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Opposizione “consociativa”: una scelta obbligata

Il quadro che abbiamo descritto, caratterizzato da una normativa sub- costituzionale che non qualifica funzionalmente né la maggioranza né l'opposizione e che marginalizza la relazione governo-parlamento depotenziando grandemente la capacità dell'esecutivo di incidere in modo significativo nella determinazione dell'indirizzo politico, insieme al contesto storico-politico dominato dalla citata conventio ad

excludendum, la quale minava in radice la possibilità di una fisiologica

alternanza di orientamenti politico-ideologici diversi alla guida del paese (e quindi anche all'opposizione), indirizzarono in modo chiaro le dinamiche tra maggioranza ed opposizione. Proprio a causa dell'impossibilità dell'alternanza, si trattava di “ruoli” pressochè immutabili: da una parte vi era la mancanza di forza elettorale delle sinistre per poter avere da sole la maggioranza parlamentare, e dall'altra l'egemonia D.C. nel qualificarsi come partito moderato di massa, aperto sin dalla prima legislatura ad accordi di governo con altre forze “moderate”, accordi che, seppur con alti e bassi, si

49 ripeterono stabilmente per l'intero arco della “prima repubblica”. Eppure, questa apparente stabilità di ruoli non si tradusse né nella stabilità delle maggioranze parlamentari né nella stabilità dei governi. L'eterogeneità delle coalizioni di governo (e le articolazioni interne alla stessa Democrazia Cristiana, tali da configurare dei veri e propri “partiti nel partito”) messa in relazione con la copertura che il voto segreto offriva ad accordi parlamentari in conflitto con gli orientamenti governativi, ne affievolirono ben presto l'autorevolezza. Di fatto, pur esistendo una maggioranza politica sulla carta, a cui si contrapponeva un'altrettanto virtuale opposizione politica, entrambe caratterizzate da un'accesa e appassionata contrapposizione ideologica, in aula tale netta articolazione dei rapporti tra attori politici tendeva a scemare grandemente, lasciando spazio ad una sostanziale co-determinazione dell'attività legislativa. L'orientamento verso un opposizione di tipo consociativo più che un'opzione politica o normativa consapevole è stata in questa fase una conseguenza dell'intersezione tra normativa sub-costituzionale e contesto storico del periodo. E' stato infatti opportunamente osservato come la contrapposizione ideologica tra i maggiori partiti italiani si confacesse di più ad un tipo di opposizione “di controllo”, ma che l'anomala situazione determinata dalla

conventio ad excludendum insieme con la grande frammentazione

politica avesse in qualche modo costretto i partiti verso la consociazione, che sotto questo profilo le forze politiche avrebbero subìto, più che scelto18.

A dimostrazione della scarsa fiducia verso tale modalità di esercizio della dialettica maggioranza-opposizione, il rapporto consociativo di questo periodo non si concretizzò in accordi riguardanti questioni significative di politica generale, ma ebbero come terreno fertile la legislazione micro-settoriale, le c.d. “leggine19”, le quali incidevano poco o nulla sull'indirizzo politico italiano ma permettevano ai singoli

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CASAMASSIMA V., op.cit, pp. 231 e ss.

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50 partiti di ottenere piccoli ma importanti successi politici. In questo modo l'opposizione di sinistra che, lo ripetiamo, mai in quel contesto avrebbe potuto assurgere al governo del paese, riusciva a tradurre nell'ordinamento una parte delle proprie istanze politiche le quali, anche se “di dettaglio” non erano irrilevanti . La sede privilegiata di tali accordi erano le commissioni parlamentari “in sede deliberante”, le quali necessitavano dell'assenso delle minoranze per poter legiferare (visto che i regolamenti parlamentari prevedevano che l'esame di una proposta di legge tornasse al plenum se questo fosse richiesto da un decimo dei parlamentari), e consentivano una dialettica più concreta, meno condizionata ideologicamente e più legata ai rapporti di collaborazione e stima tra i singoli parlamentari.

Il rapporto maggioranza-opposizione nei termini appena descritti non fu privo di conseguenze negative sull'ordinamento: ad esempio, il ritardo con cui la Repubblica si dotò di istituzioni fondamentali costituzionalmente previste come la Corte Costituzionale è da imputarsi proprio alla debolezza dei governi e alla difficoltà di estendere anche a questioni di grande rilevanza nazionale il meccanismo consociativo che si è dimostrato valido nella legislazione micro-settoriale.

La questione della debolezza dei governi e di una chiara qualificazione dei rapporti tra forze parlamentari non era sconosciuta al dibattito pubblico italiano dell'epoca. Nel 1953 il governo De Gasperi riuscì a far approvare una contestatissima legge elettorale (passata alla storia come “Legge Truffa”), la quale, abbandonando il sistema proporzionale, assegnava alla coalizione che avesse ottenuto più del 50% dei suffragi il 65% dei seggi alla Camera, garantendo quindi al vincitore una forza numerica tale da imprimere un indirizzo politico deciso e di medio termine. La legge fu contestata non solo e non tanto perché assegnava un premio di maggioranza sacrificando una parte della rappresentatività, quanto perché, in ragione della più volte citata

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conventio ad excludendum sarebbe stato impossibile per le opposizioni

di sinistra ottenere la maggioranza assoluta dei suffragi per beneficiare del premio. Di fatto, l'unica coalizione che poteva sperare in un risultato simile era proprio quella guidata dalla D.C., la quale, secondo le opposizioni, aveva confezionato una legge ad hoc per rafforzare la propria posizione, peraltro a pochi mesi dalle elezioni20. Ad ogni modo la coalizione guidata dalla D.C. alle consultazioni politiche del giugno di quell'anno mancò il risultato previsto dalla legge per ottenere il premio di maggioranza, sfuggito per circa 54.000 voti, pari allo 0,2%21e la “legge truffa” venne abrogata l'anno successivo, chiudendo l'unica (mancata) esperienza della “prima repubblica” con un sistema elettorale non proporzionale. Se è indubbio che il merito e il metodo con il quale fu approvata la Legge Truffa non possano che condurre ad una valutazione ampiamente negativa di quella esperienza, è da evidenziare che in quel tentativo si può scorgere la presa d'atto da parte del dibattito politico della debolezza delle maggioranze politiche e dei problemi che da tale debolezza possono scaturire; la logica che fu adottata, in un contesto storico e politico completamente diverso, non è dissimile da quella che ha portato alla formula delle due ultime leggi elettorali, il c.d. Porcellum, e il c.d. Italicum, a dimostrazione del fatto che sia i problemi che le soluzioni proposte al riguardo non sono poi cambiate molto.