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9.1. Presentazione

Abbiamo conosciuto Dibore all'inaugurazione del ristorante senegalese grazie alla sua ragazza, Margherita, estremamente socievole. L'intervista si è svolta a casa loro.

Come risulterà dalla trascrizione, Dibore è un uomo dotato di una spiccata intelligenza, piuttosto autorevole, quasi autoritario, molto sicuro di sé.

Con un portamento distinto e una voce profonda espone il proprio punto di vista con l'aria di chi la sa lunga.

In parte per merito della sua laurea in filosofia (che prevede anche studi socio- antropologici), ma in parte anche per caratteristiche personali, dovute forse al suo ambiente familiare, come già Gor ma in modo più netto di lui Dibore si distingue per la capacità di scrutare la propria cultura con lo sguardo di chi sia contemporaneamente dentro e fuori, indigeno e appassionato, ma anche razionale e smaliziato.

Arriviamo a casa loro verso mezzogiorno, un po' in ritardo rispetto all'appuntamento, ma evidentemente comunque troppo presto: il divano letto su cui dormono è ancora sfatto, lei lava le tazze della colazione, lui sistema la stanza. Nonostante ciò ci mettono perfettamente a nostro agio.

Per tutto quello che segue è determinante l’appartenenza etnica e di classe di Dibore: è un Serere, etnia particolarmente attaccata alle tradizioni, ed un geer di stirpe reale. La sua famiglia, pur essendo garante dei costumi antichi, è abituata da generazioni a rapportarsi alla cultura occidentale e dà un notevole peso all'istruzione.

Questa intervista ha il grande merito di aver allargato la nostra indagine sul loro concetto di dono alle dinamiche del dare tra geer e griot. Tuttavia sarà proprio qui che nascerà il fraintendimento circa la figura di quest’ultimo, a causa del quale noi ci approcceremo in modo sbagliato a tali dinamiche.

Sarà solo mettendo in relazione quanto segue con l’intervista di Rass, durante la quale si paleserà finalmente il malinteso, che attraverso l’analisi di due punti di vista così diversi, riusciremo a fare un po’ di chiarezza sulla faccenda.

Gran parte della presente conversazione verterà sui rapporti castali, e ne risulterà una società ancora fortemente gerarchizzata, carattteristica, secondo Dibore, immutabile del mondo senegalese. Anche questa sua visione verrà poi fortemente messa in discussione dal nostro griot, che ce la descriverà, sì, come tradizionalmente basata su rapporti di interdipendenza molto forti, all’interno dei quali però non sussiste secondo lui la gerarchia. Altro argomento interessante è quello della medicina tradizionale, che acquista qui, per la prima volta, una certa sistematicità; sarà lui ad introdurre la figura del Saltigué, che ricorrerà spesso in seguito, e quelle di Deme e Rab analizzati con uno sguardo un po’ disincantato da “scienziato”. Ci presenta tuttavia queste figure inserite in un contesto soprannaturale che l’esperienza nega di mettere completamente in discussione: ha visto con i propri occhi cose che la scienza non potrebbe mai spiegare e dunque ammettere. Per quanto la sua formazione lo avvicini al disincantamento del mondo276, quella che lui ha esperito è una realtà profondamente incantata.

276 Cfr. Max Weber (1917)

Poi proprio mentre noi cercavamo di afferrare quella che pensavamo come una diversa percezione della malattia, lui spontaneamente esordisce così: “... perché laggiù dipende

di come si vede la malattia [...] nel senso che ti dicevo: sempre l'altro!”, suggerendoci

l’idea di un modo di vivere la malattia che risponde all’esigenza di includere il male fisico all’interno delle dinamiche sociali che sostanziano l’individuo ed il suo essere nel mondo. Non poteva infine tralasciare la rivisitazione della medicina tradizionale, poiché si trova a Fatick, sua città natale, uno dei centri nevralgici di tale movimento.

Molto stimolante è la chiaccherata che facciamo riguardo la parte teorica della nostra ricerca e in particolare ciò che emerge circa il Saggio sul Dono di Marcel Mauss, basato secondo lui, sull’indebita generalizzazione di un’analisi parziale. E’ stato emozionante confrontarsi sull’argomento discutendo del medesimo saggio letto da occhi informati da culture diverse, ricevendo inoltre suggerimenti su possibili letture alternative.

Ribadisce più volte, qui e in successive occasioni, che il dono in Senegal non esiste così come noi lo conosciamo, poiché il dare che vi si trova non è descrivibile attraverso il triplice obbligo a là Mauss, essendo basato soltanto sull’assolutizzazione del primo momento, di cui gli altri due diventano semplici effetti collaterali.

Nelle sue parole la donazione del sangue trova senso all’interno dell’obbligo morale assoluto di dare, pur essendo caratterizzata anche dal piacere che lui prova nel fare un dono spontaneo.

Inoltre, non soltanto secondo lui i termini don e cadeau, così come noi li intendiamo, non possono essere applicati alla sua cultura, ma presentano anche una netta discrepanza tra di loro della quale noi non ci siamo rese conto fino alla fine dell’intervista, utilizzandoli durante la conversazione in modo interscambiabile, il che ci ha impedito di giungere ad un livello di approfondimento superiore.

9.2. L’intervista

9.2.1. Percezione occidentale dell’Africa

Incominciamo l'incontro chiacchierando della percezione dell'Africa da parte dell'Occidente. Dibore si dimostra piuttosto scocciato del fatto che le immagini del suo continente che arrivano in Europa riguardino sempre il problema della fame e del sottosviluppo e non venga invece minimamente considerato il suo ruolo attivo nella politica internazionale. Ci fa l'esempio concreto della Seconda Guerra Mondiale, durante la quale Dakar ha subito un pesante bombardamento. Sul momento non capiamo la dinamica della faccenda, solo più tardi, reperite fonti riguardanti la storia del Senegal, capiremo che il governatore generale dell'AOF (Africa Occidentale Francese) si era dichiarato fedele a Petain, ed il bombardamento era opera delle forze alleate. Riascoltando la registrazione non riusciamo a capire se ci sia un'incomprensione data esclusivamente da problemi linguistici, o se lui stesso abbia le idee un po' confuse a riguardo. Il Senegal, inizialmente restio a rispondere all'appello di De Gaulle, in seguito entra in guerra al suo fianco. A dimostrazione di quanto sia stato sentito questo conflitto nel paese, ci fa notare che a molti neonati dell'epoca è stato dato il nome di De Gaulle. Il discorso prosegue sulla posizione del suo paese durante la Guerra Fredda e più in generale sul ruolo di primo piano che questo ha svolto nel contesto dell'AOF. Grazie a questa posizione centrale e alla fortuna di aver avuto come primo Presidente Leopold Senghor, il paese, pur con scarse risorse materiali, ha sviluppato un forte investimento nella cultura; ci ricorda infatti che Dakar è la più importante Università dell'AOF.

9.2.2. I regni del Senegal e la posizione della sua famiglia all’interno di questi Già da questo inizio si intravede la tendenza di Dibore a mettersi in cattedra, imponendosi ai suoi interlocutori con un atteggiamento risoluto e ammaliandoli con una grande capacità oratoria.

E' cresciuto in una cittadina nella regione di Fatick, cuore della zona Serere, e ha poi proseguito gli studi a Dakar dove ha conseguito una laurea in filosofia; a questo punto, soddisfacendo una nostra curiosità, ci spiega che, poichè è ancora molto forte il dibattito circa la legittimità di chiamare quella africana "filosofia", la si insegna solo a partire dal secondo anno e rimane sempre centrale il raffronto con quella occidentale.

Ha scelto questo corso di studi per una propensione alla materia fin dai tempi del Liceo, tanto che, grazie a quella che ritiene una sua apertura mentale, non aveva bisogno di studiarla; ha invece una sorta di disprezzo per l'ambito scientifico "... perché per me non sono di cervello aperto, perché per me è una cosa... uno più uno fanno due, bisogna averlo in memoria... come le teoria, altre cosa, sono delle cose già fatto. E’ convenzionale. Uno più uno fanno due in Italia, in Francia, in Grecia, ovunque vai fa due."

Riportando la conversazione alla sua famiglia ci dice che questa è molto numerosa: infatti suo padre ha "tantissime" mogli, forse 5 ma non ne è sicuro: essendo sempre in viaggio per lavoro si è creato vari nuclei familiari in regioni diverse. "... perché lo sai, essere una... prima laggiù avere tanti mogli, tanti figli è una cosa rippresentativa nella società, perché chi poteva farlo è un personaggio, bisogna essere ricco."

La casa in cui è cresciuto Dibore e nella quale convivono tre mogli, è nodo centrale di una grande rete di individui che le gravitano intorno in conseguenza dell’alto status sociale che viene riconosciuto a questa famiglia.

Alla ricchezza materiale deve essere dato anche un riconoscimento sociale: “... perché come è fatto la società. Per esempio da noi, a Fatick, come dalla mia mamma è discendente del re [...] perché prima il Senegal era diviso in Stati. Si chiamava il Sine, dove c’è il re, le Baol, le Cadior, le Diolof...277 Tutti questi erano degli stati separati ed indipendenti, e per quello quando sono venuti i francesi, si chiamavano la colonizzazione, hanno cominciato a fare la guerra contro questi, per farlo un Senegal così.” Questi Stati, tra di loro avevano “delle alleanza, aveva anche delle guerre tra loro, per conquistare di più, terra e spazio. E’ quello che hanno usato molto i francesi...”

Cerchiamo di capire se il ruolo predominante dell’etnia Wolof all’interno del paese sia la conseguenza di un’alleanza con i francesi, ma Dibore ci spiega che ciò dipende dalla loro lingua “... che conquista molto, perché come la mia lingua, il Serere, siamo un po’ chiusi, e si vede che anche come funziona la loro [? min. 15.33] Si siamo qui, abitiamo qui, i Serere vanno sempre indietro, vuoi stare da solo... vuoi stare da solo i Serere; i Wolof, non lo so, è impermeabile, è troppo aperto!”

Chiara: “Ma l’Wolof ce l’ha un regno corrispondente? Cioè questi regni corrispondevano ognuno a una diversa etnia e ad una diversa lingua, oppure...”

Dibore: “Sì, quasi così.”

Margherita: “E scusa una domanda: i regni corrispondono alle varie regioni o non c’entra niente?”

Dibore: “No, non c’entra niente.” [...] 278

Chiara: “E però mi dicevi, prima c’erano... più o meno ogni etnia aveva un regno praticamente...”

277 Solo Matar ci riproporrà questa divione del Senegal secondo gli antichi regni. Cfr. par. 13.2.2. 278 Audio min. 16.24.

Dibore: “Quasi.”

Chiara: “E all’interno di ogni regno c’era però comunque una mescolanza? Cioè, all’interno del regno Serere c’erano comunque anche Wolof, anche Diola, no?”

Dibore: “Sì, sì, sì. [...] Però la maggior parte è Serere. E poi, quando è finita la colonizzazione hanno preso le figlie del re per mandarle a scuola, per poter sempre prevalere le loro...”

Martina: “Cioè hanno capito che era un sistema diverso per dominare gli altri?”

Dibore: “Per dominare gli altri. E per quello i figli di re sono andati a scuola francese.”

In effetti qui c'è probabilmente un fraintendimento: il soggetto erano per noi le élite senegalesi, che tentavano attraverso l'istruzione, di mantenere un ruolo di prestigio nel mutato contesto sociale, mentre, alla luce di quanto studiato in seguito, è probabile che Dibore intendesse con quel "loro" i francesi, che si assicuravano un maggiore controllo sui territori conquistati attraverso l'occidentalizzazione dei figli dei re.

Chiara: “E tua madre è figlia del re? Discendente?”

Dibore: “Sì, perché il re del Sine [? riferisce il nome del re. min. 17.35] lui era il re e poi ha messo al mondo un figlio, Maekor, e Maekor era il padre della mia mamma.” Chiediamo se una posizione sociale elevata comporti degli obblighi nei confronti della comunità.

Dibore: "Ma certo!!! Perché, come funziona? E' réciproque. Come io sono livello sociale alto è quasi tu chi sistema tutto, ha un ruolo importante nella società. Aiuti e poi le litigi, le altri cose chi... fanno sempre riferimento a te...", anche economicamente "... perché io mi ricordo bene, a casa mia vedevo come centomila persone sono passate lì, veniva, mangiavano, dormivano, abitavano lì proprio. E' per quello il mio papà ha avuto quasi due-trecento omonimo [....] questo vuol dire molto nella nostra società perché non dà un nome a chiunque, ma forse è un rapporto che abbiamo. E' per quello. Tanti di loro passano lì, è lui che li mandava a scuola, perché era fortunato che è andato prima gli anni Sessanta di più, lui fa parte della gente che ha fatto la scuola e allora ha aiutato molto."

Chiara: "Perché della generazione dei tuoi genitori erano pochi quelli che andavano a scuola?"

Dibore: "Pochissimo."

Chiara: "Mentre nella tua generazione tantissimi!" Dibore: "Tantissimi!!"

Martina: "Ci sono delle occasioni in cui queste persone che hanno una posizione più elevata devono per esempio organizzare delle feste per tutto il villaggio in cui si ridistribuisce le ricchezze?”

Dibore: "No organizzare le feste, ma lo sai, come io ti dà sempre il riferimento per mio padre come faceva: vedi una famiglia, è povera, gli dà soldi, ma non li fa così per... la gente non li vedono. Stava... aspettava la notte, andava lì, portava il riso279, tutto e così e si aveva un figlio l'età di suo figlio qualunque cosa che fa per suo figlio li fa anche per l'altro. E' per quello che ti dico: li manda a scuola, li fa fare la circoncisione, gli compra abiti, scarpe, tutto; mangiano a casa, fanno di tutto a casa."

279 Questo è un primo accenno a quella che scopriremo essere una pratica tipica del Senegal: il dono

notturno. (Cfr. par. 9.2.3.) Il modo migliore per dare è farlo di notte, senza che il ricevente o la comunità sappia chi è l’autore del gesto. Sembra che tale procedura sia finalizzata a evitare al ricevente ogni tipo di umiliazione in seguito all’aiuto ricevuto, a non creare imbarazzi e a non sottolineare gerarchie.

9.2.3. Il living social e il dono notturno280

Gli chiediamo se ci sia un criterio per decidere chi aiutare, visto che ci sembra strano che si possa aiutare tutti. Lui risponde che non è una scelta di chi aiuta: "Non c’è un criterio, perché il ruolo sociale che giochi nella società E' QUELLO. Anche se tu non li cerchi loro ti vengono a avvicinarsi... perché sono nel bisogno."

Chiara: “Ma ci sono delle famiglie che sono legate da più generazioni, che ad esempio tuo nonno aiutava quelle famiglie e quindi tuo padre...”

Dibore: “Certo, perché io quello che ti dico... tanti che aiutava mio babbo non sono la mia etnia, sono di un’altra etnia, i Peul [...] Perché la casa è lì, tutti chi sono intorno che non hanno, sono obbligato... anche gioca molto le figli, perché io quando sono lì ho bisogno di amici e altri cose, ma non posso andarlo a trovare da un'altra parte che c'è già lì. Anchi se differenza sociale c'è, per me non esiste [...] sono miei amici e altre cose. Come vado a casa loro, anche se so chi posso andare a mezzogiorno e non mangio, ma vado perché non cerco lì da mangiare, cerco l'amicizia. Come anche loro hanno bisogno di mangiare, altre cose, vengano sempre a casa, dormono lì... Si chiama... negli anni Ottanta cominciavano a chiamarlo il

living social."

Martina: "E queste persone comunque che usufruiscono dell'aiuto di tuo padre si sdebitano in qualche modo? Cioè c'è una forma di riconoscimento?"

Dibore: "Il riconoscimento è soltanto la fiducia! Da noi usa il Kolore, [pronuncia kollorè] nome proprio... come io ho fatto questo per te, io non ti chiedo niente. [...] Significa fiducia, riconoscimento, come un patto, ma che non ho firmato, non è firmato su... ma è tramite i fatti; ti ho aiutato, ho fatto questo, questo... Per quello ti dicevo: quando si aiutava non avevi bisogno di far vedere a tutti.”

Martina: “Quindi diciamo è un patto che si stabilisce tra te e me egli altri non lo sanno!?”

Dibore: “Non lo sanno! Perché l'aiuto, non è che devi far vedere a tutti che ho aiutato. Perché quando lo fai da noi non ha più senso, perché il momento che io lo facevo, mi sentivo in dovere di farlo, ma non per far vedere alla gente altri cose. Per quello si aiutava molto la notte!"

Chiara: "Ma te mi sapresti dire se questa cosa di aiutare la notte, di non farsi vedere esisteva anche prima della religione musulmana?"

Dibore: "Certo!!! Esisteva prima."

9.2.4. Il rango sociale e la prima ondata migratoria281

Gli chiediamo se sia possibile in qualche modo perdere il proprio rango;

Dibore: “Posizione? Eh, dipende, perché laggiù credono molto il fatto di “Sono figlio di... Nato di...” E’ importante. Come io, anche se vado lì se non ho soldo, non lavoro, non ho niente, anche se tu sei Presidente della Repubblica, e sei nato da una famiglia, gioca molto.”

Martina: “quindi sono le origini che...”

Dibore: “E’ importante lì. E’ per quello, quando vedi qui in Italia quelli che hanno immigrato, i primi, sono quasi della bassa classe. Quello è importante; sono della bassa classe è proprio un’etnia.”

Martina: “Che etnia?”

Chiara: “I primi che sono arrivati in Italia...” Dibore: “I primi, etnia Wolof o altri cose.”

280 Audio min. 21.20. 281 Audio min. 25.35.

Chiara: “Mentre dopo... cioè, dici, all’inizio emigravano soltanto persone che nel paese d’origine erano i una situazione bassa...”

Dibore: “E’ così, è proprio così. [...] Adesso come cambia la società, cambia le rapporti... Come funzione Stato, altre piccole cose, l’economia... tutto questo sono... si lasciano un po’ a parte.”

Anche il fatto di avere più mogli non è più tratto distintivo di nobiltà poiché l'Islam ha generalizzato la pratica della poligamia.

I Serere, gelosi della propria identità, non hanno abbracciato in massa la religione musulmana che pretendeva di cambiare le loro abitudini quotidiane come l’assunzione di alcool, ma sono stati più permeabili verso il Cristianesimo, "perché era più vicino, cristiano era più vicino al loro rito e cultura." Dibore e la sua famiglia sono però musulmani, ma questo non ha grandi implicazioni nella quotidianità dato che in generale la religione, sia quella musulmana sia quella cristiana, non è vissuta dai Serere e, sottolinea, dalla sua famiglia in particolare, con fanatismo e devozione: l'attaccamento maggiore è sempre verso la tradizione.

Chiara: "Ma questo mantenere la tradizione nelle famiglie che hanno un livello sociale più alto è più forte?"

Dibore: "E' più forte... perché lì tu hai un potere. Si anche non hai soldi, ma tu hai un potere di... perché anche la politica si fa così." Ci sembra di capire che Abdou Diouf, successo a Senghor, abbia tentato di cambiare lo statuto per consentire anche alle classi più basse di assurgere alle cariche politiche più prestigiose, "... ma è molto nella nostra testa, in Senegal gioca molto: anche se tu sei il più ricco, ma della bassa classe non c'è prestigio, ti lo fanno sempre vedere!"

[...] 282

Martina: "Non c'è un modo per salire nella scala sociale?"

Dibore: "No, credo che se sei nato nella bassa classe, anche se sei il più laureato o il più... resterai sempre... puoi avere uno statuto economico più alto, ma a livello sociale...". Il matrimonio non è un possibile veicolo di ascesa sociale perché raramente persone delle classi alte si sposano con quelle delle classi inferiori. A questo proposito fa un confuso discorso sullo scarso peso del singolo rispetto alla comunità. Concorda con Chiara che difficilmente un appartenente alle classi sociali più basse prenderà una moglie che non sia alla sua altezza, e poi aggiunge: “Perché io, quando devo scegliere una moglie... per quello si dice da noi: il IO proprio, quasi non esiste, ma NOSTRO.283 Come si parlava in termini psicologici, la psico è nevrosi, perché da noi sempre c’è l’altro, ma la nostra persona: IO, è minimo. Ma si dice che l’eccezione fa la regola... c’è delle matrimonio tra...”

Chiara: “Ma adesso questa cosa va aumentando o no? Il fatto di non sposarsi più secondo le regole che stabilisce la famiglia...?”

Dibore: “ Esiste, e sarà sempre lì. Anche io posso farlo e dire: - No! Io voglio questa ragazza, la voglio! - Lo faccio, decido di farlo, lo faccio ma [? min. 33.45] la tua

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