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Al termine della ricognizione delle norme costituzionali rinvenibili in tema di rapporti tra maggioranza e opposizione è possibile segnalare alcuni punti fermi. E' certo che il Costituente non ha voluto dotare la Costituzione di un rigido schema funzionale per l'opposizione; come è stato sostenuto in dottrina la costituzione proporrebbe un'idea di opposizione “a fattispecie aperta” 48

, optando per una cornice

48

39 costituzionale “elastica”49

sotto questo profilo, lasciando agli attori politici la possibilità, nello svolgersi della vita parlamentare, di strutturare il rapporto maggioranza-opposizione secondo le modalità che, per ogni periodo storico, fossero più convenienti ed efficaci. Se è vero che guardando alla storia della nostra Repubblica quanto affermato trova un riscontro fattuale, poiché si è assistito, nel passaggio tra la “prima” e la “seconda” repubblica50, ad un mutamento rilevante del rapporto maggioranza-governo-opposizione rispetto alla fase precedente, senza che sia intervenuta alcuna modifica costituzionale, a nostro avviso non può dirsi che il Costituente sia stato totalmente “neutro” verso il tipo di rapporto maggioranza-opposizione che avrebbe dovuto innervarsi nell'ordinamento. Occorre prendere atto che non aver discusso dell' “opposizione” sotto il profilo funzionale in assemblea Costituente implica una scarsa sensibilità verso un'opposizione “di controllo” contrapposta alla maggioranza politica. Non si percepisce nel testo costituzionale l'intenzione di creare un sistema “dualistico” in seno al parlamento, ma sono anzi molti gli indizi che fanno pensare ad un favor costituzionale verso la soluzione consociativa. Anzitutto, l'indubbia propensione verso un sistema elettorale di tipo proporzionale, apertamente dichiarata dal Costituente51, che, come si è visto nell'introduzione, mal si attaglia ad opposizioni “di controllo”, mentre invece favorisce una ampia frammentazione politica e rende difficile la divisione del parlamento nei rigidi blocchi “maggioranza” e “opposizione” (politiche). Del resto la realtà politica italiana del momento era realmente molto frammentata ed incerta, ed era avvertita in modo stringente la necessità di impedire che una sola forza politica detenesse troppo potere.

49 CASAMASSIMA V., Op.cit., p.237.

50 Chiamiamo qui “seconda repubblca” quella nata con la distruzione dei vecchi

partiti ad opera di Tangentopoli e l'esito del Referendum del 1993 che ha introdotto il sistema maggioritario, seppur corrett, il c.d. “Mattarellum”.

51 Ordine del giorno della Costituente approvato il 23 settembre 1947 “L'Assemblea

Costituente ritiene che l'elezione dei membri della Camera dei Deputati debba avvenire secondo il sistema proporzionale.”

40 In questo contesto si iscrivono le norme che consentono delle maggioranze elastiche, mobili, e legano il rapporto fiduciario tra governo e parlamento al solo momento della sua attribuzione. Anche quanto abbiamo sopra affermato riguardo alle “maggioranze qualificate”, le quali, spingendo verso il compromesso tra maggioranza e minoranze, farebbero pensare che il tipo di rapporto “ordinario” tra le due parti sia invece quello “conflittuale”, può essere letto in modo diverso, coordinandolo con il resto. E' probabile che più che dall'esigenza di strutturare funzionalmente i rapporti tra maggioranza e opposizione, tali norme siano scaturite esclusivamente dalla paura che una forza politica dotata di sufficiente seguito potesse mettere mano unilateralmente su aspetti fondamentali per l'equilibrio delle istituzioni, (Presidente della Repubblica, regolamenti parlamentari, revisione della Carta) aprendo la strada ad una deriva autoritaria che all' epoca era un reale e concreto pericolo, essendo molto vicina nel tempo l'esperienza fascista e d avendo il partito comunista un importante radicamento sul territorio.

Al di fuori del momento fiduciario prescritto ex art.94 , nel quale affiora in modo netto il concetto di “indirizzo politico” quale strumento di divisione tra maggioranza e opposizione, mi pare evidente il favore costituzionale verso l'opposizione “consociativa”. In altre parole, la Costituzione, da una parte, pur non statuendolo espressamente, orienta l'attività istituzionale verso quel tipo di opposizione, dall'altra tuttavia non pone alcun limite alla conversione di tale forma oppositoria in altra, permettendone il mutamento al variare delle condizioni storico-politiche, come in effetti è avvenuto. Una “fattispecie aperta” e una “cornice elastica”, dunque, ma pur sempre orientata verso un opposizione di tipo consociativo.

Tale declinazione del fenomeno oppositorio ha avuto una notevole fortuna per lungo tempo, ma da almeno vent'anni a questa parte non è più adeguata a regolare in modo efficace le dinamiche parlamentari. E'

41 forse per questo che da tempo si parla di dare un assetto normativo esplicito ad uno “Statuto dell'opposizione” e la recente riforma “Renzi- Boschi” avrebbe costituzionalizzato questa necessità52

, senza tuttavia allontanarsi da mere assunzioni di principio.

Anche nella recente riforma, quindi, la Costituzione sul punto sarebbe restata sufficientemente “elastica” da permettere alle dinamiche parlamentari e alla normativa sub-costituzionale di riempire il vuoto nel modo che sarebbe stato ritenuto più appropriato. Se ciò sia da considerarsi una scelta di buon senso o un indice di scarsa attenzione verso l'importanza crescente che l'opposizione ha assunto negli ultimi decenni nella vita dell'ordinamento è questione opinabile e tenteremo di valutarlo a suo tempo53.

52

Vedi Cap. 5

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3

“Conventio ad excludendum”

e “centralità del parlamento”

1. I primi regolamenti parlamentari della Repubblica

Dopo la conclusione dei lavori dell’Assemblea Costituente e l’entrata in vigore della Costituzione, il nuovo parlamento repubblicano, nelle sue diramazioni paritarie di Camera e Senato, fu chiamato a dotarsi di un assetto normativo interno, attraverso l'adozione dei propri regolamenti. Non si deve sottovalutare l'impatto che tale peculiare fonte normativa 1 ha prodotto rispetto all'attuazione dei principi costituzionali relativi al tema del fenomeno oppositorio. Abbiamo infatti descritto2 il grado di elasticità che la Costituzione lascia nella determinazione dei rapporti tra maggioranza e minoranze parlamentari, pur con un certo favor per la scelta consociativa. In un contesto del genere, in cui il disegno costituzionale è abbastanza indeterminato da permettere l'instaurarsi di relazioni tra maggioranza e opposizione sia conflittuali che consociative, ecco che i regolamenti parlamentari assumono un rilievo essenziale, ancorché non esclusivo,

1 Considerati fonte primaria e generale dell'ordinamento, a competenza riservata, più

volte la Corte Costituzionale ha dichiarato i regolamenti parlamentari insindacabili in sede di legittimità (tra le sentenze più note, la n° 154/1985) in virtù della autodichia parlamentare, salvo successivamente mitigare questa presa di posizione mediante la legittimazione di una sorta di “sindacato indiretto”, attraverso lo strumento del conflitto di attribuzione (sent. N° 120/2014).

2

43 nell'indirizzare tali relazioni in un senso o in un altro.3

La scelta di entrambi i rami del parlamento fu di continuità rispetto all'ordinamento monarchico prefascista, senza alcuno sforzo di adattamento delle norme regolamentari ai princìpi della nuova Costituzione. La Camera dei Deputati si limitò sic et simpliciter a recepire il regolamento adottato dalla Camera del Regno d'Italia nel 1900, così come uscito dalle modifiche ad esso apportate nel 1922, appena prima dell'avvento del governo Mussolini e della successiva dittatura fascista.4 Il Senato, essendo mutata radicalmente la sua natura rispetto al periodo monarchico (da “camera alta”, i cui membri erano nominati a vita dal sovrano, ad assemblea elettiva pariordinata alla Camera del deputati5) adottò un regolamento ex novo, tuttavia ispirato dagli stessi principi che muovevano quello della Camera.

Si è parlato in dottrina di “indifferenza” dei regolamenti parlamentari di questa prima fase della Repubblica rispetto alla dialettica tra maggioranza e opposizione6, ed in effetti l'impianto ottocentesco dei regolamenti adottati non valorizzava in nessun modo il valore politico e istituzionale dei partiti o dei gruppi parlamentari, né tantomeno qualificava funzionalmente “maggioranza” e “opposizione” come entità autonome. Tale forma di parlamentarismo era infatti guidata “da una concezione atomistica e individualistica dell'esplicazione del mandato parlamentare che prescindeva dal formarsi di coesi e

3

“per quanto attiene il complesso delle relazioni tra […] gli schieramenti di maggioranza e opposizione all'interno [del parlamento], decisivo è lo sviluppo che ai principi costituzionali viene dato dai regolamenti parlamentari. Il grado di incisività di questi è inversamente proporzionale alla fittezza della trama del disegno costituzionale.” LIPPOLIS V., “Partiti, maggioranza, opposizione”, Jovene, 2007, p. 107.

4 Il 27 aprile 1949 fu approvato il testo del regolamento “coordinato” con il nuovo

assetto repubblicano, senza apportare peraltro modifiche significative al suo impianto.

5 Nella I legislatura, tuttavia, in virtù della III disposizione transitoria della

Costituzione, la quale prevedeva che fossero nominati senatori di diritto della I legislaturra i membri della Costituente in possesso di determinati requisiti, vi furono 106 senatori così' nominati.

6

SICARDI S.,“Maggioranza, minoranze, opposizione nel sistema costituzionale

44 omogenei schieramenti di maggioranza e opposizione”7

, di talché le maggioranze sulle quali doveva appoggiarsi il governo nell'attuazione del suo indirizzo politico erano di per sé mobili ed instabili. Destinatario di un corpus di garanzie inerenti al libero esercizio del mandato era il parlamentare, individualmente inteso, e non la minoranza o l'opposizione, concetti del tutto assenti nel testo regolamentare. Le ragioni che portarono il legislatore dell'epoca ad adottare una soluzione “conservativa”, che ignorava il rilievo costituzionale dato ai partiti dall'art.49, è da ricavarsi nel particolare momento storico nel quale tali scelte maturarono. Da una parte, si ritenne fondamentale ripristinare e rendere effettive le tutele dei parlamentari calpestate da oltre vent'anni di dittatura8; dall'altra vi era la volontà politica di impedire che l'esecutivo potesse avere un peso eccessivo nell'orientamento dei lavori parlamentari, esigenza questa legata, oltre che alla recente esperienza dittatoriale, al particolare atteggiarsi dei rapporti tra attori politici dell'epoca e a quella che fu definita “conventio ad excludendum”9

. Con tale espressione ci si riferisce all'accordo con cui le forze politiche che si richiamavano al “blocco occidentale” (prima fra tutte, ovviamente, la Democrazia Cristiana) operavano per impedire che partiti che si richiamavano all'ideologia socialista e comunista potessero governare il paese, anche sotto forma di alleanze o coalizioni con i partiti centristi.

Con le elezioni del 1948 si andò perdendo quello spirito di unità nazionale che aveva caratterizzato il periodo della resistenza e i lavori della Assemblea Costituente, per lasciare spazio ad una radicale

7 LIPPOLIS V., “Maggioranza, opposizione e governo nei regolamenti e nelle prassi

parlamentari dell'età repubblicana” in VIOLANTE L. (a cura di), “Il parlamento”,

Einaudi, Torino, 2001 p. 613.

8 MANZELLA A., sostiene che la continuità dell'esperienza dei primi regolamenti

repubblicani con il periodo liberale muovesse dall'idea di una stretta correlazione tra libertà della discussione parlamentare e diritti fondamentali.

9 L'espressione latina identifica in generale un accordo tacito o esplicito di alcune

parti sociali o politiche volto all'esclusione di una parte terza da qualunque forma di alleanza o di collaborazione. Nel contesto politico italiano fu utilizzata per la prima volta da Leopoldo Elia a partire dagli anni sessanta.

45 contrapposizione ideologica che trascendeva i confini nazionali e rifletteva quella tra blocco occidentale e blocco orientale. La larghissima vittoria della D.C.10 spinse definitivamente l'Italia nella sfera d'influenza degli Stati Uniti, scongiurando il rischio che la penisola potesse divenire un “paese satellite” dell'Unione Sovietica. Tuttavia, non poteva essere ignorato (come invece era avvenuto in Costituente con la decisione di non inserire nella Carta norme a sostegno di una di “democrazia protetta” 11

) il fatto che i partiti di ispirazione socialista avessero, almeno in teoria, il fine di rovesciare il regime liberaldemocratico. La circostanza che tali partiti fossero (e sarebbero rimasti) molto radicati sul territorio e che i loro rapporti con L'URSS fossero più che amichevoli, rendeva il pericolo molto concreto. La scelta operata dalla D.C. e dai suoi alleati di governo in quella fase12avrebbe resistito a lungo nella storia politica italiana, almeno fino alla fine degli anni ottanta. E' questo uno degli aspetti che maggiormente ha influito sulla natura dell'opposizione parlamentare e sulla forma di governo nel nostro paese, come avremo modo di approfondire a breve.

Per il momento ci basti dire che l'impostazione ottocentesca dei regolamenti parlamentari adottati, unita alla sostanziale diffidenza verso l'istituzione “governo”, ebbero l'effetto di privare l'esecutivo di qualunque strumento di controllo o di condizionamento dei lavori parlamentari, incidendo da una parte sulla stessa stabilità dell'esecutivo, dall'altra sulla sua effettiva capacità di sviluppare un indirizzo politico chiaro e coerente.

Gli aspetti regolamentari che plasticamente mostrano l'impotenza del governo e la sua incapacità di essere “comitato direttivo” del

10 Il partito, allora guidato da Alcide De Gasperi, raccolse quasi il 50% dei suffragi,

ottenendo 305 seggi alla Camera e 131 al Senato; Il Fronte Democratico Popolare, frutto della coalizione fra P.C.I., PSI, PSIU e movimenti minori, si fermò al 30,8%, con 183 deputati e 72 senatori.

11

Vedi Cap. 2.

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46 parlamento riguardano la programmazione dei lavori e il sistema di voto.

Sotto il primo profilo, non solo non era previsto alcun canale preferenziale con il quale il governo potesse orientare la programmazione delle sedute in relazione alle proprie priorità programmatiche, ma in entrambi i regolamenti delle camere era assente l'idea stessa della programmazione dei lavori parlamentari, se non a brevissimo termine: l'ordine del giorno della seduta successiva veniva annunciato alla fine della seduta precedente dal Presidente dell'assemblea, con la possibilità dell'aula di votare a maggioranza modifiche a tale ordine; da questo punto di vista, com'è stato sottolineato, “ la maggioranza avrebbe potuto imporre la propria volontà alle camere, [ma] la fragilità della sua coesione interna insieme alla considerevole forza politica propria di una disciplinatissima opposizione di sinistra conducevano verso una predisposizione sostanzialmente concordata degli ordini del giorno”13.

Con una modifica normativa del regolamento della Camera14 e in via di prassi al Senato, fu poi introdotta una “conferenza dei Presidenti” composta dai presidenti delle commissioni permanenti e dei gruppi parlamentari, alla quale il governo aveva il diritto di far assistere un proprio rappresentante. Tale conferenza, nata con la specifica funzione di programmazione dei lavori, ebbe tuttavia un impatto effettivo assai limitato. L'assunzione delle decisioni era basato sul principio dell'unanimità, dando con ciò anche alla più esigua minoranza la possibilità di bloccare ogni deliberazione, senza peraltro che il “rappresentante del governo”, eventualmente presente, potesse condizionarne l'esito. Nonostante la limitata portata pratica della previsione, occorre comunque sottolineare che la conferenza dei presidenti è stata la prima istituzione parlamentare nella quale assume un rilievo autonomo il concetto di “gruppo parlamentare”; si valorizza

13

CASAMASSIMA V., “L'opposizione in parlamento”Giappichelli, 2013, p. 250.

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47 cioè per la prima volta una dimensione sovra-individuale dell’attività parlamentare, il che costituisce certo un elemento di discontinuità con il parlamentarismo ottocentesco, sia pur, come detto, con esiti molto limitati.15 Un peso maggiore sotto il profilo dell’organizzazione dell'attività parlamentare lo ebbe il presidente dell’assemblea, il cui ruolo nelle dinamiche tra l’asse“maggioranza-governo” e opposizione ha conosciuto una certa evoluzione, e merita perciò di essere trattato distintamente (cfr.3.5).

In merito al secondo profilo, il sistema di voto, si registra nei primi regolamenti una scelta di continuità con l’ordinamento del periodo liberale, ed anche in questo caso si tratta di una scelta che penalizza la possibilità del governo di orientare l’attività parlamentare in un indirizzo politico coeso ed omogeneo. Sulla base del presupposto per cui la determinazione del singolo parlamentare dovesse essere la più libera e incondizionata possibile, i regolamenti delle assemblee del Regno d’Italia prevedevano come ordinario sistema di voto il voto segreto, e tale indicazione venne mantenuta nei primi regolamenti della Repubblica. In particolare alla Camera, il voto segreto era obbligatorio per le votazioni finali delle proposte di legge, e poteva comunque essere agevolmente richiesto anche per le altre votazioni.16 Se il principio di garanzia della libertà del parlamentare può apparire condivisibile, è facile vedere in tale forma di voto una modalità che incide negativamente sulla trasparenza e sulla coerenza politica. Fin da subito e senza soluzione di continuità nella storia repubblicana17 si svilupparono quei fenomeni di relazioni politiche opache, di

15 “Si formalizza la rilevanza dei presidenti dei gruppi parlamentari

nell’organizzazione dei lavori facendoli emergere quali soggetti che si inseriscono, condizionandolo, nel tradizionale circuito tra il presidente, che forma l’ordine del giorno della seduta e i singoli deputati che possono opporsi e, a maggioranza dell’assemblea, modificarlo” LIPPOLIS V., op cit., p. 619.

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L’Art. 90 del regolamento della Camera prevedeva che “il voto finale sui progetti di legge si dà a scrutinio segreto. Gli altri voti si danno per alzata e seduta eccetto ché dieci deputati chiedano la votazione per divisione nell’Aula, quindici la votazione per appello nominale, venti la votazione a scrutinio segreto”

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Almeno fino all'abolizione, nel 1988, del voto segreto quale strumento “ordinario” di decisione parlamentare.

48 discrepanza tra le posizioni assunte dal partito e voto dei propri rappresentanti in parlamento e di impossibilità di imputare precise responsabilità politiche, che è stato descritto come il fenomeno dei “franchi tiratori”, ma che in realtà rappresenta un modello di relazioni politiche molto più complesso di quanto appare a prima vista e che va al di là della malafede dei singoli. Infatti, l’impossibilità da parte del governo di controllare l’operato della “propria” maggioranza unita alla consapevolezza del singolo parlamentare di essere virtualmente irresponsabile, poiché coperto dalla segretezza, rispetto ai voti assunti, ha posto in una posizione di ulteriore debolezza l'esecutivo e minato in radice la possibilità di strutturarsi in una salda e duratura relazione con la maggioranza politica, influenzando in modo determinante le dinamiche istituzionali tra maggioranza e opposizione.