeta, Muhammad, no? ma Marabout è un altra cosa, non è uguale come Profeta [...] una specie di guida. Allora c'è Murid c'è anche Tidjan e poi c'è altri e poi, capito?" Nella sua famiglia sono tutti Murid, ma ci dice che non ci sarebbero grandi problemi a cambiare confraternita.

Per quanto riguarda la vita politica ci dice di non essersene mai interessato.

Non ha mai fatto alcun tipo di volontariato, né in Senegal né in Italia, dove non ha mai avuto molto a che fare neppure con associazioni di senegalesi. Se ci sono riunioni vi partecipa, ma non ne è particolarmente entusiasta.

Si trova abbastanza bene qui, ma gli manca molto la famiglia che non vede ormai da cinque anni. Non pensa di rimanere in Italia e vorrebbe che i suoi fratelli non facessero l'esperienza dell'emigrazione.

Dopo una breve pausa riportiamo il discorso sulla religione e lui ci svela che nonostante sia musulmano non fa le preghiere. In Senegal lo faceva per sfuggire i rimproveri della madre. "Ora comunque non c'è lei, non c'è qualcuno che mi dice devi fare così, questo non devi fare... sono libero... [...] ho lasciato un po' di cultura. Però non è una cosa che mi piace di lasciare, ma capito, il tempo qui non c'è perché..."37 Confessa tutto ciò serenamente specificando però che, anche se non pratica più, sente la religione ancora molto presente nella sua vita.

2.2.2. Percezione del corpo da parte nell’Islam38

Chiara prova a chiedergli se l'Islam abbia una particolare percezione del corpo che possa fornire una risposta alla malattia. Lui non comprende la domanda. Per fargli capire cosa intendiamo riferiamo la risposta di Issa a questa stessa domanda, ovvero che per l'Islam è molto importante la purezza e che se qualcuno si ammala è perché non ha rispettato norme di pulizia.

Moustapha: "No, questo io non lo so [...] però c'è, capito, fare bagno santo, no, con un'altra maniera, capito, non è come solo doccia, sapone, no, no, no. Da noi c'è religione musulmana, c'è un altro di fare la doccia, capito?"

Martina: "Una specie di rituale?"

Moustapha: "Si, sì... come, no, come religione musulmana c'è da fare doccia ogni quaranta giorni39, come un'altra maniera, ma non è questi di sapone, no, no [...] Tutti più sani, più santi, più polito."

36 Audio min. 9.50.

37 Audio min. 15.34. 38 Audio min. 16.52.

(18)

Martina: "E come funziona?"

Moustapha: "Eh, ma io non so, perché non l'ha mai imparato." Martina: "Ne hai solo sentito parlare?"

Moustapha: "Sì."

Chiara: "E' un modo di pulire che non pulisce solo il corpo, ma pulisce...?" Moustapha: "Sì, sì, tutte le esperienze, tutto..."

Martina "E chi te l'ha raccontato?"

Moustapha: "Eh, perché sono musulmano, sono nato da un musulmano."

Subito dopo, in un discorso che non abbiamo capito bene, ci sembra che voglia dire che a parole tutti possono essere musulmani, ma la cosa importante è fare tutto ciò che il Corano prescrive. Questo è un po' contraddittorio. Prima afferma di sentirsi musulmano nonostante abbia smesso di praticarlo puntualmente, mentre adesso sostiene che ciò che conta per i musulmani, più che professarsi tali, è rispettare le prescrizioni del Corano. Notando che non riusciamo a trascinarlo dentro questo argomento proviamo a spostare leggermente il bersaglio, chiedendogli se c'è una visione del sangue legata alla religione. Lui, non capendo forse neppure bene a cosa alludessimo, dice di no.

Rinunciamo all'argomento religione e passiamo ad indagare i suoi rapporti con la sanità. Da quando è qui in Italia ha fatto solo una visita medica di controllo. Fa sport da quando aveva undici anni: ha praticato basket, calcio e ora fa body building tre volte alla settimana.

Si è trovato bene quando ha dovuto sottoporsi alla visita medica richiestagli dai gestori della palestra; però non riflette tanto sulla sua interazione con i dottori, quanto sul risultato delle analisi in sé, tutte negative. Sottolinea che non ha dovuto pagare niente. Quando era in Senegal non ha avuto dei problemi di salute, eccetto degli affaticamenti dovuti al caldo e dei problemi al ginocchio: si è curato all'ospedale rimettendosi in una settimana. Parla dell'esperienza con grande tranquillità, non gli ha lasciato dei segni o dei ricordi decisi, ben impressi.

2.2.3. Medicina tradizionale40

Finalmente poi la svolta:

da solo, senza alcuna nostra allusione, introduce l'argomento della medicina tradizionale. Chi la pratica fa guarire le persone attraverso l'uso di piante, alberi. Ogni albero ha delle proprietà particolari. Tale medicina funziona molto bene soprattutto quando bisogna guarire i "pazzi".

Moustapha ci racconta la convivenza delle due pratiche mediche: quando ha mal di gola prende un'aspirina o cose simili, ma anche i medici tradizionali hanno le loro cure, spesso rese efficaci da riti che si svolgono in riva al mare. La medicina tradizionale, inoltre, costa meno rispetto a quella occidentale.

Chiara: "Ma, ad esempio, se hai mal di gola tua madre sa qual è l'erba che ti deve dare per il mal di gola, o la medicina tradizionale... ?"41

Moustapha: "Non è lei che va alla foresta per mi portare quest'erba, ma lei sa dove mi può portare!"

Martina: "Quindi ti porta da un dottore tradizionale?" Moustapha: "Sì, sì, dottore, sì"

Chiara: "E il dottore che cosa fa, ti dà soltanto l'erba giusta, oppure..."

Moustapha: "Non è che mi dà subito l'erba giusta, ma fa il suo lavoro, capito?" Chiara: "E com'è questo lavoro?"

39 Questo dato è ampiamente smentito dalla successiva conversazione con Ablaye secondo il quale la

doccia santa è una pratica frequente, da effettuarsi tra l’altro dopo ogni rapporto sessuale.

40 Audio min. 23.26. 41 Audio min. 25.30.

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Moustapha: (Ridendo un po' imbarazzato) "Questo lavoro... E' un po' incredibile, perché da... come si chiamano... come voi c'è non so, le carte anche per leggere mano, per sapere... eh... anche loro hanno, capito, maniera di fare. Non lo so come si chiama in italiano. Si chiama cauris42 in francese. Sono le cose che viene sul mare."

Martina e Chiara: "Conchiglie? (Chiara gliene mostra una per capire se ci siamo intesi). [...]

Moustapha: "Sì, più piccole però. Eh, però queste cose la medicina fa sua visita e poi ti troverà qualcosa dove senti dolore e... capito?"

[...]

Chiara: "E con quelle lei... la persona... maschio o femmina sono questi medici?" Moustapha: "Ci sono maschi e femmine, tutti e due. Poi prima di far guarire fa qualcosa (indica le conchiglie) per sapere qualcosa che non ti và. Dopo dirà a tua madre di comprare... dove mangiare questo, dove bere questo e poi dopo lui ti dà una bottiglia come... con il... le cose come si chiama le cose per far guarire? Le cose che tu devi bere..."

Chiara: "La medicina."

Moustapha: "Una medicina, sì, sì. E poi dopo queste lei devi fare come t'ha ordinato, poi tra una settimana forse sentirà meglio."

Chiara: "E queste anche quando ti sei fatto male alla gamba. Dopo essere andato all'ospedale sei andato..."

Moustapha: "No, no perché... Ero all'ospedale, penso... Sì, ma tante volte sono stato da loro. Non è solo che si senti male, ma anche se vuoi sapere della tua vita. Ma tutti quello che dicono loro è la realtà, veramente."

Chiara: "Bhè, interessante. Quindi non ti manca qui questa cosa?"

Moustapha: "Sì, sì, molto molto. Anche quando dovevo venire qui in Italia, in Europa, sono andato da una signorina, no? ho fatto questi cose. Ha detto, senza dire nulla a lei, che tu adesso ti cerca per andare in Europa, così ha detto che è tua madre che ti deve... Era la realtà, no? E senza raccontare nulla.

Anche la mia ex ragazza, perché avevo una ragazza in Senegal, no? ma dopo ho avuto un po' di problemi con lei; sono andato da un anziano e lui mi ha spiegato tutte le cose. E poi mi ha detto che è meglio di fermare perché tanto voi due non si sposerete mai."

Martina: "Ma come si chiamano queste figure che noi abbiamo chiamato fino adesso medici, ma forse è qualcosa in più. Nella vostra lingua, in senegalese, come si chiamano queste persone, questi dottori tradizionali?"

Moustapha: "Si chiamano... dottori tradizionali, si chiamano [sembra esitare un istante] faju... faju wolof si chiama."

Martina: "E ha una traduzione, anche in francese?"

Moustapha: "In francese si chiamano médicin [o forse dice médicine? Dall’audio sembra più probabile la prima ipotesi.] traditionnel."43

[...] 44

Martina: "E invece la medicina tradizionale ha qualche rapporto col sangue, qualche idea particolare del sangue?"

Moustapha (seguendo tutt'altra strada da quella indicata dalla domanda): "Sì, tutto, sì. Perché mi ricordo, l'anno 2000, no, facevo... sognavo molto quando dormivo, sognavo sempre di... cose brutte, tipo sognavo di fare sempre la guerra e non vincere mai. Come... con gli animali. Dopo poi ho parlato con mia madre e il giorno

42 Tale termine indica una particolare specie di conchiglia, i cauri.

43 Si veda in proposito anche la spiegazione fornitaci da Youssou: nota 173 e par 5.3. 44 Audio min. 30.38.

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