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governo debole e “questione di fiducia”

La posizione di minorità che il governo aveva assunto nel contesto delineato nei confronti delle camere per l'impossibilità di incidere in modo efficace sullo svolgersi del lavoro parlamentare e per lo scarso

20 Peraltro l'iter parlamentare della legge fu oggettivamente poco edificante con un

dibattito praticamente azzerato al Senato dalla proposizione del governo della questione di fiducia sulla legge, fatto che portò alle dimissioni il Presidente del Senato Giuseppe Paratore; il nuovo Presidente Meuccio Ruini convocò il Senato la domenica delle Palme del 1953 per far votare l'articolo unico della legge in tempo per le elezioni politiche.

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52 potere di controllo sulla maggioranza politica che lo sosteneva, portarono ad alcune significative conseguenze sia sul piano della prassi costituzionale sia sul piano storico-politico. Quanto al primo aspetto, una delle soluzioni che il governò adottò per aggirare i gravi problemi richiamati nel paragrafo precedente in ordine all'attuazione del proprio programma politico, fu il ricorso alla “questione di fiducia”. Tale istituto, sconosciuto nella Costituzione e nei regolamenti parlamentari dell'epoca22, fu introdotto in via di prassi facendo leva sul disposto dell'art. 94 Cost, il quale disciplina l'attribuzione e la revoca della fiducia al governo. La “questione di fiducia”, com'è noto, è il meccanismo in virtù del quale il governo collega all'approvazione di un determinato provvedimento legislativo ritenuto essenziale per l'attuazione dell'indirizzo politico da parte del parlamento, la prosecuzione del rapporto fiduciario tra organo legislativo e organo esecutivo. In altre parole, ponendo la “questione di fiducia” su un provvedimento, il governo chiama le camere a rinnovare (o a revocare), il rapporto fiduciario costituzionalmente previsto come necessario: nel caso di un rigetto della proposta governativa il governo è tenuto a rassegnare le proprie dimissioni nelle mani del Capo dello Stato. Tale istituto si porta dietro una serie di significative caratteristiche che consentivano al governo di ottenere un po' di quella forza nelle relazioni istituzionali di cui era così marcatamente sprovvisto. In primo luogo veniva di molto limitata la possibilità di accordi opachi e non dichiarati tra maggioranza e opposizione, in quanto un voto contrario alle intenzioni governative avrebbe comportato una crisi di governo con conseguente instabilità politica, e soprattutto perché il voto su una proposta di legge sulla quale veniva posta la fiducia, richiamandosi all'art.94 Cost, doveva essere svolta per appello nominale23, con ciò escludendo la possibilità del parlamentare di rendersi irresponsabile

22Sarà introdotto con la riforma dei regolamenti parlamentari del 1971 ed è

attualmente dall'art.116 del regolamento della camera e 161 del Senato.

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L'art.94 Cost. fa esplicito riferimento a tale modalità di voto per le mozioni di fiducia-sfiducia.

53 delle determinazioni assunte. Inoltre, dal richiamato regime dell'art. 94, discendevano alcune altre conseguenze di ordine procedurale idonee a consentire all'esecutivo un efficace intervento sui lavori parlamentari: oltre alla richiamata votazione per appello nominale, veniva posto un termine dilatorio fra presentazione e discussione della questione di fiducia (come per le mozioni), il testo presentato dal governo godeva di una priorità rispetto agli altri “con un'alterazione del normale ordine di discussione”24

, ed infine lo stesso testo era inemendabile ed indivisibile. Il divieto di svolgere emendamenti permetteva un certo contingentamento dei tempi e consentiva al governo di essere certo che il testo presentato, che ricordiamo era ritenuto essenziale all'attuazione dell'indirizzo politico, non fosse modificato, magari in modo significativo, nel corso dell’iter legislativo. Non furono poche le critiche e i distinguo in merito all'utilizzabilità di tale istituto, che incideva in modo sostanziale sulla dialettica parlamentare tra maggioranza e opposizione. I critici focalizzavano l'attenzione sull'assenza in Costituzione di un simile dispositivo, considerando quanto disposto dall'art.94 sulla mozione di fiducia/sfiducia una fattispecie a numero chiuso, insuscettibile di interpretazioni estensive. Tuttavia, l'orientamento prevalente in dottrina sostenne la legittimità costituzionale di un tale dispositivo sviluppatosi come consuetudine costituzionale, facendo leva sugli stessi princìpi sottesi all'art.94 , poiché “come le camere hanno la possibilità di far cadere un gabinetto che si discosti dall'indirizzo politico concordato o non sia giudicato idoneo ad attuarlo […] al governo deve essere riconosciuto il potere di dichiarare essenziale rispetto all'attuazione dell'indirizzo politico che intende perseguire l'esito di una votazione e porre così le camere di fronte all'alternativa tra secondare i suoi orientamenti o provocarne le dimissioni”25

.

L'istituto della “questione di fiducia” era tuttavia limitato dalla

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LIPPOLIS V., op. cit., p. 118.

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54 circostanza che, formalmente alla Camera e, per via di prassi al Senato, il voto finale sulle proposte di legge dovesse essere segreto, di talché era di fatto impedito al governo di porre la questione di fiducia sulle votazioni finali, indebolendo non poco uno strumento molto efficace nelle mani del governo. L'unico caso in questa prima fase della vita repubblicana in cui fu posta la questione di fiducia su un voto finale (al Senato, ove come detto l'obbligo di voto segreto per in voto finale non era consacrato da una norma regolamentare ma solo dalla prassi) fu nel caso della già citata Legge Truffa del 1953, la quale per il suo tormentatissimo iter legislativo può essere considerata un'eccezione. In generale, in questa fase della storia repubblicana il ricorso alla fiducia fu moderato ma costante, e rivelò una certa efficacia nel lenire l'instabilità determinatasi dalle relazioni consociative tra maggioranza e opposizione, tanto che da mera “consuetudine costituzionale”26

, divenne poi norma regolamentare con la riforma del 1971.

Dal punto di vista storico-politico la debolezza del governo contribuì a legare l'efficacia dell'azione politica al carisma delle singole personalità ed al più o meno ampio coinvolgimento ufficiale dell'opposizione nell'attuazione dell'indirizzo politico. Se il governo De Gasperi riuscì, attraverso l'autorevolezza del suo leader a ottenere alcuni significativi risultati, i governi successivi non furono altrettanto capaci di guidare il parlamento verso la produzione di norme di ampio e importante contenuto generale, lasciando spazio a quelle che abbiamo chiamato “leggine”. E' solo con l'apertura dello spazio di governo ad una parte delle opposizione di sinistra (il PSI) attraverso l'esperienza del centrosinistra fortemente voluta da Aldo Moro che si riuscì a produrre alcune importanti riforme27di cui l'Italia aveva fortemente bisogno ma la cui adozione era stata impedita da quel sistema di consociativismo “obbligato”, “imperfetto”, che ha

26 MANZELLA A., “Note sulla questione di fiducia” in “Studi parlamentari e di

politica Costituzionale”, n. 5-6/1969, pp.39 ss.

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55 caratterizzato in questa fase i rapporti politici tra maggioranza e opposizione, un sistema nel quale ad una proficua e costruttiva collaborazione sulla normazione di rilievo settoriale e limitatoimpoatto generale non faceva seguito una reciproca legittimazione e considerazione tale da produrre accordi efficaci su questioni di carattere generale.

4. I Regolamenti del 1971: la formalizzazioni di una prassi.