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L’abrogazione implicita della presunzione muciana La sentenza Cost 29 giugno 1995, n° 286 e la sent

Un breve cenno all’istituto della dote.

2.3. L’abrogazione implicita della presunzione muciana La sentenza Cost 29 giugno 1995, n° 286 e la sent

Cass. 29 dicembre 1995, n° 13149.

Con l’ordinanza del 23 settembre 1994, la Corte di Cassazione rimise alla Corte Costituzionale la questione della legittimità dell’art 70 l. fall. perché dubitava della sua compatibilità con il regime della separazione dei beni.

In particolare, la Cassazione dubitava della costituzionalità della presunzione per contrasto con:

38 1) L’artt. 3, 1° comma, 29 e 31, 1° comma, Cost. per irragionevolezza sopravvenuta dell’art 70 l. fall. nel quadro generale della nuova disciplina del diritto di famiglia, attuativo di valori costituzionali;

2) Lo stesso art. 3, 2° comma, Cost. per ulteriori aspetti di irragionevolezza riguardo a singoli istituti del nuovo diritto patrimoniale della famiglia;

3) L'art. 3, 1° comma, Cost. per disparità di trattamento tra le famiglie che hanno scelto il regime di separazione dei beni in relazione alle famiglie di fatto e, nell’ambito della famiglia legittima, a quelle che hanno optato per il regime di comunione legale.

4) Altri contrasti erano stati osservati rispetto all’art 31, 1° comma, Cost. nella parte in cui richiede misure per agevolare la famiglia, all’art 29 Cost., nella parte in cui fonda la famiglia sul matrimonio, e all’art 3, 1° comma, Cost. per il divieto di fare oggetto la famiglia di misure di sfavore.

La Corte qui analizzò ad una ad una le motivazioni addotte, ma concluse dicendo che il contrasto era sussistente tra norme dello stesso rango, perché le norme sul diritto di famiglia, pur attuando i principi costituzionali, “non partecipano tuttavia della stessa forza di questi principi”, quindi la soluzione di tale contrasto, non rientrando

39 nei poteri della Corte Costituzionale, doveva essere rimessa all'attività interpretativa del giudice ordinario.

Venne sottolineato poi che la riforma del diritto di famiglia, rifacendosi all’attuale realtà sociale, ha tra i suoi principi fondamentali quello dell’uguaglianza nella posizione di entrambi i coniugi, che esclude quindi la subordinazione economica di uno all'altro, e questo nella pratica si ravvisa in diverse norme tra cui l'art. 143 cc, con l'abolizione dell'istituto della dote e l'introduzione del regime legale della comunione dei beni.

D’altro canto, la Corte affermò espressamente di ritenere ormai superata la presunzione muciana, essendo venuto meno il fondamento socio – economico di quella disparità tra coniugi che la giustificava nel passato ed essendo stato superato il principio dell'indissolubilità giuridica del matrimonio, ma anzi sostenne che tale presunzione andasse ad indebolire l’affidamento sull’altro coniuge, portando da una parte al disfavore verso la scelta di contrarre matrimonio e, dall’altro, all’intestazione dei beni ai figli o ad altri parenti per sviarli dal proprio patrimonio.

Si sottolineava inoltre la difficoltà di conciliare la presunzione muciana, applicabile ormai al regime di separazione dei beni, con l’art 193 cc30, il quale, in caso di dissesto finanziario di un coniuge,

40 permette all’altro coniuge di passare dalla comunione alla separazione dei beni, per non veder coinvolto il proprio patrimonio; questa norma mira chiaramente a proteggere il coniuge che non si trovi in difficoltà economiche, ma se venisse applicata la presunzione muciana tale finalità verrebbe totalmente sconvolta, in quanto il coniuge in bonis si vedrebbe aggredire la totalità degli acquisti effettuati e non solo la metà (in base ai principi generali della comunione legale), quindi paradossalmente sarebbe più conveniente rimanere in comunione dei beni invece di ricorrere all’art 193 cc. Mi sembra emblematica questa frase di Giacalone31: “In sostanza il legislatore avrebbe indicato al coniuge legittimamente preoccupato del disordine degli affari dell'altro coniuge imprenditore un'ancora di salvataggio per via giudiziaria tale da comportare, nei limiti temporali suddetti, il suo totale coinvolgimento”.

La separazione giudiziale dei beni può essere pronunziata in caso di interdizione o di inabilitazione di uno dei coniugi o di cattiva amministrazione della comunione. Può altresì essere pronunziata quando il disordine degli affari di uno dei coniugi o la condotta da questi tenuta nell'amministrazione dei beni mette in pericolo gli interessi dell'altro o della comunione o della famiglia, oppure quando uno dei coniugi non contribuisce ai bisogni di questa in misura proporzionale alle proprie sostanze e capacità di lavoro [148].

La separazione può essere chiesta da uno dei coniugi o dal suo legale rappresentante.

La sentenza che pronunzia la separazione retroagisce al giorno in cui è stata proposta la domanda ed ha l'effetto di instaurare il regime di separazione dei beni regolato nella sezione V del presente capo, salvi i diritti dei terzi.

La sentenza è annotata a margine dell'atto di matrimonio e sull'originale delle convenzioni matrimoniali”.

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Giovanni Giacalone, “Inapplicabilità della presunzione muciana ai coniugi in regime di separazione dei beni”, in Giust. civ., 9, 1997, 2093.

41 In conclusione, la Corte Costituzionale suggeriva implicitamente l’abrogazione dell’art 70 l. fall., ma si esimeva dall’intervenire, lasciando tutto in mano alla Corte di Cassazione, anche se una sentenza di incostituzionalità avrebbe potuto avere due vantaggi32:

1) Si sarebbe potuto evitare la totale eliminazione dell’art 70 l. fall., andando a colpire solo la parte di esso non conciliabile con i nuovi assetti socio – economici e legislativi e assicurando la sopravvivenza dell'effetto surrogatorio, che permetteva il recupero all'attivo fallimentare del bene acquistato e non solo del denaro impiegato per l’acquisto (così come avviene nel sistema francese).

2) La decisione avrebbe avuto certezza e definitività, cosa che una sentenza della Corte di Cassazione non ha, per cui la questione non può dirsi chiusa, anche se comunque difficilmente sarà rimessa in discussione, visto che la Cassazione nella sua sentenza si avvale anche delle affermazioni contenute nella sentenza costituzionale.

La Cassazione, davanti a questa incostituzionalità non accertata, ma neppure esclusa, e a questo “invito” a provvedere, rivide la sua

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42 posizione sulla presunzione muciana e giunse alla sentenza 29 dicembre 1995, n° 1314933, con cui considerò implicitamente abrogata tale presunzione in relazione a qualunque regime patrimoniale, ribaltando completamente la precedente decisione e travolgendo la presunzione muciana poiché in contrasto con l’intricata rete di principi posta in essere dalla riforma del diritto di famiglia in applicazione del dettato costituzionale.

In tale sentenza si osserva che nel regime della comunione legale, l’imputazione della proprietà dei beni si basa sulla valorizzazione del lavoro di entrambi, anche se svolto “tra le mura domestiche, e quindi non tradotto in una concreta disponibilità pecuniaria”; tale principio è facilmente rinvenibile anche nella separazione dei beni, in cui la proprietà esclusiva di un bene da parte del coniuge riflette la sua autonomia e la sua capacità in ambito lavorativo, oltre al fatto che sono i coniugi a sceglierlo espressamente, palesando la volontà di tenere separati i due patrimoni.

Questo assetto viene ribadito anche nell’art 143 cc, in cui si dice che ogni coniuge deve contribuire ai bisogni della famiglia in relazione

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Confermata e ribadita per esempio anche in Cass, , 12 giugno 1997, n. 5291, in Giust. Civ. 1997, I, 2093.

43 alle proprie sostanze e alle proprie capacità di lavoro professionale o casalingo, senza preferire o pretermettere un coniuge all’altro.34 A seguito dell'estensione dell'inapplicabilità dell'art. 70 l. fall. anche all'ipotesi di separazione dei beni, nessuno spazio rimaneva per la presunzione muciana, quindi nessuna presunzione operava verso gli acquisti compiuti dal coniuge del fallito nei cinque anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento; se ne deduce che d’ora in poi l’onere della prova non graverà più sul coniuge in bonis, ma sul curatore, in rappresentanza dei creditori del coniuge fallito, il quale dovrà dimostrare l’eventuale provenienza del denaro dal patrimonio di quest’ultimo e che avrà a disposizione gli strumenti generali di revocazione degli atti compiuti dal fallito dai quali risultino

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Alberto Figone, in Fall., 1999, 1, 82, “Fine della presunzione muciana e regime dell’accessione”; nel testo si analizza la questione in relazione al regime dell’accessione (art 934 cc), e in particolare si affronta il problema della titolarità della costruzione realizzata dai coniugi in regime di comunione legale sul terreno di esclusiva proprietà di uno di loro. La Cassazione è unanime nell’affermare che l’edificio non rientri nella comunione, ma rimanga di proprietà esclusiva del titolare del terreno, quindi non viene prospettata una deroga dell’art 934 cc in virtù del fatto che nella comunione possono rientrare anche acquisti a titolo originario, tranne nel caso in cui non ci sia un’espressa pattuizione che attribuisca al coniuge il diritto di superficie.

Si precisa poi che la tutela del coniuge non proprietario si realizza non sul piano del diritto reale (e quindi attribuendo il diritto di proprietà), ma sul piano del diritto obbligatorio, cioè attribuendo un diritto di credito relativo alla metà del valore dei materiali e della manodopera utilizzati nella costruzione, cosa che può causare qualche problema se per esempio i materiali sono stati acquistati con denaro facente parte del patrimonio personale.

Tale orientamento comunque non è stato scalfito dall’implicita abrogazione dell’art 70 l. fall. perché i due istituti operano su piani diversi, dunque la curatela fallimentare non avrebbe mai potuto ritenere oggetto della comunione la casa costruita sul fondo di proprietà di uno dei due coniugi.

44 indebitamente diminuite le garanzie patrimoniali dei creditori (artt. 64 e 66 l. fall.; art. 2901 cc).

Alcuni35 però criticano questo ultimo aspetto, per il fatto che ci si è sempre e solo preoccupati degli effetti della presunzione muciana sui rapporti patrimoniali della famiglia, tutelando autonomia ed uguaglianza dei coniugi, in quanto si riteneva gravosa la prova a carico del coniuge del fallito; si è sempre trascurato invece l’interesse dei creditori di non veder depauperato il patrimonio del coniuge fallito a seguito dell’acquisto da parte di quest’ultimo di beni con proprie liquidità e successiva intestazione all’altro coniuge, e questo in base al fatto che in ogni caso i creditori avrebbero avuto mezzi adeguati per contrastare un’eventuale frode (art 64 e 66 l. fall. e art 2901 cc).

Ed è vero che tali mezzi esistono, ma non garantiscono il livello di protezione che garantiva la presunzione muciana, infatti ora la situazione si è ribaltata: se prima era il coniuge a doversi cimentare in quella che poteva essere considerata una probatio (quasi) diabolica, ora sono i creditori che, a seconda del mezzo prescelto, devono dimostrare o che l’atto consiste in una donazione indiretta, ricadendo nell’art 64 l. fall. (se compiuto nei due anni prima del fallimento),

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Gabriella Iermano, “La Cassazione dichiara abrogata la presunzione muciana”, in Banca borsa tit. cred., 5, 2000, 486.

45 oppure che il denaro proviene dal fallito (tanto difficile nell’art 64 che nell’art 66 l. fall), oppure, ancora, che l’atto era preordinato a frodare i creditori e che c’è stata interposizione fittizia di persona, se si decide di ricorrere all’azione ex art 2901 cc.

Ma non solo. La presunzione muciana, oltre ad attribuire al coniuge l’onere di dimostrare la provenienza del denaro, permetteva al curatore fallimentare di apprendere alla massa fallimentare il bene del coniuge del fallito come semplice effetto della sentenza dichiarativa di fallimento, considerando tale bene come se fosse del fallito e producendo quindi un effetto immediato.

Con il venir meno della presunzione invece, i creditori, per poter acquisire direttamente il bene, devono dimostrare che l’acquisto è stato effettuato con denaro del fallito, per suo conto, e che c’è stata interposizione fittizia di persona, altrimenti hanno solo un diritto di credito sulla somma utilizzata per l’acquisto; questo assetto fa pensare che, nel perseguimento dell’uguaglianza tra coniugi, non si sia tenuto conto di altri aspetti e si sia dunque dato un mezzo al coniuge fallito di distrarre in modo relativamente semplice alcuni beni dal suo patrimonio.

Questo non avviene per esempio nell’ordinamento francese, dove la norma è stata abrogata con l. 13 luglio 1967, n° 563, togliendo vigore all’art 542 c. comm., ma dove si è mantenuto l’effetto recuperatorio,

46 per cui i creditori, a seguito della prova dell’appartenenza al patrimonio del fallito del denaro utilizzato per l’acquisto di un certo bene, potranno acquisire quest’ultimo alla massa fallimentare.

2.4. La riforma della legge fallimentare e l’abrogazione