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Evoluzione della disciplina della revocatoria fallimentare (art 67 l fall).

La disciplina della revocatoria fallimentare tra coniug

1. Evoluzione della disciplina della revocatoria fallimentare (art 67 l fall).

La revocatoria fallimentare si basa su un presupposto soggettivo, ovvero la conoscenza dello stato di insolvenza da parte del terzo contraente, ed un presupposto oggettivo, ovvero il compimento di determinati atti in determinati periodi sospetti, e questi due presupposti si legano tra loro in relazione all’onere probatorio a carico del curatore.

104 “Art. 67. (Atti a titolo oneroso, pagamenti, garanzie).

Sono revocati, salvo che l’altra parte provi che non conosceva lo stato d’insolvenza del debitore:

1) gli atti a titolo oneroso compiuti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, in cui le prestazioni eseguite o le obbligazioni assunte dal fallito sorpassano di oltre un quarto ciò che a lui è stato dato o promesso;

2) gli atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili non effettuati con danaro o con altri mezzi normali di pagamento, se compiuti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento;

3) i pegni, le anticresi e le ipoteche volontarie costituiti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento per debiti preesistenti non scaduti;

4) i pegni, le anticresi e le ipoteche giudiziali o volontarie costituiti entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento per debiti scaduti.

Sono altresì revocati, se il curatore prova che l’altra parte conosceva lo stato d’insolvenza del debitore, i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, gli atti a titolo oneroso e quelli

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costitutivi di un diritto di prelazione per debiti, anche di terzi, contestualmente creati, se compiuti entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento.

Non sono soggetti all’azione revocatoria:

a) i pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa nei termini d’uso;

b) le rimesse effettuate su un conto corrente bancario, purché non abbiano ridotto in maniera consistente e durevole l’esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca; c) le vendite ed i preliminari di vendita trascritti ai sensi dell’articolo 2645-bis del codice civile, i cui effetti non siano cessati ai sensi del comma terzo della suddetta disposizione, conclusi a giusto prezzo ed aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo, destinati a costituire l'abitazione principale dell'acquirente o di suoi parenti e affini entro il terzo grado, ovvero immobili ad uso non abitativo destinati a costituire la sede principale dell'attività d'impresa dell'acquirente, purché alla data di dichiarazione di fallimento tale attività sia effettivamente esercitata ovvero siano stati compiuti investimenti per darvi inizio;

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d) gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore purché posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria; un professionista indipendente designato dal debitore, iscritto nel registro dei revisori legali ed in possesso dei requisiti previsti dall'articolo 28, lettere a) e b) deve attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano; il professionista è indipendente quando non è legato all'impresa e a coloro che hanno interesse all'operazione di risanamento da rapporti di natura personale o professionale tali da comprometterne l'indipendenza di giudizio; in ogni caso, il professionista deve essere in possesso dei requisiti previsti dall'articolo 2399 del codice civile e non deve, neanche per il tramite di soggetti con i quali è unito in associazione professionale, avere prestato negli ultimi cinque anni attività di lavoro subordinato o autonomo in favore del debitore ovvero partecipato agli organi di amministrazione o di controllo; il piano può essere pubblicato nel registro delle imprese su richiesta del debitore; e) gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione del concordato preventivo, dell’amministrazione

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controllata, nonché dell’accordo omologato ai sensi dell’articolo 182-bis, nonché gli atti, i pagamenti e le garanzie legalmente posti in essere dopo il deposito del ricorso di cui all'articolo 161.

f) i pagamenti dei corrispettivi per prestazioni di lavoro effettuate da dipendenti ed altri collaboratori, anche non subordinati, del fallito;

g) i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili eseguiti alla scadenza per ottenere la prestazione di servizi strumentali all’accesso alle procedure concorsuali e di concordato preventivo.

Le disposizioni di questo articolo non si applicano all’istituto di emissione, alle operazioni di credito su pegno e di credito fondiario; sono salve le disposizioni delle leggi speciali.”

Partiamo dal presupposto soggettivo. Intanto bisogna dire che l’insolvenza87 (art 5 l. fall.) va riferita allo stato generale dell’intero patrimonio del debitore, come definitiva incapacità patrimoniale ad adempiere, e non semplicemente alla mancanza di liquidità dell’imprenditore, fatto che può integrare semmai una temporanea

87

108 difficoltà ad adempiere; più precisamente, secondo autorevole giurisprudenza88, “ai fini della dichiarazione di fallimento, lo stato di

insolvenza va desunto, più che dal rapporto tra attività e passività, dalla possibilità dell'impresa di continuare ad operare proficuamente sul mercato, fronteggiando con mezzi ordinari le obbligazioni”, ed è

per questo che sussiste un’intrinseca difficoltà a delineare gli esatti confini economici, finanziari e temporali della nozione d’insolvenza in relazione proprio all’elemento soggettivo della piena conoscibilità da parte del terzo.

L’onere della prova è posto a carico del curatore, tranne in alcuni casi in cui si presuppone la conoscenza dello stato di insolvenza, o per l’anormalità dell’atto (art 67 l. fall.) o per i particolari rapporti sussistenti tra le parti (art 69 l. fall.) e in cui comunque il terzo può fornire la prova contraria (tranne nel caso degli atti gratuiti, art 64 l. fall.); un problema però è quello riguardante cosa dimostrare, ovvero se si deve provare la conoscenza effettiva o la semplice conoscibilità dell’insolvenza, e come dimostrarlo.

Riguardo al primo punto, la conoscenza dell’insolvenza si configura come un mero stato d’animo, che acquista significato quando sussistono specifiche e concrete circostanze esterne tali da indurre una persona di ordinaria diligenza a convincersi che l’imprenditore

109 sia insolvibile, dunque non è sufficiente che il curatore dimostri la conoscibilità in astratto dello stato di insolvenza da parte del terzo, ma è necessaria l’effettiva conoscenza; elemento che può essere provato comunque anche tramite presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, e che può essere contrastato dal terzo tramite la dimostrazione dell’esistenza, al momento in cui è stato posto in essere l’atto impugnato, di circostanze tali da far ritenere che l’imprenditore si trovasse in una situazione normale di esercizio dell’impresa.

Ci si è chiesti poi se il terzo potesse difendersi sostenendo la non conoscenza della qualità di imprenditore, visto che manca un’espressa previsione legislativa a riguardo, ma la giurisprudenza ha colmato tale lacuna riconducendo questo aspetto alla conoscenza dell’insolvenza e dicendo in ogni caso che non è rilevante accertarne la consapevolezza o meno da parte del terzo, in quanto questo non è un requisito fondamentale per l’accoglimento della domanda.

Dunque in conclusione si può dire che si deve provare l’effettiva conoscenza dell’insolvenza da parte del terzo e che la prova può essere presuntiva, cioè basata su indizi, che devono essere caratterizzati dai requisiti della gravità, della precisione e della concordanza e che devono essere valutati nel loro collegamento

110 logico e cronologico in modo tale da escludere che il terzo non ne fosse a conoscenza.

In relazione invece al presupposto oggettivo, il Legislatore ha stabilito, in relazione al tipo di atto compiuto, diversi periodi entro cui far valere la revocatoria fallimentare:

1) 2 anni dalla dichiarazione di fallimento per gli atti gratuiti, i pagamenti di crediti non scaduti (cioè che scadono il giorno stesso della dichiarazione o posteriormente) e gli atti di liberalità, se non sono proporzionati al patrimonio del donante; sono invece esclusi i regali d'uso e gli atti compiuti in adempimento di un dovere morale o a scopo di pubblica utilità, sempre che ci sia proporzionalità (art 64 – 65 l. fall.). 2) 1 anno per gli atti “anormali” (art 67, 1° comma, n° 1, 2 ,3),

ovvero:

- Atti a titolo oneroso a prestazioni sproporzionate, cioè in cui le prestazioni eseguite o le obbligazioni assunte dal fallito sorpassano di oltre un quarto ciò che a lui è stato dato o promesso;

- Atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili non effettuati con danaro o con altri mezzi normali di pagamento (per es. datio in solutum).

111 - i pegni, le anticresi e le ipoteche volontarie costituiti per

debiti preesistenti non scaduti.

3) 6 mesi per gli atti “normali”, ovvero i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, effettuati con mezzi ordinari, e i pegni, le anticresi e le ipoteche volontarie costituiti per debiti sorti contestualmente (art 67, 1° comma, n° 4, e 2° comma). In relazione a questi atti, si ha una diversa modulazione dell’onere della prova per il curatore, infatti:

1) per gli atti di cui agli art 64 e 65 l. fall. si ha una presunzione iuris et de iure della conoscenza da parte del terzo dello stato di insolvenza dell’imprenditore, sulla base della natura dell’atto, che lede in modo grave la par condicio creditorum, dunque non è permessa la prova contraria da parte del terzo contraente;

2) per gli atti “anormali” c’è una presunzione di conoscenza dell’insolvenza, che il terzo può contrastare dimostrando la sua inscientia decoctionis, anche, come già detto, con prove indiziarie, purché gravi, precise e concordanti;

3) nel caso degli atti “normali” invece è il curatore a dover dimostrare la scientia decoctionis da parte del terzo, utilizzando anche, per esempio, protesti, procedimenti esecutivi immobiliari, iscrizioni di ipoteche giudiziarie, bilanci,

112 notizie di stampa o il mutamento delle condizioni di pagamento.

Questa disciplina sul presupposto oggettivo è il risultato della riforma operata dal d. l. 14 marzo 2005, n° 35, convertito in l. 14 maggio 2005, n° 80.

Con essa infatti si sono dimezzati i periodi in cui poter esperire la revocatoria (da 2 anni ad un anno, da un anno a 6 mesi), in considerazione del fatto che un periodo sospetto troppo ampio possa incidere negativamente sulla certezza dei rapporti giuridici e possa creare un “vuoto” intorno all’imprenditore in odore di insolvenza molto tempo prima che quest’ultima si palesi realmente; in questo modo il Legislatore italiano ha avvicinato il nostro sistema revocatorio fallimentare a quello degli altri Paesi europei, non tenendo conto però che da noi i tempi sono molto più lunghi rispetto all’estero, per esempio in relazione all’istruttoria prefallimentare, per cui magari nel momento in cui viene dichiarato il fallimento, molti degli atti potenzialmente lesivi della par condicio creditorum sono fuori dal periodo sospetto e il curatore, se vuole revocarli, deve ricorrere alla revocatoria ordinaria ex art 2901 cc, ben più onerosa di quella fallimentare per quanto riguarda i presupposti da dimostrare per la sua esperibilità.

113 È stata poi quantificata la sproporzione in “oltre un quarto” (art 67, 1° comma, n° 1 l. fall.), al posto della precedente “sproporzione notevole”, cioè si è preferito un parametro “fisso” ad uno “elastico” in modo da evitare la discrezionalità del giudice; prima la sproporzione veniva valutata caso per caso e la giurisprudenza aveva ritenuto che l’unico criterio da considerare non fosse il prezzo di mercato, in quanto c’erano altri parametri che potevano influenzare la decisione, come per esempio la variabilità del prezzo, la domanda di quel dato bene, ecc…

Con il nuovo sistema invece risulta più facile per il curatore valutare se proporre l’azione e per il giudice arrivare ad una decisione, visto che è sufficiente ricorrere ad una semplice consulenza; vengono però favorite anche condotte elusive, infatti il criterio del 25% è adeguato in relazione agli immobili, mentre potrebbe creare più problemi in relazione ai valori mobiliari o ai beni che hanno un valore di listino, perché qui ci può essere sproporzione anche con variazioni minori del 25% (variazioni per le quali comunque rimangono ovviamente esperibili la revocatoria ordinaria ex art 2901 cc e l’art 67, 2° comma l. fall.).

In ogni caso, la sproporzione deve essere accertata con riferimento alla data di compimento dell’atto e non alla data di proposizione della revocatoria e il curatore non deve meramente asserire la

114 sussistenza della sproporzione, ma deve fornirne la prova, anche tramite presunzioni.

infine sono state introdotte ben 7 ipotesi di esenzione (art 67, 3° comma, l. fall.), così “svuotando” di fatto la disciplina della revocatoria fallimentare, tanto criticata per l’utilizzo improprio dell’istituto e il mancato rispetto delle regole processuali, entrambi elementi che avevano trasformato l’impianto probatorio in una sorta di meccanismo sanzionatorio; si è voluto infatti attenuare le conseguenze di tale istituto, eccessivamente negative per chi ne era un potenziale destinatario, e permettere di giungere agevolmente ad accordi di risoluzione della crisi diversi dal fallimento.

Analizziamo le singole esenzioni89 (su cui è intervenuta anche la riforma del 2007):

a) “I pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio

dell’attività d’impresa nei termini d’uso”: è un’importante

eccezione alla regola per cui sono revocabili gli atti “normali” compiuti nei 6 mesi precedenti alla dichiarazione di fallimento se il curatore dimostra la scientia decoctionis da parte del terzo contraente, in quanto non è possibile revocare tutti quegli atti che rientrano nella normale attività d’impresa. Ne rimangono esclusi (e quindi sono revocabili), oltre che,

89

Bonfatti S., Censoni P. F., “la riforma della disciplina della revocatoria fallimentare, del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione”, 2006, CEDAM.

115 ovviamente, i pagamenti effettuati con mezzi “anormali” (art 67, 1° comma, n°2 l. fall.), anche quei pagamenti effettuati dall’imprenditore fuori dall’attività d’impresa (per es. i pagamenti di debiti personali) o fuori dal termine di uso; tale ultima espressione non è di chiara interpretazione, infatti non si sa se ci si deve riferire alla prassi seguita dal fallito con i propri fornitori/creditori, o se ci si deve riferire agli usi contrattuali praticati in certi contesti territoriali, ma forse è preferibile la prima soluzione, infatti ciò che interessa non è la violazione di determinati usi contrattuali generici, ma è la modifica di una certa prassi intercorrente tra imprenditore e singolo fornitore, perché la richiesta di una dilazione nei pagamenti è sintomo di una possibile insolvenza.

b) “Le rimesse effettuate su un conto corrente bancario, purché

non abbiano ridotto in maniera consistente e durevole l’esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca”:

quello delle rimesse sul conto corrente è un tema su cui si è avuto un ampio dibattito, sia per l’individuazione delle rimesse suscettibili di revocatoria, sia per la scelta del criterio quantitativo su cui basare il rimborso. Riguardo al primo punto, bisogna distinguere tra rimesse con natura “solutoria” e rimesse con natura “ripristinatoria”, infatti le prime sono

116 quelle effettuate su un conto corrente scoperto, cioè un conto corrente non assistito da fido bancario e in cui risulti un saldo a debito del cliente, o un conto corrente assistito da fido, ma il cui saldo vada oltre i limiti di quest’ultimo, mentre le seconde sono quelle effettuate su un conto passivo, cioè un conto corrente assistito da fido di cui non è stato superato il limite; avendo ben presente questa differenza, si può dire che le rimesse di carattere “solutorio” sono revocabili, in quanto hanno come fine l’estinzione anche parziale del debito verso la banca, mentre le rimesse di carattere “ripristinatorio” non sono revocabili, in quanto rappresentano una mera ricostituzione della provvista a disposizione del correntista. Riguardo al secondo punto invece, prima si faceva riferimento ai singoli saldi giornalieri delle rimesse sul conto corrente, giungendo così ad un esborso enorme da parte delle banche, ma poi il Legislatore, oltre all’esenzione in esame, che analizzeremo tra poco, ha stabilito al 3° comma dell’art 70 l. fall. (a noi familiare, nella sua precedente formulazione, in riferimento alla presunzione muciana), che “il terzo deve

restituire una somma pari alla differenza tra l’ammontare massimo raggiunto dalle sue pretese, nel periodo per il quale è provata la conoscenza dello stato d’insolvenza, e l’ammontare

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residuo delle stesse, alla data in cui si è aperto il concorso”;

questo appena esposto è il criterio del “massimo scoperto”, che ha notevolmente ridotto l’esposizione delle banche in caso di fallimento di un loro cliente, anche perché altrimenti ci sarebbe stata una chiusura netta verso l’imprenditore in difficoltà economica anche minima da parte di quei soggetti istituzionali che lo dovrebbero maggiormente sostenere, ma che può dare adito a manovre fittizie da parte della banca (per esempio, operazioni di addebito simulato) per far aumentare l’esposizione finale fino a farla coincidere con l’ammontare massimo dello scoperto.

In ogni caso, come stabilisce l’articolo in esame, le rimesse sul conto corrente sono esentate dalla revocatoria, tranne nel caso in cui abbiano ridotto l’esposizione debitoria del fallito verso la banca in maniera “consistente” e “durevole”, due aggettivi molto generici, lasciati alla discrezionalità del giudice, che creano non pochi problemi interpretativi, e che comunque devono essere contestualmente presenti ai fini della revoca, ovvero non si può revocare una rimessa che abbia ridotto l’esposizione debitoria del fallito in maniera consistente ma non duratura.

118 In relazione all’aggettivo “consistente”, esso secondo la lettera della legge andrebbe riferito alla singola rimessa e non all’insieme delle rimesse effettuate, però la dimensione consistente della riduzione dello scoperto si può valutare solo ex post (a meno che non si dimostri la sussistenza di un accordo tra banca e cliente), altrimenti la banca farebbe fare all’imprenditore tanti piccoli versamenti non passibili singolarmente di revocatoria.

La valutazione ex post poi è indubbiamente necessaria per apprezzare il carattere della “durevolezza” della riduzione dell’esposizione debitoria del fallito, valutazione da cui sono escluse le operazioni infragiornaliere (operazioni di accredito che si alternano ad altre di debito nell’arco di una giornata), e le operazioni che rientrano in una normale fluttuazione della provvista, come sconfinamenti di modesta entità del fido, erogati in previsione di un successivo accredito di somme, in quanto qui la banca non eroga sostanzialmente ulteriore credito al cliente, ma permette un superamento del limite del fido per un breve lasso di tempo, in ragione del prevedibile accredito.

c) “Le vendite ed i preliminari di vendita trascritti ai sensi

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cessati ai sensi del comma terzo della suddetta disposizione, conclusi a giusto prezzo ed aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo, destinati a costituire l'abitazione principale dell'acquirente o di suoi parenti e affini entro il terzo grado, ovvero immobili ad uso non abitativo destinati a costituire la sede principale dell'attività d'impresa dell'acquirente, purché alla data di dichiarazione di fallimento tale attività sia effettivamente esercitata ovvero siano stati compiuti investimenti per darvi inizio”: con questa previsione si cerca

di favorire le esigenze degli acquirenti di immobili ad uso abitativo e non, che con il fallimento del venditore potevano perdere l’immobile acquistato, e si riferisce sia al promissario acquirente, sia all’acquirente di un immobile da costruire, sia a chi ha stipulato qualsiasi altro contratto (per es. anche di leasing) che abbia come effetto l’acquisto di un’abitazione o di destinazione a sede principale dell’attività d’impresa. Tale esenzione si basa su due presupposti, la vendita a giusto prezzo, della quale abbiamo già parlato sub a), e la destinazione ad abitazione principale (o sede principare dell’impresa) dell’acquirente o dei suoi parenti ed affini entro il terzo grado, e qui ci si è stupiti90 del mancato riferimento

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Giur. comm., 2008 4, 826, Niccolò Nisivoccia, “L’acquirente dell’immobile ad uso abitativo di fronte al fallimento del venditore”.

120 alla figura del coniuge, come se il Legislatore non ammettesse che due coniugi possano avere abitazioni diverse o possano essere proprietari di più immobili, ma scegliere di adibire il nuovo immobile a residenza principale.

d) “Gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del

debitore purché posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione; un professionista indipendente designato dal debitore, iscritto nel registro dei revisori legali ed in possesso dei requisiti previsti dall'articolo 28, lettere a) e b) deve attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano; il professionista è indipendente quando non è legato all'impresa e a coloro che hanno interesse all'operazione di risanamento da rapporti di natura personale o professionale tali da comprometterne l'indipendenza di giudizio; in ogni caso, il professionista