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La modifica della legge elettorale: dal proporzionale al

La critica che il Partito Radicale aveva mosso al sistema delle relazioni politico-istituzionali tra i partiti fin dal suo ingresso in parlamento nel 1976, concretizzandosi nelle condotte ostruzionistiche che avevano portato alle importanti modifiche regolamentari degli anni ottanta, trovò nuovo impulso alla fine di quel decennio attraverso un movimento referendario che mirava al mutamento del sistema elettorale da proporzionale a maggioritario.

Il dibattito sulla legge elettorale in Italia non era mai decollato del tutto. Le poche proposte di modifica, peraltro mai approdate a niente più che dichiarazioni d'intenti, riguardavano l'affinamento e l'efficienza del sistema proporzionale in uso per tutta la storia repubblicana, senza metterne in discussione il valore di paradigma . La pecularietà della situazione taliana, dominata dalla conventio ad excludendume la

91 conseguente impossibilità dell'alternanza facevano ritenere il sistema proporzionale l'unico capace di garantire la partecipazione di tutte le (principali) forze politiche alla vita istituzionale 4

Senza voler fare asserzioni apodittiche ed eccessivamente schematiche, è indubbio che il sistema elettorale proporzionale è maggiormente idoneo a rappresentare una realtà politica caratterizzata da una grande frammentazione, quale era quella italiana; d'altro canto è altrettanto vero che proprio questa forma di selezione della rappresentanza politica favorisce e legittima quel tipo di frammentazione.

La legge elettorale si inseriva quindi in un quadro abbastanza omogeneo, ove l'indirizzo politico era determinato dai partiti in parlamento attraverso la più o meno esplicita co-decisione dell'attività legislativa. Come “camera di compensazione” dei conflitti politici e sociali che non potevano trovare sfogo nella logica dell'alternanza, era quindi fondamentale garantire la massima rappresentatività alle forze politiche in seno all'assemblea, e la legge elettorale proporzionale era funzionale a questo scopo.

La spinta in favore del superamento della logica consociativa e della stagione della “centralità del parlamento”5

passò quindi dalla lotta interna al parlamento (attraverso le già richiamate pratiche ostruzionistiche prima e le modifiche regolamentari della seconda parte degli anni '80 poi6), ad una severa critica al sistema proporzionale, con la proposta del passaggio al maggioritario. Tale proposta, avanzata da Mario Segni nel 1988 con il sostegno dei radicali e con la partecipazione di numerose personalità della cultura e

4

Si veda ad esempio l'intervento di DE MITA nella seduta del 1 febbraio 1984 della “Commissione Bozzi”: “ continuiamo a ritenere indispensabile il mantenimento della [legge] proporzionale per la convinzione dell’ opportunità che tutte le opinioni abbiano la possibilità di esprimersi e di essere rappresentate, attraverso il sistema dei partiti, che […] rimane il canale insostituibile per la partecipazione popolare all'esercizio del potere” citazione tratta da RUFFILLI R., “ Materiali per la riforma

elettorale”, Bologna, 1987, pp. 29 ss.

5

Cfr. Cap.3.

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92 dell'imprenditoria (in quello che fu chiamato “Manifesto dei 31”7

) ventilava la possibilità dell'introduzione di una legge elettorale caratterizzata da collegi elettorali uninominali e da un doppio turno. Dopo aver ottenuto l'appoggio di 130 parlamentari, si fece strada l'idea che non fosse possibile arrivare ad una riforma elettorale in parlamento, per la sostanziale indifferenza con la quale la classe dirigente dei principali partiti trattava il problema. Di conseguenza venne lanciata tra il 1991 e il 1993 una campagna referendaria volta al mutamento del paradigma della legge elettorale, da proporzionale a maggioritaria, attraverso una serie di interventi abrogativi della legislazione elettorale in quel momento vigente8. I risultati largamente positivi dei referenda in questione9 furono interpretati come una scelta decisa dell'elettorato verso un sistema di tipo maggioritario, e portarono un parlamento ormai delegittimato ad adottare frettolosamente una nuova legge elettorale per Camera e Senato, le leggi n. 276 e n. 277/1993, passate

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Tra i trenta intellettuali che si schierarono in favore del maggioritario vi erano Rita Levi-Montalcini, Carlo Bo, Luca Cordero di Montezemolo e Umberto Agnelli.

8 Le proposte referendarie del 1991 e del 1993 non riguardarono la sola legislazione

elettorale ma verterono su svariati temi (tra i quali le competenze delle USL, l'utilizzo di sostanze stupefacenti per uso personale, l'abrogazione del finanziamento pubblico ai partiti).

I quesiti inerenti al sistema di voto furono tre nel 1991, due dei quali, riguardanti la sostanziale abolizione del sistema proporzionale nell'elezione del Senato e dei consigli comunali e provinciali furono dichiarati inammissibili dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 47/1991. La decisione della Corte faceva perno sul carattere costituzionalmente necessitato delle norme di cui si chiedeva l'abrogazione, insuscettibili di essere espunte dall’ordinamento per non generare vuoti normativi. Un ragionamento simile è stato fatto dalla Corte in occasione del giudizio di (in)ammissibilità del 2012 riguardo la legge elettorale allora in vigore (c.d.Porcellum) Sent. 12/2012).

Nel 1991 l'unico referendum che fu votato fu quello che abrogava la preferenza plurima nell'elezione della Camera dei Deputati.

Il quesito sull'introduzione del sistema maggioritario al Senato fu riproposto con alcune modifiche nella tornata referendaria del 1993.

9 La consultazione referendaria del 1991 sulla preferenza unica nelle elezioni della

Camera raggiunse un numero di votanti pari al 62,5% con una percentuale di

favorevoli all'abrogazione del 95,57%.

Nel 1993 i referenda sulla legge elettorale del Senato e sull'abolizione del finanziamento pubblico ai partiti videro la partecipazione del 77% degli elettori con una percentuale di favorevoli all'abrogazione dell' 82,70% per il primo e del 90,30% per il secondo.

93 alla storia come “Legge Mattarella” o “Mattarellum”10

, dal nome del relatore Sergio Mattarella. Esse non contemplavano un sistema maggioritario puro, bensì un sistema misto, che coniugava l'assegnazione dei tre quarti dei seggi con sistema maggioritario uninominale, con l'attribuzione del rimanente quarto dei seggi mediante un sistema proporzionale, con una modalità parzialmente diversa per i due rami del parlamento: per la Camera l'assegnazione della quota proporzionale dei seggi avveniva mediante liste bloccate con una soglia di sbarramento del 4% calcolata su base nazionale, mentre al Senato era utilizzato il metodo del c.d. “scorporo”, adottato su base regionale in conformità alla previsione costituzionale11. La disciplina dello “scorporo12” era invero parzialmente utilizzata anche per l'assegnazione della quota proporzionale alla Camera, e la sua funzione era quella di garantire rappresentanza anche alle liste minori, pesantemente penalizzate dall'impianto maggioritario del sistema. Tale complesso normativo palesò nel corso del tempo diverse criticità: come è stato opportunamente notato in dottrina “le numerose interdipendenze tra i due livelli di assegnazione dei seggi, quello proporzionale e quello maggioritario, […] e un insieme di incentivi e disincentivi all'aggregazione partitica [condusse] in alcune occasioni, ad esiti contraddittori”13

. Infatti, se la quota maggioritaria incentivava il sorgere di coalizioni, il meccanismo dello “scorporo” spingeva le forze politiche a non ufficializzare collegamenti elettorali (per evitare la decurtazione dei voti a carico della liste collegate al candidato eletto

10 Tale appellativo è del politologo Giovanni Sartori. Da allora è invalsa la

consuetudine di qualificare le leggi elettorali ricorrendo ad un “latinetto”: “Porcellum”, “Italicum”, “Consultellum”.

11 L'art. 57 Cost. prevede infatti che “Il Senato della Repubblica è eletto a base

regionale [...]”.

12

Il meccanismo dello scorporo consisteva nel sottrarre, nel calcolo dei voti validi per l'assegnazione della quota proporzionale, i voti ottenuti dai candidati collegati alla stessa lista che erano stati eletti nei collegi uninominali.

13

GENNUSA M.E., “La posizione costituzionale dell'opposizione” Milano, 2000 pp. 255 ss.

94 nel collegio uninominale)14

Il risultato scaturito da una legislazione elettorale ibrida, non ragionata in un dibattito parlamentare approfondito e coerente, ma frutto invece della contingente necessità di adeguarsi all'esito referendario, (il quale peraltro poteva essere interpretato come un generico favor dell'elettorato verso un sistema maggioritario piuttosto che come volontà di adesione al sistema “misto” uscito dal referendum abrogativo in tema di elezione del Senato), ha visto luci ed ombre nel suo impatto sulla forma di governo e sul rapporto tra maggioranza e opposizione.

Si è sostenuto in dottrina che “una maggioranza coesa e capace di durare [quale elemento essenziale di una forma di governo parlamentare maggioritario], implica un sistema politico bipolare o bipartitico […] e un sistema elettorale di solito selettivo che […] non deve essere necessariamente maggioritario, se è vero che che la grande parte dei paesi la cui forma di governo ha un funzionamento maggioritario adotta formule elettorali proporzionali “corrette” da meccanismi di tipo selettivo”15 .

Tuttavia non si può far a meno di notare che il passaggio ad un sistema elettorale prevalentemente maggioritario abbia determinato una forte spinta verso la (bi)polarizzazione del sistema.

Le prime elezioni con il nuovo sistema elettorale, nel 1994, videro apparentamenti partitici caratterizzati più dalla necessità di costituire un “cartello elettorale” in grado di prevalere nei collegi uninominali che da reali affinità politico-programmatiche.

La coalizione allora vincente, quella voluta da Silvio Berlusconi, si muoveva su due binari paralleli, se non contraddittori: con il perno centrale di Forza Italia, il partito fondato dallo stesso Berlusconi, la coalizione si reggeva al nord sull'alleanza con la Lega Nord

14 Si arrivò nel 2001 alla creazione di c.d. “liste civetta”,liste fittizie collegate ai

candidati dei collegi uninominali per aggirare le conseguenze dello scorporo.

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VOLPI M., “La natura della forma di governo dopo il 1994” in “Associazione

95 (denominata “Polo delle Libertà”), al sud con Alleanza Nazionale (“Polo del Buon governo”), neonata compagine politica frutto dell'evoluzione del Movimento Sociale Italiano, forza politica fuori dall'arco costituzionale che si richiamava più o meno apertamente ad un'ideologia post-fascista16. In effetti si trattava di un collegamento elettorale quasi paradossale: per il tramite di Forza Italia, venivano ad allearsi il partito secessionista, che faceva della retorica anti-italiana e anti nazionale il principale fulcro della sua battaglia politica, con il partito che più di altri si ispirava alla nazione e al patriottismo.

La coalizione avversa, denominata “Alleanza dei Progressisti”, guidata dal partito post-comunista P.D.S. e composta da una serie di sigle minori17 non riuscì a prevalere per l'incapacità di formare un cartello elettorale esteso ai partiti di centro coalizzati nel “Patto per l'Italia”, composto dal Partito Popolare Italiano, principale erede della disciolta Democrazia Cristiana, Patto Segni e Partito Repubblicano Italiano, il quale raggiunse quasi il 16% dei suffragi.

Sia la coalizione di centrodestra che quella di sinistra consistevano in “cartelli elettorali” privi di una visione politica comune nel medio periodo, all'interno dei quali il peso politico dei piccoli partiti si mostrò subito tutt'altro che ininfluente. Prova ne è che nel corso della XIIª legislatura i gruppi parlamentari aumentarono rispetto alla legislatura precedente, e il potere di veto dei piccoli partiti, i cui voti erano necessari per la conquista dei collegi uninominali, mostrò fin da subito il suo potenziale destabilizzante sull'intero sistema. La decisione della Lega Nord di uscire dalla maggioranza di governo pochi mesi dopo l'inizio della legislatura, causandone la prematura fine nel 1996, ne è

16 Il Movimento Sociale Italiano cambiò definitivamente nome in “Alleanza

Nazionale” nello storico congresso di Fiuggi del 1995, con l'obiettivo di affrancarsi dal passato troppo vicino all'ideologia fascista e proporsi come forza “moderata” e “di governo”. Tale evoluzione fu diretta dall'allora segretario del partito Gianfranco Fini, che ne sarebbe rimasto il leader fino alla confluenza di AN nel “Popolo della Libertà” nel 2008.

17

Alleanza democratica, Cristiano Sociali, La rete, Rifondazione comunista, PSI, Rinascita socialista.

96 un fulgido esempio. Anche se la forza elettorale che la Lega Nord aveva in quel momento rende difficile qualificarla come “piccolo partito” o “partito minore”18

, tuttavia la logica politica che condusse a alla caduta del Primo governo Berlusconi si ripeterà negli anni a venire, palesando uno dei maggiori aspetti problematici del “mattarellum”, condiviso peraltro dalla successiva legge elettorale del 2005, c.d. “porcellum”: l'eccessivo potere di condizionamento offerto a compagini politiche di scarsa rilevanza elettorale, indispensabili però al raggiungimento della maggioranza assoluta dei seggi parlamentari. Si tratta di un problema che non ha a che vedere solo con la legge elettorale, ma anche (e forse soprattutto) con l'incapacità della classe politica italiana di raggrupparsi in schieramenti omogenei e coesi, in grado di sfruttare al meglio le potenzialità del sistema maggioritario. Anziché semplificare il quadro politico, la “seconda repubblica” ha visto proliferare una costellazione di piccoli partiti scaturiti dalla fine dei grandi partiti di massa della “prima repubblica”, spesso caratterizzati da un afflato personalistico e del tutto inconsistenti sia dal punto di vista del peso elettorale sia sotto il profilo della sostanza politica e culturale, eppure in grado di garantire alle coalizioni quei (pochi) voti potenzialmente determinanti.

Quello uscito dalle elezioni del 1994 era insomma una sorta di sistema bipolare in divenire, ancora incapace di strutturarsi in concrete alternative di governo a medio termine, e pesantemente condizionato dai piccoli partiti, moltiplicatisi fino al parossismo.

Eppure a partire da quella legislatura si avverte un modo molto diverso di concepire i rapporti tra maggioranza e opposizione, una sensibilità che si concretizzerà presto in una significativa revisione dei regolamenti parlamentari, che avverrà nel 1997, e rinverdirà la riflessione critica sulla forma di governo e sul ruolo dell'opposizione. Lo stesso modo di costituire le coalizioni elettorali si evolverà da un

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Alle elezioni del 1994 la Lega Nord ottenne nella quota proporzionale oltre l'8% dei suffragi.

97 lato verso una (tendenziale) ricerca di omogeneità, dall'altro verso la proposta diretta agli elettori di un indirizzo di governo a medio termine (di legislatura).

3. L'evoluzione della forma di governo e le modifiche