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10.1. Presentazione

Per dare un’idea del personaggio che ci accingiamo a presentare risulta emblematica l'impressione della prima volta che l'abbiamo visto: era l'inaugurazione del ristorante senegalese. Da programma la serata doveva aprirsi con una breve presentazione del progetto, tenuta dai rappresentanti delle cooperative che hanno collaborato alla sua attuazione. A nome della Teranga che da allora in avanti avrebbe portato avanti il ristorante, era previsto che parlasse il nostro futuro intervistato, in qualità di presidente della cooperativa stessa.

Ma Yoro non si vedeva.

Infine gli italiani, un po' imbarazzati, si decidono a cominciare la presentazione senza di lui.

... e invece eccolo che arriva! Entra come una folata di vento con un sorriso impetuoso che è imbarazzato solo proforma, e va a sistemarsi di fronte al pubblico. E' un piccoletto rotondeggiante, con la pelle più chiara degli altri (scopriremo solo in seguito che sono caratteristiche somatiche dei poular, l'etnia a cui appartiene), età indefinibile (come tutti, d'altronde) ma visibilmente superiore alla media; la grande bocca è quasi sempre aperta in sorrisi, chiacchiere o espressioni di meraviglia. Vestito in maniera elegante, sfavillante direi, seppure semplice, ha l'aria di chi è sempre a suo agio, di chi è abituato a tenere banco, a mettersi in scena con naturalezza e spontaneità. Regge la scena con trasporto e ritmo, sembra un presentatore dei primordi del Jazz!

Il suo spettacolo consiste in mille scuse per il ritardo e in mille ringraziamenti a tutti quelli che hanno reso possibile l'apertura del ristorante... ringrazia in maniera sentita e impetuosa, e col suo spiccato accento francese, chiama un applauso per ogni persona che nomina; il pubblico risponde con slancio.

Ci appare subito evidente che ci troviamo di fronte ad una persona che vive in Italia da molto tempo, ben integrata nella nostra società, che ricopre anche un ruolo particolare nella comunità senegalese. Quale sia questo ruolo è una faccenda complessa che impiegheremo parecchio tempo a comprendere, e che forse tuttora ci sfugge, nonostante l'assidua frequentazione, che comincerà dalla settimana successiva a questo primo incontro, e le interviste che si svolgeranno quando già avremo con lui una certa confidenza.

Questa intervista è preziossissima per tutti i chiarimenti che offre, alcuni dei quali sotto forma di rivelazione, altri, attraverso una sistematizzazione di concetti a noi già noti, ma fino a quel momento ancora avvolti da dubbi e incertezze.

In particolare appare, per la prima volta, dopo mesi passati a ricercarla invano, una gamma di termini specifici per indicare i doni fatti nelle diverse circostanze.325 Formalizza inoltre in maniera chiara i vari significati della parola Serigne e il nocciolo duro della questione caste ed etnie.

Probabilmente non è un caso che a chiarirci le idee sia proprio una persona che vive qui da vent’anni. Yoro non si distingue per una conoscenza più approfondita degli altri della cultura senegalese, ma perché, avendo ormai incorporato le nostre categorie, si è abituato a pensare, e dunque esprimere, il proprio mondo attraverso queste ultime.

325 Rimane però insoluta la questione della traducibilità del termine dono in sé, poiché non ci è ancora chiaro

se e quanto corrisponda a maye.

E’ determinante, anche, il fatto che questa sua incorporazione non sia avvenuta attraverso lo studio, come ad esempio nel caso di Dibore, ma con l’immersione nel senso comune del nuovo contesto in cui si è trovato a vivere. Ciò l’ha resa più profonda e più elementare. Le sue preziosissime chiarificazini avvengono dunque attraverso la semplificazione di concetti che, nella realtà, sono molto sfumati e intrecciati in maniera complessa, ma lo schema interpretativo che le guida, non presentando più scarti rispetto al nostro, abbatte le barriere comunicative tra di noi.

Gli episodi della sua vita rocambolesca ci portano poi nel vivo di molti altri temi degni di nota.

In primis ci fornisce un quadro di come è cambiata l’immigrazione nel corso degli ultimi vent’anni; Yoro assiste infatti alla prima apertura dell’Italia, a livello sociale e individuale, verso la figura dell’immigrato, svolgendo nel suo piccolo un ruolo attivo in tale processo. Parlandoci dei rapporti tra politica e immigrazione nei contesti locali ci spiega anche sommariamente la storia del neonato Consiglio Provinciale degli Immigrati.

Ci parla poi di emigrazione, così come questa viene vissuta in Senegal da parte della famiglia.

Per quanto riguarda il dono, un altro elemento importante oltre a quello della terminologia è l’ammissione del fatto che anche in Senegl chi si trova in uno stato di bisogno deve fare i conti con il proprio orgoglio, provando una sorta di vergogna nel dover ricevere.

Non mancano infine riflessioni interessanti sul versante donazione di sangue attraverso le quali ci offre un’esplicita conferma di quanto fino a questo momento avevamo soltanto intuito circa l’atteggiamento dei senegalesi a riguardo.

Come altre anche quest’intervista avviene in due tempi, a distanza di diverse settimane una dall’altra. Tra tutte questa è quella che, almeno nella sua prima parte, si svolge nella maniera più spontanea, come una vera e propria chiacchierata, saltando, per così dire, di palo in frasca. Per farne un resoconto chiaro, dunque, siamo state costrette ad allontanarci parecchio dall'ordine in cui le informazioni sono venute a galla, privilegiando invece l'ordine cronologico degli eventi che ci sono stati raccontati.

Inoltre nella prima parte sono moltissimi i riassunti, infatti, trattandosi per lo più di un racconto della sua vita, spesso non ci è sembrato necessario riferire precisamente le sue parole. Ciò non toglie che tutta la sua vita sia estremamente affascinante.

Il testo che segue è dunque frutto di un vero e proprio smembramento e riassemblamento dell'intervista, le cui parti sono state tagliate, rielaborate e riincollate come in un collage. Speriamo con questo di non aver troppo travisato l'originale.

Facciamo la prima intervista nell'ufficetto dei bagni pubblici, uno dei servizi che il Comune ha dato in gestione alla cooperativa senegalese Sunugal, di cui Yoro è il Presidente.

C'è anche una ragazza molto giovane che lavora, come molti di loro, sia con la cooperativa Sunugal che al ristorante con la Teranga.

Non proferirà parola per tutto il tempo.

Yoro, al contrario, parla molto volentieri, in un italiano ottimo.

10.2. L’intervista

10.2.1. Infanzia e percorso migratorio

Yoro è nato il 10 ottobre 1953, a Diourbel città dell'interno da cui, specifica, passa la ferrovia che collega Dakar con il Mali.

Entrambi i genitori sono originari della sua città natale, ma suo padre si è trasferito a Dakar in seguito al divorzio che è avvenuto subito dopo la sua nascita.

Il nostro intervistato dunque ha vissuto a Diourbel con la madre fino all'età di cinque anni, dopodiché è stato portato nella capitale dal padre, che intanto si era creato una nuova famiglia, la quale negli anni si allargherà notevolmente, fino a comprendere diverse mogli, e tantissimi figli (non ci sa dire quanti). Venendo poi a conoscenza delle condizioni economiche di suo padre, ci stupiremo della sua poligamia, che credevamo essere, nelle città, una prerogativa dei ricchi. Lui ci spiegherà allora che al contrario in Senegal tante mogli significano tanti figli, e tanti figli sono un mezzo per incrementare la produttività del nucleo familiare, non solo nell'ambito dell'agricoltura, ma anche in quello del commercio ambulante per le strade delle città.

Inoltre la situazione economica della famiglia non era inizialmente delle peggiori, nonostante le condizioni abitative; è stato dopo la partenza del padre che si sono trovati ad affrontare un periodo davvero critico (e d'altra parte, specifica, ci vogliono soldi per partire, dunque le condizioni di partenza del migrante non sono mai disperate).326

Suo padre infatti (non capiamo quale fosse il suo lavoro) ha deciso di emigrare poco dopo averlo portato con sé a Dakar. Ha lavorato in Francia dieci anni, durante i quali è tornato a casa una sola volta, poi "ha detto che non vuole più e ha strappato il suo passaporto".

Nonostante la chiara valenza negativa dell'emigrazione che traspare dalla determinazione con cui suo padre se ne tira fuori, inizialmente ci parla degli effetti positivi che questa ha avuto sulla loro situazione economica. Ci dice: "Almeno si è fatto la casa, perché noi abitavamo in una casa di baracca, e quando è venuto ha fatto una casa di mattoni... tutto lì! [una risata forse un po' auto-ironica]"

Cercando di immaginare la loro vita in quegli anni e di sbirciare il modo in cui lui in prima persona ha vissuto questa situazione, gli chiediamo quanti anni avesse quando il padre è partito. Capisce al volo e non risponde alla domanda che gli abbiamo fatto, ma a quella nascosta tra le pieghe delle nostre parole.

Yoro: "Era difficile! Andavo a scuola, mi ricordo per esempio che se babbo non aveva mandato i soldi abbastanza presto, facevamo dei giorni terribili dove per esempio andavamo anche a scuola con la pancia vuota!... quindi era una cosa dura."

Questo non dipendeva dal fatto che il padre in Francia non guadagnasse abbastanza, ma dalla difficoltà di far giungere a Dakar i soldi che guadagnava: non c'erano ancora i sistemi moderni che recapitano il denaro in tempo reale, e le poste non erano affidabili; bisognava mandare i soldi tramite qualcuno che rientrasse dalla Francia... ma non sempre trovare questa persona era semplice! "E delle volte c'erano dei ritardi di dieci giorni, e questo per esempio le mie... le mie... come si dice? le mie mamme tra virgolette, facevano di tutto per trovare... per trovarci il cibo a mezzogiorno e a sera però delle volte non gli riusciva."

10.2.2. La solidarietà vs l’ orgoglio di chi ha bisogno

A questo punto, dato che tutti (lui compreso) fino ad adesso non hanno perso occasione per osannare la solidarietà senegalese, grazie alla quale ogni famiglia povera potrebbe sempre contare sul sostegno economico di tutto il vicinato, ci affrettiamo a chiedergli: "E non c'era un aiuto da parte delle famiglie che stavano meglio nei confronti della tua famiglia?"

Yoro: "Poteva anche esserci, per esempio se io andavo in una famiglia non è che mi dicevano no. Però non voglio anche per esempio... Non volevo anche per esempio che i miei amici con chi giocavo, con chi andavo a scuola, sapessero che noi non abbiamo cenato. Quindi era anche una questione di... [? orgoglio? onore? min. 14]".

326 Audio min. 16.00.

Ma detto questo ci tiene a ribadire che se non ricevi è solo perché non chiedi, dato che la disponibilità a dare è assoluta e indifferenziata. Chi trovandosi in viaggio (per necessità, non sappiamo se questo valga anche per chi viaggi solo per piacere) in una città di provincia o nei villaggi ("attualmente non a Dakar") abbia bisogno di un pranzo, può recarsi in qualsiasi casa di sconosciuti e star certo che gli verrà offerto come se fosse di famiglia.

"Non è il problema se ti aiutano o no: sei TU che non vuoi ogni giorno andare da... E poi, tutta una famiglia non può andare in una famiglia, perché in Senegal le famiglie sono numerosissime."

10.2.3. Famiglia e emigrazione

Da grande si è poi trasferito nuovamente a Diourbel, città che aveva continuato a frequentare nell'infanzia durante le vacanze scolastiche, ed è qui che ha messo su famiglia, una famiglia a cui sembra essere molto attaccato, ma con cui non ha mai vissuto stabilmente: la sua vita è una rincorsa senza posa.

Ha una moglie e tre figli: un maschio e una femmina grandi e una bambina di undici anni, alla quale è particolarmente affezionato: ci mostra la sua foto, che continuerà a tenere tra le mani per il resto dell'intervista; in seguito la nominerà diverse volte sempre con tono affettuoso.

Ci dice che non è sua intenzione farsi raggiungere qui dai figli, preferisce che studino e trovino lavoro in Senegal. Gli piacerebbe invece poter far venire la più piccola in vacanza, ma questo è praticamente impossibile per problemi burocratici.

Quando gli chiediamo se pensa di essere vicino al momento di poter ritornare a casa, risponde: "Non si sa mai, non si sa mai, perché adesso per esempio sto facendo la mia casa PROPRIA, che non è ancora terminata. Però anche se è terminata, non è che posso andare lì senza avere un piccolo risparmio, un lavoro, qualcosa che posso fare lì.

Se riesco per esempio a fare la mia casa, a finirla completamente, ad avere un'attività piccola però che mi può dare il pane ogni giorno, sicuramente rientro. Questo però non si può prevedere, non si sa se sarà fra un anno, non si sa se sarà fra dieci anni."

10.2.4. Partecipazione attiva a attività sociali e imprenditoriali in Italia Chiara: "Però te qui adesso sei sistemato bene!"

Yoro: "Adesso, ma è da tre anni!"327

Ora infatti, ci spiega, è il presidente di due cooperative; una, come abbiamo già visto, è "Sunugal", che collabora con il Comune: ha avuto innanzitutto venti permessi per il commercio ambulante che devono essere rinnovati settimanalmente, e che non sono ad personam, ma a nome della cooperativa la quale li assegna a rotazione ai suoi membri. In seguito poi il comune ha concesso a questa cooperativa anche la gestione di alcuni servizi, come appunto i bagni pubblici e la sorveglianza di uno dei Giardini di Pisa328. L’altra cooperativa è "Teranga", nata da poco con l'obiettivo di aprire il ristorante senegalese della cui inaugurazione abbiamo parlato sopra.

Gli chiediamo in che misura il progetto del ristorante sia partito dai senegalesi e quanto invece sia stato promosso dall'esterno, da associazioni o cooperative italiane.

327 Audio min. 22.00.

328 In questa maniera si cerca di tamponare il problema dei posti di lavoro, che in Italia tocca tutti, ma che per

loro è complicato notevolmente dalla questione del permesso di soggiorno: un immigrato che abbia lavorato mettiamo anche per un anno di seguito, se al momento in cui scade il permesso di soggiorno si trova senza lavoro, potrà ottenere una proroga di soli sei mesi per trovarne un altro, dopodiché ripiomberà nella clandestinità.

Lui risponde "E' stata un'idea mia".

Ci racconta di come abbia preso corpo quest’idea: avendo abitato a lungo in un centro di accoglienza in cui si organizzavano a volte delle cene "etniche" (espressione nostra) aveva avuto modo di notare che quelle senegalesi riscuotevano un grande successo. Riflettendo su questo e sulla grande presenza di senegalesi a Pisa, aveva cominciato a fantasticare con l'idea di aprire un ristorante senegalese, e ne aveva parlato con Riccardo Cerchiai, responsabile del Centro, con cui aveva stretto ottimi rapporti. "E parlandosi parlandosi... uhm... poi, diciamo che c'era anche un'associazione che si chiama Il Poliedro, che lavorava nelle scuole per insegnare un po' la cultura di altri ai bambini di qui, allora mi hanno proposto di lavorare con loro e lì per esempio facevo un percorso che si chiama il nonno racconta."

Impersonava un nonno venuto dal Senegal che raccontava il corso della vita nel suo paese stimolando via via i bambini a fare un raffronto con l'Italia.

Riccardo Cerchiai, rimasto piacevolmente colpito dal modo in cui portava avanti questo percorso, "vedendo in me qualcuno che aveva una certa apertura", decise di parlare con il Presidente della sua cooperativa dell'idea di Yoro del ristorante.

Nel frattempo quest’ultimo, essendo diventato Presidente della cooperativa Sunugal, attraverso la quale aveva cominciato a guadagnare regolarmente, ha dovuto lasciare il centro d’accoglienza dove possono abitare solo persone senza reddito. Una volta trasferitosi ha perso di vista Riccardo, ma questo, fedele alla sua parola, non appena la cosa è diventata fattibile è andato a cercarlo e gli ha proposto di iniziare una nuova cooperazione col Cerchio in vista dell'attualizzazione di questo ristorante.

La proposta cade proprio a pennello: Yoro nel frattempo aveva cominciato a prendere contatti con la banca etica per chiedere i finanziamenti necessari, ma si era fermato vedendo che da parte del gruppo con cui aveva messo su la cooperativa Sunugal non c'era una vera e propria collaborazione, mentre lui ci teneva che l'impegno e le responsabilità fossero collegiali, non volendo rischiare da solo per un vantaggio di molti. Quando arriva Riccardo dunque Yoro ha già abbandonato la strada della banca etica, ed è ben felice di collaborare con la cooperativa "Il Cerchio" nella quale trova il sostegno che gli mancava da parte dei suoi connazionali.

Realizzano insieme un progetto che il primo anno viene respinto, ma presentato, riveduto e corretto l'anno successivo ottengono i finanziamenti.

Adesso la gestione è esclusivamente della nuova cooperativa "Teranga"; restano ancora diversi problemi burocratici, ma si stanno dando da fare per scavalcarli. Intanto per un anno sono in regola.

10.2.5. Come arriva in Italia: storie di migrazione Ma torniamo un attimo indietro.

Lo avevamo lasciato a Dakar con la famiglia paterna, come è arrivato da lì a qui? Fino a tre anni fa la sua vita è stata una rincorsa tra mille tribolazioni.

Ce la racconta però senza la minima autocommiserazione, il che rende il racconto decisamente più appassionante e l'immedesimazione più piacevole.

Finite le scuole a Dakar è partito la prima volta dal Senegal nel 1974 (a ventuno anni) per andare a studiare informatica in Francia.

Viaggiava in nave, con tutti i documenti in regola, ma arrivato a Marsiglia è stato respinto dalla polizia di frontiera.

Ci spiega che a quel tempo le norme di immigrazione erano diverse: era più facile partire, perché bastava un lasciapassare, ma su quest'ultimo non si poteva mai fare affidamento. Infatti Yoro, come molti altri, appena sceso dalla nave è stato imbarcato su un aereo e rispedito a casa (senza che gli fossero rimborsate le spese di viaggio).

Contestualizzando l'episodio ci dice che gli anni Settanta-Ottanta sono stati per il Senegal quelli del boom dell'emigrazione, in conseguenza di un periodo di fortissima siccità. La Francia si trovava dunque alle prese con una marea di senegalesi in arrivo, e tentava di arginarla "perché loro non vogliono l'immigrazione".

Tornato in Senegal aveva perso un po' il filo con gli studi, era ormai grande e doveva fare qualcosa per guadagnarsi da vivere (anche la spesa per il fallito viaggio in Francia deve aver influito sulla decisione di non continuare gli studi, ma questo lui non lo esplicita).

Dunque, con l'intraprendenza che lo caratterizza, ha messo in piedi un commercio internazionale tra il Mali e la Costa d'Avorio: comprava in Mali sculture e oggetti d'artigianato in legno pregiato e li rivendeva a grossisti della Costa d'Avorio; qui a sua volta comprava maschere che vendeva poi in Mali329. A questo punto la conversazione è un po' confusa330, ma sembra di capire che nel periodo del commercio fosse già sposato. Capiamo invece con certezza che quando ha deciso di emigrare la seconda volta erano già nati i primi due figli.

Ci racconta di come lui e sua moglie abbiano affrontato la questione dell'emigrazione, sottolineando di non essere che un esempio di un'esperienza generalizzata.

Già prima ci aveva detto che "Era un bisogno proprio familiare avere una persona che va via per potergli dare una mano economicamente. Perché le cose non andavano bene."

Ora331 argomenta meglio: "[l'emigrazione] e' un male che si sopporta perché per esempio quando... io per esempio potevo fare una scelta: rimanere lì con la mia famiglia, con la mia moglie, e vivere malissimo, senza mai avere una... senza poter dargli nulla, o andar via, essergli lontano è un male, però almeno, lavorando qui, poter gli dare un qualcosa. E queste brave donne secondo me sopportano questo per..."

Martina: "Quindi l'avete deciso insieme?"

Yoro: "E' anche diciamo che... ogni donna che è lì che... VUOLE (... che per esempio suo marito non ha un lavoro reale) VUOLE che per esempio suo marito vada fuori per, per avere un po' più di [?]... non per sé, anche per gli altri, per la famiglia, per tutti quelli che gli sono intorno.

Che sia in grado per esempio di farsi la casa, che sia in grado di dare una buona

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