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L'interpretazione dell'art.49 alla ricerca di un modello d

L'art. 49 rappresenta un terreno di studio privilegiato per chi si proponga la ricostruzione dell'atteggiamento del Costituente in relazione al fenomeno oppositorio; si tratta della norma costituzionale che fa il più esplicito riferimento alle necessarie relazioni tra le forze politiche, in vista di una finalità istituzionale. L'interpretazione di tale norma dovrebbe consentire di riconoscere il tipo di interazioni tra maggioranza e opposizione che la Costituzione avrebbe disegnato per l'ordinamento italiano. Sennonché, ad opera degli interpreti, si è giunti

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Con i limiti introdotti dalla Giurisprudenza alle sole associazioni politicamente rilevanti.

29 a due interpretazioni sostanzialmente opposte, che possono giustificare il favor costituzionale per entrambi i tipi di opposizione che abbiamo enucleato nell'introduzione, quella “consociativa” (che prevede la compartecipazione dell'opposizione al processo decisionale della maggioranza) e quella “di controllo” (che riguarda il caso di un'opposizione “vigile” nei confronti dell'operato della maggioranza e che si pone costantemente come credibile alternativa alla maggioranza stessa)23. Le divergenze interpretative riguardano il valore di attribuire al concetto di “concorso” e di “politica nazionale”, e di conseguenza la ricostruzione della norma sottesa all'art. 49. La prima interpretazione volge lo statuto (implicito) dell'opposizione nel testo costituzionale verso una direzione nettamente “consociativa”.

Prendendo le mosse dalla visione della “politica nazionale” come “ una [e una sola] politica, “la” politica nazionale”24, che “deve risultare dal concorso [di tutte le] forze politiche”25

si riconduce il concetto di “concorso” ad una “ sintesi di un accordo di continuo raggiunto e ridiscusso di indirizzi politici diversi ed anche contrapposti”26

, di talché i rapporti tra maggioranza e minoranza parlamentare si atteggerebbero non come dialettica oppositiva tra orientamenti politico-ideologici confliggenti, ma come continua ricerca di una sintesi, di un compromesso tra le forze politiche, un compromesso che in quest'ottica non sarebbe una fase temporanea ed eventuale della dialettica politica, ma assurgerebbe a paradigma delle relazioni dei partiti in seno al parlamento. In questo modo, il contributo del singolo partito “perde la propria specificità e la propria imputabilità, per riemergere irriconoscibile, insieme a tutti gli altri, in un prodotto compatto”27

finalizzato a confluire in un fine unitario, necessariamente

23 Vedi infra- Introduzione.

24 MANNINO A., “indirizzo politico e fiducia nei rapporti tra governo e parlamento”

Milano 1973 p. 12.

25 ROHERSSEN C., “L'opposizione Oggi” in “Politica del diritto” 1977 p 408.

26 COLONNA F., “Comunisti e parlamento” in “Studi parlamentari e di politica

costituzionale”, 9-1976 p.10.

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30 omogeneo e monolitico, che è appunto “la” politica nazionale, intesa come “le scelte e i fini fondamentali della Repubblica”28

. Negli esiti di tale confluenza, in questa sorta di fusione tra orientamenti politici divergenti ove ogni partito deve cedere una parte delle proprie pretese ed avallare una parte delle pretese degli altri, gli assertori di una siffatta interpretazione vedono realizzarsi la politica nazionale descritta ex art.49 ; ne consegue che l'unica interpretazione coerente del “concorso” tra i partiti è quella di un negoziato senza soluzioni di continuità.

A sostegno di questa proposta interpretativa si porta il disposto dell'art 64 co. 3 e 94 co.4 , laddove il primo prevede come regola generale per le deliberazioni parlamentari la maggioranza semplice29, mentre il secondo statuisce l'assenza di un obbligo per il governo alle dimissioni in caso di voto contrario ad una sua proposta da parte di uno o entrambi i rami del parlamento. Da una parte, si sostiene, il principio generale della maggioranza semplice , senza alcuna connotazione politica, permette la ricostruzione dei rapporti maggioranza-minoranza in termini meramente numerici e mobili, di conteggio aritmetico dei rapporti di forza riferiti ad ogni singola deliberazione, dall'altra l'esclusione dell'obbligo di dimissioni in capo al governo confermerebbe l'assenza di un vincolo tra una specifica maggioranza e il governo. E' stato infatti osservato che “la Costituzione […] vuole che in ogni momento del mandato governativo vi sia la fiducia “delle camere”, non che la fiducia debba essere concessa, mantenuta e revocata da una certa maggioranza assolutamente immutabile”30

. Non solo la Costituzione non imporrebbe l'obbligo maggioranze stabili ed omogenee, ma anzi avrebbe come implicito presupposto proprio la

28 COLONNA, op. cit., p.10. 29

Per essere valida una deliberazione parlamentare deve essere assunta in presenza della maggioranza dei componenti e con il voto favorevole della maggioranza dei presenti salvo che la Costituzione prescriva una maggioranza speciale (art. 64 co.3).

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LAVAGNA C., “Maggioranza di governo e maggioranze parlamentari” in

31 circostanza della loro mutevolezza31 In linea con tale assunto si arriva alla conclusione che l'unico momento della vita politica nel quale si ha una vera dialettica tra maggioranza e opposizione è quello del conferimento della fiducia, momento in cui si palesa l'esistenza “di un'opposizione portatrice di una linea alternativa di politica generale”32 Tale ultima affermazione appare difficilmente condivisibile quale che sia l'interpretazione che si voglia dare all'art.49 ; anche avallando l'ipotesi ricostruttiva di cui stiamo discutendo ci pare riduttivo, anche alla luce di quanto detto in precedenza, circoscrivere l'opposizione al fenomeno di contrapposizione di principio tra “linee alternative di politica generale”. È corretto sottolineare che tale ricostruzione della norma modella un rapporto maggioranza-opposizione in termini nettamente consociativi, ma non è sostenibile parlare di “assenza” dell'opposizione all’infuori del momento fiduciario . In questo senso non si può non convenire con Mannino, il quale sostiene che “non si può fare a meno di notare che la realizzazione di un compromesso, in virtù del quale il governo è costretto a modificare, seppur in parte, il proprio indirizzo è […] il frutto di un comportamento senz'altro oppositorio, indice concreto e al contempo positivo che l'attività delle opposizioni ha avuto33.

Una siffatta interpretazione dell'art. 49, che tende a sminuire il valore costituzionale dato all'opposizione parlamentare, attribuendogli il ruolo di “opposizione consociativa” o addirittura negandole qualunque valenza giuridica al di fuori del momento fiduciario34, è stata ampiamente criticata da una parte della dottrina, la quale ha invece operato, a partire dalle medesime norme, una ricostruzione affatto

31 LAVAGNA C., op. cit., p.211.

32MANZELLA A., “Maggioranza ed opposizione in parlamento” in “Studi

parlamentari e di pol. Cost.” 1969.

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MANNINO A., “Rapporti tra Maggioranza e opposizioni in Italia.-

dall’Assemblea Costituente ai regolamenti parlamentari del 1971” in LABRIOLA S.,

(a cura di) “Il parlamento repubblicano” , Milano 1999 , p.194.

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COLONNA F., “la regola della maggioranza e della democrazia” in ”Critica

32 diversa. Anzitutto, sì è criticato il valore attribuito alla locuzione “politica nazionale” di cui all'art. 49 sostenendo che questa sia non già il frutto unitario ed omogeneo della (com)partecipazione dei partiti alla vita parlamentare, ma “la compresenza […] di quei contrapposti orientamenti […] non, o non ancora, assurte a livello di indirizzo politico e [che quindi] costituisce la cornice e la conseguenza del concorso partitico”35

.

Si tratta di una ricostruzione diametralmente opposta a quella precedente, dalla quale discendono a cascata una serie di logiche conseguenze. Essendo la “politica nazionale” non più il risultato unitario e compromissorio derivante dalla commistione e dalla contaminazione dei diversi indirizzi politici in capo ai partiti, ma venendo ora a designare la semplice compresenza di tali indirizzi sulla scena parlamentare, ne consegue logicamente che anche il termine “concorso” assume un significato molto diverso, non più di negoziato in vista di un fine unitario, ma di competizione conflittuale per la prevalenza di un indirizzo politico rispetto agli altri, e la “determinazione” (della politica nazionale) altro non sarebbe che la semplice attestazione dello svolgersi fisiologico della dialettica partitica, una dialettica che in relazione a un dato momento può essere più o meno conflittuale, ma pur sempre improntata all'alterità tra indirizzi politici diversi36

In accordo con questa lettura, si fa discendere dalle formalità proprie del conferimento della fiducia al governo ex art.94 (in particolare alla prescritta votazione per appello nominale), la volontà del Costituente di creare una relazione stabile e non occasionale tra le forze politiche che sostengono il governo (la maggioranza) e chi invece non lo

35 SICARDI S., op cit., p.267.

36 Scrive SICARDI S., op. cit., p.267 che “La politica nazionale non è che la

registrazione del molteplice atteggiarsi-caratterizzato da momenti di divergenza quanto di convergenza e reciproco condizionamento, favorito dalla simultanea presenza delle forze politiche in corpi rappresentativi deliberanti - dell'azione politica e programmatica dei partiti i quali nel concorso-cioè nella regolata competizione fra essi- con metodo democratico trovano la norma fondamentale della loro azione”.

33 sostiene (l'opposizione). Parimenti deve essere inquadrato l'obbligo di motivazione che deve accompagnare una mozione di fiducia o sfiducia: in entrambi i casi, attribuzione e revoca della fiducia parlamentare, si paleserebbe il favor costituzionale verso la creazione di un indirizzo politico stabile e definito. Il principio di maggioranza semplice di cui all'art. 64 andrebbe letto nel senso di una pragmatica presa d'atto della complessità della politica, per cui non sarebbe utile alla stabilità istituzionale legare sempre e comunque le sorti del governo al voto

favorevole della “maggioranza politica” (le forze che hanno prestato la

fiducia) in una qualunque deliberazione, ma è invece opportuno permettere la formazione di maggioranze variabili e contingenti sulle singole votazioni, senza per questo mettere in discussione quel circuito preferenziale tra governo e maggioranza politica di cui abbiamo parlato. Si potrebbe dire, in altri termini, che la fiducia concessa al governo dalla maggioranza politica riguarda gli obiettivi a medio termine, le linee guida dell'indirizzo politico che ne muove l'azione, e di converso il fenomeno oppositorio riguarda il rilievo critico di tali obiettivi e di tale indirizzo politico; il voto favorevole dell'opposizione politica alla singola iniziativa promossa dal governo non scalfisce questa impostazione dialettica e conflittuale, come al contrario il mancato sostegno di una parte della maggioranza politica in un singolo voto non importa la rottura del vincolo fiduciario. In entrambi i casi siamo di fronte ad un momento fisiologico della vita politica, nel quale, ferme le distanze politiche e ideologiche di fondo, si possono avere convergenze o divergenze più o meno ampie sulle singole decisioni, e l'art. 64 permetterebbe all'ordinamento di essere flessibile sotto questo profilo.

Prendendo le mosse dalle medesime norme, i due filoni interpretativi che abbiamo descritto viaggiano paralleli, senza che nessuno dei due, pur escludendosi a vicenda, prevalga con decisione. Prima di giugnere a qualche conclusione, è opportuno valutare se le norme costituzionali

34 che riguardano la formazione di maggioranze diverse da quella semplice prescritta ex art. 64 ci offrono degli spunti tali da farci propendere per l'una o l'altra interpretazione del ruolo costituzionale dell'opposizione.

4.Minoranze politiche e maggioranze speciali

Si è fin ora fatto più volte riferimento al principio di maggioranza semplice previsto ex art. 64 , secondo il quale la deliberazione parlamentare non è valida se non è presente la maggioranza dei componenti delle camere e non ottiene almeno il voto favorevole della maggioranza dei presenti 37 . Vi sono però alcune tipologie di deliberazione per le quali la Costituzione prescrive maggioranze più elevate di quella semplice, ed è lo stesso art. 64 co.3 che dichiara che il principio di maggioranza semplice si applica “salvo che la Costituzione prescriva una maggioranza speciale”.

Tali maggioranze “qualificate” sembrano tendere verso una necessaria partecipazione delle minoranze nell'assunzione di decisioni particolarmente importanti della vita politico-istituzionale, sottraendole al potere unilaterale della maggioranza politica. Si tratta delle norme che riguardano l'elezione del Presidente della Repubblica38, quelle che riguardano l'adozione dei regolamenti parlamentari39, il processo di revisione della Costituzione40, la concessione di provvedimenti di

37 Art. 64 co.3 cost.

38L'Art. 83 Cost. Prescrive per l'elezione del Presidente il voto favorevole dei due

terzi delle camere riunite in seduta comune (integrate dai delegati regionali) nei primi tre scrutini, mentre dal quarto scrutinio è sufficiente il voto favorevole della maggioranza assoluta (dei componenti). Tale articolo risultava modificato in modo sostanziale, stante il mutamento dell'assetto istituzionale, dalla riforma Renzi-Boschi del 2016. Proprio sul presunto potere della maggioranza politica di eleggere facilmente in modo unilaterale il Presidente della Repubblica si sono mosse le più accese critiche alla suddetta riforma.

39Art. 64 co.1 Cost. il quale prevede il luogo della maggioranza semplice la

maggioranza assoluta dei componenti.

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L'art. 138 Cost. risulta particolarmente garantista prevedendo due deliberazioni per ciascuna camera a distanza non inferiore a tre mesi, le seconde delle quali assunte a maggioranza assoluta dei componenti; è prevista la possibilità di sottoporre a

Referendum popolare la modifica costituzionale qualora ne facciamo richiesta un

35 amnistia e indulto41 e, pur non rientrando strettamente del dettato costituzionale, le norme che regolano l'elezione dei membri della Corte Costituzionale e del Consiglio superiore della Magistratura42. Si tratta di decisioni particolarmente rilevanti sotto il profilo degli equilibri e delle garanzie tra istituzioni. Sembrerebbe, anche alla luce dei lavori preparatori, non poter dubitare che il Costituente abbia voluto impedire che la maggioranza potesse con la propria forza attentare alla stabilità delle istituzioni piegando ad hoc gli strumenti che l'ordinamento ha posto a tutela della democrazia. Scrive Mortati che la norma riguardante il regolamento delle camere è stata pensata per evitare che “una maggioranza approfitti del fatto di essere tale per imporre nel regolamento eccessive limitazioni del diritto alla discussione o altrimenti attentare al normale svolgimento dell'attività parlamentare”43 Tale considerazione fatta in relazione al regolamento vale in linea di principio anche per le altre “maggioranze qualificate”, ad eccezione forse di quella prescritta ex art.79 per l'amnistia e l'indulto. E' lecito pensare che in quest'ultimo caso la norma costituzionale (modificata nel 1992) sia stata dotata di una maggioranza qualificata così impegnativa e inderogabile più per la necessità di limitare l'adozione di provvedimenti di indulgenza molto delicati sotto svariati profili, (dei quali il parlamento aveva fatto un uso assai disinvolto), che dalla volontà di rendere necessaria la partecipazione dell'opposizione alla loro determinazione. Negli altri casi la ratio sembra effettivamente regionali, sempre che la deliberazione non sia stata assunta dalle camere con i due terzi dei voti favorevoli, nel qual caso il Referendum non è ammesso.

41 L'Art. 79 Cost. nel prescrivere la necessaria maggioranza dei 2/3 per la validità

della concessione di amnistia e indulto senza possibilità di deroga disegna la maggioranza qualificata più impegnativa del nostro ordinamento, tale per cui paradossalmente sarebbe più facile modificare lo stesso art. 79 mediante la previsione ex art.138, che non approvare un provvedimento di amnistia e indulto.

42 La Legge Cost. 2/1967 art.2 prevede che l'elezione dei giudici costituzionali

avvenga con il voto dei 2/3 dei componenti l'assemblea in seduta comune nei primi tre scrutini e dei 3/5 dei componenti nelle successive; la L. 195/58 art. 22 prevede che l'elezione dei membri laici del CSM sia assunta a maggioranza dei 3/5 dei componenti nei primi due scrutini e dei 3/5 dei votanti nei successivi.

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MORTATI C., “La Costituzione nei lavori preparatori dell’Assemblea

36 quella di evitare una eccessiva concentrazione di potere nelle mani della sola maggioranza con riguardo ad alcune decisioni ritenute centrali per gli equilibri costituzionali.

Secondo una parte della dottrina tuttavia la maggior parte di queste “maggioranze qualificate” finirebbero per essere riportate, dopo un certo numero di votazioni infruttuose, alla maggioranza assoluta dei componenti, che altro non è che una versione un po' più rigida della maggioranza semplice e comunque normalmente nella disponibilità della maggioranza politica.Ciò renderebbe questo gruppo di norme scarsamente efficaci a tutelare le minoranze politiche44. Tali critiche appaiono infondate per diverse ragioni. Nel caso dei regolamenti parlamentari, oltre all'indicazione esplicita fornita dai lavori preparatori, si deve anche considerare la totale assenza del governo nel procedimento di formazione, circostanza che slega l'adozione di tale fondamentale fonte normativa dall'indirizzo politico della maggioranza, disegnando una dialettica tutta interna alle assemblee legislative improntata alla ricerca della più larga condivisione possibile. Riguardo alla revisione Costituzionale, ad argine di possibili modifiche imposte unilateralmente dalla maggioranza si è posto, oltre ad un procedimento particolarmente articolato (gli stessi tre mesi che devono intercorrere tra una votazione e l'altra possono essere visti come un tempo che il legislatore costituente ha voluto dare alla riflessione dialettica tra maggioranza e opposizione) , prevede il diretto intervento del popolo a mezzo Referendum qualora la maggioranza raggiunta non sia dei 2/3. Infine, in merito all'elezione del Presidente della Repubblica, se è pur vero che la maggioranza assoluta prevista dal quarto scrutinio in poi in teoria potrebbe consentire ad una maggioranza politica coesa l'elezione di un “proprio” Presidente, è pur vero che la particolare formazione dell'Assemblea in seduta comune

44 Si veda ad esempio FERRARA G.C.,“Regolamenti parlamentari e indirizzo

politico” in “Scritti degli allievi offerti a A. Tesauro” Milano, 1968 p.346, secondo il

quale l'adozione del regolamento parlamentare sarebbe “l'atto primigenio dell'indirizzo [politico]”.

37 con l'integrazione dei delegati regionali rende tale ipotesi di non così facile realizzazione.

Oltre alle norme riguardo le maggioranze qualificate occorre valutare le prescrizioni che riguardano il ruolo delle minoranze parlamentari negli organi interni del parlamento, in particolare le commissioni d'inchiesta e le commissioni di cui all'art.72 co.3 Stante l'importanza e il potere di tali organi, si è derogato al principio proporzionale nella composizione delle commissioni secondo i rapporti di forza nell'assemblea, sottostimando il “peso” dei gruppi parlamentari più forti per garantire la presenza anche dei gruppi parlamentari più piccoli che altrimenti non avrebbero avuto alcuna rappresentanza.45 Si è cioè privilegiato il “diritto di tribuna” delle minoranze parlamentari anche esigue ad una puntuale rappresentazione nelle Commissioni dei rapporti di forza presenti nel plenum.46

Un accenno deve essere fatto anche alle previsioni costituzionali che riguardano i poteri d'iniziativa riservati ad alcune minoranze qualificate: si tratta del potere di convocazione straordinaria delle camere, riservato ad un terzo dei componenti, del potere di richiesta di

Referendum in caso di mancato raggiungimento dei due terzi dei voti favorevoli ad una riforma costituzionale, e del potere riservato a un

decimo dell'assemblea o a un quinto della commissione di ottenere il ripristino dell'iter legislativo ordinario con piena cognizione del

plenum dell'assemblea.

Se il potere di convocazione straordinaria appare poco pregnante e vuoto di rilievi pratici, e il potere di richiedere il Referendum costituzionale deve essere inteso nel contesto più ampio di salvaguardia della “rigidità” costituzionale (tale potere è riservato anche a Consigli regionali e cittadini, con i relativi quorum47), il potere di rimessione al plenum assembleare della discussione, configuarando

45 GENNUSA M.E., Op. Cit, p.125.

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Di questi aspetti si tratterà più diffusamente nel Cap.3.

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38 una sorta di “diritto potestativo” in capo alle minoranze, è certamente una garanzia più densa di significato, capace di dare all'opposizione uno strumento non solo di approfondimento della discussione, ma anche un mezzo dilatorio o di negoziazione politica.

Ai nostri fini ci interessa rilevare che tutte queste disposizioni costituzionali sembrano sottointendere l'esistenza di una “maggioranza politica” tendenzialmente stabile, al punto dal volerle sottrarre il potere di imposizione del proprio indirizzo politico su talune questioni particolarmente significative, costituzionalizzando per quei casi la “necessità” della concertazione e dunque ritenendo indispensabile l'approvazione di almeno parte delle minoranze. Argomentando logicamente, si dovrebbe dedurre che, poiché la Costituzione per talune decisioni impone (per poi spesso mitigare tale imposizione con quorum più bassi dopo un certo numero di votazioni) la ricerca di una sintesi, di un accordo tra maggioranza e (una parte della) minoranza, allora negli altri casi la Costituzione dà per assodato un rapporto maggioranza-opposizione non consociativo ma conflittuale, non di sintesi ma di dialettica oppositiva e di reciproca esclusione.

In realtà il testo costituzionale lancia segnali contraddittori, e la deduzione logica appena descritta si scontra con valutazioni che invece fanno pendere l'ago della bilancia nell'altra direzione.