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L'abuso delle norme parlamentari per fini ostruzionistici: il caso

La validità di una norma o di un insieme di norme, quale è un regolamento parlamentare, si misura non solo sulla base della concordanza tra norma e i suoi presupposti etici e politici, vale a dire in termini di coerenza con la sua ratio. Nel diritto accade assai di frequente che una norma all'apparenza idonea a produrre taluni effetti giuridici auspicati dal legislatore finisca per legittimare effetti non solo diversi da quelli voluti (sperati), ma addirittura dannosi per la coerenza e l'efficacia del settore disciplinato. Per quel che ci riguarda, alcune delle più gravi criticità dei regolamenti del '71 e del modello della “centralità del parlamento” esplosero in modo evidente attraverso un vero e proprio caso politico, che portò ad un lungo processo di riconsiderazione del modello adottato nel '71 e ad alcuni fondamentali interventi di novellazione della disciplina regolamentare negli anni '80, novellazioni che iniziarono ad erodere le fondamenta del metodo consociativo come paradigma delle relazioni istituzionali tra maggioranza e opposizione.

Nel 1976 le relazioni consociative conobbero l'apice della loro parabola con la nascita di un “governo di solidarietà nazionale” tra D.C. e P.C.I. teorizzato da Enrico Berlinguer nel concetto di “Compromesso storico”68

. Tale governo69 era in realtà un governo di minoranza,

68

Berlinguer parlò di “compromesso storico” (o meglio, di “storico compromesso”) per la prima volta in alcuni articoli sulla rivista “Rinascita” nel 1973 incentrati

71 monocolore della D.C., che aveva potuto ottenere la fiducia grazie all'astensione del P.C.I. (il quale per la prima volta entrò nell'area di governo con almeno momentanea sospensione della conventio ad

excludendum). Le ragioni che portarono ad una soluzione così

radicalmente nuova nel panorama italiano, tanto da far parlare alcuni, non senza un po' di ironia, di “monopartitismo imperfetto”70

, sono da ricondursi principalmente al grave stato di crisi che l'Italia viveva in quegli anni: con ormai alle spalle gli anni del boom economico degli anni '60, il paese era alle prese con una grave crisi economica che si riverberava con inusitata violenza nelle dinamiche sociali, in un fiorire di movimenti armati che avevano come fine il sovvertimento dell'ordine democratico e la distruzione dell'avversario politico. Lungo tutto il decennio, passato alla storia come “anni di piombo”, la penisola fu attraversata da una serie impressionante di piccoli e grandi attentati terroristici volti a destabilizzare le istituzioni 71 , che possiamo approssimativamente circoscrivere tra l'attentato alla Banca Nazionale dell'Agricoltura in Piazza Fontana a Milano del 12 dicembre 1969 alla strage della Stazione Centrale di Bologna il 2 agosto 1980, l'attentato terroristico più grave della storia della Repubblica Italiana, con un bilancio di 82 vittime. Non furono però solo ragioni legate all'ordine pubblico a condurre al “governo di solidarietà nazionale” o, come fu definito, “governo della non-sfiducia, bensì intervenirono anche motivazioni di carattere più squisitamente politico: da una parte dal D.C. pativa, nella composizione di una solida maggioranza, la crisi del PSI e degli altri partiti laici, dall'altra il P.C.I., attraverso la svolta di Berlinguer puntava al definitivo superamento della conventio ad

excludendume all'accesso al governo del paese, rimarcando la propria

sull'analisi delle ragioni che avevano condotto al colpo di stato cileno che rovesciò il governo socialista di Salvador Allende (11 settembre 1973)

69

governo Andreotti III (VII legislatura, 30 luglio 1976-13 marzo 1978)

70 Dizione coniata da Marco Pannella in contrapposizione con il “bipartitismo

imperfetto” teorizzato da Giorgio Galli.

71

Il modo di operare dei gruppi terroristici di destra e di sinistra fu definita “strategia della tensione”, termine coniato dal settimanale inglese “The Observer” nel 1969.

72 distanza e indipendenza dall'URSS. Tuttavia, la resistenza di una parte significativa della D.C. e l'ostracismo del PSI (che si vedeva schiacciato da parte dell'asse D.C.-P.C.I.) fecero presto naufragare questo tentativo72. Il Governo Andreotti III cadde nel gennaio 1978 per la volontà della D.C. di declinare l'ultimatum del P.C.I. che chiedeva di entrare formalmente nel governo. Un nuovo esecutivo con l'appoggio esterno del P.C.I. nacque pochi mesi dopo, nel giorno più drammatico dell'intero decennio, il giorno del rapimento di Aldo Moro e della strage di Via Fani73 ad opera delle brigate rosse. Senza più Aldo Moro, vero fautore del centrosinistra prima e del compromesso storico poi, e in preda alle tensioni interne ai partiti che abbiamo descritto, all'inizio del 1980 con la “svolta di Salerno”, il P.C.I. rinunciò alla tattica del compromesso storico e ritirò il proprio appoggio nell'esecutivo, tornando all'opposizione.

Proprio nel 1976, anno in cui ebbe inizio questa breve parentesi che potremmo definire “consociativismo di governo” entrò alla Camera dei Deputati un piccolo ma agguerrito gruppo di 4 esponenti del partito Radicale74 Al di là degli orientamenti politico-ideologici che tale partito portava in parlamento, ciò che ci interessa in questa sede è descrivere l'atteggiamento che i radicali ebbero nei confronti delle norme regolamentari e come, attraverso il loro comportamento, innescarono il processo di novellazione regolamentare che avrebbe percorso tutti gli anni '80. Gli esponenti radicali si dimostrarono immediatamente dei minuziosi esperti del Regolamento della Camera, eccependo e contrastando qualunque prassi o consuetudine assembleare non trovasse una esplicita formalizzazione normativa ed

72 Lo stesso Andreotti, massimo protagonista del governo di solidarietà nazionale,

dichiarò ad Oriana Fallaci nel 1973: “secondo me, il compromesso storico è frutto di una profonda confusione ideologica, culturale, programmatica e storica. E all'atto pratico, risulterebbe la somma di due guai: il clericalismo e il collettivismo di sinistra” in FALLACI O., “Intervista con la Storia”, Rizzoli 1973.

7318 marzo 1978. 74

Oltre a Marco Pannella, la “pattuglia radicale” si componeva di Emma Bonino, Mauro Mellini e Adele Faccio.

73 inoltre utilizzando il regolamento stesso per fini ostruzionistici nei confronti delle iniziative legislative della maggioranza, mostrando i limiti del Regolamento del 1971. In effetti, è stato notato come “i regolamenti del 1971 postulavano una spontanea autolimitazione nell'uso degli strumenti che essi offrivano[...], si sapeva bene che quei Regolamenti potevano dare spazio all'ostruzionismo, anche paralizzante, ma la regola non scritta, anzi tacitamente accettata, era che si utilizzassero tali strumenti soltanto in occasioni di dibattiti di grande rilevanza politica”. E invece i radicali praticavano “un ostruzionismo di principio, […] volto proprio a contestare l'abitudine alla ricerca di convergenze, [un ostruzionismo] sistematico, contro i regolamenti definiti consociativi, […] volto a provocare una decisa distinzione dei ruoli tra maggioranza e opposizione”75

Un tale atteggiamento non mirava tanto e solo ad ostacolare le iniziative legislative della maggioranza, quanto a mettere in crisi le stesse basi del metodo consociativo nelle relazioni istituzionali, rendendolo di fatto ingestibile. La questione, lungi da ridursi ad una pedante cavillosità nell'applicazione delle norme, afferiva ad una battaglia politica sul tipo di relazione tra maggioranza e opposizione dovesse prevalere in parlamento. E' la prima volta che un partito prende una posizione di netta discontinuità con una “costituzione vivente” che aveva fatto nel corso del tempo della consociazione un paradigma per la gestione dei conflitti sociali e delle conseguenze della

“conventio ad excludendum”. Ciò che veniva contestato era l'idea

stessa di consociazione, di mancanza di un'opposizione realmente riconoscibile in grado di controllare l'operato della maggioranza. Il conflitto in parola esplode proprio nel momento in cui la consociazione si fa più plasticamente evidente, con la partecipazione esterna del P.C.I. al governo del paese.

L'ostruzionismo radicale , praticato con metodica continuità, trovo il

75

MATTARELLA S., in LANCHESTER F.(a cura di), “Regolamenti parlamentari

74 suo apice tra il gennaio e il febbraio del 1980, in sede di conversione di un D.L. in materia di prolungamento dei tempi di fermo di PG anche in assenza degli estremi del delitto tentato, normativa ispirata della lotta al terrorismo76. In quell'occasione, sfruttando l'elasticità regolamentare che consentiva l'ampliamento (su richiesta di un gruppo o di 10 deputati a norma dell'art.83 co.3) degli interventi in aula in astratto senza limiti di tempo, il gruppo dei radicali, composto in quel caso da 19 deputati, si resero protagonisti di discorsi-fiume di durata record, che non hanno eguali nella storia italiana, arrivando in un caso a parlare oltre 11 ore di fila77

Anche quando si trattò di votare la novella regolamentare del 1981 (la vedremo fra breve) scaturita (anche) dal loro comportamento, i radicali tentarono la carta dell'ostruzionismo presentando oltre 53.000 emendamenti, quasi tutti attinenti a formalismi linguistici, che in teoria sarebbero dovuti passare al vaglio della Giunta per il Regolamento uno per uno. L'empasse fu superato attraverso l'intervento del Presidente della Camera, Nilde Iotti, che stabilì che l'iter inerente una novella regolamentare fosse non riconducibile al normale iter legislativo (anche solo per il fatto di essere un rito monocamerale) e quindi fosse sottratto alla relativa disciplina, di talché a parere della Presidente la Giunta avrebbe valutato gli emendamenti al testo sulla base dei princìpi che essi incarnavano, e non sul mero dato testuale di ogni singolo emendamento. Poiché la valanga di emendamenti presentati dai radicali erano riconducibili a pochi princìpi sottesi (poiché come detto riguardavano modifiche quasi esclusivamente formali), la Giunta fu in grado di valutarli in tempi ragionevoli e portare al voto la novella. L'intervento della Presidente, passato alla storia come “lodo Iotti” da un lato dimostra l'importanza del ruolo presidenziale nel governo delle

76Si trattava della legge 15/1980 “Misure urgenti per la tutela dell'ordine democratico

e della sicurezza pubblica”.

77 Il record appartiene a Roberto Cicciomessere con un intervento di 11 ore e 35

minuti il 9 febbraio 1980; complessivamente il gruppo radicale condusse in quella discussione oltre 75 ore di dibattito.

75 dinamiche tra forze politiche, dall'altro rese vano, attraverso una interpretazione creativa del Regolamento, gli sforzi dei radicali per bloccare l'intervento novellistico. Sforzi che comunque hanno un che di paradossale, visto che l'intervento del 1981 sarà il primo tassello verso il depotenziamento e il successivo superamento di quei rapporti consociativi che i radicali così fortemente contestavano e che i regolamenti del 1971 fino a quel momento avevano consacrato.