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E il socio illimitatamente responsabile?

Presupposti e ambito di applicazione della revocatoria fallimentare tra coniug

1.1. E il socio illimitatamente responsabile?

La domanda, a seguito della trattazione della figura dell’imprenditore, sorge spontanea, e preliminarmente va detto che possono fallire solo le società che esercitano un’impresa commerciale e che superano le soglie dimensionali dell’art 1, 2° comma, l. fall.

Riguardo ai soci a responsabilità illimitata, essi falliscono automaticamente con il fallimento della società, a meno che non contestino l’esistenza o l’insolvenza della società, oppure la loro

73 qualità di soci a responsabilità illimitata; essi inoltre falliscono anche nel caso in cui abbiano cessato di far parte della società per morte, recesso o esclusione, se non è passato più di un anno dall’espletamento delle formalità necessarie a rendere tali fatti noti a terzi e se l’insolvenza è dovuta a debiti esistenti quando il rapporto era ancora in corso.

Questi aspetti sono disciplinati dall’art 147, 1° e 2° comma, l. fall., che poi al 4° e 5° comma regola i casi di socio occulto e di società occulta, dicendo che, quando si scopre un socio occulto in una società palese o si scopre che dietro ad un’impresa individuale fallita c’è invece una società, il tribunale, su istanza del curatore, di un creditore o di un socio fallito, dichiara il fallimento dei medesimi.

Riguardo alle due procedure di fallimento, della società e del socio (o dei soci), esse rimangono distinte ed autonome tra loro, ma necessitano di un coordinamento, infatti l’art 148 l. fall. stabilisce che vengano nominati un solo giudice delegato e un solo curatore, mentre possono essere nominati due diversi comitati dei creditori; al fallimento della società infatti partecipano solo i creditori sociali, mentre al fallimento del socio partecipano anche i creditori particolari, quindi le masse attive e passive rimangono distinte ma la domanda di ammissione allo stato passivo vale per entrambe le procedure.

74 L’automatico fallimento dei soci in relazione al fallimento della società dunque prescinde dalla verifica dello status di imprenditore commerciale del singolo e dall’accertamento della sua insolvenza, ed è questo il motivo su cui ci si è basati, in varie sentenze50, per affermare che gli atti compiuti dal socio fallito per estensione ex art 147 l. fall. non sono assoggettabili all’art 69 l. fall.51, in quanto l’art 147 l. fall. disciplina una fattispecie particolare che si pone come eccezione rispetto all’art 1 l. fall. (poiché fa fallire un soggetto non imprenditore) e all’art 5 l. fall. (poiché non si basa sull’insolvenza), e come tale non è soggetta ad interpretazione estensiva od analogica. Questo anche perché, mentre nel caso dell’art 69 l. fall., caratterizzato proprio dalla mancata previsione di un periodo sospetto cronologicamente determinato e, dall'inversione dell'onere probatorio, si ritiene che il coniuge convenuto sia a conoscenza dello stato di insolvenza dell’altro coniuge, a meno che non fornisca la prova contraria, nel caso dell’art 147 l. fall. non si può presumere che

50

Trib di Monza, 5 ottobre 1998, in Giust. civ. 1999, I, 2171, Cannella Giovanni; sent Cass., 2 aprile 2012, n° 5260, in Giur. comm. 2013, 2, II, 226, Camillo Di Donato.

51 Per un quadro più approfondito sulla revocatoria fallimentare in relazione agli

atti del socio, si veda Giur. comm., fasc.4, 1998, pag. 495, Ruggero Vigo, “Il termine per la revocatoria fallimentare degli atti compiuti dal socio: la Corte di Cassazione modifica la sua giurisprudenza.”

75 il coniuge conosca lo stato di insolvenza della società52, la quale prescinde dall’insolvenza del singolo socio; tale posizione poi è stata riconfermata poco dopo, con la sentenza Cass., 17 dicembre 2012, n° 23213, in cui si dice che il curatore può sì revocare un atto intercorso tra i coniugi, ma deve essere lui a dimostrare che il coniuge in bonis conosceva lo stato di insolvenza della società, visto che il coniuge – socio, come già detto, fallisce insieme a quest’ultima per il solo fatto che è illimitatamente responsabile per i debiti sociali53.

Inoltre è ormai consolidato il principio per cui la società di persone, anche se priva di personalità giuridica, si configura come centro autonomo d'imputazione di rapporti giuridici ed interessi del tutto diversi da quelli facenti capo ai partecipanti, i quali non possono assumere la qualifica di imprenditori solo e semplicemente per la stretta connessione con un soggetto effettivamente imprenditore (la società) e per il raggiungimento dei propri scopi attraverso l’utilizzazione dell’attività formalmente imputabile a questo soggetto; in più, il fatto che ci siano più titolari della stessa impresa modifica i rapporti tra questi ultimi e i terzi, perciò in caso di fallimento non si deve considerare solo la par condicio, che in linea di massima è

52

Diritto e Giustizia online, 2012, pag. 285, Ivan Libero Nocera, “Non è revocabile l'atto compiuto tra coniugi, se il marito fallito è socio illimitatamente responsabile”.

53

Diritto e Giustizia online, 2012, pag. 1199, Vincenzo Papagni, “Gli atti del socio illimitatamente responsabile in favore del coniuge non sono revocabili”; Giur. It., 2013, 6, 1315, su sentenza Cass., 17 dicembre 2012, n° 23213.

76 l’interesse comune a tutti i creditori, ma si devono considerare le ragioni e le richieste di due categorie diverse di creditori, quelli sociali e quelli personali, oltre a tener conto dell'autonomia attribuita al patrimonio investito nell'impresa e dei rapporti che in conseguenza di tale autonomia si sono instaurati tra i patrimoni dei singoli soci e il patrimonio comune.

Un’ultima precisazione riguarda la società unipersonale, infatti anch’essa non è assoggettata alla disciplina dell’art 69 l. fall., neanche quando c’è stata omessa pubblicità della qualità di socio unico, ex art 2462 e 2470 cc, infatti “[…] tali norme si limitano a sanzionare

l'omessa pubblicità della qualità di socio unico, con l'attribuzione a quest'ultimo della responsabilità solidale ed illimitata per le obbligazioni sociali in caso di insolvenza della società, debitrice principale, ma non comportano la trasformazione "ipso jure" del socio in imprenditore individuale, con conseguente carenza del presupposto oggettivo della fattispecie speciale di cui al menzionato art. 69, consistente appunto nell'esercizio di un'impresa commerciale da parte del fallito”54.

54

77 Questa posizione è ormai assodata, ma c’era anche chi in dottrina55 criticava le motivazioni di fondo di questo automatico fallimento del socio in ragione del fallimento della società, perché si prescinde dalla solvibilità o meno del socio stesso, infatti, se è dichiarata fallita la società lo stato di solvibilità personale del socio non lo esonera dal fallimento personale, mentre, in caso di società in bonis, il dissesto del socio non ne consentirebbe la dichiarazione di fallimento su richiesta dei creditori personali.

Appunto per questo i soci andrebbero considerati come veri e propri coimprenditori a cui risulta imputabile l’attività di impresa, quindi i debiti della società verrebbero considerati debiti personali ed essi fallirebbero proprio per tale qualificazione e non semplicemente perché soci; in questo modo però la società si ridurrebbe ad una semplice comunione, e questo ovviamente è in contrasto con il principio, sancito più volte dalla giurisprudenza, per cui la società è un autonomo centro di imputazione di interessi distinto dai singoli soci e solo a quest’ultima spetta la qualifica di imprenditore commerciale.

55 Ferrara Corsi, Gli imprenditori e le società, Milano 1987; Ghidini, Società

personali, Padova 1972., come riportato in Giust. Civ., op. cit.

Giur. It., 2013, 1, 75, Fabio Iozzo, “Nota in tema di insolvenza del socio o della società”.

Giur. comm. 2013, 2, II, 226, op. cit.

Corriere Giur., 2013, 2, 243, Restuccia Antonino, “Si applica l’art 69 l. fall. agli atti compiuti con il coniuge dal socio fallito?”

78 Sempre in questa direzione si inserisce la critica di Di Donato56, che si basa sulle motivazioni della sentenza della Corte di Cassazione, 2 aprile 2012, n° 5260, per dire che un impianto contrario a quello stabilito sarebbe stato preferibile; sostiene infatti che la sentenza ivi citata non si fonda sulla qualificazione di imprenditore commerciale del socio illimitatamente responsabile, anche perché è la norma stessa a riferirsi al “fallito” e non all’“imprenditore commerciale”, ma si fonda su:

- L'esercizio di un’“impresa commerciale” da parte del fallito, a cui può essere equiparata la detenzione della partecipazione nella società da parte del socio illimitatamente responsabile.

- La prova dell'insolvenza da parte del coniuge avente causa: nel caso del coniuge imprenditore commerciale, il coniuge in bonis deve dimostrare che non era a conoscenza dell’insolvenza del fallito, ma questo vale anche nel caso di rapporto societario, infatti la presunzione di conoscibilità del coniuge non va trasferita sull’insolvenza della società, ma rimane sempre legata all’insolvenza del coniuge socio, cioè è sufficiente dimostrare che il coniuge era solvente o aveva dissimulato

79 la propria insolvenza al momento dell’atto di disposizione; in tal modo si potrebbero ritenere assimilabili le due situazioni – coniuge imprenditore commerciale e coniuge socio – in quanto il fulcro è proprio la conoscenza della concreta situazione facente capo al socio, al fine di accertare la concreta ed effettiva volontà di partecipazione all'intento fraudolento di quest’ultimo.